G8 – Genova – Commenti e testimonianze

Raccolta di articoli, interviste e lettere di alcuni testimoni degli avvenimenti successi a Genova durante le giornate del G8. Sono stati tutti raccolti da internet navigando nei siti ufficiali dei vari giornali e associazioni che hanno dato spazio alle vicende. Alcuni di questi articoli sono stati pubblicati dalla stampa, mentre altri sono semplici e-mail di chi vuole raccontare ciò che è successo. Molte lettere sono in forma anonima, dato il coinvolgimento in atti giudiziari. Chi volesse approfondire può trovare su Internet ancora tanto materiale.

 

Ci hanno tenuti quattro ore in piedi, davanti a un muro, senza poterci muovere, a gruppi di quattro o cinque persone. Quando ho provato a girarmi, mi sono preso un pugno nello stomaco, poi un altro, fino a non resistere. Inizia così il racconto di E.S. uno studente di 19 anni che abita con la famiglia nel quartiere genovese di Sturla. Venerdì sera, dopo la morte di Carletto Giuliani, suo amico, dice di essere stato picchiato a sangue dai celerini, prima in corso Gastaldi, vicino al luogo della sparatoria, e poi dentro la caserma del IV Reparto Mobile di Bolzaneto. Il giovane racconta che il centro della polizia è stato trasformato in un lager sudamericano, un luogo di tortura che gli ricorda soltanto i film sulle carceri turche. "Un agente che all'ospedale Galliera mi aveva sentito urlare "non voglio più vedere la polizia", mi ha riconosciuto a Bolzaneto, e più volte mi ha chiamato zecca, merdaccia; mi ha detto "sei ancora integro e sano" e mi ha tirato un pugno sul naso, mentre gli altri ragazzini in divisa mi sputavano addosso, mi davano calci". Dalla caserma del reparto mobile sarebbero passati quasi tutti gli arrestati, che poi sono stati smistati nelle carceri di Pavia, Alessandria, Vercelli, Milano. Ma anche quelli finiti poi nella casa circondariale di Marassi, a Genova. "A Bolzaneto, chiuso il cancello scorrevole, ci hanno fatto scendere dalle camionette e ci hanno schierati nel cortile interno - dice il giovane genovese, che si è preso una manganellata in testa durante il corteo, chiusa con 22 punti di sutura all'ospedale Galliera. Qui, nella questura di Bolzaneto, siamo rimasti fino alle tre del mattino, senza alcun avvocato. Gli uomini in divisa picchiavano come se fossero sotto effetto di droghe. Confesso, io ho visto tante persone sotto effetto di sostanze stupefacenti, e questi poliziotti erano così. Sembravano drogati". La madre di E. dice di essere sconcertata per quanto è accaduto: "Soprattutto, mi chiedo come possano avergli rubato anche il referto rilasciato dall'ospedale Galliera". Hanno paura nella casa di Sturla, tanto che la famiglia non ha ancora presentato denuncia. Il padre ha saputo che il figlio avrebbe insultato i poliziotti, dicendo "Non voglio più vederli, non fatemi più vedere la polizia". Ancora non ha deciso se presenterà denuncia.

 

<<<<>>>>

 

Mi hanno detto: devi obbedire sennò ti stupriamo. A.G.K., tedesca di 21 anni, ha l'arcata dentale anteriore sfondata. Per tre giorni è stata cercata disperatamente dalla madre. Ieri è uscita dal carcere di Voghera. E' stata portata a Bolzaneto. I celerini le avrebbero detto di tutto: "Puttana, adesso ti sistemiamo noi". All'avvocato Riccardo Passeggi, del Genoa Social Forum, A.G.K. ha detto che ad un certo punto ha avuto paura di essere stuprata. Anche a lei non sarebbero stati risparmiati calci e sputi. Ha dichiarato ai magistrati: "Ci hanno fatto attendere nel cortile e prima di prenderci le impronte digitali e i dati anagrafici, ci hanno massacrati". La ragazza ha detto di essere stata catturata mentre tentava di scappare durante le cariche della polizia, ma di essere estranea agli scontri e agli atti di vandalismo. Racconta di essere stata portata in un posto di cui non conosce il nome. Ricorda però il cancello bianco scorrevole e il cortile interno. Alla Diaz i giovani fermati, ritenuti responsabili dei disordini, venivano caricati sulle camionette con destinazione Bolzaneto: il "purgatorio". Stesso destino per i feriti, appena medicati e dimessi dal pronto soccorso dei tre ospedali cittadini (San Martino, Galliera e Sampierdarena) qualche giorno prima allestiti di tutto punto per affrontare l'emergenza. Anche la ragazza tedesca ha rilasciato le stesse dichiarazioni agli avvocati del Gsf: "Nel cortile ci hanno tenuti in piedi per tantissime ore, insultandoci, gridandoci bastardi tedeschi". Qualcuno sarebbe stato costretto a gridare "viva il duce". Da indiscrezioni sembra che la giovane tedesca vestisse con una maglietta nera e sospettata di appartenere al gruppo dei black bloc, gli anarchici che hanno sfasciato la città, incendiato auto e banche, lanciato pietre e molotov contro i celerini.

 

<<<<>>>>

 

Continuavano a colpire cantando Faccetta Nera e un inno a Pinochet A.D., 26 anni, fotografo freelance di Roma. Capelli castano chiaro lunghi, occhi blu. Ha un piede fratturato, una costola incrinata. Il viso tumefatto, il corpo pieno di lividi. Il suo racconto è lucido e concitato. "Mi portano a Bolzaneto verso le 16.30 di sabato. Sono già stato pestato a sangue dalla guardia di finanza mentre scatto alcune foto dei black bloc. Arrivo alla caserma in camionetta, assieme a una ventina di fermati. Ho le mani legate, lacci neri di plastica, molto stretti. Il benvenuto: ci lanciano fuori dal pullman e iniziano manganellate e insulti. "Perché non provi a chiamare Bertinotti o il tuo amico Manu Chao?". La colonna sonora dell'orrore è una cantilena, i celerini la sanno a memoria. Adesso anch'io l'ho imparata, purtroppo: "un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove". Finisco nell'ultimo stanzone della caserma. Mi tocca una nuova dose di calci e pugni. Rimango a terra, non posso più alzarmi: ho il piede fratturato, la costola dolorante. Vedo uno spettacolo dell'orrore: una ragazza svedese viene portata via per i capelli, i celerini spengono le sigarette sulle mani di un francese. Un ragazzo si fa la pipì addosso per la paura o perché non ce la fa più. Nessuno di noi si può muovere. Un agente corpulento entra nella stanza e inizia a massacrare un ragazzo perché "l'ho visto in piazza che mi insultava". Pochi minuti dopo passa un carabiniere che raccomanda ad altri due: "Quelli della celere è meglio non farli entrare". Ma il peggio inizia quando arriva la polizia penitenziaria: non ho mai visto tanta violenza in vita mia. Si infilano i guanti neri imbottiti e per un'ora non smettono di menare. Continuo a sognare un tizio che viene sbattuto contro il muro e lascia sulla parete un rigagnolo di sangue. Finalmente, verso le 4 di mattina partiamo per il carcere di Alessandria. Ancora qualche botta. Poi la pace, se di pace dopo l'inferno si può parlare". A.D. è stato rilasciato lunedì sera. E' assistito dall'avvocato Simonetta Crisci. Adesso è a casa sua, non riesce a dormire, oggi andrà in ospedale. Né in caserma, né a Bolzaneto ha potuto avere un referto medico. Sporgerà denuncia per gravi lesioni volontarie. "Voglio un processo per ciò che è successo a Bolzaneto dice . Deve essere qualcosa di esemplare, di cui parlerà tutta l'Europa". Gli sono stati "sequestrati" i dodici rullini che aveva scattato prima del "lager". Ma i ricordi sono impressi nelle sue cellule, ormai. Dice: "Saprei riconoscere tra mille i miei torturatori".

 

<<<<>>>>

 

Racconto di un giornalista inglese pestato durante il blitz di sabato notte: "Ho finto di essere morto continuavano a picchiarmi"

GENOVA - "Mai visto fare una trasfusione di un litro e mezzo di sangue a una palla da football? Beh amico, quel pallone ce l'hai davanti agli occhi". Un polmone bucato, qualche costola in frantumi, un paio di denti in meno. Gli mancano un mucchio di pezzi a M.C. , 33 anni giornalista inglese, ma non il tradizionale "humour" della sua terra. Oggi può scherzare ma l'incubo iniziato sabato notte è finito solo mercoledì mattina, quando l'avvocato Filippo Guiglia gli ha comunicato che il suo arresto non era stato convalidato. Del resto sarebbe stato strano, visto che M.C. a Genova non ha partecipato a nessuna manifestazione. Racconta questo ed altro dalla sua stanza del reparto di chirurgia toracica dell'ospedale San Martino. Gli hanno diagnosticato un pneumotorace, ma di nascosto dalle infermiere si fuma una sigaretta. D'altra parte, a uno che i carabinieri che hanno preso a calci credevano morto, un po' di catrame nei polmoni non fa più paura. A lui, come a decine di altre persone di quel sabato cileno una sola domanda: che cos'è successo? "E' successo che sono diventato un 'human football', un pallone umano - risponde -. Ero in mezzo alla strada, proprio davanti al cancello della scuola Diaz, quando sono arrivate le camionette. E ci sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi addosso, ho mostrato la tessera da giornalista (è l'inviato di Indimedia uk., un network on line di informazione alternativa con diverse edizioni, compresa quella italiana, tra i più seguiti, ndr). Mi hanno colpito subito con i manganelli. Poi uno con lo scudo mi ha schiacciato contro il muro e l'altro mi ha riempito di botte ai fianchi". E' solo l'inizio del racconto che ieri pomeriggio M.C. ha ripetuto in diretta ai microfoni della Bbc. "Mi dicevano in inglese - continua - 'you are blackblock, we kill blackblock' (tu sei un black e noi ti uccidiamo). A quel punto sono caduto mezzo svenuto e ho visto che il furgone stava sfondando il cancello della scuola. Ero a terra e loro continuavano a prendermi a calci. Correvano da una parte e mi mollavano un calcio. E' lì che sono diventato un pallone". Sky, questo è il suo soprannome, tira il fiato e aggiusta il tubicino del drenaggio. Il sangue esce dal polmone e cola in un boccione. "Pensavo che sarei morto e così ho fatto finta di esserlo - prosegue il giornalista -. Un carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli altri. Menavano ancora. Mi ha salvato un medico o un infermiere, tra i primi arrivati che ha detto basta, basta e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso". Perché? "Perché ricordo - dice M.C. - che ero lì sulla barella e la polizia voleva portarmi all'infermeria militare (alla caserma di Bolzaneto, ndr). Ma due dottori si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo ringrazio davvero, forse sarei morto". Dopo? "Dopo niente - risponde il reporter britannico -. Sono svenuto, credo, e mi sono svegliato il mattino. E sono stati altri tre giorni duri. Stavo male e non mi facevano vedere nessuno. Ho incontrato solo il console (Alan Reuter, console generale di Milano, ndr)". La liberazione è arrivata mercoledì mattina. Il giudice e l'avvocato stavano per iniziare l'interrogatorio di convalida dell'arresto quando è arrivato un fax dal tribunale. Un altro giudice aveva già deciso di non convalidare l'arresto (ancor prima dell'interrogatorio) e M.C. è tornato ad essere un cittadino libero, ferito, ma combattivo. "Ho detto al console che farò denuncia - spiega - perché non è possibile che una cosa del genere accada in un paese che si dice democratico. Come hanno potuto accusarmi di essere un Black Block. Io non ho nemmeno visto una manifestazione. Sono stato sempre chiuso al terzo piano della scuola, dove c'era il News Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie che arrivavano dalle piazze e dalle strade. Non pensavo andasse a finire così".

