All'improvviso ne manca uno


Da un progetto di storia orale sulle giornate di Genova, il diario di Brunella: «Il venerdì mi sono ritrovata chiusa a piazzale Kennedy. Da un lato c'era un palazzo in fiamme, dall'altro il mare. Non riuscivo a capire che cosa ci succedeva, stavamo andando via e questi ci spingevano verso gli scontri. Ma a me, se mi vede un poliziotto con 'sta maglietta freak tutta fiori, come faccio a essere un pericolo per qualcuno?»
SANDRO PORTELLI
Brunella Pinto ha ventun anni, studia filosofia a Roma, era a Genova i giorni del G8. Questa è la riduzione di un'intervista raccolta nell'ambito di un progetto di storia orale (a cui lei stessa collabora) sulle biografie delle persone che erano a Genova in quei giorni: sul percorso di vita che le ha condotte qui, e su come quegli eventi sono proseguiti nella loro vita dopo - nel trauma, nella memoria, nel racconto, nell'impegno. Perché a Genova non c'era
una moltitudine, ma c'erano centinaia di migliaia di persone, ciascuna con una storia, ciascuna con una soggettività e dei sentimenti. Tutte insieme e una per una. Il venerdì eravamo a Piazza Dante, a ballare, a fare rappresentazioni di living theater. Ci hanno caricato alle spalle, spingendoci verso via Tolemaide. E io non riuscivo a capire che cosa ci succedeva: cioè, noi stavamo andando via e questi ci caricavano alle spalle, ci tiravano i lacrimogeni, perché? Perché ci stanno spingendo verso gli scontri. Perché ci vogliono spingere a farci caricare e a creare ancora più casino. Ma buttare tutta insieme la credenza di ventun anni che le forze dell'ordine servono a preservare il tuo ordine... lo sapevo benissimo; però c'è sempre quella sensazione dentro di te - che adesso è totalmente estirpata. Mi chiedevo, siamo una massa di poveri matti, ci abbiamo i fiori in testa, stiamo a ballare, e tu mi carichi? Ma che sto facendo, ma perché mi carichi? Che ho fatto? E lì c'è stata la paura, cioè mi ricordo - sai, quei paesaggi che rimangono nei sogni - questa salita, queste nuvole di fumo, io che correvo e mi guardavo intorno e mi ricordo che ho pensato: se m'arrivano addosso, dove mi nascondo? E m'ha fatto più paura pensare all'idea che mi dovevo nascondere che l'idea che qualcuno mi venisse addosso. Mi sono sentita, che ne so, un vietcong, un ebreo rincorso... non lo so. Poi io ogni tanto faccio questi sogni storici, spesso sogno di essere in un'altra epoca storica e di essere che ne so, un'ebrea perseguitata, un'indiana. E mi ricordo che quella è la prima volta che ho pensato: non sto sognando ma mi ritrovo nella mia situazione storico-politica, dove sono una perseguitata. E sono in pericolo.

E poi, il venerdì mi sono ritrovata chiusa lì a Piazzale Kennedy con tutti quanti e - e lì è partito Beckett per me, cioè lì è partito il teatro dell'assurdo. Perché eravamo chiusi lì, da un lato c'era un palazzo in fiamme, che non si sapeva che l'aveva incendiato; fumo nero che saliva - dall'altra il mare. In testa elicotteri, che se guardavi vedevi benissimo il poliziotto col fucile puntato, dall'elicottero. Io ieri, ventiquattr'ore fa, stavo a Roma, a casa mia, ero una persona normale, se andavo in giro per strada il vigile m'indicava la strada, invece oggi mi punta il fucile in testa, e, mentre sto qui chiusa arriva uno urlando, piangendo, hanno ucciso un ragazzo. Tu ti guardi intorno: la prima cosa che senti, fortissima, è che manca una persona. Vedi trecento miliardi di persone intorno a te ma senti che ne manca uno. In quel momento salta per prima cosa la situazione temporale. Cioè, non ti rendi conto, dieci minuti parevano dieci anni e.. e poi salta pure la situazione spaziale. Io mi ricordo che non mi reggevo in piedi, guardavo in alto, non riuscivo più a capi' il sopra e il sotto, la destra e la sinistra... Vedevo questi co' 'sti caschetti in testa - prima ci ridevo; per quanto mi sembravano ridicoli, veramente, cavalieri... cavalieri - donchisciotte cioè - ma ti puoi mette' un tappetino per lo yoga intorno al corpo, che ci devi fare, ma che voi fa', che voi fa'? Cioè, veramente - a metà tra il riso e il pianto. Poi io mi guardavo, io sono un po' cicciottella, un po' così, dicevo ma se un poliziotto mi vede per strada, con `sta maglietta freak tutti fiori, i pantaloni rosa, la sciarpetta in testa, non ci ho un filo di muscolo, come faccio a essere un pericolo per qualcuno? Io mi riderei in faccia se mi trovassi me stessa davanti, poveraccia, con `sti fiori in testa. Dicono: è morto un ragazzo... gli hanno sparato. Tutti seduti - silenzio - e tutti che aspettavano che qualcuno parlasse. Nessuno parlava. A un certo punto una mia amica comincia a piangere. E io lì mi rendo conto che quello è proprio il momento di svolta della mia vita. Cioè che, nulla sarà più come prima; in tutti i sensi, dentro di me, fuori di me.

