DALL'UNITA' Casarini e gli altri tornano in
libertà. «Arresti illegittimi e gravi», protestano
di red
È stato sccarcerato nella notte, a vertice finito, Luca
Casarini insieme agli altri disobbedienti finiti nelle
carceri danesi per essersi sottratti ai controli di
polizia per la riunione a Copenaghen dei capi di stato e
di governo dell'Unione europea. Poco prima di mezzanotte
è stato rilasciato con altri quattro italiani e tornerà
in Italia nel tardo pomeriggio di oggi. In carcere resta
solo uno dei sei arrestati, Max Gallob, per cui
resterebbero tutt'ora in piedi le accuse di resistenza a
pubblico ufficiale.
«È stato un arresto
illegittimo e preventivo. Lo hanno fatto per impedirci di
partecipare alle manifestazioni contro il vertice
europeo». Ha detto Casarini non appena uscito dal
carcere, accolto con gioia ed entusiasmo da altri amici
no global che lo hanno atteso in un appartamento di
Copenaghen dove abita un disobbediente italiano di
Padova.
Sia Casarini che gli altri:
Paolo Do, Riccardo Varotto e Michele Valentini (come per
Enrico Casagrande, scarcerato ieri sera a Copenaghen)
potranno entro due mesi far
causa alle autorità danesi per chiedere un risarcimento
dopo l'arresto di giovedì notte. Lo prevede il
dispositivo di scarcerazione compilato dalla polizia
danese.
Il dispositivo fa cadere per
loro tutte le accuse «perché - si spiega - un
dibattimento sarebbe troppo problematico, troppo costoso
e lungo, e di esito finale incerto, considerati i fatti
contestati». Sono quindi cadute tutte le accuse di
oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, anche quella
secondo cui i disobbedienti avrebbero «impedito alla
polizia di compiere il proprio dovere», relativo alla
verifica dei documenti di identità. Questa accusa decade
perché «sono veramente minime le possibilità di
arrivare a una sentenza di condanna», si legge. Resta
però aperta la possibilità per il magistrato danese
competente di avviare un'azione penale sempre entro due
mesi.
Pensando al vertice europeo che si è appena concluso,
Casarini sottolinea che «il problema è che l'Europa che
stanno costruendod all'alto è un'Europa di polizia. Ci
sono delle restrizioni dei diritti politici, gli
attivisti finiscono in liste di proscrizione che vengono
passate da Paese a Paese. Eppure -continua - dentro lo
stato di polizia c'è chi si distingue in peggio: e si
tratta sicuramente dell'Italia». Anche i poliziotti
danesi, prendendo in custodia i sei disobbedienti,
avrebbero tentato di rassicurarli: «Non abbiate paura,
noi non siamo i carabinieri italiani».
Casarini racconta di essere riuscito a sentire e anche a
vedere dalla cella i manifestanti italiani e scandinavi
che hanno terminato il corteo di Copenaghen sotto le
finestre del carcere in solidarietà agli arrestati.
«Sono anche riuscito a bruciare carta e a lanciarla
dalla finestra», racconta. «Ho urlato, ma nessuno mi ha
sentito.
Poi sono stato buono perché richiamato dalle guardie».
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DALL'UNITA' Decine di migliaia in corteo a Genova:
«La violenza non abita da queste parti...»
di Susanna Ripamonti
Dall'inviata
GENOVA Le saracinesche griffate di Louis Vuitton sono
serenamente alzate, gli habituèe di Mc Donald guardano
sfilare il corteo che si snoda per tutta via XX
settembre, continuando a masticare i loro gommosi panini.
Niente paura, niente tensione mentre il popolo dei No
Global, con tutte le sue variegate etnie urla slogan
rassicuranti: «Volete uccidere la nostra speranza, non
sperate nella nostra violenza». Genova un anno e cinque
mesi dopo, dopo gli arresti dei manifestanti e
l'archiviazione della morte di Carlo Giuliani, ha
ricevuto il messaggio chiaro e semplice che i ventimila
che sfilano da piazza Alimonda alle vie del centro stanno
lanciando: non siamo noi i violenti.