 

<<<<>>>>

 

Genova, un poliziotto racconta cosa è successo nella caserma del Gruppo operativo mobile di polizia penitenziaria. La notte dei pestaggi a Bolzaneto il lager dei Gom. "Calci, pugni, insulti: i diritti costituzionali erano sospesi. E dicevano: tranquilli, siamo coperti". Un poliziotto che presta servizio al Reparto Mobile di Bolzaneto, e di cui Repubblica conosce il nome e il grado ma che non rivela per ragioni di riservatezza, racconta la "notte cilena" del G8. "Purtroppo è tutto vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l'odore di quelle ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è cominciata una settimana prima. Quando qui da noi a Bolzaneto sono arrivati un centinaio di agenti del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria". E' il primo di uno dei molti retroscena sconosciuti del drammatico sabato del G8. Il nostro interlocutore ammette che "nella polizia c'è ancora tanto fascismo, c'è la sottocultura di tanti giovani facilmente influenzabili, e di quelli di noi che quella sera hanno applaudito. Ma il macello lo hanno fatto gli altri, quelli del Gom della penitenziaria". E il pestaggio sistematico nella scuola? "Quello è roba nostra. C'è chi dice sia stata una rappresaglia, chi invece che da Roma fosse arrivato un ordine preciso: fare degli arresti a qualunque costo. L'intervento lo hanno fatto i colleghi del Reparto Mobile di Roma, i celerini della capitale. E a dirigerlo c'erano i vertici dello Sco e dirigenti dei Nocs, altro che la questura di Genova che è stata esautorata. E' stata una follia. Sia per le vittime, che per la nostra immagine, che per i rischi di una sommossa popolare. Quella notte in questura c'era chi bestemmiava perché se la notizia fosse arrivata alle orecchie dei ventimila in partenza alla stazione di Brignole, si rischiava un'insurrezione". La trasformazione della caserma di Bolzaneto in un "lager" comincia lunedì con l'arrivo dei Gom, reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde, e già protagonista di un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera. Appena arrivati - vestiti con le mimetiche grigio verde, il giubbotto senza maniche nero multitasche, il cinturone nero cui è agganciata la fondina con la pistola, alla cintola le manette e il manganello, e la radiotrasmittente fissata allo spallaccio - prendono possesso della parte di caserma che già alcune settimane prima del vertice era stata adattata a carcere, con annessa infermeria, per gli arrestati del G8. La palestra è stata trasformata nel centro di primo arrivo e di identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono portati qui, chi ha i documenti li mostra, a tutti vengono prese le impronte. A fianco alla palestra, sulla sinistra, accanto al campo da tennis, c'è una palazzina che è stata appositamente ristrutturata per il vertice ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio. All'ingresso ci sono due stanzoni aperti che fungono da anticamera. Qui, la notte di sabato, fino a mattina inoltrata di domenica, staziona il vice capo della Digos genovese con alcuni poliziotti dell'ufficio e qualche carabiniere. "Quello accaduto alla scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono: che tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo coperti". Quella notte. "Il cancello si apriva in continuazione - racconta il poliziotto - dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all'interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze minacciavano di stuprarle con i manganelli... insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto". E voi, gli altri? "Di noi non c'era tanta gente. Il grosso era ancora a Genova a presidiare la zona rossa. Comunque c'è stato chi ha approvato, chi invece è intervenuto, come un ispettore che ha interrotto un pestaggio dicendo "questa non è casa vostra". E c'è stato chi come me ha fatto forse poco, e adesso ha vergogna". E se non ci fossero stati i Gom? "Non credo sarebbe accaduto quel macello. Il nostro comandante è un duro ma uno di quelli all'antica, che hanno il culto dell'onore e sanno educare gli uomini, noi lo chiamiamo Rommel". Che fine hanno fatto i poliziotti democratici? "Siamo ancora molti - risponde il poliziotto - ma oggi abbiamo paura e vergogna".

 

<<<<>>>>

 

Intervista ad  un ispettore dei Gom, il gruppo operativo della polizia penitenziaria. "Mai visto tanto dolore" "A Bolzaneto era la celere a pestare i prigionieri"

ROMA - "Ce li consegnavano pestati, sanguinanti, qualcuno piangeva, altri urlavano, altri ancora erano impietriti dalla paura e con gli occhi pesti. Un ragazzo straniero aveva i testicoli rotti dai calci, mi sembrava fosse tedesco, non ho mai visto tanto dolore sulla faccia di una persona. Ma noi non c'entriamo nulla: portavamo quei ragazzi in carcere così come ci arrivavano dai gabbioni della polizia. Due li abbiamo ricoverati in ospedale". Intende dire che i fermati erano stati ridotti in quelle condizioni dalla polizia? "Io non ho visto pestaggi con i miei occhi ma neppure potevo visto che stavo sempre chiuso dentro l'ufficio matricola. Spesso mi affacciavo nel corridoio che portava ai gabbioni della polizia distanti almeno cinquanta metri dal mio ufficio, sentivo urli e pianti dal fondo della palestra, ma non potevo vedere". Cori e inni a Pinochet? "No, sentivo urlare. Ma non so dire perché. C'era tanta gente e tanta confusione. Era una situazione molto particolare. Bisognava esserci per capire. Gli arrestati sono stati 288 ma da Bolzaneto, in tre giorni, sono passate più di 500 persone: molti sono stati mandati via dopo ore di fermo. Erano finiti lì per sbaglio". L'ispettore Paolo Tolomeo è in forza al Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, il reparto scelto del Dap che secondo alcuni poliziotti sono stati "i veri aguzzini" di quel lager chiamato Bolzaneto, la caserma del sesto reparto mobile della polizia di stato.  Ispettore, lei era in servizio a Genova durante il G8? "Io sono stato in servizio alla caserma Bolzaneto dalla mattina del giorno 17 a mezzogiorno di lunedì 23 luglio. E per tre giorni, venerdì, sabato e domenica non sono mai smontato dal servizio se non per un paio d'ore". Dunque un testimone diretto. Un poliziotto accusa il suo reparto, il Gom, di essere stato il vero responsabile dei macelli a Bolzaneto. "Dare la colpa alla polizia penitenziaria è spesso la cosa più facile. Ora le spiego perché quello che dice l'agente di ps è tecnicamente impossibile". Dica. "Il Gom e gli agenti della polizia penitenziaria sono stati inviati a Genova, in tutto duecento persone, con l'unico incarico di provvedere alla immatricolazione e traduzione dei detenuti. Noi non siamo mai stati impiegati in ordine pubblico per strada e a Bolzaneto, territorio della polizia di stato. Avevamo il divieto di occuparci dei fermati. Noi li prendevamo in carico dopo ore che stavano ammassati in trentaquaranta dentro i gabbioni. Da noi arrivavano dopo l'identificazione e quando l'ufficiale di polizia giudiziaria aveva scritto il verbale di arresto. A quel punto passavano all'immatricolazione, si comunicava in quale carcere sarebbero andati a finire e venivano sottoposti a visita medica". Dunque non c'erano contatti o zone miste fra voi e la polizia?  "Assolutamente no. Direi quasi che c'era una specie di limite invalicabile, territoriale e professionale". E' difficile immaginare quello che dice visto che eravate tutti nello stesso ambiente, molto grande ma pur sempre lo stesso edificio. "Dentro la grande palestra della caserma sono stati costruiti, apposta per il G8, nove gabbioni, celle con tanto di sbarre, tutte in dotazione della polizia e tutte destinate a trattenere i fermati prima dell'immatricolazione. La polizia penitenziaria aveva altri due gabbioni accanto all'infermeria gestita da tre medici e sei infermieri. Qui i giovani ormai arrestati aspettavano per andare verso le carceri di Alessandria e Pavia. E qui, solo qui, noi della polizia penitenziaria potevamo entrare".  Quanto tempo passava dall'arrivo dei fermati a Bolzaneto al passaggio all'ufficio matricola, cioè sotto la vostra giurisdizione? "Dipende, in certi momenti, venerdì pomeriggio, sabato pomeriggio e sabato notte, anche otto nove ore. I blindati della polizia scaricavano trenta, quaranta persone per volta". Numeri che raccontano veri e propri rastrellamenti. "I numeri sono questi". Un giovane arrestato dice che agenti della polizia penitenziaria si sono infilati guanti neri imbottiti e hanno picchiato per un'ora. "Noi non avevamo guanti neri, solo quelli bianchi di lattice". Una ragazza ha raccontato di essere stata minacciata di stupro dai Gom. "I Gom in servizio a Bolzaneto erano sei per turno. Gli altri erano normali agenti di polizia penitenziaria e addetti al servizio traduzioni". Lei è mai entrato in un gabbione? "Nei nostri. Per quello che ci riguarda abbiamo offerto acqua, sigarette e cercato di tirarli un po' su di morale. Qualcuno sarà stato anche un duro ma i più sembravano ragazzini morti di paura". Vi accusano di perquisizioni violente, ad esempio piercing strappati dal naso e capelli lunghi rasati di colpo. "I piercing sono stati tolti con la pinzetta dal medico. Così come i braccialetti di spago ai polsi sono stati tagliati con le forbici. Capisco che anche queste sono violenze ma il regolamento penitenziario impone di non portare in cella certe cose". Perché vi accusano? "I ragazzi avranno confuso le divise. La polizia cerca di scaricare su di noi ma siamo gli unici a non aver fatto nulla"

