0.07.2002 Il
papà di Carlo: «Una morte preparata, sarebbe comunque
andata così» di Cesare Buquicchio 20 luglio 2002, ore
17,20, Piazza Alimonda, Genova. Un anno meno sette minuti fa, in questo stesso posto Carlo Giuliani era in piena guerriglia, forse aveva visto spuntare troppe pistole quel giorno, forse aveva già deciso quello che doveva fare. In questo anno la domanda di tutti quelli che in quel momento erano in quella piazza, o nelle strade vicine, è la stessa che si è fatto chissà quante volte Giuliano, il padre di Carlo. Avrebbe detto a Carlo di venir via, lo avrebbe preso per un braccio e lo avrebbe tirato fuori da quellinferno? Sarebbe stato giusto farlo? «Se avessi avuto quelletà avrei fatto le stesse cose che ha fatto Carlo. Un atto di coraggio e di solidarietà verso gli altri, e verso se stesso. Aveva visto delle ingiustizie orrende. Un ragazzo che a ventanni ha quellidea di giustizia, non può essere fermato». Sono quasi le 17,27, comincia lapplauso che ricorda quel ragazzo che scriveva poesie in latino che quella mattina aveva pensato di andare al mare dopo la manifestazione. Giuliano raggiunge la moglie Haidi, si siedono per terra, si tengono per mano. Le sirene del porto fissano questattimo. Seguono i mille abbracci al papà e alla mamma di Carlo. «Esprime solidarietà, dice che siamo bravi e io rispondo che bravo è quel ragazzo lì che rappresenta la parte sana di questo paese». Come ha preso il mea culpa di Violante che ha detto che è stato un errore non essere qui lanno scorso. E che i Ds quellerrore lhanno pagato. «Ho apprezzato. Ben vengano i ravvedimenti. Adesso però si va avanti. E siccome il problema è tenere unite le forze migliori della politica e della società, lavoriamo perché quegli errori non si commettano più». Se lanno scorso però ci fosse stata un po più di partecipazione da parte di quelle forze politiche le cose sarebbero andate diversamente e la violenza si sarebbe potuta evitare? «Questo è un interrogativo che è legittimo porsi. Ma io penso che per come lhanno costruita e architettata, sarebbe andata così. Perché lhanno pensata, non è una cosa inventata al momento. È stata preparata scientificamente per reprimere un movimento che ha già prodotto grandi risultati. Quelli di unire il paese intorno a unidea di giustizia e di verità». Partendo da questa piazza quale è il futuro politico che si intravede? «Il futuro è questa strada dellunità e della giustizia sociale. Meno chiacchiere e più gesti concreti, più operatività, più rispetto di quello che pensa la gente. Il problema è che la politica con la «P» maiuscola deve risolvere è quello della separatezza tra rappresentanza e paese reale. Bisogna rimettere in circolo un rapporto molto più forte». La piazza si va svuotando, si va in corteo verso Piazza Matteotti. Sfilano gli amici con le magliette con su scritto «Per non dimentiCarlo». «Lidea della maglietta è di un bambino di 8 anni. Speriamo che la Moratti non ce lo rovini. Gli ho detto sei un genio vuoi fare il presidente del Consiglio». Si conclude la giornata con una festosa bevuta di vino. «A Carlo sarebbe piaciuto e poi il vino è un elemento di unione. Anche tra credenti e non credenti. È il sangue di Cristo, ma è anche uno dei prodotti della terra e del lavoro delluomo». Ha ricevuto visite illustri oggi. Cera qualcunaltro con cui avrebbe bevuto del vino? «Con quelli che cerano. Va benissimo così. Era la gente e onesta e sincera di questo paese. Una grande risorsa per lItalia».
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20.07.2002
Piazza Carlo Giuliani, ragazzo di Enrico Fierro Piazza Alimonda un anno dopo. Ventisette minuti dopo le
cinque del pomeriggio. È quella l'ora in cui Carlo
Giuliani venne ucciso. Migliaia di persone davanti a
quella chiesa con i cancelli pieni zeppi di magliette,
scritte, palloncini, fiori, finanche piccoli peluche. E'
il silenzio. Neppure un mormorio. Le bocche sono chiuse e
gli occhi di molti pieni di lacrime. Haidi e Giuliano
Giuliani, lei con la canottiera bianca che il suo ragazzo
indossava quel giorno, lui con una t-shirt bianca e con
una scritta rossa: «Carlo Vive», si tengono forte per
mano. Non dicono una parola. LE
SIRENE DEI CAMALLI IL SALUTO DI GENOVA
Dal porto arriva il suono delle sirene azionate dai
«camalli». È quello il segnale per un lunghissimo
applauso che sembra non finire mai. Applaudono tutti, i
ragazzi con capelli rasta, quelli che hanno un cane al
guinzaglio e magliette multicolori, le ragazzine con lo
zainetto della scuola, i musici della banda e le signore
del coro che in un angolo intonavano canzoni, i
giocolieri. Applaudono per la vita di Carlo. Perché un
anno dopo quella terribile scena di morte: il «ragazzo»
Carlo Giuliano a terra, il sangue, la jeep dei
Carabinieri, le urla, i lacrimogeni, piazza Alimonda è
stata trasformata nella piazza della vita. Per Carlo, il
simbolo di quello che non dovrà accadere mai più. Per
Carlo, in nome del quale fin dalle nove del mattino
centinaia di persone si sono fermate davanti a quella
chiesa per chiedere una cosa sola: verità e giustizia. E
la chiedono per quell'uomo con la barba che ha indosso
una maglietta bianca piena di scritte e per quella donna
minuta, esile ma fortissima come una roccia bianca.