Le varie anime della sinistra sono tutte qui, si fa prima
a dire chi manca che ad elencare tutti quelli che ci
sono. Mancano i Ds, in disaccordo con il taglio della
manifestazione, troppo critico nei confronti della
magistratura. Ma ci sono quelli di Apr ile e del
Correntone e addirittura c'è Antonio Di Pietro, ex
poliziotto ed ex magistrato, che si limita a far da
spettatore e guarda con simpatia Cobas e Disobbedienti,
gli operai a rischio di licenziamento della Marconi e i
cassintegrati di Mirafiori.
«Ma quale attacco alla magistratura? Questi stanno
dicendo che vogliono giustizia, che vogliono i processi.
Abbiamo presente quali sono i veri attacchi ai
magistrati? Anzi, io me ne sto qui a vederli passare e
ogni tanto un gruppetto di No global si stac ca dal
corteo, mi viene a salutare. Mi dicono: »Anche se sei
qui da spettatore, sono contento di vederti«». Assenti
anche i girotondisti, o quanto meno non colorati e
visibile come chi è arrivato in manifestazione con
striscioni e bandiere. Mancano i «c attivi», gli
autonomi e l'ala dura del movimento, che il questore ha
abilmente dirottato a Marassi e mancano anche poliziotti
e carabinieri, che hanno avuto l'ordine tassativo di
controllare tutto rendendosi invisibili.
In testa lo striscione di
Verità e Giustizia, coi genitori di Carlo Giuliani
subito dietro, che fanno un tratto di corteo a braccetto
con Francesco Caruso. Il leader dei disobbedienti del sud
appena scarcerato, dice cose un po' liturgiche, ma
condivisibili. Parla delle bombe di Genova, dice che
assomigliano molto a quelle di piazza Fontana. Parla
delle manette di Cosenza e di Copenaghen e dice: «non
riusciranno a fermarci».
Non si fermano neppure gli
operai della Marconi, con 1100 licenziamenti che pendono
sulle loro teste, appena congelati dopo l'avvio della
trattativa sindacati-governo, ma sempre lì, come un
incubo ingombrante. Assieme a loro una delegazione di
operai del la Fiat- Mirafiori, un lungo striscione che si
perde tra le bandiere rosse della Cgil.
Salto indietro nel tempo, indietro di venti, trent'anni
almeno. Dal pulmino dei Cobas parte l'asolo: «Hasta la
victoria» e il coro dei manifestanti risponde:
«Siempre». Un cinquantenne con la faccia da
sessantottino sbuffa: «Gesusanto, è da 35 anni che
urliamo lo stesso slogan e sta »victoria« non arriva
mai. Questi son giovani, non potrebbero inventarsi
qualcosa di nuovo?».
Ci pensano i No global arrivati col treno del sud a
rinnovare il repertorio, con un lungo rap
antiberlusconiano. «Liberi dal carcere e dalla
precarietà» si legge sul loro gigantesco striscione,
che sventola come una randa. Tra loro ci sono Salvatore
Stas i, operaio dell'Arsenale di Taranto, appena
scarcerato e Francesco Cirillo, reduce da venti giorni di
galera dopo la retata di Cosenza. Molti slogan della
serie «liberi tutti» e qualche altro ispirato a sani
principi perequativi: «Soldi agli operai, lo c hiedono i
ribelli, togliamo tutti i soldi alla famiglia Agnelli».
Tra i Cobas e i disobbedienti passano come per caso i
parlamentari Paolo Cento (Verdi) e Giovanni Russo Spena,
che rilanciano la richiesta di una commissione
d'inchiesta sulla morte di Carlo Giuliani. Senza più una
parrocchia, ma sempre dalla parte dei No Global c'è
anche don Vitaliano Della Sala: «Possono togliermi la
parrocchia, ma non per questo mi toglieranno la libertà
di esprimere le mie opinioni, che poi sono quelle del
Vangelo». E Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Gsf
dice: «Siamo qui per e vitare che venga riscritta in
modo differente dalla realtà, la storia di quei tre
giorni del luglio 2001».
Sfilano i Disobbedienti, in
mezzo a loro un gruppetto comincia a saltellare e a
spintonarsi, uno cade e si rialza, altri si buttano nella
mischia, sembra l'inizio di una rissa. Niente paura, è
il «Pogo», ballo punk. Tutto tranquillo anche quando il
corteo passa davanti alla sede di Alleanza Nazionale,
qualche dito medio alzato, qualche fischio in più in
vista del Palazzo di Giustizia e tutto si conclude senza
incidenti, con piazza De Ferrari che si riempie e sembra
straripare.