 

<<<<>>>>

 

Quelle che seguono sono alcune considerazioni e una breve cronaca di una parte del corteo dello spezzone della Rete di Lilliput Trentino basate su quanto gli occhi hanno potuto vedere, e il corpo toccare. Innanzitutto due parole sul cosiddetto “Black Block”, nome mediatico così simile a uno snack e, come gli snack, non sai mai quello che contiene: groppucoli di chasseurs D.O.C., ma, secondo molte testimonianze, ci dicono anche filmate, veri e propri infiltrati al servizio delle forze dell'ordine, con l'ovvio scopo di dividere i manifestanti, creare incidenti allo scopo di giustificare una brutale repressione poliziesca su tutto il corteo (come è accaduto), screditare il movimento globale fatto di centinaia di migliaia di persone venuto a Genova per manifestare contro una politica economica, in gran parte USA, che nel mondo provoca milioni di vittime e disastri ecologici. Ed in effetti alcuni tic di questi disfattisti rivelavano per lo meno qualcosa di strano: a cominciare dal look mediatico così troppo preciso e omologato a un luogo comune: berrettino simil lana nero, fazzoletto tipo bandana che da metà naso scendeva fino alla gola, camicia o maglioncino rigorosamente nero, un po' di libertà lasciata ai pantaloni, scarpe o tipo anfibio o agili nikers, tra le quali perfino qualche paio di Nike. In mano, come da copione, bastoni, assi di legno. Un rigoroso cliché estetico che prendeva poi forma nell'infrangimento di auto e qualche vetrina di banca, come se i crimini di queste (speculazione sulle spalle dei paesi più poveri, amplissimi finanziamenti al mercato delle armi, eccetera) si potessero annientare distruggendo loro un vetro uno sportello bankomat, tutte cose tra l'altro coperte dalle assicurazioni che queste banche sicuramente avranno. Ma anche dando per buona la genuinità di questi folkloristici personaggi, nulla giustifica la violenza delle forze dell'ordine su TUTTI i manifestanti, dai più pacifici dei pacifisti agli autonomi, agli anarchici, passando per partiti politici, i sindacati, i lavoratori curdi, greci, i gruppi tematici italiani e stranieri, e tutte le centinaia di realtà diverse che animavano il corteo. E così, non si possono che pensare due cose: o le forze dell'ordine erano impreparate, inesperte, emotivamente fragili, disordinate e scoordinate, o, cosa più probabile, hanno seguito un preciso progetto politico all'illusorio scopo di fermare un movimento globale sempre più numeroso, motivato, forte, appoggiato nelle critiche e nelle proposte da gran parte dell'opinione pubblica. Ed è così che si possono spiegare le due situazioni di cui siamo stati testimoni fisici.

La prima c'è stata quando il lunghissimo corteo stava percorrendo il lungomare. In testa al corteo si vedevano fumi di cassonetti bruciati e molti lacrimogeni che disegnavano in cielo linee curve di fumo, per poi ricadere sui manifestanti in prima linea. Il corteo si ferma, aspetta che gli scontri finiscano prima di ripartire. Qualche passo in avanti, poi molti indietro perché i lacrimogeni sparati dalle forze del (dis) ordine sembrano avvicinarsi. Si indietreggia lentamente, per evitare la calca, perché la situazione sembra governabile: nelle prime linee ci sono scontri, la polizia vuol far desistere i facinorosi coi lacrimogeni, basta indietreggiare un po', aspettando che i tafferugli finiscano. Del resto il corteo, decine, centinaia di migliaia di persone, era lontano da queste zone di crisi, sul lungomare, incolonnato. Il nostro spezzone era circa a metà di questo corteo, in un blocco compatto di trentini. Improvvisamente i lacrimogeni sparati sembrano avvicinarsi, si avverte il loro odore, la loro presenza, e s'indietreggia in modo più rapido, finché la situazione degenera in una calca generale, provocata dalle forze dell'ordine che continuavano a lanciare i candelotti sul pacifico corteo che stava indietreggiando per allontanarsi.

E' il caos, la fiumana di persone rende vano ogni tentativo di spostamento incontrollato, i lacrimogeni cadono dal cielo sempre più numerosi, sempre più vicini, indietro, avanti, in mezzo a noi. La pelle brucia, gli occhi bruciano, il fumo blocca il respiro, qualcuno cade a terra, non si sa che fare, dove andare. Una decina di minuti d'inferno. Usciti non so come da quel caos , siamo rimasti in due, in attesa della prossima sventura nella terra di Colombo. E l'uovo della violenza premeditata delle forze dell'ordine arriva poco dopo, quando parte del gruppo si era ritrovata e attraverso una piccola stradina tremendamente in salita, tipica del paesaggio urbano di Genova, stava cercando di raggiungere gli altri compagni attraverso una via apparentemente sicura. Giunti in cima alla salita, vediamo arrivare correndo un paio di giovani con caschetto in mano che gridano “Sparano! Sparano!” dopo qualche indecisione, iniziamo a correre, ma dopo qualche istante arrivano a pericolosa velocità due camionette della polizia che inchiodano davanti a noi. Da esse balzano fuori un gruppo di Rambo armati e imbottiti d'ogni genere di protezione che ci fanno inginocchiare. Uno di loro grida (ogni cosa che dicevano era un grido animalesco, invasato) in una sorta di romanesco “Adesso vi facciamo vede' quanto siamo fascisti!”. Molti di noi gridano “Ma siamo pacifisti, non potete prendervela con noi”, o cose inutilmente simili. “Ma che pacifisti di merda!” è una delle risposte, ci accusano di aver distrutto la città, ci gridano che il compagno morto il giorno precedente l'avevamo ucciso noi. La loro maschia cavalleria risparmia per fortuna le donne, dalle quali ci fanno separare, anche se uno di loro stava iniziando a porgere fiori manganellanti al gentilsesso. “No, le donne NO!”, lo ferma il meno peggio del gruppo. Il che ci fa capire che per noi estremisti violenti di Lilliput la sorte era segnata. A turno ci manganellano ordinatamente sulle braccia, qual che democratico calcio con gli anfibi sulle costole, giustizievoli colpi col parabraccio. Qualche ragazza piange, ma per chi si gira la manganellante democrazia è più solida. Le bandiere multicolori con la scritta “PACE”, sullo sfondo, sembrano guardarci grottescamente.

Ci perquisiscono gli zaini, chiedono i documenti ma poi neanche li guardano. Intanto arriva un altro gruppo inseguito da un'altra camionetta. Questi, ahimè, erano per giunta stranieri, e subiscono sorta ben peggiore della nostra, perché tentano di scappare. Li buttano sul muro, facce sbattute sul cemento calci che non si contano. A uno di loro viene trovata una maschera antigas (ce l'avessimo avuta anche noi, quando i lacrimogeni piovevano in mezzo al corteo!), i calci lo colpiscono in faccia, il manganello sembra un battipanni sui capi che a Genova non si potevano stendere. Un ragazzo reo di avere i capelli rasta viene sollevato per i capelli e preso a calci da tre di questi robocop statali, al grido di “Questo è da parte di Genova”. Un altro viene trovato con un oggetto atto ad offendere, ovvero una maglietta di Che Guevara: “Hai la maglietta del Che, eh?” e giù altre prove di democrazia e di controllo della situazione. Ringrazio l'ignoranza di questi bambocci che non si sono accorti che la mia maglietta, in inglese, era contro McDonald's.

E così, sotto la minaccia di un'altra carica, e forse grazie alle grida di alcuni abitanti (“Bastardi picchiatori!” e simili) accorsi al balcone, ci lasciano fuggire. E chissà quante situazioni simili o peggiori in giro per la città, pensiamo. Al di là delle manganellate d'occorrenza, la cosa che più ci ha lasciato stupefatti, era l'odio che portavano dentro, la rabbia, gli occhi fuori dalle orbite con le pupille ristrette, in una situazione non certo di guerriglia urbana. Ci piacerebbe sapere qual è il training di questi personaggi così simili a cocainomani, a buttafuori di discoteca imbottiti di anfetamine. Ci piacerebbe sapere come lo stato, le forze dell'ordine, li addestrano, li istigano a simili stati alterati di coscienza. Speriamo che qualcuno, da qualche parte, abbia documentato queste gratuite violenze. Ad alcuni di noi, pur non avendo fatto fotografie, è stata presa la macchina fotografica, tolto il rullino, gettato via l'apparecchio.

Ma cosa rimane, dopo aver fatto questo rendez-vous con la democrazia del governo Berlusconi fatta di lacrimogeni e manganellate? Da una parte amarezza, perché sia che si sia trattato d'imprudenza, esaltazione, impreparazione, che di astuta e vigliacca premeditazione, si tratta comunque di una sconfitta per la democrazia. D'altra parte, la certezza che non sarà qualche livido color mare o un po' di bruciore agli occhi a cambiarci la testa. La manifestazione di Genova ci ha fatto capire due cose: che siamo in tanti e che da parte degli stati non c'è volontà di dialogo, al di là di un nauseante buonismo di facciata fatto di vuote parole o sterili discorsi sui poveri. I lacrimogeni disperdono un corteo, ma le idee e la determinazione sono sempre al loro posto. I morti e gli sfruttati nel sud del mondo, la distruzione di natura e cultura sono sempre in atto, e vivono nei sorrisi inebetiti degli “otto grandi” inebriati dai flash e dei grandi , e unici, interessi economici che difendono. A loro la triste constatazione che per tutti noi (tranne ovviamente che per i finti Black Block visti dare ordini alle forze del (dis)ordine ) il controvertice non era che un appuntamento. Il nostro terreno, imbattibile, è l'azione quotidiana. Ad essa brindiamo.

 

<<<<>>>>

 

La mia modesta testimonianza su quello che ho vissuto in prima persona a Genova: ad ognuno le sue conclusioni.