Giuliano e Haidi la mamma il papà di Carlo. Sono lì fin
dal mattino, parlano con tutti, stringono mani, danno e
raccolgono abbracci. E quando proprio non ce la fanno e
piangono si asciugano gli occhi in fretta, quasi
vergognandosi un po' per quell'attimo di smarrimento.
«Non è una commemorazione, non è una giornata di
lutto. Questa è una festa, sì, avete capito proprio
bene, una festa: la grande festa della democrazia e dei
diritti, quelli negati a milioni di uomini e donne, di
giovani come Carlo». No, non suoni come orrendamente
blasfema questa parola in bocca ad un padre che appena
dodici mesi fa si è visto negare il diritto più grande:
quello di morire dopo suo figlio. Perché questa è la
famiglia Giuliani, una bella famiglia italiana. Famiglia
laica, civile, democratica. Proprio come questa città,
Genova che annuncia nel modo più grande e bello la sua
presenza. Alle 5 e ventisette del pomeriggio, quando
l'aria viene lacerata dalle sirene del porto. Sono i
"camalli" - i mitici lavoratori della compagnia
portuale -, oggi sono tecnici specializzati che
movimentano migliaia e migliaia di tonnellate di merci,
molti di loro premendo un semplice bottone, ma per la
città rimangono sempre "i camalli". La forza
di Genova insieme agli operai. Certo sono sempre di meno,
ma la loro presenza ha impregnato le mura e la memoria di
Genova diventando il Dna di questa città. Suonano le
sirene e il suoni si mescolano ai colori delle bandiere
rosse della Fiom, della Cgil, delle categorie, dei centri
sociali, per dire noi ci siamo. Sono le cinque e
ventisette e a quell'ora venne ucciso Carlo Giuliani. Le
sirene suonano per dire una cosa sola: non accadrà mai
più. Perché noi ci siamo. LA FESTA
E I FISCHI A VIOLANTE «Sì è una
festa», continua a dire Giuliano Giuliani. «Vedi, ci
sono i palloncini ("perdonaci Carlo", "Per
non dimentiCarlo", c'è scritto) e con i palloncini
colorati non si fanno le commemorazioni funebri ma si
festeggia
». Ti guardi attorno leggi le scritte
sulle magliette appese sulla gradinata della chiesa
davanti alla quale Carlo venne ucciso e leggi di tutto
(maglietta con i simboli della Roma: «Carlo sei
grande». Maglietta con la faccia di Guevara: «Voglio la
verità», magliette colorate, e poi giocattoli, e
tantissimi fiori) e ti rendi conto di come in questa
piazza il dolore si sia sposato con la politica. Quella
che però ha la P maiuscola e guarda al mondo, ai suoi
destini, al presente e al futuro di chi non ha niente,
neppure il minimo per sopravvivere. E la politica qui
racconta anche il tentativo di una ricucitura, il
coraggio dell'autocritica di chi un anno fa non c'era.
Arriva Luciano Violante. Lo fischiano. Gli gridano brutte
cose. Lui lo sapeva ed è venuto lo stesso. Ha
abbracciato il papà e la mamma di Carlo ed ha portato i
fiori. «A me, a noi tutti non interessa sapere perché
chi non c'era un anno fa è venuto oggi. Noi guardiamo
avanti. Oggi Violante e il gruppo dirigente nazionale dei
Ds ci sono, come noi chiedono verità e giustizia e
questo è importante». Parole di Giuliano Giuliani.
