Genova, sabato 21 luglio
2001… C’ERO ANCH’IO. Cara Luana, C’ero anch’io e
voglio riportarvi la mia testimonianza dato che i mass
media (come ben sappiamo) sono riusciti a stravolgere o a
‘correggere’ le informazioni trasmesse; le
‘solite’ mezze verità trasformate per il bene
di non si sa chi. Partenza ore 6 di mattina,
io ed altre due ragazze… Avrei voluto partecipare
agli incontri del Genoa Social Forum già da giorni prima
ma la realtà è che posso partire solo oggi. La tensione dentro di me è
alta dato che le notizie che mi sono arrivate sono
riuscite a produrre disagio e paura… penso a quanto
sia subdola questa politica di tensione a cui non voglio
sottostare: si è parlato di manifestazione organizzata,
pacifica, democratica ed io ci sono per capire e nel
contempo dimostrare che ciò è possibile. L’inquietudine mi fa
pensare ad un viaggio pieno di disagi, di blocchi e
perquisizioni… in due ore siamo a Genova e abbiamo
intravisto solo un’auto della polizia
all’ingresso di Genova Nervi. Vaghiamo per manciate
di minuti alla periferia di Genova alla ricerca di un
parcheggio; ci sono file di giovani davanti ai pochissimi
bar aperti in periferia per la colazione. Parcheggiamo di
fianco ad una specie di tendopoli, entriamo per cercare
informazioni, (una cartina, l’unica che avevamo, è
stata dimenticata a casa). Ci sono centinaia di giovani
che discutono degli avvenimenti del giorno appena passato
e delle misure possibili di sicurezza da adottare,
qualcuno accenna anche a strategie di attacco. Usciamo dalla
‘tendopoli’ e ci dirigiamo verso il
centro… sembra una tranquilla e calda giornata
estiva ma le strade sono piene solo di giovani.
Percorriamo delle vie senza neanche ben sapere dove
siamo. Chiediamo qualche indicazione, seguiamo la maggior
parte delle persone. Ci ritroviamo davanti ad una
salita che porta direttamente alla piazza da cui
inizierà la manifestazione; si riconosce perché è
letteralmente assediata dalle camionette blindate della
polizia… passargli accanto e sentirmi squadrata
dall’alto in basso mi mette a disagio. Anch’io
li guardo, guardo gli innumerevoli giovani
‘costretti’ da giorni a stare su quei camion
pronti a qualsiasi situazione di emergenza. Cerco di
pensare a cosa poterebbero provare ma immediatamente il
pensiero fugge perché incrocio lo sguardo di un
poliziotto che sta caricando un lacrimogeno e vedendomi
lo nasconde! La piazza è semideserta,
qualche gruppo di ‘Rifondazione’ e sparsi
giovani dall’aspetto anarchico. Sono solo le dieci
del mattino e decidiamo di raggiungere a piedi il centro
dirigendoci verso il lungo mare. Arriviamo ad una
chiesetta dove i Francescani si mettono a disposizione
per incontri di preghiera ed informazioni sul
“Debito dei Paesi poveri”; il clima è quello
ideale e ci sediamo lungo un marciapiede che da sul mare.
Se non fosse per gli
elicotteri che ci sorvolano, per i gommoni che presidiano
la costa e l’assenza di traffico sembrerebbe una
bellissima giornata di ritrovo giovanile e di culture
diverse. Vedo passare un’infinità di gente: siamo
tutti diversissimi ma manifestiamo per le stesse ragioni.
