20.07.2002
Agnoletto: definitiva la scelta non violenta
GENOVA Domanda scontata: il movimento è in
crisi? Vittorio Agnoletto però non la sente neppure e
risponde a un'altra domanda. Vuole parlare prima di tutto
dell'attacco al cimitero ebraico e vuole esprimere la sua
solidarietà alla comunità. È stato un atto vigliacco -
dice - un atto orribile, che ripugna.
Giusto.
Però insisto: il movimento è in declino?
No. Sta crescendo. I giornali e le tv sbagliano, lo
guardano, lo giudicano, lo misurano con gli stessi occhi
e con gli stessi metri coi quali misurano i partiti, i
sindacati, le organizzazioni istituzionali. Non vedono la
differenza. È enorme la differenza: un movimento è
sempre in trasformazione, cresce si allarga, si sposta
cambia. Non è un partito. Non è statico. Spesso i
movimenti a un certo punto della loro vita vengono
travolti dal desiderio di diventare partiti: e muoiono.
Questo movimento non corre questo rischio. È la sua
forza, non la sua debolezza. Il nostro non è un esercito
compatto. Siamo pluralisti, viviamo sulla differenza
delle nostre culture, delle nostre storie, dei nostri
punti di vista. Anche degli strumenti politici che ci
scegliamo. La sinistra per esempio è più abituata ai
cortei, la componente cristiana è legata al solidarismo,
a strumenti di lotta come il boicottaggio e altri. Non
siamo tutti uguali e siamo contenti di questo. Non vedete
più le piazze con trecentomila persone come l'anno
scorso? È naturale che sia così. Tutti i movimenti
procedono in una continua alternanza delle fasi: momenti
di grande visibilità, altri periodi di lavoro
"carsico", cioè di elaborazione, di confronto
interno, di costruzione di contatti capillari, di scelta
delle priorità...
D'accordo.
Però alcuni problemi ci sono. Ci sono le divisioni
interne, il clima non mi sembra lo stesso dell'anno
scorso. Non è così?
È un movimento che cresce, e quando si diventa più
grandi diventano più grandi anche i problemi. Io vedo
una notevole differenza, di tipo - diciamo così -
organizzativo, con i movimenti degli anni 70. Allora i
movimenti nascevano su campi arati da gruppi politici
(penso ai gruppi marxisti leninisti, o ai giovani di don
Giussani); e quando il movimento si rafforzava, i gruppi
di origine sparivano, si scioglievano. Ora i gruppi non
si sciolgono, sono tantissimi, molto forti, e danno al
movimento un'enorme ricchezza: le competenze. Perché
sono gruppi, associazioni, nati sui problemi concreti, e
che hanno in se saperi ed elaborazioni politico-sociali
avanzatissime e fortissime. Al tempo stesso però questi
gruppi costituiscono un grande pericolo per il movimento.
Perché se ciascun gruppo pensa prima ai problemi del
proprio allargamento, della propria visibilità, e poi ai
problemi del movimento, questo naturalmente è un danno e
può avere effetti di indebolimento.
C'è
anche un problema di leadership. Tutti dicono che c'è un
problema di leadership. E molti pensano che tu sia parte
di questo problema. Tu ed altri. Dicono che date una
direzione troppo personalistica al movimento, che la
leadership è troppo ristretta. Non è così?
Io talvolta leggo sui giornali articoli nei quali ci
rimproverano l'eccesso di leaderismo, altre volte
articoli che ci rimproverano l'assenza di leadership. Non
so più che pensare. Credo che in gran parte il problema
è creato dagli stessi mass-media. Per noi è una
questione molto complessa quella del rapporto con i mass
media. I giornali tendono a personalizzare sempre la
politica. Cercano i capi, i leader, le figure da prima
pagina: se ne infischiano dei problemi, o dei caratteri
di massa dell'organizzazione, o delle sue proposte o
della sua discussione vera. Noi invece dobbiamo cercare
di costruire una leadership che stia dentro questi
problemi e questo carattere di massa. Il movimento è
costituito dai nodi di una rete molto vasta. Cioè da
migliaia di piccole e medie organizzazioni. La leadership
va esercitata nel raccordo tra questi gruppi, queste
esperienze. La leadership sta nel lavoro per
l'organizzazione e per i collegamenti di massa...
Questo
movimento ha al suo vertice poche donne. L'unico volto
noto è quello di Raffaella Bolini, gli altri tutti
maschi. Come mai, dopo anni di femminismo, questo passo
indietro?
Sì il problema c'è, è vero. Però questo è un
movimento che ha preso moltissimo dal femminismo. Nella
sua concezione della politica, nella critica al potere,
nel modo di agire, di organizzarsi, nel carattere delle
sue battaglie, anche nella sua analisi politica. Certo è
una contraddizione che un movimento così
"femminile" si mostri poi con una faccia
ufficiale, e cioè con una visibilità, molto maschile.