Haidi Giuliani avvicinandosi a quelli che contestano
Violante: «Calma, calma, così avrebbe fatto Carlo. Me
lo raccontava la sua maestra, ogni volta che c'erano
tensioni Carlo invitava alla calma». MAGLIETTA
EXTRALARGE PER COFFERATI Di mattina
è arrivato anche Sergio Cofferati. Un amico per Giuliano
Giuliani, vecchio sindacalista della Cgil. Lui lo
contestano in pochi. Oggi la Cgil, tutta, c'è. «Sono
qui perché non bisogna rimuovere, dobbiamo ricordare
quello che è successo a Genova. E nulla deve rimanere
impunito, se ci sono stati - come è del tutto evidente -
degli atti fuori dalla legge, devono essere accertati e
puniti». Insomma, la Cgil è qui perché un anno fa per
tre giorni, a Genova è stata in gioco la democrazia. «E
la libertà di manifestare, di partecipare è il sale
della democrazia». Sono le parole di Cofferati. Che si
avvicina alla cancellata di Carlo. È in mezzo ai
Giuliani, guarda e si ferma in silenzio. «La vuoi una
maglietta?», gli fa Haidi. «Certo», risponde. «La
taglia?» «Xl, purtroppo», replica il cinese. Tensione
e commozione sono sciolte. Chi è Cofferati? Te lo
racconta Giuliano Giuliani che ha una invidiabile
capacità di sintesi: «Sergio Cofferati è un uomo che
ha fatto della difesa dei diritti e della dignità dei
lavoratori la sua bandiera. Ha portato in piazza tre
milioni di persone che non avevano da rivendicare una
lira, una sola. Volevano solo diritti e dignità». QUI
SI CELEBRA LA VITA Sì, in piazza
Alimonda non si ricorda un morto, ma si celebra la vita.
«Questo avrebbe voluto Carlo, ne sono certo», dice la
mamma. E la si celebra nel modo in cui questi ragazzi
venuti da fuori con addosso un sacco a pelo, molti con la
maglietta del G8 di un anno fa e i ricordi di quelle
giornate di sangue nella testa, altri con la t-shirt che
indossano orgogliosi «Io non ho votato Berlusconi»,
hanno imparato a fare. Cantando, urlando slogan, parlando
tra di loro, tacendo e piangendo, scambiandosi idee e
progetti, stringendo in mano le loro bandiere dell'utopia
e delle grandi illusioni. Facendo politica, insomma. Ma a
modo loro. In piazza Alimonda - dove i bar e i negozi
sono aperti e le case affollate di genovesi affacciati al
balcone - si piange un ragazzo ucciso ingiustamente, ma
non c'è rancore. La rabbia, quella sì, c'è ed è molta
ma si è trasformata in una nuova consapevolezza.
Insomma, l'impressione è che la gente tornata a Genova
un anno dopo abbia capito quale sia la posta in gioco. La
democrazia, la libertà di organizzarsi e di manifestare.
E sembra che l'abbiano capito anche il sindacato e il
maggiore partito della sinistra, i Ds. «Quelli che un
anno fa non c'erano». Notavi a Piazza Alimonda, e poi
nel grandissimo corteo questa sorta di abbraccio tra il
mondo del lavoro e i suoi sindacati e il suo partito e
questa gente. Forse, la ricucitura tra la parte migliore
della democrazia italiana e "il movimento" è
già a buon punto. Un simbolo, importante, si è
materializzato a metà mattinata davanti al cancello di
Carlo. Quando un anziano signore si è avvicinato ai
Giuliani. Era Giovanni Pesce, nome di battaglia
"Visone", comandante dei Gap, i gruppi di
azione partigiana" durante la Resistena. Scuote la
testa nel ricordare i tre giorni di una anno fa: «Sono
state le giornate del disonore delle forze dell'ordine.
No, non penso alla massa dei poliziotti e dei
carabinieri, ma a chi ha dato quegli ordini, al progetto
che c'era dietro. Ecco: io sono qui per dire che la
Resistenza continua». Alle cinque del pomeriggio la
piazza è colma. «Carlo è vivo e lotta insieme a noi.
Le nostre idee non moriranno mai». E poi «Resistenza,
Resistenza», gridato da vecchi e giovani. Venuti da
tutta Italia. Ci sono i napoletani di Ciccio Caruso, i
romani, bandiere degli indipendentisti sardi. E gli
spagnoli con uno striscione grande: «Aqui astemos».
Siamo qui. E' uno slogan che hanno nella mente tutti.
Siamo qui nonostante la Diaz e i pestaggi, nonostante i
Black-bloc, nonostante Bolzaneto e le torture e i trilli
di telefonino di poliziotti con "Faccetta nera"
come musichetta di fondo. Siamo qui. E c'è Don Gallo, il
prete degli emarginati. Che la mattina è andato nella
Diaz, ancora occupata da poche decine di ragazzi. «A
cantare, giocare a pallone e poi a pulire tutti insieme
la scuola», racconta. Poi in Piazza Alimonda e infine
alla bicchierata in ricordo di Carlo. Un buon bicchiere
di rosso alla memoria del "ragazzo". E un buon
bicchiere di rosso per brindare ad una grande giornata.
Sì, hanno manifestato in centomila, hanno fatto
dibattiti e incontri, hanno suonato e cantato e non è
successo nulla. «Nessuno si è fatto male», urla una
ragazza al telefonino con la mamma allarmatissima».
Carlo ed Haidi Giuliani non hanno perso un momento di
questa giornata memorabile. Sono stremati. Giorni prima
delle manifestazioni, Giuliano Giuliani aveva detto
quello che avrebbe fatto alla fine della giornata:
«Andrò a casa e mi butterò a letto». Penserà al
figlio. Dopo il momento della festa civile verrà quello
del ricordo e del dolore |