9 gennaio 2000
E' scomparso
Bruno Zevi

Avrebbe compiuto 82 anni il 22 gennaio

ROMA - L'architetto Bruno Zevi è morto oggi a Roma nella sua casa in via Nomentana. Verso le 13,30 Zevi, che da ieri era stato colpito dall'influenza, ha avuto un attacco di tosse che ne ha provocato il soffocamento. "E' stata una causa banale - ha detto la nuora - aveva difficoltà a respirare e avevamo chiamato già stamattina il medico ma non era potuto venire. Non c'è stato il tempo di far nulla, è stato un attimo". I funerali si svolgeranno martedì mattina nel cimitero ebraico del Verano.

Bruno Zevi avrebbe compiuto 82 anni il 22 gennaio. Era nato a Roma nel 1918. Architetto, storico e teorico dell'architettura, ha privilegiato l'attività storico-critica rispetto a quella di progettista. Divulgatore dell'opera dell'architetto americano Frank Lloyd Wright e dell'architettura organica ha scritto molte opere. Tra le sue numerose pubblicazioni, tradotte in oltre venti lingue, vanno ricordate:
Saper vedere l'architettura del 1948, arrivata nel 1977 alla ventesima edizione; Architettura in nuce del 1960; Erich Mendelsohn: opera completa del 1964; Storia dell'architettura moderna del 1950; Pretesti di critica architettonica del 1983; Zevi su Zevi; architettura come profezia; Leggere, scrivere, parlare architettura del 1996; Storia e Controstoria dell'architettura in Italia.

Impegnato anche politicamente durante il fascismo, Zevi fu membro del movimento clandestino Giustizia e Libertà e diresse i
Quaderni Italiani, considerati la continuazione di quelli parigini di Carlo Rosselli. Successivamente militò nel Partito d'Azione, in Unità Popolare, nel Partito Radicale, di cui fu anche deputato, e nel rifondato Partito d'Azione.

Laureato con Walter Gropius nel 1942 nella Università di Harvard, ha retto per 30 anni la cattedra di Storia dell'architettura nelle università di Venezia e La Sapienza di Roma. E' stato segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica dal 1952 al 1968 e vicepresidente dell'Istituto Nazionale di Architettura dalla sua fondazione, nel 1959. Accademico di San Luca e laurea honoris causa di varie università (tra le quali Buenos Aires, Haifa, Michigan) ha presieduto il Comitato Internazionale Critici di Architettura. Ha fondato e diretto la rivista
L'architettura. cronache e storia e da decenni curava la rubrica di architettura del settimanale L'Espresso. E' stato anche responsabile della collana Universale di architettura.

Nelle opere urbanistiche e di edilizia progettate con il suo contributo emergono la stazione ferroviaria di Napoli, il quartiere Pastena di Salerno, il progetto per il ponte Garibaldi a Roma, la biblioteca "Luigi Einaudi" di Dogliani, i nuovi centri direzionali di Roma, il piano regolatore di Benevento, la sistemazione delle aree ferroviarie di Firenze.



12 gennaio 2000
Ocalan, la Turchia
sospende l'esecuzione

ANKARA - Scampa alla forca per il momento Abdullah Ocalan, il leader del Pkk, il partito dei lavoratori curdi. Il governo turco, dopo una riunione durata oltre cinque ore tra i membri della coalizione, ha deciso di sospendere l'esecuzione della sentenza di morte e di aspettare l'esito dell'appello pendente davanti alla Corte europea dei diritti umani. Il partito nazionalista aveva insistito perché la sentenza fosse mandata al parlamento per il voto finale ma poi ha acconsentito di aspettare la decisione di Strasburgo.

Ha vinto la ragion di Stato: Ankara ha preferito evitare una crisi di governo che avrebbe ricacciato il paese nell'instabilita politica. E in più, il premier Bulent Ecevit quadagna tempo prezioso. Una sentenza di morte ratificata - o anche solo discussa - dal parlamento turco sarebbe stata una mazzata per il paese che ha ottenuto il via libera a diventare candidato per l'ingresso nell'Unione europea nel vertice di Helsinki di inizio dicembre. "La pena di morte è incompatibile con il nostro ingresso in Europa", ha sempre sostenuto Ecevit.