Ore 11.30, arriviamo a Nervi con qualche preoccupazione dopo quello che era successo il giorno prima, ma determinati a manifestare pacificamente le nostre idee. Da Pisa una carovana di 15 autobus, ma sull'autostrada una carovana senza fine di autobus da ogni parte di Italia. C'è il sole, una giornata splendida, tantissima gente si mette in fila per raggiungere il punto di partenza della manifestazione in piazza Sturla, ma in realtà siamo già in corteo tanta è la gente che si mette in marcia dal punto di sbarco dagli autobus. Una mezz'oretta e siamo in piazza Sturla: davanti a noi un serpentone di cui non si vede la testa, dietro noi un serpentone di cui non si vede la coda. La preoccupazione non c'è più: siamo tanti, nessun casco, nessuna spranga, niente di niente. Un elicottero dei carabinieri volteggia ininterrottamente su di noi a vegliare che tutto proceda senza disordini, i pochi genovesi rimasti si affacciano alle finestre e ci salutano simpaticamente, l'atmosfera è rilassata e gioiosa. Come può succedere qualcosa in questo contesto ? Ad un certo punto vediamo un camioncino un centinaio di metri avanti a noi, fermo in mezzo al serpentone. Intorno tanti “punti” gialli, rossi e blu……..sono caschi……; Marco borbotta la sua perplessità, non gli piace. Ci avviciniamo, loro sono fermi (forse 100-150 persone ?), il corteo gli sfila davanti ai lati. Gli elicotteri della polizia (se n'è aggiunto uno) continuano a volteggiare. Ci avviciniamo ancora, diventa chiaro che da quel camioncino si stanno scaricando altri caschi, spranghe, brandine da utilizzare come scudi, maschere anti-gas. La nostra preoccupazione aumenta, così come quella di tutti i gruppi che continuano a sfilare ai lati cercando di mettere quanto più spazio possibile fra il corteo pacifico e chi assai evidentemente è qua con ben altre intenzioni. Ci guardiamo intorno, gli elicotteri continuano a volteggiare e filmare, ma non si vede né polizia, né carabinieri, niente di niente…..e intanto il camioncino ha finito di scaricare e sta facendo manovra per tornare indietro e dileguarsi; la sera apprenderemo dal TG3 che quel camioncino è stato fermato e sequestrato (lo riconosciamo perché il TG3 mostra le immagini filmate da uno degli elicotteri che volteggiava sopra di noi…….), ma quando ormai vuoto ha già fatto il suo dovere di rifornire gli “animali”. Qualcuno apostrofa gli “animali”, qualcun altro si chiede se non sarebbe il caso di intervenire noi corteo pacifico visto che le forze dell'ordine a quanto pare hanno deciso di non intervenire. Ma che possibilità abbiamo noi pacificamente disarmati e completamente impreparati a qualsiasi tipo di violenza ?? Ci sono vecchi, giovanissimi, qualche handicappato in carrozzina…….con che coraggio possiamo pensare di fermare 100-150 “animali” pronti a dare battaglia ?? E se scoppia il casino qua chi interviene a difenderci ?? La preoccupazione comincia ad aumentare e con essa la rabbia verso gli “animali” ma anche verso chi dovrebbe difendere il diritto democratico di manifestare pacificamente, e invece ha deciso di limitarsi ad osservare dall'alto. Cerchiamo di allontanarci più possibile, ma ad un certo punto non è più possibile andare avanti, siamo in coda al corteo; qualcosa dobbiamo fare….e allora organizziamo un cordone umano che isoli il corteo pacifico da infiltrazioni probabilissime di “animali” provocatori da dietro e riusciamo a mantenerci ad una ventina di metri dagli animali. Cerchiamo di ritrovare tranquillità; dei simpaticissimi anziani genovesi ci gettano acqua da un balcone….è caldissimo e dal corteo parte un applauso; dalla strade laterali sulla destra (a sinistra abbiamo un muro che con un salto di 6/7 metri ci divide dalla spiaggia) vediamo muraglie di poliziotti a qualche centinaio di metri. Allora ci sono ! Passiamo davanti ad una caserma dei carabinieri: qualcuno abbozza un “assassini, assassini”, ma niente più….e allora di nuovo la preoccupazione comincia a lasciare spazio all'ottimismo e alla soddisfazione di essere in tantissimi a manifestare pacificamente le nostre idee. Cominciamo a non preoccuparci più di tanto degli animali alle nostre spalle: in fondo il cordone funziona, infiltrati non ce ne sono e la distanza fra noi e loro è tale da permettere agli elicotteri che ininterrottamente (e giustamente !) continuano a volteggiare e filmare sopra di noi di vedere chiaramente la differenza fra gli animali dotati di caschi colorati, spranghe, brandine e noi corteo pacifico. Si canta, si prende il sole, si procede lentamente, di tanto in tanto si sbircia in coda e ci si tranquillizza; qualcuno comincia a parlare di tafferugli in piazza Kennedy, un paio di chilometri davanti a noi, ma rimaniamo ottimisti e fiduciosi. Certamente altri gruppi di animali, ma certamente isolati dal resto del corteo, quindi facilmente identificabili e attaccabili dalla polizia. Il corteo si arresta (evidentemente ritardato dai tafferugli in testa), ci sediamo. Intanto alla nostre spalle qualcosa succede: la polizia si è finalmente schierata scendendo da una strada laterale. Ovviamente si posizionerà fra la coda del corteo pacifico e gli animali isolandoli e disperdendoli……..tanto più che gli elicotteri sono ora molto bassi sopra gli animali e certamente stanno dirigendo le operazioni dall'alto. Davanti a noi vediamo solo gente seduta, almeno fin dove possiamo arrivare con lo sguardo, dal momento che qualche centinaio di metri più in avanti la strada curva leggermente sulla destra, o almeno così pare. Inspiegabilmente (almeno fino a quel momento…) qualche organizzatore del GSF comincia a parlare con il corteo dai lati, in modo che tutti sentano: dicono di come comportarsi in caso di lacrimogeni, di non farsi prendere dal panico, di come respirare, di come ridurne l'effetto, ecc. ecc. Molti si guardano pensando “ma che cavolo ci viene a raccontare?” Gli animali sono dietro isolati, noi siamo seduti tranquilli e pacifici (e d'altra parte anche se fossimo in piedi ben difficilmente dagli elicotteri potrebbero pensare che abbiamo intenzioni bellicose), quindi si tratta di aspettare che in piazza Kennedy la polizia disperda gli animali e la marcia riprenderà. Unica preoccupazione, il sole a picco e l'acqua che comincia a scarseggiare, ma sopravviveremo ! Poi, improvvisamente del fumo qualche centinaio di metri avanti a noi…….restiamo seduti, non realizziamo, ma qualcuno comincia ad urlare “alzate le mani, alzate le mani”. Le alziamo capendone fino ad un certo punto il motivo….a chi dovremmo arrenderci e per cosa ??? Però comincio a guardarmi intorno…..a sinistra il muro a picco sul mare, a destra un muro a picco verso case qualche metro più in alto….davanti non si può procedere, dietro la polizia che isola gli animali (o almeno è quello che pensavamo)….non gli verrà mica in mente di lanciare lacrimogeni ? Ma perché poi dovrebbero ? Però il fatto che ormai sia chiaro che qualche centinaio di metri davanti a noi stiano gettando lacrimogeni non ci lascia completamente tranquilli….ma piazza Kennedy non è qualche chilometro distante da noi ?? Ad un certo punto uno scoppio….penso: ecco che quelli stronzi animali dietro di noi cercano lo scontro con la polizia gettando un petardo. Poi un altro scoppio, e un altro, e un altro…..il fumo dei lacrimogeni ci avvolge, altri scoppi, uno a qualche centimetro dai miei piedi, fuggi fuggi, non si respira, impossibile tenere gli occhi aperti, urla, non si capisce più niente, non si sa quale direzione prendere….la mia unica preoccupazione tenere Francesca per mano e cercare in tutti i modi di non cadere per non rischiare di finire calpestati…incredulità, rabbia, paura, sforzo di razionalità per salvare la pelle…..altri scoppi, altro fumo…..corriamo indietro, si urtano altre persone, si rischia di cadere, ma si cerca di correre, sperando di aver preso una direzione sensata….altri scoppi, altro fumo, si sente piangere, urlare “basta, basta”, sgomento perché non si sa quanto durerà ancora, gli occhi scoppiano, la pelle brucia da matti, si respira affannosamente…..poi ad un certo punto gli scoppi cessano…si smette di correre, ci si guarda intorno….gente che piange, gente che si tiene la testa grondante sangue (i candelotti dei lacrimogeni fanno molto male, specialmente quando te li sparano dagli elicotteri !), gente che urla “un medico, un medico”, gente stesa per terra, un paio di handicappati in carrozzella che si stringono al muro verso il mare piegati tentando di proteggersi in qualche modo….poi piano piano la testa comincia di nuovo a pensare, e allora ci accorgiamo che ormai i pacifici e gli animali sono lì mischiati, si rivedono di nuovo caschi e bastoni e allora realizzi che la polizia non aveva isolato il corteo dagli animali, ma li aveva spinti verso il corteo ! E allora tutte le certezze si sfasciano e lasciano posto all'amarezza e ad una rabbia indicibile ma silenziosa, perché troppo intima per essere espressa…….e una miriade di dubbi cominciano ad affacciarsi. Ti riviene in mente il camioncino, ti riviene in mente che te eri lì a manifestare pacificamente, ti riviene in mente che eri lì ad esercitare un diritto democratico garantito dalla costituzione, ti riviene in mente che per collaborare con le forze dell'ordine hai fatto il massimo che ti si poteva chiedere (isolare il gruppo di animali), ti riviene in mente che in una frazione di secondo ti sei ritrovato da seduto con le braccia alzate a fuggitivo con il gas negli occhi, sulla pelle, nei polmoni ridotto a dover “animalescamente” ridurti a pensare egoisticamente solo a te stesso per non fare la fine del topo. Tralascio il seguito della mia giornata, fra cui il fatto che dopo tutto quello che era stato fatto per disperdere il corteo, senza nessuna distinzione fra pacifici e non, gli animali si siano tranquillamente riorganizzati (tanto loro avevano le loro belle mascherine anti-gas, scaricate da quel fottuto camioncino nella mattinata !) avviandosi su via Zara (in direzione Marassi), dove di nuovo fatti bersaglio di lacrimogeni dagli elicotteri e caricati dal basso dalla polizia hanno sfasciato tutto quello che gli si parava davanti….ma di nuovo con un varco davanti a loro verso cui proseguire nella loro folle marcia violenta con gli elicotteri della polizia a controllare e filmare dall'alto….e i poliziotti dal basso preoccupati di mantenerli incanalati e ormai isolati da un corteo che ormai era sciolto e disperatamente sulla via del ritorno ognuno nell'intimo della propria rabbia e frustrazione. Mi sono sforzato di riportare quello che ho vissuto: ad ognuno le sue convinzioni.  Personalmente ora più che mai scenderò di nuovo in piazza….. Un abbraccio a tutti quelli che a loro volta l'hanno vissuto sulla loro pelle !