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La manifestazione, grande e
pacifica, è arrivata in piazza De Ferrari
Qualche tensione tra l'ala dura del movimento e la
polizia
Genova, i No global in
corteo
"In 40mila contro gli arresti"
La città tranquilla:
negozi aperti, non molta gente in giro
Don Gallo: "Papa e vescovi dovrebbero essere
qui"
GENOVA - "Verità e
giustizia - i diritti non si processano". Dietro
questo striscione si è svolto a Genova il corteo
organizzato dal movimento No global cui hanno partecipato
(secondo gli organizzatori) circa 40 mila persone
(diecimila per la questura). La manifestazione chiedeva
di far luce sui fatti del G8 del luglio 2001, a partire
dalla morte di Carlo Giuliani, e per contestare gli
arresti dei militanti disposti dalla procura del
capoluogo ligure. Arresti che per il movimento sono solo
un "tentativo di riscrivere la storia".
Contemporaneamente a Marassi circa 200 militanti dei
centri sociali non dialoganti hanno manifestato partendo
dal carcere di Marassi dove c'è stato qualche momento di
tensione, lanci di aranci, bottiglie e petardi.
Niente di più, tutto è andato liscio, e al grido
"Carlo è vivo e lotta insieme a noi", e di
"assassini, assassini" rivolto alle forze di
polizia, il corteo organizzato dal centro sociale
'Inmensa' è giunto in piazza Alimonda dove si è sciolto
senza incidenti.
C'è stata invece un po' di
tensione quando il corteo dei duri dei centri sociali ha
chiesto alla polizia di contrattare il percorso da
seguire all'altezza di piazza Giusti, rifiutando, come
invece chiedeva la polizia, di attraversare il sottopasso
ferroviario di corso Sardegna nel timore di essere
caricati. Il corteo si è fermato ulteriormente nei
dintorni del tunnel per un allarme bomba, poi rientrato,
scattato in via Tolemaide a causa di una Fiat Punto
"sospetta" nei pressi. L'esame degli
artificieri dei carabinieri ha escluso che si trattasse
di un'autobomba e il corteo, che era stato bloccato, ha
ripreso la sua lenta marcia.
Il corteo grande e pacifico, partito da piazza Alimonda
dove il 20 luglio del 2001 Carlo Giuliani fu ucciso dalle
pistolettate di un carabiniere, è arrivato in piazza De
Ferrari dove non solo i leader del movimento ma anche
alcune "mamme" hanno celebrato la chiusura
della manifestazione: Heidi Giuliani, Giovanna Monai ed
Enrica Bartesaghi, rispettivamente madri di Carlo, l'uomo
della travè che partecipò all'assalto della camionetta
dei carabinieri in piazza Alimonda, e di Sara, una delle
vittime del blitz alla scuola Diaz, hanno parlato dal
palco al termine della manifestazione. Heidi Giuliani,
mentre il marito Giuliano assisteva tra la gente, ha
preso la parola dal palco dicendo che "il Paese vero
stasera è qui anche se magari manca qualcuno dei piani
alti dei palazzi del potere. Oggi ho visto molta gente
comune, molte persone sincere".
E infatti oggi il clima della manifestazione è stato
decisamente buono con i negozi aperti, non molta gente in
giro per essere un sabato di dicembre, ma anche nessuna
tensione in città. In testa, i leader nazionali da
Francesco Caruso a Vittorio Agnoletto. Mancava Luca
Casarini ancora chiuso in un carcere a Copenaghen. Ci
sono i preti del movimento, ovvero don Vitaliano e il
genovese don Gallo secondo il quale anche "il Papa
ed i vescovi" dovrebbero essere in piazza con i
ragazzi.
Applausi si sono levati dal corteo quando a circa metà
di via XX Settembre, sul ponte monumentale che sovrasta
la principale strada della città gli amici di Carlo
Giuliani hanno aperto uno striscione con la scritta
"Pensate di averlo averlo ammazzato ma Carlo vive
attraverso noi".