Passano bandiere della pace tenute da latino americani,
passano rappresentanti del popolo curdo, di Pax-Cristhi,
le ‘Donne in nero’, associazioni non violente,
Rifondazione Comunista, anarchici, Rete di Lilliput, Lega
ambiente. Stiamo aspettando degli
amici da Torino e siamo continuamente in contatto
telefonico… non è per niente facile trovarsi in
mezzo a cotale folla. Ormai è mezzogiorno passato, ci
siamo abbrustolite sotto il sole, siamo riuscite a
mangiare qualcosina e a parlare coi gruppetti vicini;
quasi tutti sono arrivati in treno (da Napoli, da Roma,
Milano…), non hanno subito nessun tipo di
perquisizione e sono qui nonostante le tensioni e gli
scoraggiamenti di molti. Riceviamo la notizia che una
ragazza che conosciamo è stata picchiata il giorno
prima; l’adrenalina mi sale al cervello, mi stringe
lo stomaco, crea ansia. Dopo una mezz’oretta
vedo arrivare questa ragazza che si dirige verso il
corteo; ci salutiamo, le chiedo come sta… non ha
ferite evidenti. Mi racconta che stavano manifestando il
giorno prima in modo pacifico in una piazza a mani alzate
e, d’improvviso, hanno gettato lacrimogeni; loro si
sono seduti inneggiando alla non violenza e i poliziotti
hanno cominciato a manganellare a destra e manca (la
signora vicino a loro è stata ricoverata per contusioni
violente alla testa). Oggi erano ancora lì a
manifestare… con una certa preoccupazione ma
c’erano. All’una circa il corteo
inizia a partire; la piazza ormai strabordava e hanno
cominciato a far fluire gente nelle strade. I nostri
amici non sono ancora arrivati per cui aspettiamo ancora
ad inserirci nel corteo. Vedo persone e ancora persone e
ancora persone… un flusso infinito e determinato di
qualsiasi posizione, credenza, colore. Finalmente troviamo gli
altri, ci incontriamo e, dopo qualche tentennamento, ci
buttiamo nel corteo. Capitiamo proprio verso la
fine in mezzo agli anarchici. La mia tensione sale alle
stelle: mi vedo gente vicina con mazze, caschi, vestiti
di nero e con una fortissima determinazione. Decido di inserirmi più
avanti, capito in mezzo ai COBAS; nel giro di dieci
minuti ci impongono i cordoni e mi vedo intorno gente con
caschi e bastoni. Mi stacco dai cordoni e ne
approfitto del momento in cui il corteo è fermo per
portarmi avanti verso un’ala a mio parere più
tranquilla. Mi avvicino a manifestanti che urlano e
fischiano, realizzo in quel momento che siamo davanti ad
un’immensa caserma dei carabinieri che è situata
sul lungo mare; dietro ad un enorme cancello, in cima
alla salita, una schiera di centinaia di poliziotti è
pronto all’attacco… il panico mi attanaglia lo
stomaco e le gambe. Penso di tutto, dalle guerre nel
Kossovo al golpe in Cile e nella mia testa frulla il
concetto di Stato d’assedio; cerco in qualunque
angolo del mio cervello una ragione per giustificare
questa situazione… non ne trovo di plausibili, o
meglio non ne trovo di giuste che possano impedire alla
mia coscienza e al mio corpo di proseguire. Mi inserisco in un gruppo di
manifestanti che balla a ritmo di tamburi… ballare
allenta la tensione ed abbassa la soglia di adrenalina .
Intanto continuano a giungere notizie che il corteo è
stato frantumato, che in piazza Kennedy ci sono stati
scontri e che stiamo andando incontro alle forze
speciali… ma come? La manifestazione è stata
autorizzata e io non ho ancora visto casi di violenze!? Passiamo lentamente di
fianco ad una piazza invasa dalla polizia, ci sono anche
due ‘carri armati’. Cerco di capire quale sia
la mia parte di terrorista… vedo nella
manifestazione con me signore sopra i cinquanta e
sessanta anni, vedo un papà con le figlie… perché
tutta questa tensione, questo attanagliamento delle forze
dell’ordine?? Il corteo viene
definitivamente bloccato… vediamo del fumo nero in
basso alla discesa che stiamo percorrendo, vediamo del
fumo bianco (lacrimogeni!)… il panico sale: si