 

<<<<>>>>

 

Mi chiamo P.,scrivo da Perugia. Sono tornato da GE nella notte dell'infamia, dopo due giorni pieni di esperienze e incontri belli e interessanti,e altri due passati a scappare su e giù per la città, e l'angoscia che ho provato in quei due giorni non mi ha ancora lasciato. Ero arrivato alle 9 del 18 luglio, perchè oltre alle manifestazioni mi interessava molto il Global Forum, sono arrivato senza problemi all'info point di piazzale Kennedy, dove ho chiesto indicazioni per piazzare la tenda in un posto possibilmente tranquillo e non troppo distante, a causa delle mie condizioni di salute: ginocchia malandate al punto da non poter più correre, e il morbo di Werlhof, a causa del quale ho valori di piastrine nel sangue tanto bassi che un colpo in testa (per es. una manganellata) ha ottime probabilità di causarmi un'emorragia cerebrale. Di sicuro non sono andato a GE per fare casino, ma perchè, anche se con paura e preoccupazione lo sentivo come un dovere civico, un imperativo morale. Sono stato mandato a Valletta Cambiaso, un parco vicino al lungo mare a circa tre km da piazzale Kennedy: appena arrivato mi sono subito reso conto che il campo era autogestito, nessun rappresentante del GSF, e quasi nessuno che parlasse italiano; ho messo la tenda in uno dei pochi posti rimasti, nel viale centrale del parco, in mezzo a tende e furgoni di quelli che sembravano i soliti campeggiatori tedeschi, attrezzatissimi e organizzatissimi.Tra di loro il colore dominante era il nero. Erano tranquilli, alcuni di loro mi hanno anche prestato attrezzi per montare la tenda e mi ha un po’ stupito il fatto che, mentre io avevo lasciato a casa il martello di gomma per piantare i picchetti per non dare pretesti alla polizia in caso di controlli, loro erano forniti di martelli da carpentiere molto grossi... Il 19 ho cominciato a chiedermi come mai nessuno di loro usciva dall'accampamento, nessuno partecipava alle attività del Forum, nè ne avevo visti ai concerti del 18; poi uno dei miei amici che erano appena arrivati mi ha spiegato che era meglio cambiare posto, che lì in mezzo ci poteva essere gente pericolosa: purtroppo quella sera è venuto giù il diluvio, e ho dovuto rimandare alla mattina. Alle 8 del 20 mi ha svegliato un gran trambusto: intorno a me iniziavano i preparativi alla battaglia, un centinaio di tute nere intente a preparare protezioni artigianali ma efficaci e leggere per arti e tronco, bastoni, spranghe, tubi, bottiglie; molti di loro erano molto giovani, c'erano anche molte ragazze, tutti con una calma incredibile si stavano scrivendo sugli arti i numeri di telefono. Intanto altri Black Block affluivano nel campo dall'ingresso nord, credo che in totale fossero un duecento. Ho buttato la tenda com'era in macchina, ho chiesto a una trentina di loro di spostarsi, e me ne sono andato pensando con tristezza a quanti di loro sarebbero stati massacrati al confine della zona rossa. Ancora non avevo capito che quella gente non era interessata alla zona rossa, e che la gente massacrata sarebbe stata quella pacifica. Da notare che il 18, il 19 e il 20 i genovesi passavano tranquillamente in mezzo all'accampamento (dove comunque c'era anche tanta gente pacifica, molti di Attac-France), molti con i cani al guinzaglio, inoltre sono passati quelli del comune e della nettezza urbana, e la mattina del 20 hanno visto quello che ho visto io; infatti il TG2 domenica ha detto chiaramente che i cittadini in questione avevano tempestivamente riferito alle forze dell'ordine dei preparativi alla battaglia, MA NIENTE! Già la mattina del 19 c'era stata una prima scaramuccia all'ingresso nord del parco, e la sera sotto la pioggia un attacco, credo con molotov, alla grossa caserma di polizia che stava a non più di cento metri(!!) da Valletta Cambiaso. COME MAI LE COSIDDETTE FORZE DELL'ORDINE HANNO FATTO FINTA DI NIENTE? COME HANNO FATTO LE TUTE NERE A USCIRE DAL CAMPO SENZA ESSERE INTERCETTATE? CHE CAZZO FACEVANO GLI ELICOTTERI CHE CI HANNO SORVOLATO CONTINUAMENTE PER TRE GIORNI? DORMIVANO TUTTI?  Nemmeno la sera del 20, con tutto quello che era successo, si è pensato di andare a stanare i neri, a quel punto noti a tutti. Ma forse le forze dell'ordine (ah ah) stavano risparmiando le forze per le infamità del giorno e della notte successivi..... Un ultima cosa:il 21, a fine corteo, in piazza Ferraris, alla sinistra del palco c'erano alcuni esponenti Ds umbri, assessori comunali e regionali: erano lì per caso, in gita turistica,o cosa? A “titolo personale”, forse? Per loro “c'erano le condizioni”? Ma si sa, ultimamente i Ds sono un pò confusi........

 

<<<<>>>>

 

Venerdì 20 luglio, poco dopo le 13, mi trovavo all'altezza di piazzale Kennedy, all'entrata delle strutture del Genoa Social Forum, ormai pressoché deserto. A circa 100 metri a levante ( via Rimassa ) arrivava la testa del corteo proveniente da Piazza Paolo da Novi che aveva già percorso via Torino "accompagnato" dalle azioni dei cosiddetti Black Block. Mentre il corteo, con in testa i Cobas, si fermava e in parte rientrava nell'area del GSF non più di VENTI persone vestite di nero spaccavano sistematicamente tutte le vetrine dei portici immediatamente a levante di Piazza Rossetti. La polizia, schierata a circa 200 metri di distanza (subito a ponente di Piazza Rossetti) assisteva assolutamente immobile e senza muovere i mezzi blindati che aveva alle spalle. Il corteo era fermo, non partecipava alla distruzione, le persone con cui ho parlato erano allibite. La scena si è protratta per una decina di minuti. Non si sapeva ancora che in altri punti della città ci sarebbero state cariche su persone pacifiche ed inermi. E.G. Imperia

 

<<<<>>>>

 

Sono un'insegnante di scuola elementare di 51 anni, sposata con due figli di 27 e 28 anni.

Desidero raccontare i miei tre giorni di partecipazione alle manifestazioni anti-G8. Tutta la famiglia ha partecipato con entusiasmo alla manifestazione dei migranti tenutasi a Genova il giorno 18 c. m. e siamo tornati a casa soddisfatti. Il primo giorno della manifestazione dei migranti, eravamo tutti molto tesi e preoccupati, la gente arrivava numerosa e man mano gli animi si sono distesi, tra noi mamme con bambini, ragazzi buffi con parrucche coloratissime, gruppi con tamburi, canti , danze corde con mutande appese: il tutto molto coreografico. Man mano che si procedeva con il corteo, a parte qualche fischio, si incominciava a ridere, a ballare e a divertirci. La manifestazione era riuscita ed eravamo più del previsto. L'indomani avremmo ancora partecipato, ma, siccome i gruppi erano diversamente distribuiti nei quartieri del Centro, avremmo dovuto scegliere la zona dove recarci. Muniti di cartine, messe a disposizione dei manifestanti, abbiamo deciso di unirci al corteo della rete Lilliput e della bottega solidale. Li' avremmo trovato degli amici ed anche preti che conosciamo delle parrocchie di Genova. Arrivati in Piazza Manin il giorno 29 alle ore 12 circa, avevamo avuto sentore di tafferugli in altre zone della città ad opera di alcune frange violente. Io e mia figlia guardavamo in giro piuttosto incuriosite, il clima non mi era sembrato particolarmente teso e ingannavamo l'attesa di partire con il primo corteo sporcandoci le mani con la pittura bianca in segno di pace ed osservavamo alcuni ragazzi che disegnavano su grandi fogli bianchi creando una specie di tappeto che dalla Piazza sii srotolava verso Via Assarotti, la via che porta a Piazza Corvetto sbarrata dalle grandi reti e protetta da un cordolo di poliziotti armati di scudo, casco, pistole e bastoni. Verso l'una abbiamo cominciato a dirigerci in corteo verso le reti; tutto intorno ragazzi con striscioni, palloncini colorati ed una mutanda enorme disegnata su un lenzuolo che due ragazzi facevano passare correndo sulle nostre teste, mentre noi dovevamo abbassarci velocemente e si rideva moltissimo. Arrivati quasii alla fine della via Assarotti, la maggioranza dei manifestanti si sono seduti per terra, mentre alcune donne tenendosi per mano e cantando hanno chiesto ai poliziotti se potevano passare per toccare la rete. I poliziotti erano piuttosto tesi, ma non apparivano indisposti e ci hanno detto di passare un po' alla volta. Rassicurate dal loro atteggiamento io con alcune ragazze ci siamo avvicinate, mentre qualcuno continuava a danzare ed altre appendevano cartelloni e striscioni, come segno simbolico, per dire semplicemente che non si era d'accordo su quelle enormi grate, segno inquietante di scarsa democrazia. I poliziotti vicinissimi a noi non sembravano aggressivi, anzi si sussurrava tra la gente che quel tale ( non voglio dare troppi particolari sulle caratteristiche fisiche     per non metterlo in difficoltà con i suoi capi) è dalla nostra parte, nel senso che capiva i motivi del manifestare.