Il corteo è sfilato nel centro cittadino fino a piazza
De Ferrari e si è fermato davanti a palazzo Ducale in
modo molto tranquillo e senza nessuna tensione. Molti
slogan e riferimenti alle bombe dell'altro giorno fatte
esplodere nei giardini vicini alla Questura di Genova.
Ordigni che potevano uccidere: "Bombe che
assomigliano molto a quelle di piazza Fontana e ad altre
che sono nella nostra memoria: cercano di zittire e di
fermare il movimento", ha detto Francesco Caruso in
piazza Alimonda. "Non riusciranno a fermarci le
manette di Cosenza, come quelle di Copenaghen - ha
proseguito il leader dei Disobbedienti campani -
dovrebbero mettere in galera una generazione in movimento
e poi comunque le idee non si uccidono".
"Il movimento - ricorda Caruso - ha dimostrato che
se non ci sono provocazioni da parte delle forze
dell'ordine si possono manifestare le proprie idee come
si è sempre fatto. E' chiaro che qui a Genova un anno e
mezzo fa e a Firenze a novembre un milione di persone ha
messo paura al potere. Ma se non ci hanno spaventato i
manganelli e i proiettili, non ci faremo certo intimidire
dalle manette".
Di come sono andate le cose oggi a Genova si dice
"normalmente soddisfatto" il questore Oscar
Fioriolli. "Erano due importanti
manifestazioni", sottolinea il questore di Genova.
"Importanti e delicate, come tutte quelle che
coinvolgono migliaia di persone. La situazione è stata
studiata accuratamente, tutto è stato predisposto nei
minimi dettagli e le cose sono andate come ci
aspettavamo".
(14 dicembre 2002)
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CORRIERE DELLA
SERA Debutto la
prossima settimana
La politica in
teatro Un tour per Moretti
Critiche a un cartellone della Lega su
Milano e Roma: non è simpatico
MILANO - Il debutto è atteso per la prossima settimana.
Segreto ancora il luogo, ma di certo una città del Nord,
magari del Nord Est. Lattesa è già grande per il
debutto del tour teatrale di Nanni Moretti, regista Palma
doro a Cannes, anima della sinistra girotondina da
Piazza Navona in poi. «Uno spettacolino», minimizza lui
ben consapevole che ormai, qualsiasi cosa faccia, assurge
di colpo alla categoria «evento». La riprova ieri,
quando la libreria Feltrinelli di piazza Piemonte a
Milano è stata presa dassalto da centinaia di
morettiani che, nonostante lannuncio
dellultima ora, si sono presentati in massa, in
piedi per un paio dore pur di avere il loro
incontro ravvicinato con Nanni e magari farsi autografare
alla fine il bel libro su Caro Diario
curato da Piera Detassis per le
Edizioni del Centro Studi di Lipari. Per Moretti un
dovere di co-autore, ma anche loccasione di
annunciare una sua nuova vita: dal cinema ai girotondi,
dai girotondi al teatro. In cartellone Il
critico e il regista , episodio
inedito sui conflittuali rapporti tra autore e critica,
scritto per lamico-complice di sempre, Silvio
Orlando. Sulle cui tracce muoverà ora Moretti, in tour
negli stessi teatri dellattore napoletano, in scena
con Eduardo al Kursaal .
Ma, al contrario di lui, Nanni non si atterrà
strettamente al copione. Allinedito di cui detto,
aggiungerà altre pagine. «Pagine dei miei diari reali,
magari aggiornati via via a un oggi più vicino»,
anticipa. E, come già avvenuto nell«assaggio»
teatrale di Alessandria, lo scorso ottobre, alla fine il
dibattito con la platea sarà inevitabile. Per il regista
una nuova occasione di stabilire legami ancora più
stretti con un pubblico sempre più grande, di mescolare
arte e politica. Ieri di politica Moretti fingeva di non
aver voglia di parlare. Unico accenno per un manifesto
incrociato per strada: Milano batte Roma 25 milioni a
zero. «Che voleva dire?», chiede Nanni. E un
manifesto della Lega Nord che canta vittoria sui
finanziamenti lombardi, gli spiegano. Lui allarga le
braccia: «Non è simpatico». Il resto lo dirà
stamattina, a Varese, in un incontro con i girotondini
locali.
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