smette di ballare, iniziano gli sguardi tesi e un via vai
di notizie contraddittorie. Un vortice entra nella mia
testa, voglio solo scappare, urlare, essere un’altra
persona… mi accorgo che anche altri sono nel panico,
alcuni lo sono nel completo silenzio. Qualcuno inizia a
correre ed c’è un accenno di caos…
fortunatamente, non so per quale motivo, si inizia ad
inneggiare alla nonviolenza, ci si immobilizza, la
maggior parte si siede e resta con le mani alzate. Si urla di restare calmi,
che se non scappiamo le forze non interverranno
pesantemente. La signora di fianco a me
nota la mia espressione di ansia e mi dice “Beh
dovevi saperlo che se venivi a Genova almeno una
manganellata ci scappava!”. Lo pensavo ma fino
all’ultimo avrei sperato che in una manifestazione
pacifica ed autorizzata non ci fosse bisogno di questo
genere di interventi… inizia ad arrivare puzza di
aceto mista ad acrilico… non sappiamo più cosa stia
succedendo. Un ragazzo si alza e comanda la calma e di
tener alzate le mani… è un ragazzetto ma molto
autorevole; invidio la sua (finta) sicurezza che riesce a
manipolare le masse e a far sì che anche gli anarchici,
di fianco a noi, si tranquillizzino. Passano i minuti e la
tensione cresce di secondo in secondo… sembra tutto
così surreale anche se nei pensieri di molti ci sono
già scene di manganellate. L’attesa si addensa di
vari pensieri e sono questi che psicologicamente
influiscono sul tuo comportamento, le emozioni provate
hanno la capacità di immobilizzare un corpo, di farlo
piangere, di farlo reagire spropositatamente. Squilla il telefono della
ragazza vicina… è in comunicazione con casa. Loro
non sanno niente, non ci sono informazioni a riguardo
mentre spiega con voce tremante che siamo seduti in
corteo con le mani alzate, che dietro di noi c’è la
polizia, davanti a noi le squadre speciali che avanzano e
lanciano lacrimogeni, da un lato il mare e
dall’altra un muro altissimo… stanno giocando
al gatto con il topo… siamo praticamente
attanagliati! Questa affermazione mi blocca
completamente… cerco di trovare le ragioni del mio
manifestare per darmi coraggio… in questo momento
non ne trovo, riesco solo a dare ascolto al mio stomaco e
la testa impazzisce. Di colpo la fila davanti si
alza impaurita ed inizia a scappare, la gente comincia a
travolgersi; ci sono urla che invitano alla calma…
ho il tempo di pensare a dove andare, mi dirigo verso il
mare, poi, invitata da un’amica mi butto contro il
muro. Siamo schiacciati, con le mani alzate… ci
lanciano lacrimogeni. Vedo gente intorno a me che estrae
limoni e si spruzza il succo in gola e negli occhi per
bloccare gli effetti del gas. Un ragazzo dietro me urla di
tenere le mani alzate, mi bagna un foulard e me lo fa
metter sul viso dicendomi di tenere gli occhi chiusi. In quel momento quel ragazzo
diventa la mia fortuna, mi da la sicurezza che, in
momento di panico e degenero totale, c’è ancora
chi, oltre a manifestare diritto e solidarietà, lo
applica nelle situazioni di emergenza e bisogno…
tutto ciò mi carica molto. Ormai le sostanze al
peperoncino lanciate dai corpi speciali hanno il loro
effetto: comincio a piangere, mi sento la pelle ustionata
ma soprattutto non riesco più a respirare, mi sento
svenire.. mi aggrappo al manifestante davanti a me e
cerco a tastoni il muro… tolgo il foulard e cerco
intorno a me le persone… dietro a me solo fumo e
militari che avanzano. Uno di loro si avvicina col
manganello, mi sta a dieci centimetri, lo guardo anche se
vedo poco poiché ho gli occhi velati da lacrime
artificiali (indotte dai lacrimogeni) , agita il
manganello e mi urla “VAI VIAA!!!!”. Il signore davanti a me si
blocca , va verso il militare nonostante la moglie cerchi
di trattenerlo e “Figli di puttana, ci state
trattando come bestie… non abbiamo fatto
niente…” non fa in tempo a finire la frase
perché il militare gli tira una manganellata.