Il premier nell'annunciare la decisione ha affermato che una volta concluso il procedimento della Corte di Strasburgo il dossier di Ocalan sarà trasmesso al parlamento che dovrà ratificare o meno la pena capitale. Per il momento, ha detto il premier, il dossier del caso resterà fermo alla presidenza del Consiglio ma il governo si riserva di annullare la sospensione se interverranno fattori contrari agli interessi della Turchia.

Ecevit ha però avvertito che non si tratta di "una sospensione a tempo indeterminato". La Corte europea, che aveva formalmente chiesto alla Turchia di bloccare l'esecuzione, potrebbe impiegare 18 mesi per emettere la sua sentenza.

Il primo ministro ha anche messo in guardia contro un'eventuale ripresa delle attività terroristiche da parte del Pkk che ha dichiarato una tregua nell'agosto scorso. "Se l'organizzazione dei ribelli o i loro sostenitori dovessero tentare di usare questo periodo contro i più alti interessi dello stato, allora la revoca sarebbe annullata e immediatamente ripresa la procedura per l'esecuzione", cioè il rinvio al Parlamento della sentenza di morte emessa dalla corte militare turca contro Ocalan nel giugno scorso.

Ed è arrivata la prima reazione dall'Italia: il presidente del Consiglio Massimo D'Alema esprime in una nota "viva soddisfazione e apprezzamento per una scelta che conferma l'evoluzione in corso della politica della Turchia nel segno di quell'avvicinamento all'Europa e ai suoi principi democratici".



18 gennaio 2000
Kohl: "Non faccio i nomi"
e si dimette da presidente cdu

BERLINO - L'ostinato grande vecchio Kohl sbatte la porta al suo partito: invitato da Schauble e da tutto il vertice Cdu a sospendere la sua presidenza onoraria finché non avesse deciso di rompere il silenzio e fare i nomi dei donatori eccellenti, l'ex cancelliere risponde rabbioso che la parola d'onore dell'omertà promessa ai grandi pagatori occulti per lui vale di più del partito e della legge. Non accetta, Helmut Kohl, la sospensione dell'incarico: si dimette da presidente onorario, confermando che continuerà a tacere sui donatori. Nè le preghiere di Schauble, né le perquisizioni di magistratura e polizia lanciate da ieri in case e uffici dei suoi fiduciari, piegano la sua ostinazione.

Così Kohl ha risposto stizzito alle conclusioni del drammatico vertice straordinario di crisi della Cdu. Il quale ieri ha deliberato che Schauble resta numero uno della Cdu, anche se aveva implorato di poter lasciare il timone della nave nella tempesta; la presidenza del partito rimane tutta intera al suo fianco, ad affrontare l'emergenza; e il grande padre Helmut Kohl ha appunto ricevuto l'umiliazione di un rimprovero punitivo davanti al mondo.

E' stato pregato in tono cortese ma fermo di considerare sospesa la sua presidenza onoraria, insomma di scendere dal piedistallo della Storia, finché non si deciderà a rompere quel suo silenzio così simile all'omertà mafiosa sui nomi dei donatori eccellenti che finanziavano il suo sistema di fondi neri.
Con queste decisioni, sofferte e non prese all'unanimità, si è concluso ieri pomeriggio a Berlino il vertice straordinario di crisi della Cdu, il più drammatico in oltre mezzo secolo di storia della Dc tedesca. Decisioni cui Kohl ha risposto come si è detto.

E' un primo schiaffo a Kohl considerato monumento storico e padre fondatore fino a ieri e ancora venerato come un Dio e un eroe dell'Europa sia da iscritti e simpatizzanti, sia da milioni di persone anche fuori dalla Germania. Ma insieme è uno schiaffo timido, uno strappo troppo graduale, che prima di tutto non piega Kohl perché non lo ha convinto a fare i nomi. E intanto mostra quanto sia debole la forza dei rinnovatori nella Cdu, e quindi quanto sarà difficile per i nipotini di Adenauer risalire la china dei consensi crollati e dell'immagine in pezzi.