L’ho guardato bene, era vero, i suoi occhi sorridevano, non aveva certamente paura di noi che eravamo lì armati solo dalla voglia di farci vedere, di farci notare. Poi mi sono diretta, sempre in compagnia di mia figlia e sue amiche, nella piazzola attigua protetta anch'essa da reti. Noi guardavamo ad una distanza di circa 50 metri. Dopo pochi minuti un gruppo di manifestanti sii sono avvicinati alla grata ed un ragazzo con dei fiori in mano è riuscito ad arrampicarsi in cima alla rete, per poi ridiscendere subito dopo, mentre altre due ragazze tentavano di arrampicarsi con delle corde senza riuscirci ; si stava creando un po' di confusione e c'era agitazione, ma erano dimostrazioni soltanto e puramente simboliche, che non potevano produrre nessun danno, se non agli stessi autori di tanto ardire. Ed è stato in quel momento che ho sentito dire da quel famoso poliziotto che era tra noi :"Se fate un varco, passiamo e ce ne andiamo" Allora io mi sono messa a gridare le stesse parole alle persone vicine a me: lasciateli passare, se ne vanno! Cosi' in pochi secondi questi poliziotti hanno fatto la cosa più intelligente, si sono spostati verso il fondo della piazza  senza alzare un dito. I manifestanti continuavano con le loro azioni simboliche, senza nessun'altra arma che dei fiori e due corde, verso la presa, metaforica s'intende, della Bastiglia, ma dopo brevi istanti i poliziotti dall'altra parte della rete hanno cominciato ad usare gli idranti e subito dopo  hanno lanciati i lacrimogeni. C'è stato un fuggi, fuggi generale ed io ho cominciato a correre verso una stradina che portava verso Piazza Manin, mentre gli occhi si gonfiavano, la gola bruciava intensamente e qualcuno dalla finestra mi ha passato un pezzo di limone per lenire il bruciore.Il cuore mi batteva forte, ma non era successo niente di grave e dentro di me ero grata a quell poliziotto che era riuscito a tenere calmi i suoi .Tutto sembrava più che tranquillo in piazza Manin, addirittura accanto al panificio che era aperto (l'unico nell'area di chilometri) era stato preparato un piccolo palco con sopra strumenti musicali ed alcuni ragazzi si sono messi a suonare e cantare. All centro della piazza vi erano alcuni banchetti, fra questi quello della bottega solidale. Li' ho incontrato un carissimo amico che però mi ha detto di stare attenta perché sarebbero arrivati gli anarchici. Ho girovagato per la piazza ma non ho notato segni di inquietudine, allora mi sono diretta verso il panificio aperto per acquistare qualcosa da mangiare, ho scherzato tranquillamente con una signora di Como e si è parlato della manifestazione del giorno precedente. Mentre era ormai arrivato il mio turno, nel negozio entra trafelata mia figlia e mi chiede di sbrigarmi. Io non do troppo peso alla sua tensione e finisco di comprare con la massima tranquillità. Appena uscita dal negozio, squilla il cellulare, è mia figlia che urla di portarmi dall'altra parte della piazza perché sono arrivati " i neri" e sono tra noi ,proprio dove ero io. Guardo bene e noto dei ragazzi vestiti di nero, riconoscibili al solo sguardo, armati di spranghe e con i fazzoletti sul viso per non farsi riconoscere, c'è molta agitazione, io non trovo mia figlia e comincio a cercarla tra la folla mentre altri ragazzi cercano di mandare via questi "neri". Trovo mia figlia agitatissima che mi fa segno di salire velocemente sulla sella della vespa e di corsa ci spostiamo dall'altro lato della piazza. Qui incontriamo  due amici di famiglia, marito e moglie di circa quarant'anni di età, a vederli mi si allarga il cuore, si fanno due battute per sdrammatizzare, però si decide  frettolosamente: mia figlia e le sue amiche portano in salvo le vespe proseguendo verso Corso Firenze, così ci separiamo. Nel frattempo arriva la Polizia, non vedo più i Black Block e la gente comincia a correre. I poliziotti lanciano i lacrimogeni e noi tre, insieme ad altri che si sono uniti al piccolo gruppo, cominciamo a salire lungo una scalinata. Il mio amico dice di stare calmi, di non correre, intanto mi ricomincia a bruciare la gola e gli occhi. Mentre saliamo una gentile signora mi dice che è un medico, di non fregarmi gli occhi e amichevolmente mi porge un po' d'acqua per lenire nuovamente il bruciore. E' la seconda volta, nel giro di un'ora o poco più, che mi becco i lacrimogeni, intanto ci arrampichiamo verso il Righi, la zona alta di Genova, arrancando preoccupati. Una rabbia mi attanaglia la gola e mi metto a urlare: Cosa credono di fare? Stanno rovinando tutta la nostra manifestazione, sono dei maledetti, ma chi ce li manda? Forse la stessa Polizia? Mentre urlo disperata, la mia amica mi prende per un braccio e mi dice: Zitta, zitta, sono qui! Guardo bene e davanti a me, vicinissimi, due, tre ragazzi vestiti di nero, uno alle mie parole si ferma, mi rivolge uno sguardo durissimo e per un momento temo mi voglia picchiare, allora deglutisco e giro la testa altrove. Il ragazzo se ne va, continuiamo a camminare e notiamo altri quattro ragazzi vestiti di nero, tra cui una ragazza, che, sicuri, si arrampicano sulle aiuole in salita tagliando e abbreviando il percorso, mentre noi ed altri gruppi che incontriamo ci guardiamo disorientati e proseguiamo lungo la strada asfaltata. Cominciano le telefonate con i cellulari. I miei amici sono in contatto telefonico anche con persone che stanno seguendo in diretta tv la manifestazione; il loro figlio è in un altro corteo e cercano di sapere cosa sta succedendo. Ci informano di non scendere, per il momento, verso piazza Manin perché i disordini continuano. Sono molto preoccupata: mia figlia è giù vicino alla piazza, mio marito deve raggiungermi, ma è in ritardo. Finalmente squilla il cellulare, mia figlia mi rassicura che non le è successo niente e mi invita a scendere piano piano. Gruppetti di gente disorientata vaga qui e là senza sapere cosa fare esattamente e qualche straniero chiede come poter raggiungere il centro. Non sono in grado di spiegare bene, ma ci pensano altre persone, in ogni caso l'unica via di fuga è verso l'alto . Si ritorna verso piazza Manin, mi affretto perché voglio vedere se trovo i  i miei familiari ; finalmente arrivo in piazza mentre mia cognata mi telefona allarmata e mi raccomanda di non proseguire verso l'ospedale evangelico perché i Black Block hanno spaccato tutto. Trovo mia figlia e mio marito che è attonito e quasi in lacrime per quello che ha visto: vetrine in frantumi, macchine bruciate,. Nel gruppo di persone che vagano noto una signora sulla sessantina con la testa completamente fasciata, mi avvicino e le chiedo cosa le è successo. Mi racconta che ,mentre io ed altri correvamo verso il Righi, lei ed altre donne si sono tenute per mano cercando  di fermare quei ragazzi "neri" i quali sono scappati (allora capisco che molto probabilmente sono quelli che ho visto e che correvano verso l'alto insieme a noi e che ad un certo punto si sono dileguati). A quel punto è arrivata la polizia che invece di correre dietro a questi gruppetti di devastatori  ha caricato loro, donne totalmente indifese che sono state prese a manganellate dai poliziotti. Risultato: una testa rotta e diversi contusi. Ho visto un ragazzo straniero con un ematoma sanguinante sulla spalla destra grosso come un'arancia che scrollava la testa , mentre una ragazza cercava di soccorrerlo. Non potevo credere ai miei occhi, ma come! La polizia non è in grado di fermare piccole bande di ragazzi, tutti giovanissimi e riconoscibili anche a distanza, mentre carica addirittura noi pacifisti, donne anche anziane e giovani del tutto inermi.Davanti a tanta violenza mi sale la rabbia. No, non ci credo! Prima ho visto quei poliziotti che mi sembravano bravi ragazzi; possibile che non abbiano capito che non siamo noi i i devastatori? Le lacrime mi scendono giù per le gote, nonostante cerchi di controllarmi. Sembra ritornare una relativa calma che dura poco perché pochi minuti dopo riappaiono nuovamente alcuni teppisti, ma questa volta molte persone, tra cui molti uomini, li affrontano senza paura e gridando li allontanano. Cosa si può fare di più? Le notizie che ci giungono sono sempre più preoccupanti: la città è messa a ferro e fuoco da queste bande che scorrazzano indisturbate spostandosi velocissime da un posto all'altro. In piazza sono rimaste poche persone, ci sediamo qualche minuto su un muretto per cercare di capire cosa fare. Intanto veniamo a sapere che il Sindaco Pericu ed Agnoletto ci vogliono tutti in Piazza Kennedy. La voce si sparge e vediamo un gruppo di circa 50, 60 persone che innalzano una croce colorata e si dirigono verso la Foce .Anche noi decidiamo di recarci in assemblea nel piazzale Kennedy, mentre mia figlia rimane con le sue amiche in piazza Manin. Lo scenario che vediamo subito dopo è impressionante: cassonetti della spazzatura rovesciati che ostruiscono il passaggio, auto bruciate, negozi sconquassati, vetri ovunque. Ora abbiamo veramente paura! Polizia non se ne vede, ci dirigiamo verso Brignole, ma il tunnel che dovrebbe portarci li' è bloccato dai poliziotti che ci fanno nervosamente segno di tornare indietro senza alcuna spiegazione; cambiamo strada e proseguiamo e ci troviamo in mezzo ai Black Block ancora una volta mentre scagliano pietre e si spostano veloci girando indisturbati.  Un'altra volta un odore terribile di lacrimogeni. Ma come? La polizia ci ha mandato in mezzo a loro invece di proteggerci? Come è possibile? Da una parte la polizia ci respinge, dall'altra i Black Block distruggono.Incontriamo i nostri amici che erano partiti prima di noi, loro sono a piedi e ci incoraggiano ad andarcene. Vorrei portarli con me, ma non posso. Si ritorna indietro, è impossibile raggiungere la zona della foce. Proseguiamo verso corso Firenze, raggiungiamo l'abitazione di altri amici  con i quali siamo rimasti in contatto telefonico e finalmente siamo al sicuro. Sono sfinita, delusa, affranta, addolorata e arrabbiata contro la polizia che invece di difenderci ci ha messo in pasto al lupo e per giunta carica la gente comune  che manifesta pacificamente. Mi rifiuto di pensare che i poliziotti siano così imbecilli. Due le riflessioni: o la polizia è stata completamente incapace a gestire la situazione, o questi sono utilizzati per non rendere credibili agli occhi dell'opinione pubblica le ragioni del nostro manifestare. Nel frattempo abbiamo saputo che un ragazzo è morto, forse è uno spagnolo. Via via che il tempo passa veniamo anche a sapere che i nostri familiari sono al sicuro e che a noi personalmente non è successo niente di grave, ma quello che ho visto è veramente sconcertante. Siamo in guerra!! Nonostante tutto decidiamo insieme a tutti i nostri amici, per lo più coetanei, di partecipare alla manifestazione del giorno seguente per dare un segnale, per dire a questa gente che non ci fanno paura e che abbiamo il diritto di manifestare il nostro dissenso. L'indomani si riparte: questa volta ci dirigiamo in gruppo, sette persone su quattro vespe, una in fila all'altra e arriviamo presso Marassi per posteggiare i mezzi. Ci incamminiamo a piedi verso Corso Torino, con noi si aggiunge una giornalista del Corriere Mercantile alla quale racconto cosa è successo il giorno prima. Lei prende nota e poi ci salutiamo. Arriviamo davanti a piazzale Kennedy. Tutto sembra di nuovo tranquillo. Io ed una mia amica decidiamo di utilizzare i WC che sono in fondo al piazzale. Al nostro ritorno lo scenario è cambiato, ci sono gruppi di persone che stanno aspettando il corteo proveniente da Sturla ed in mezzo ragazzi strani con il foulard sul viso per non farsi riconoscere. Vedo mia figlia che sta parlando con uno di loro, è un tedesco ma lei sa abbastanza bene parlare inglese e cerca di farlo ragionare dicendo che non si può essere violenti. I toni sono accesi, le sto vicino, io e mio marito ed ad un certo punto il ragazzo la sposta con un braccio e raccoglie la pietra che mia figlia gli aveva impedito poco prima di prendere mettendoci il suo piede sopra.