Un’altra manganellata va ad un signore che non si
muove perché cerca di calmare e prendere in braccio la
figlia terrorizzata. Guardo il militare, si
vedono solo gli occhi dietro ad un’armatura
impressionante e cerco di interpretare i suoi
pensieri… chissà cosa penserà dei manifestanti, di
questo suo ‘lavoro’, chissà se è costretto o
in fondo prova anche un po’ di piacere e senso del
potere a fare tutto ciò? La ragazza di fronte a me
viene presa dal panico, inizia a piangere, sembrerebbe
pianto convulsivo… mi dice che alcuni dei militari
sono suoi amici e tutto ciò è inconcepibile! Ci fanno uscire dalla strada
facendoci passare a mani alzate davanti a decine di
furgoni blindati della polizia. Abbasso le mani perché
non mi sento una terrorista, non mi sento nel torto e
mentre sfilo di fronte ai camion guardo uno per uno i
poliziotti… avranno la mia età e non so quali e
quanti pensieri… alcuni si coprono il volto, non si
capisce se per paura o per umiliazione. Ristagniamo a piccoli
gruppetti sempre sotto osservazione della polizia; arriva
un ragazzo con la maglietta intrisa di sangue, gli chiedo
se gli serve un medico ma non mi sente neanche e continua
la sua automatica camminata. Un’altra ragazza
scoppia piangere… capisco che in questi momenti ci
sono due comportamenti estremi o di panico, pianto e
immobilizzazione o di pura reazione di volontà. Arriva
un gruppetto delle prime file: gente che si è buttata in
mare, gente che si è arrampicata su alberi, ammassata
sopra altra gente… una ragazza ha perso le scarpe,
un altro lo zaino, chi il sacco a pelo. Dopo qualche minuto i
furgoni blindati se ne vanno rincorsi dai fischi di chi
è rimasto sano, ma rimaniamo comunque sotto il tiro di
potenziali cariche di lacrimogeni. Decido di andarmene da
questo schifo, da questa città martoriata e da questa
gente umiliata… mi dirigo verso la macchina… mi
aspettano due ore circa di cammino. Negli occhi scene da film,
da guerra… volti di persone ferme, caritatevoli e
volti incazzati e menefreghisti… c’è odore di
disprezzo nei confronti dei manifestanti sia da parte
della polizia sia da parte della gente di Genova. Persone che sono stati
volontari a Sarajevo, che sono volontari di associazioni,
gente che è stata a Roma e che solitamente viene
applaudita… le stesse identiche persone qui vengono
disprezzate, allontanate, manganellate. Durante il ritorno tra me e
le compagne di viaggio regna completo silenzio, le nostre
teste e i nostri cuori stanno tentando di rielaborare le
vicissitudine e le emozioni provate. Passiamo di fronte alla
caserma dei carabinieri, alcuni sono schierati intorno
alla fortezza e ci guardano come se fossimo le giuste
vittime bastonate, come se il pericoloso ‘corteo di
tori’ fosse stato soddisfacentemente represso e
disperso. Li guardo con calma e
mi sento del disprezzo nel cuore, provo pietà per
loro… immagino il futuro dei loro figli e penso che,
quando capiranno cos’è veramente avvenuto durante
quelle giornate, si stupiranno di non essere stati con
noi. Nel lungo tragitto mi chiedo
a cosa sia servita questa manifestazione, dove abbia
portato… ripenso ai miei sentimenti e mi accorgo di
non aver mai rivolto un pensiero ai G8 e al loro pompato,
aristocratico e asettico incontro. Ho pensato alla
guerre, ai problemi della fame, alla povertà non solo di
intere popolazione ma anche di noi stessi, della nostra
fragilità ed inconsistenza, dei diritti negati, delle
voci spezzate… Mi sono sentita schiacciata
nella dignità, nella non possibilità di manifestare i
miei valori (anche oggi sono confusa ma soprattutto
arrabbiata per ciò che è successo). Arrabbiata ma non
impotente, umiliata ma non schiacciata, delusa ma pronta
a ripartire ancora più carica e con più speranza. Riprendiamo la macchina, ci
lecchiamo le ferite morali… uscendo da Genova
incontriamo decine e decine di blindati della polizia;
prima dell’uscita dalla città hanno deciso di
perquisire le auto. Ora capisco il bluff; una
sorta di Grande Fratello di Orwell in cui tutto è già
predeterminato e studiato nei piani… ‘niente
perquisizioni all’andata ,tutti al ritorno!’. Accendiamo la radio e
uscendo da quel luogo ascoltiamo tutti i notiziari
possibili… cifre di feriti che non corrispondono
alla realtà (sono notevolmente abbassate),
colpevolizzazioni degli interi manifestanti classificati
come rivoltosi e violenti. Tutto ciò mi disgusta! In pochissimi trasmettono
l’informazione per ciò che è senza rimaneggiamenti
vari… ho deciso così di scrivere questa mia
avventura giornaliera per poter dare contro informazione
( è esperienza soggettiva ma reale). Torno a casa delusa dai
giochi politici e di forza ma ancora più combattiva e
volenterosa di impegnarmi nel quotidiano per i valori in
cui credo e che mi sono vista negare, pensando a quante
situazioni di lotta e ricerca di giustizia ci sono (e si
sono concentrate a Genova). Penso che nel nostro piccolo
si possa fare molto e vorrei si potesse continuare a
farlo con democrazia e libertà. Sara |