"Se Kohl continuerà a chiudersi nel suo silenzio arrecherà al partito danni ancora maggiori, e verrà meno ai suoi doveri", dice la dichiarazione conclusiva del vertice cui Kohl ha dato quella risposta sprezzante. Il documento è stato contestato da due voti contrari e da un'astensione. Non molti sui 26 partecipanti alla riunione, ma abbastanza per mostrare che il vecchio sistema di potere dell'ex cancelliere resta forte e radicato nel partito. "Sono deluso, il vertice cdu non ha portato novità né chiarezza", ha commentato a caldo il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder.

La sua è una ovvia reazione di polemica strumentale, come è inevitabile e sano che accada in un bipolarismo. Ma quanto è saldo il bipolarismo tedesco finché la crisi della dc di Berlino resta aperta? E come farà Schauble a chiuderla, a riconquistare legittimità democratica di forza politica credibile e fiducia degli elettori di qui alle elezioni regionali di febbraio nello Schlewsig-Holstein e di maggio nel Nordreno-Westfalia?

E' una preoccupazione che cova sotto sotto anche tra socialdemocratici e verdi, gli esponenti dell'attuale maggioranza. Rincuorati dal fortissimo recupero di popolarità che la crisi dell'opposizione ha portato loro (ma che è stato causato anche dalla nuova politica economica e fiscale tecnocratico-riformatrice), Schroeder e i suoi non ignorano che sussulti all'italiana potrebbero essere dannosissimi alla stabilità politica di tutto il paese, e quindi indirettamente anche all'economia e al clima sociale. Dopo il drammatico vertice di ieri, il rischio di una spaccatura della Cdu e di scenari italiani vecchia maniera resta aperto a Berlino. Soprattutto per colpa di Helmut Kohl.


20 gennaio 2000
Addio a Bettino Craxi
stroncato da un infarto

ROMA - Bettino Craxi è morto. Stroncato da un infarto poco dopo le 17 di ieri nella sua villa di Hammamet in Tunisia. La grande casa bianca nella quale si era rifugiato nel '94 e dalla quale in tutti questi anni aveva inviato fax, polemizzato, partecipato alla vita politica italiana e soprattutto gridato la propria innocenza.

Non gli è riuscito dunque di tornare in Italia da uomo libero come aveva desiderato fino all' ultimo, non ci tornerà da morto. "Non chiedo carità pelose - aveva detto rifiutando sdegnosamente l'offerta di arresti domiciliari per il suo grave stato di salute - non sono né un latitante né un fuggiasco, sono un esule politico e se non posso tornare a casa mia da uomo libero, preferisco rimanere qui, anche da morto".

Era malato Craxi, molto malato. Di una grave forma di diabete che gli aveva progressivamente attaccato i reni e indebolito il cuore, trasformando le ultime settimane della sua vita in un inferno di medici, ospedali e interventi chirurgici. Da qualche giorno però le sue condizioni sembravano migliorate. Tanto che ieri ad Hammamet accanto a lui c'erano soltanto Stefania, la figlia, e il nipotino di dieci anni. Bobo, l'altro figlio, era in Italia. E Anna, la moglie, aveva approfittato di questo miglioramento per andare in Francia anche lei per curarsi.

Craxi aveva 65 anni. Ne avrebbe compiuti sessantasei il 24 febbraio prossimo. La cronaca degli ultimi suoi istanti di vita è breve e drammatica. Sembra una giornata tranquilla. Con Craxi che si mostra di buon umore, mangia con appetito e nel pomeriggio si concede un tè alla menta. Poi va a riposare. Intorno alle 17 si alza per andare in bagno ma rifiuta di farsi accompagnare da Stefania. "Grazie, ce la faccio da solo". Ed è in bagno che Stefania lo troverà poco dopo agonizzante. Ed è probabilmente lì che Bettino le muore tra le braccia ragalandole un ultimo sguardo d'amore. Poi Stefania trova la forza di chiamare un'autoambulnza che arriva dopo poco e porta l'ex leader socialista alla clinica "Les violettes" praticamente già morto. Morto, beffa del destino, proprio nel giorno in cui la Camera aveva dato il prima via libera alla Commissione d'inchiesta su Tangentopoli per la quale Craxi si era a lungo battuto.

Gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi sono una interminabile via crucis di ricoveri, analisi e bollettini medici. Dove dolore e polemiche, visto che Craxi non è un malato qualunque, si intrecciano innescando polemiche a non finire sull'ipotesi di aprire o meno un "corridoio umanitario" che colleghi Hammamet a Roma e che consenta a Craxi di curarsi in Italia. Una battaglia che inizia il 13 settembre dello scorso anno con le prime notizie dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute ed entra nella fase più acuta il 24 ottobre, quando Craxi viene ricoverato ad Hammamet nella clinica "Les violettes" per problemi cardiaci.

A settembre del '99 le prime avvisaglie di un calvario che sarebbe durato quattro mesi. La dottoressa Ornella Melogli, sua diabetologa da anni, lo visita e trova le sue condizioni "critiche" tanto da consigliarne il ricovero a Tunisi. Partono gli accertamenti e il 24 ottobre Craxi entra all'ospedale militare di Tunisi per una improvvisa crisi cardiaca complicata da una insufficiente funzionalità epatica. Dopo una settimana l'ex leader socialista comincia a migliorare e il 30 ottobre i medici sciolgono la prognosi. Il 9 novembre, una nuova crisi cardiaca, un nuovo ricovero all'ospedale di Tunisi. I medici lo dimettono il 13 novembre ma parlano della necessità di un intervento al cuore per inserire un by-pass per aggirare la disfunzione vascolare.

Craxi ribadisce, di fronte alle offerte di un salvacondotto umanitario per farsi curare nel suo paese, che rientrerà in Italia solo da "libero cittadino", e che "con l'aiuto di Dio" spera di uscire "presto e bene da questa incresciosa situazione". Il 30 novembre un'équipe italo-tunisina gli asporta il rene destro. L'intervento riesce perfettamente. Craxi lascia l'ospedale di Tunisi l'11 dicembre e torna ad Hammamet. Trascorrerà Natale e Capodanno in convalescenza. Dieci giorni fa l'ultima visita di controllo. Sembrava stesse migliorando. E invece un infarto se lo è portato via in un pomeriggio di pioggia ad Hammamet, la sua casa per oltre cinque anni e forse anche la sua tomba.


21 gennaio 2000
Madrid, due autobombe
ucciso un colonnello

MADRID - L'Eta è tornata a colpire. Dopo un anno e mezzo di tregua stamattina Madrid è stata svegliata dall'esplosione di un'autobomba che ha ucciso un tenente colonnello dell'intendenza militare, Pedro Antonio Blanco, 48 anni, due figli. Erano le 8.00 quando la sua auto, sotto la quale era nascosta della dinamite, è saltata in aria. Gli inquirenti ritengono che l'uomo non fosse sull'auto, al momento dell'esplosione, ma lì accanto. Sarebbe stata l'onda d'urto a prenderlo in pieno e a ucciderlo. Blanco Garcia aveva infatti l'abitudine di fare una passeggiata tutte le mattine. I killer probabilmente lo hanno aspettato, poi hanno azionato un comando a distanza che ha fatto saltare in aria la vettura. Una deflagrazione violenta che ha ferito altre quattro persone, tra cui un'adolescente.

Sul posto (in via Pizarra de Madrid, nei pressi dell'incrocio con via Virgen del Puerto), erano appena arrivati i soccorsi quando è avvenuta una seconda esplosione, meno intensa delle prima, che non ha fatto grandi danni. Il secondo ordigno era stato collocato a 150 metri di distanza ed è esploso cinquanta minuti dopo. Avrebbe potuto fare una strage: nel quartiere abbastanza centrale di Madrid, sulle rive del fiume Manzanares, si trovano infatti un vasto complesso immobiliare, abitato da membri delle Forze armate spagnole e un asilo infantile.