Agnoletto,
cosa è cambiato in questo anno? Dalle giornate di Genova
del luglio 2001 ad oggi
Giusto un anno fa, prima di Genova, noi interrompemmo i
rapporti con l'Ulivo perché l'Ulivo aveva fatto sparire
dal testo di una mozione parlamentare il riferimento alla
Tobin Tax. Ieri invece abbiamo presentato un pacchetto di
180 mila firme per la Tobin Tax, più le firme di 86
parlamentari: la maggioranza di loro è dell' Ulivo.
Berlusconi, che un anno fa nemmeno conosceva la
questione, è stato costretto a promettere che l'Italia
investirà l'1 per cento della sua ricchezza (anziché lo
0,39% previsto dall'Unione europea) per aiutare i paesi
poveri. (non manterrà, e l'Italia continuerà ad
investire meno della metà dello 0,39, ma questa è
un'altra questione). Lo stesso Berlusconi ha dovuto
promettere la cancellazione del debito al Mozambico.
Intanto il nostro linguaggio, e i problemi che poniamo,
hanno fatto irruzione nei giornali, nelleTv, nel cinema,
nei bar, nelle case di tutti. Il movimento si è spalmato
sulla società - se posso usare questa metafora - è
entrato nelle crepe, si è diffuso. Questo è cambiato da
un anno fa. Moltissimo.
E
nei rapporti coi partiti di sinistra e coi sindacati?
Quest'anno verranno a Genova Piero Fassino e forse Sergio
Cofferati. Vi ricordate tutti come andò l'altr'anno. Ho
saputo che Fassino va in piazza Alimonda, dove i
carabinieri hanno ucciso Carlo. L'altr'anno i Ds
ritirarono l'adesione al corteo del Social Forum dopo la
morte di Carlo. Mi piacerebbe che i Ds ammettessero lo
sbaglio di allora, e quindi risolvessero la loro
contraddizione. Comunque va bene lo stesso: sono
contentissimo che Fassino vada in Piazza Alimonda. Anche
questo ci dice che molte cose sono cambiate in un anno.
La forza dell'opposizione è enormemente aumentata. Noi
crediamo che il movimento abbia avuto in po' di merito.
La
questione cattolica. Non credi che ci sarebbe bisogno di
fare un passo in avanti nella relazione tra l'anima
cristiana del movimento e l'anima, diciamo così,
socialista? Cioè di arrivare a una fusione, a una
commistione delle teorie, delle analisi, dei valori?
Sì credo di sì. Credo che in parte già stia avvenendo,
anche se è un percorso molto lungo, perché deve
superare secoli di divaricazioni. Però la complessità
della crisi politica mondiale rende sempre più
necessario un processo di questo tipo. Tutti dobbiamo
aggiornare le analisi. Noi sappiamo che quella tra
capitale e lavoro resta una contraddizione fondamentale,
ma non è l'unica. Oggi c'è la contraddizione tra
consumatore e produzione, tra cittadini e struttura della
democrazia, tra valori e mercato, tra etica e forme del
guadagno. Occorre una grande riorganizzazione teorica.
Anche perché la crisi del mondo globale ha aspetti
sconvolgenti e che rimettono in discussione il pensiero
politico degli ultimi due secoli. Per esempio io dico che
nel mondo è saltato il grande principio di democrazia
che diceva: una testa un voto. Quello conquistato a
Parigi nell'89. Oggi, nel mondo globalizzato, non è più
così. Perché i poteri sono fuori dei parlamenti e anche
dei governi degli Stati. Perché una decisione del
governo americano (come quella di mettere certe tasse
sull'acciaio, o di stanziare enormi cifre a difesa
dell'agricoltura nazionale) hanno gigantesche conseguenze
in punti del pianeta lontani, e sulla vita vissuta di
milioni di uomini (per esempio sui cileni, che producono
acciaio, o sulla disperata agricoltura africana che perde
competitività). Quanto conta il voto di un cileno, o di
un africano in confronto al voto di un cittadino della
California? E a questo si aggiunge l'enorme trasferimento
dei poteri dalla politica all'economia (alle
multinazionali) e persino lo svuotamento di legalità
imposto dal neoliberismo (lo scandalo Evron e lo scandalo
bilanci in Usa sono esemplari, per non parlare
dell'Italia). Vedi: bisogna elaborare nuove teorie
politiche persino sul piano dell'affermazione della
democrazia. È un compito enorme. Globale. Non ci
chiamate più no-global, per piacere: siamo gli unici
veramente globali, siamo gli unici che poniamo, ad
esempio, il problema dei diritti non legati alla terra di
nascita (cioè il diritto alla libera circolazione degli
uomini oltre che delle merci...)
Agnoletto,
un anno dopo Genova, e dopo le furiose violenze
poliziesche di quei giorni, possiamo dire che il
movimento ha scelto la non-violenza?
Sì. Lo dimostra il fatto che per un anno, pur sottoposti
a continue aggressioni di ogni tipo, abbiamo retto sulla
frontiera non violenta. Oggi il movimento o sceglie la
non violenza o muore. Non è più il tempo per
distinguere tra mezzi e fini. Questo è il primo
movimento politico che identifica mezzi e fini, per
questo è non-violento nella sua natura.
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