Finito il diverbio ci allontaniamo e la tensione sale; arriva il corteo, vediamo Bertinotti ed il gruppo di Rifondazione, decidiamo di seguire loro mentre tutto intorno gli uomini più robusti cercavano di non far entrare i casseurs. Camminiamo prima in silenzio, poi battiamo le mani scandendo un ritmo preciso, sappiamo di essere in tanti, si parla di 200 mila persone, forse anche di più. Ad un certo punto una ragazza col megafono ci invita a sederci tutti per terra, ci sono scontri in testa ed in coda al corteo. Vedo ragazzi e uomini adulti che cercano di sbarrare l'accesso dei Black Block dalle stradine laterali, poi la gente comincia a spostarsi bruscamente, ci si alza, sembra che sia successo qualcosa, alcuni "neri" sono ai lati e tentano di dividerci. Qualcuno comincia a guardare se c'è una via di fuga e a correre, io che sono seduta in mezzo ad una aiuola salto sul lato della strada, ma un amico mi dice di stare calma, è tutto sotto controllo. Abbiamo il cuore in gola e piano piano il corteo si muove di nuovo e riusciamo ad arrivare in Piazza Galileo Ferraris, dove la manifestazione si chiude. E' un fiume di gente, ma le notizie sono sempre più allarmanti: scontri, devastazioni, gente picchiata dalla polizia. Il corteo è stato diviso in più parti. Decidiamo di tornare indietro lentamente seguendo la folla; ad un certo punto siamo in una stradina laterale e vediamo alcuni Black Block girare indisturbati. Più avanti la polizia, sembra che ne abbia preso uno, lo tengono per mano ma non è assolutamente ferito. Il suo sguardo mi comunica sorpresa, non paura. E' un ragazzino di 15-16 anni, lo guardo bene e potrei riconoscerlo senza esitazione. Sul ponte pattuglie di poliziotti stanno cercando di reagire, ma non capisco perché non stanno seguendo i ragazzi devastatori che sono a pochi metri da noi. Saliamo sulle vespe precipitosamente, incuranti del casco, l'unico desiderio è scappare. C'è una grande confusione; ci sono i soliti segni del passaggio dei devastatori ed altri sembra che stiano arrivando. Scappiamo verso Piazza Manin e ad un certo punto ci troviamo di fronte a 6-7 Black Block che ci guardano, qualcuno ridendo ma ci lasciano passare. Slalom tra loro con le vespe ed il cuore batte a mille. Finalmente siamo di nuovo a Principe e ci rifugiamo in casa dei nostri amici. Sono letteralmente sgomenta, provata e piango per molto tempo scaricandomi così della tensione accumulata. A tarda sera ritorniamo a casa angosciati ma sicuri che tutto ormai è passato. Sono circa le due di notte, mio marito accende la tivù e atterrita vengo a sapere del blitz nella scuola Diaz. Quello che si sente dal cellulare di un cronista sono le grida disperate dei ragazzi aggrediti dalla polizia ed il rumore di un elicottero e sirene di ambulanze. La tivù ci informa che è stato vietato l'accesso a tutti: parlamentari, giornalisti, medici, avvocati. Allora capiamo: lì c'era tutto il materiale informativo: fotografie e riprese su quanto è successo. La polizia ha prelevato tutta la documentazione e poco dopo sentiamo la voce di un responsabile della Questura che cerca di tranquillizzare dicendo che ci sono solo una decina di feriti, ma che molti erano già feriti negli scontri in piazza. Bugia tremenda: i feriti sono decine e decine, così come gli arrestati. Al mattino presto vengo a sapere che un nostro amico dell'ARCI ha ricevuto verso l'una e mezza una telefonata dove una ragazza chiedeva aiuto e gridava: " Ci stanno massacrando!!". Sono corsi in tanti ed il resto lo sapete…

Cosa dire? Angoscia, paura, terrore, sgomento sono i sentimenti che mi attanagliano. Ora desidero solo una cosa! Dire a tutti la verità e cosa è successo veramente. Spero che la mia testimonianza possa servire a qualcosa e comunque sono pronta a ripetere a voce ciò che ho scritto cercando di essere obbiettiva ed onesta. La sensazione comunque è quella di essere stata vittima di una tremenda repressione: quella più dura mai subita negli ultimi trenta anni e la volontà da parte del governo di tapparci la bocca. Finisco con domande che possono servire da riflessione a tutti quelli che non credono a ciò che è successo veramente. Perché una donna come me, più che matura, dovrebbe mettere in pericolo la propria incolumità fisica e ad acconsentire che anche i suoi familiari rischino di prendere delle botte dalla polizia o dai casseur? Non sarà che con grande determinazione e passione si voglia lottare per una società più giusta, più equilibrata? Non è che ora, dopo questi fatti, si debba lottare anche per salvaguardare la libertà di espressione e di pensiero?.

T.V.

 

<<<<>>>>

 

Ciao a tutti.. questo è tutto quello che ho vissuto a Genova in questi giorni.. non ci sono nomi di persone ma solo iniziali.. qualcuno di voi si riconoscerà all'interno del racconto..

18/07/2001  Sono circa le 21 quando arriviamo alla stazione di Brignole, sembra tutto molto tranquillo, c'è solo da decidere se andare a dormire al campo sportivo Carlini o allo Sciorba, il primo pare indubbiamente più “vivace”, ci sono le tute bianche, il secondo più tranquillo. Decido con P. di provare a dormire la prima sera nel secondo e in caso passare al Carlini il giorno seguente, per vivere più “da dentro” la contestazione. Il campeggio non sembra male, ci sono pure le docce e dormire sull'erba mi sta più che bene.  Ma c'è da fare in fretta, a p. Kennedy ci aspetta il concerto di Manu Chao, l'ho visto solo sei giorni prima, ma non vedo l'ora di essere ancora sotto al palco. Finito il concerto tutti verso i campi sportivi con autobus speciali, ripenso al concerto, se l'inizio è questo mi aspettano 4 giorni favolosi..

19/07/2001 Giovedì, al GSF, si tengono degli interventi sulla globalizzazione, parlano Bovè, Agnoletto e tanti altri, mando un sms ad un'amica.. “qui è fantastico..” Ma ho già quasi finito l'unico rullino che mi ero portato, andiamo con P. a zonzo per la città alla disperata ricerca di un rullino di riserva, durante la caccia riusciamo a trovare un supermercato aperto e facciamo rifornimento di limoni.. non si sa mai.. Quando oramai non ho più speranze, trovo un piccolo studio fotografico gestito da un simpaticissimo rifondarolo che ci racconta le sue impressioni di genovese sulla città.. non ha mai avuto, in 50 anni, il marciapiede di fronte al negozio senza nessuna macchina. Ci dice che il Duce (come chiama lui Berlusconi) toglie addirittura il gas alla zona rossa in certe ore. Ora che abbiamo il rullino ci avviamo verso l'inizio della marcia dei migranti, ci accodiamo ad un gruppo di Attac e conosciamo F. un simpatico siciliano. Sembra che siamo in 50 mila in corteo, vedo la Francescato in testa con i verdi.. verso la coda vedo Diliberto.. preso un po' di mira da qualcuno per il suo appoggio ad un governo complice della “guerra umanitaria” in Kosovo. La polizia è schierata nelle strade secondarie.. ma non succede niente.. è una marcia pacifica al grido di “Genova libera”, “mutande, mutande” o “hasta la victoria sempre”. Qualcuno sente sussurrare da qualche forza dell'ordine annoiata “peccato che siano così pacifici.. speravo di rompere qualche ossa..” La sera piove, quindi niente festa e a nanna presto.. tutti un po' umidicci.