L'area delle esplosioni è ora isolata. Cani addestrati della polizia setacciano le strade in cerca di altri ordigni e posti di blocco sono stati alestiti lungo le arterie che conducono fuori città nel tentativo di bloccare gli attentatori.

Il bilancio delle vittime è stato confermato alla televisione spagnola dal ministro degli Interni Mayor Oreja. Il ministro ha anche confermato i primi sospetti della polizia, che ha attribuito gli attentati all'organizzazione separatista basca Eta, che recentemente aveva annunciato la fine della tregua con le forze governative.

L'ultimo attentato dei separatisti baschi risale al giugno 1998 quando l'Eta aveva ucciso un consigliere municipale di Renteria, nei Paesi baschi. Nel settembre 1998 l'Eta aveva annunciato la tregua. Ma lo stallo nel dialogo con il governo di Josè Maria Aznar, ha indotto l'organizzazione a rompere la tregua. Da tempo il ministro degli Interni era convinto che i separatisti stessero preparando un attentato. Ed è arrivato, ripiombando la Spagna nel terrore e proprio nella settimana in cui è atteso l'annuncio di Aznar sulla convocazione delle elezioni per il 12 marzo.

Una dura condanna dell'attentato terroristico è arrivata dal presidente del Parlamento
Europeo, signora Nicole Fontaine. "Il Parlamento Europeo sarà sempre dalla parte del governo spagnolo nella lotta contro il terrorismo", ha detto la signora Fontaine.


29 gennaio 2000
Scontri a Davos
Torna il popolo di Seattle

DAVOS - Il popolo di Seattle non si ferma e va a stringere d'assedio i potenti della terra a Davos, al forum mondiale dell'economia. Come negli Stati Uniti anche nella città Svizzera i contestatori si sono dati prima appuntamento attraverso la Rete poi sono passati alle vie di fatto. E' bastato che Clinton riproponesse con forza nel suo discorso la necessità di un mercato globale per accendere la miccia. Il presidente Usa non ha dubbi: "La globalizzazione crea libertà e noi non possiamo fermarci, dobbiamo solo essere più attenti". Clinton è stato abbastanza attento a dare atto della necessità di riformare il Wto, ma ha difeso l'istituzione in quanto tale. Tanto è bastato per scatenare la protesta. Ha detto il presidente Usa: "Do il mio deciso appoggio al Wto anche se deve essere riformato. Chi lo critica sbaglia in pieno". I paesi che guardano in modo ostile all'organizzazione mondiale del commercio sono uniti "dal silenzio" e per questo è necessario aprire a loro il Wto che "non deve essere una istituzione privata, riservata a pochi". Gli Usa lavoreranno per questo e anche all'avvio di un nuovo "round" negoziale.

Ma per i contestatori del Wto (tra i quali anche una delegazione italiana con Verdi e Rifondazione) la posizione americana è largamente insufficiente. La manifestazione nei dintorni del palazzo dove si tiene il forum era già anunciata. Loro di mercato globale non vogliono sentire parlare e lo considerano anzi il nemico da battere, la ghigliottina che fa cadere le teste degli stati più poveri. A guidare la manifestazione uno dei capi carismatici di Seattle, Josè Bovè, che ha ripetuto gli stessi slogan ascoltati nelle giornate americane. Come allora l'inizio del corteo è stato pacifico, poi quando il serpentone è venuto a contatto con le forze dell'ordine ci sono state le prime scaramucce.

L'ala dura dei dimostranti ha travolto la prima linea della polizia e un militare è rimasto ferito. Altro caos e altri contusi leggeri davanti alle vetrine dell'unico McDonalds della zona accusato d utilizzare slogan ecologisti per vendere hamburger. Anche qui il solito copione con spintoni, vetri rotti e calma riportata a fatica. Lo stesso Bové è rimasto leggermente ferito da un lacrimogeno.

Di diverso rispetto a Seattle c'è solo, e non è un dettaglio da poco, la reazione della polizia che ha evitato di usare le maniere forti. Anzi i dimostranti hanno persino notato l'uso da parte delle forze delle forze dell'ordine di scudi ecologici, costruiti in vimini.