Quella mattina mentre andavo al corteo avevo incontrato dei ragazzi che davano dei girasoli. Allora io me n'ero legato uno qua davanti, il girasole; e s'era appassito perché tutto il giorno a camminare con me... Mi ricordo che avevo bisogno di prendere una boccata d'aria; allora sono andata a guardare il mare. Però `sto mare era, incazzato nero, pure lui; m'arrivavano addosso le onde, e stavo là su questi scogli, con le mie amiche che piangevano, guardavo il mare, e ho pensato, hanno ammazzato una persona, e ho preso questo girasole, l'ho tirato in acqua... e niente, sono rimasta lì, a parlare. E poi non mi sono più azzittita, cioè da quel momento non ho più smesso.

Sono cominciate a arrivare le telefonate dei genitori che ovviamente, a casa avevano sentito. E io ho cominciato a preoccuparmi per tutte le persone che conoscevo che erano a Genova. Tornata a Roma ho fatto il giro di telefonate, che poi hanno fatto tutti, per sapere se eravamo tutti vivi. Veramente, al ritorno dal Vietnam. E ho chiamato tutti tranne un ragazzo, che era un mio ex ragazzo che avevo beccato sul treno, la situazione tra noi non era ancora molto tranquilla quindi quando sono tornata non l'ho chiamato. Poi vedendo un filmato l'ho ritrovato su una barella co'la faccia insanguinata. Là un'altra cosa che m'ha colpito da morire fanno del male a una persona a cui tu vuoi bene, è peggio che se avessero colpito te. E il sabato, c'era sempre quell'atmosfera che manca qualcuno. E, il corteo del sabato ci ha visto incredibilmente diversi, cioè almeno io, ero proprio un'altra persona. Poi essendo in questo campo così lontano, lo Sciorba, che era fuori Genova, ce la siamo fatta a piedi, ciabbiamo messo tutta la giornata. Siamo arrivate al campo, ustionate; distrutte; ci siamo buttate a dormire sull'erba - abbiamo dormito due ore, perché erano due giorni che non dormivamo - ci siamo svegliate e ci siamo rese conto che tutti se ne andavano, c'è preso un colpo - logicamente. Perché, poi ci arrivavano, le voci della Diaz, le voci che assaltavano al Carlini, le voci di Bolzaneto.

Stavamo in questo campo che sembrava la Selva Lacandona, cioè eravamo contornate da 'sta selva, lontano dalla società civile, quindi Beckett di nuovo, chiusi là dentro. A un certo punto, la gente che stava lì, si è riunita, dopo che abbiamo sentito della Diaz. In quel momento diventi incredibilmente lucido, non sei mai stato così lucido in vita tua, mai. Non dormi da tre giorni, non mangi da tre giorni, rischi la vita da tre giorni e sei lucidissimo. Allora abbiamo fatto questa riunione - tradotta in sette lingue perché c'era gente di tutte le nazionalità; a un certo punto dopo ore, gente che se ne voleva andare, allora abbiamo cominciato a dire, voi avete le macchine; ma noi rimaniamo qua. Quindi lì ho cominciato a sentire proprio la fratellanza, gente che faceva no, io non me ne vado, io non ti ci lascio da sola. Gente che non m'aveva mai visto; che rischiava la pelle per rimanere lì con me. E quindi lì gente che s'abbracciava, che non si conosceva, lì proprio senti la comunanza - 'sta famosa parola che io ho sempre rifiutato, che ho sempre sentito eredità di qualcos'altro: compagno. Ecco, lì, io ho sentito di avere dei compagni e di essere compagna di qualcuno, nel senso più forte che questo termine può avere. A un certo punto, ci guardiamo, facciamo vabbe': arriva la polizia da un momento all'altro, che dobbiamo fa'? Ci guardavamo intorno e facevamo, vabbe' - scappiamo dal campo? Qua è tutto buio, dove andiamo, nella selva veramente? E poi ci beccano là, i fari... c'immaginavamo queste scene... E c'era una ragazza lì, che aveva una bambina, di due anni, una ragazza australiana. Io in quel momento mi sono detta: io non avevo paura di niente. La cosa importante per me è che non toccassero quella bambina. Dico, se arriva qua la polizia, io prendo questa bambina, scavo una buca, mi ci siedo sopra, così al limite mi picchiano a me, ma non questa bambina. E lì mi sono resa conto, appunto della lucidità che ti arriva in certi momenti.