20/07/2001 E' il giorno delle diverse forme di manifestazione nelle diverse piazze di Genova. Sono impegnato fino all'una con Greenpeace, poi corro verso il centro di Genova. Appena sceso dall'autobus vedo del fumo nero.. mi precipito lì con un pass stampa e la mia macchina fotografica, è un auto data alle fiamme. Mi dirigo verso la zona degli scontri, c'è la polizia che lancia lacrimogeni verso un gruppo di circa 500 persone, vestite in nero.. poi scoprirò chi sono.. il Black Block. Alla carica della polizia questi scappano e al loro passaggio distruggono tutto ciò che trovano (una signora impreca mentre osserva la sua auto rovesciata e data alle fiamme), giungo in una piazza e non riesco più a vederli, chiedo a dei giornalisti, “si sono divisi”, decido di seguire uno dei due gruppi, quello che si infila sotto la galleria che conclude corso Torino e erige barricate al termine di questa, l'altro gruppo, capirò in seguito.. si dirige verso il corteo che proviene dal Carlini. In questi frangenti un poliziotto con una faccia da boia spruzza me ed altri giornalisti con lo spray irritante al peperoncino.. passo 10 minuti di inferno, non respiro, non ci vedo.. il limone serve a ben poco.. riesco a raggiungere una fontana ma con l'acqua mi brucia ancora di più. E' facile vedere da dove sono passate le “tute nere” lasciano una scia riconoscibilissima.. riesco ad intrufolarmi tra le barricate alla fine della galleria e a raggiungerli, sono preoccupato di una possibile carica della polizia alle mie spalle ma non succede niente. Uscito dalla galleria comincio a fotografarli mentre si sfogano con i simboli del capitalismo.. soprattutto banche e macchine costose, rischio anche un po' perchè ad un certo punto mi si avvicina una “tuta nera” con aria minacciosa “NO FOTO!!”.. obbedisco.. per un po'. Continuo a seguirli.. arrivano ad un supermercato, un discount, lo scassinano, entrano e prendono tutto quello che possono, sopratutto da bere e jogurt.. molti mi sorridono o mi offrono da bere. Una donna li spinge uno per uno, li picchia, “è questa la vostra pace?” chiede.. Osservo una ragazza, mi sembra faccia parte anche lei del Black Block, ma con lei c'è la madre ad accompagnarla, un normalissimo genitore vestito in modo normale (poteva essere la mia di madre) e che sembra fare solo una smorfia quando osserva la figlia di ritorno dal rifornimento. Molti sono stranieri, ma tanti sono italiani e non vestiti di nero, sembrano quasi gente giunta lì per caso e aggregatasi ai Black Block, altri sembrano lì per caso. Tra i tanti a fare rifornimento nel supermercato ci sono pure dei passanti, un signore sulla 50ina con due litri di rosso appena presi mi chiede “posso?”.. Proseguono passando un ponte e arrivando ad una specie di piazza.. qui si fermano, al mio fianco riconosco Ghezzi di Blob con una telecamera in mano e una faccia sconcertata, per tutto questo tempo non c'è un solo poliziotto a seguirli, possono fare tutto ciò che credono. Trovo degli amici anche loro attirati dai disastri del Black Block, mentre le tute nere si disperdono (credo che a questo punto un gruppo si diriga verso la manifestazione di Lilliput e Legambiente, un'altro verso il Marassi) decidiamo di raggiungere il corteo delle tute bianche e partecipare alla loro manifestazione. Arriviamo all'incrocio tra corso Torino e corso Buenos Aires, l'inferno. C'è un continuo tira e molla tra forze dell'ordine e manifestanti (che provengono da due vie convergenti e ogni tanto riescono a ricongiungersi, prima di dover indietreggiare e poi tentare di nuovo l'assalto), ho assistito (e subito) ad altre cariche della polizia contro manifestanti.. ma mai niente del genere. I lacrimogeni il più delle volte vengono sparati ad altezza uomo, le cariche sono disordinate e senza senso. Tento di aiutare più manifestanti posso offrendo limone, ad uno anche un elastico per capelli “con tutti quei lacrimogeni mi stanno diventando zizza”. Anche qui mi sembra che ci sia gente che non c'entra niente con la manifestazione ma che ha solo voglia di fare casino, è li che salta e ride mentre rovescia qualche cassonetto, qualcuno che ha colto l'occasione del g8 per fare un po' di casino e divertirsi con gli amici, ma questi non sono nel vivo degli scontri, ad affrontare la polizia sono altri. Ad un certo punto un cellulare resta isolato e viene preso d'assedio dai manifestanti, ci sono ancora carabinieri al suo interno, che riescono comunque a fuggire, ma quel cellulare è un piccolo trofeo. Mi sposto nelle retrovie delle forze dell'ordine.. passa qualche carabiniere che non respira molto bene per tutti i lacrimogeni che ha lanciato, qualcun'altro che zoppica per qualche botta. Uno si toglie il casco, avrà si e no la mia età, 21 anni, torna verso gli scontri.. poi ci ripensa e torna sui suoi passi. Ad un certo punto acchiappano una tuta bianca, in sei la scaraventano su un portone e cominciano a picchiarla, calci, manganellate, pugni, sono sconcertato, in 20 o 30 persone, tra giornalisti e passanti, cominciamo a chiedere che la smettano, “basta” urliamo con le mani alzate, lo portano dentro al cellulare continuando a picchiarlo, ho a fianco a me un cameraman del tg1.. “sto riprendendo tutto” mi dice. Continuiamo a dire di smetterla, a quel punto ci caricano, riescono a dare qualche manganellata a qualcuno, una ragazza è presa da un carabiniere senza casco e tenuta antisommossa ma in uniforme (uno di quelli che davano ordini, ma no so di che grado), viene scaraventata su una panchina e riceve calci e manganellate sulla schiena, le sue grida ci attirano in quella zona. C. le alza la maglia sulla schiena e le versa dell'acqua, ha tre lividi rossi. Gli scontri pian piano diminuiscono, i manifestanti indietreggiano sempre di più spinti dai lacrimogeni e dalle cariche della polizia fino al Carlini. Ritrovo il cameraman del tg1, “non so se manderanno in onda quelle immagini” dice “avranno qualche pressione dal ministero”. Per oggi è abbastanza, decidiamo di tornare verso p. Kennedy e lungo la strada troviamo dei passanti che protestano con i carabinieri perchè un ragazzo che non c'entrava niente con la manifestazione è stato picchiato dalle forze dell'ordine. Ma con loro non si può parlare, sono esaltati, drogati, parlano solo con il loro casco, la tuta antisommossa e il manganello, non sanno sostenere una conversazione sul piano delle solo parole, gente che ha la vigliaccheria di picchiare un ragazzo in sei contro uno, bastardi che si mettono a picchiare una ragazza che non c'entra un bel niente.. Lungo la strada ritrovo F. e P. e comincia a girare la notizia della morte di quel giovane e di una possibile seconda vittima, mi chiamano al telefonino e scopro che la polizia ha attaccato pure i manifestanti di Lilliput. Arrivati a p. Kennedy Agnoletto parla e racconta che anche il corteo di Attac e Rifondazione ha subito lanci di lacrimogeni mentre tornava al piazzale.. forse per contratto con la casa produttrice devono spararne un tot al giorno. Gli elicotteri continuano a passare sopra la nostra testa e sono accolti da una marea di indici rivolti al cielo, mentre si alza il pugno quando qualcuno grida vendetta. Gira la voce che le tute bianche stiano ancora combattendo contro la polizia, con altri ragazzi urliamo “corteo” per liberarle dalle forze dell'ordine, per fortuna Casarini ci informa che sono giunte al Carlini. Pian piano la gente comincia a riunirsi nel piazzale, gli interventi si susseguono sul palco finchè una signora racconta le immagini che ha mostrato il tg5 sulla morte del ragazzo, “gli hanno sparato e gli sono passati sopra con la jeep”. Rabbia, sconcerto, tristezza e voglia di vendetta.. 

21/07/2001 Mai viste tante persone in una volta sola, osservo il corteo dal suo inizio alla fine, sembra una festa, la gente dalle case lancia acqua fresca sui manifestanti. Arrivato alla fine risalgo velocemente con P. ma arrivati davanti p. Kennedy ci accorgiamo che ci sono scontri, non riuscendo a passare ci infiliamo dentro p. Kennedy, ma anche qui piovono lacrimogeni, ci rifugiamo sugli scogli, c'è altra gente, un ragazzo dell'organizzazione GSF ci assicura che se stiamo lì tranquilli non ci succederà niente. Una ci racconta che il suo ragazzo è stato preso dalla polizia e che non ne ha notizie, non gli permettono di chiamare nemmeno l'avvocato. Passano i finanzieri all'interno del piazzale accompagnando di pari passo la carica dei carabinieri in corso Italia, la gente scappa sulla spiaggia. Tento di andare a fare foto all'interno degli scontri ma un poliziotto mi ferma nonostante il mio pass, quindi decidiamo con P. di aggirare quella zona e risbuchiamo in corso Torino più avanti. Scopriamo che il corteo è stato tagliato in due dalla carica delle forze del disordine, per colpa dei Black Block o no, non si capisce, e che la prima parte del corteo è giunta ignara a destinazione, alcune frange stanno combattendo nei dintorni, e la seconda parte del corteo è bloccata e caricata in corso Italia. Vedo alcuni manifestanti con le mani alzate che tentano di passare davanti alla polizia. Mi dirigo verso gli scontri che restano nei pressi della stazione, la solita galleria è piena di fumo.. ma la attraverso e di là trovo due scontri, seguo uno dei due finchè con gli idranti e i fumogeni (quanti ne ho respirati in questi giorni) i pochi manifestanti non sono disciolti completamente. Sono esausto, torno verso piazzale Kennedy incontrando sul mio cammino centinaia di manifestanti probabilmente senza meta, sono sconcertato da quello che ho visto in questi due giorni. Con P. decidiamo di andare a Brignole e prendere un treno per Venezia, ho voglia di tornare a casa il più presto possibile, via da questo inferno. In stazione vedo gente che fa festa.. ne parlo a P., secondo me non dovrebbero cantare scherzare ridere ballare, c'è un ragazzo che è morto, dovrebbero essere tutti seri e incazzati.. quei due poliziotti che girano per la stazione bisognerebbe prenderli in massa e linciarli, mi spiega che l'anima del movimento è comunque questa, che il morto non verrà dimenticato e che comunque alle forze del disordine fa molta più rabbia vederci sempre pieni di energia che tristi e avviliti.. Si sente una canzone “Non ne possiamo più.. delle divise blu..” 

23/07/2001 Chiudo gli occhi e vedo polizia che carica, gli unici sogni che ricordo la mattina sono sempre collegati a Genova, se sento qualche rumore strano penso sempre a qualche fumogeno sparato, non riesco a sopportare la gente che si diverte, la gente che ride vestita bene per le strade, la gente in fila ai negozi che non sa e non ha visto quello che so e ho visto io, non capisco come non gliene possa fregare niente a nessuno di tutto questo. Tutti si preoccupano dei danni a Genova, a parte il fatto che a me può andare pure bene se i Black Block distruggono qualche banca, ma se vi preoccupate di 100 miliardi di danni andate a chiedere conto al presidente del consiglio di quanti ne ha spesi per quella supernave con tappeti rossi bicchieri di cristallo e tutti i lussi possibili (in barba ai poveri di cui tanto si interessa!!).. 6 volte tanto... e se vedo qualche poliziotto o carabiniere in giro mi viene solo voglia di picchiarlo. Se anche si dimette il ministro della difesa o il capo della polizia (cose che non succederanno mai), non cambierà comunque un cazzo nella mentalità fascista delle istituzioni e delle forze dell'ordine italiane.. comincio a capire il terrorismo degli anni '70, comincio a capire quelli che lottavano tanto pacificamente nel '68 e non riuscivano a raggiungere niente e decidevano di costruire qualche bomba almeno per togliersi qualche soddisfazione.. lo capisco perchè in questo momento ammazzerei quel carabiniere che ha picchiato quella ragazza, ammazzerei chi ha mandato dei ventenni con una pistola in mano a Genova, ammazzerei Berlusconi e i suoi sorrisi di merda in barba ad una vita spenta, manderei una bomba molto più grossa a Fede per tutte le cazzate che dice. Si è già detto che 1000 o 2000 Black Block si sarebbero potuti fermare tranquillamente, come vi ho raccontato io li ho visti scorazzare per Genova senza problemi, altri li hanno addirittura visti parlare con la polizia, e questa invece carica e ammazza di botte le tute bianche colpevoli solo di voler fare una manifestazione pacifica e armati solo del proprio corpo. Facile quando si ha tuta protettiva, maschera antigas, casco, manganello e pistola, e ti preoccupi di un sasso?