Però che facciamo? non riusciamo a stare fermi. Allora, stavamo in un campo sportivo, cominciamo a correre: una scena da film, vedi la gente che fa le staffette - io e Susanna, che non abbiamo mai fatto attività fisica in vita nostra, cominciamo a correre, come delle matte, e quella è stata proprio, per me, la corsa liberatoria - comincio a correre e non mi fermo più; non ritorno più indietro. E a un certo punto - facciamo una partita di calcio: Italia contro Resto del Mondo. Però, «mi raccomando, non urliamo perché se facciamo rumore arriva la polizia»... Quindi cose, bellissime, tutti arbitri, tutti arbitri, tutti a giocare - e lì mi sono detta, qualsiasi cosa succede, non mi possono più fare del male. Cioè non possono più farmi niente, mi possono spaccare la testa ma non possono più farmi niente. Vedevi la gente che aveva proprio bisogno di, di esternare quello che aveva dentro e di dire chi era, che stava a fare là. Mi giravo, vedevo un ragazzo - lo sai che io faccio la babysitter? E questo: ah, e invece lo sai che mia madre fa la vetraia? Abbiamo cominciato a parlare ... e avevamo la bocca secca per quanto parlavamo e non avevamo il coraggio di stare zitti perché come stavamo zitti sentivamo il silenzio e ci prendeva il panico. Piano piano qualcuno s'era addormentato, s'erano fatte le quattro di mattina, io e questo ragazzo abbiamo cominciato a fare la ronda, intorno a questo campo, e, questa sensazione, no, sentirti quasi la mamma, la mamma di questo campo, e di controllarlo.

A un certo punto... c'era il sole che non veniva su. Ma perché non sorge? era come se stesse là là per scoppiare. E non sorgeva. E stavo là con lui e facevo, ma sto `sole non sorge oggi, ma com'è? Si vede che dobbiamo rimanere qua per sempre, era una situazione senza tempo. Poi, è sorto, e noi siamo rimasti lì, la gente s'è cominciata a svegliare, e lì penso che sia stato il momento in cui mi sono sentita più tranquilla in vita mia, per assurdità. Mi sono detta, stanno tutti bene; non è successo niente.

 

 

Uno per tutti
VALENTINO PARLATO


Sembrerebbe di essere all'Opera. Bossi canta «federalismo e presidenzialismo ben si accoppiano» e Berlusconi replica «son pronto al sacrificio». Purtroppo non siamo all'Opera ma alla liquidazione della Costituzione, al vero passaggio a una seconda repubblica, più autoritaria e personalizzata, con un capo. Questa deriva non è cominciata oggi. Un bel po' di anni fa Bettino Craxi disse in parlamento che il passaggio al presidenzialismo non era ancora maturo, ma che la questione ormai andava messa all'ordine del giorno. Oggi siamo a questa soglia: la dissoluzione dei partiti e la riduzione del parlamento ad approvatore a comando, come conferma l'abuso delle deleghe e dei voti di fiducia, hanno disfatto il nostro sistema democratico di governo. Nelle condizioni che si sono create, se vogliamo un governo della cosa pubblica ci deve essere un uomo solo al comando. Un presidente eletto dal popolo e neppure tanto alla francese, come oggi si dice, perché il rischio della coabitazione va evitato.

Questa deriva ormai è forte e anche oggettivamente fondata sui cambiamenti avvenuti nella politica e nella società: pensiamo solo al sistema elettorale maggioritario e alla personalizzazione della politica prodotta anche dalla tv. In effetti molti ci fanno osservare che il sistema democratico è obsoleto, ha perso di efficacia e di competitività: per fare andare avanti il paese ci vuole una semplificazione autoritaria. E' ora di finirla con le polemiche sul «regime» o non «regime»: ci vuole un capo, e chi meglio di Silvio Berlusconi è un capo?

In questa situazione sarebbe utile una presa d'atto della storia e della specificità di questo nostro paese. In alcuni paesi occidentali ci sono presidenzialismi che vanno più o meno bene, ma non possiamo dimenticare che il presidenzialismo italiano è stato la dittatura fascista. Nel nostro paese il bilanciamento dei poteri non c'è mai stato: chi ha avuto potere ha sempre prevaricato, come prevarica ancora oggi. Oggi c'è un potere maggioritario, non ancora presidenzialista, che fa il massimo sforzo per eliminare i poteri del parlamento (qualcuno ha detto che Casini e Pera potrebbero chiudere Camera e Senato), della magistratura, dei sindacati e anche della pubblica amministrazione, dell'Università, etc.

La spinta autoritaria, che nasce anche dalla debolezza della Casa delle libertà ( i recenti incidenti di percorso e i dispetti all'interno dell'attuale santa alleanza) è forte e motivata. Non la si può fermare con i distinguo tra presidenzialismi sudamericani e presidenzialismi democratici: questo sarebbe certamente il modo migliore per aprire la via a un presidenzialismo italiano-autoritario con l'ulteriore indebolimento delle attuali opposizioni e un ancora più grave discredito della politica. Un sociologo americano ha scritto che dalla massima «il privato è politico» stiamo passando al suo contrario: il politico è privato. Un amministratore delegato al comando con i cittadini che cercano, ciascuno per sé, un loro arrangiamento privato.

Sarebbe utile un franco ripensamento della scelta del maggioritario e dell'alternanza, che ha significato l'eliminazione del ruolo positivo delle opposizioni, ridotte alla pura protesta o al basso compromesso. Con il sistema proporzionale c'era anche un governo dall'opposizione, un vero bilanciamento dei poteri che ha fatto crescere questo paese per alcune decine d'anni.