G8
Genova Commenti e testimonianze Raccolta di articoli,
interviste e lettere di alcuni testimoni degli
avvenimenti successi a Genova durante le giornate del G8.
Sono stati tutti raccolti da internet navigando nei siti
ufficiali dei vari giornali e associazioni che hanno dato
spazio alle vicende. Alcuni di questi articoli sono stati
pubblicati dalla stampa, mentre altri sono semplici
e-mail di chi vuole raccontare ciò che è successo.
Molte lettere sono in forma anonima, dato il
coinvolgimento in atti giudiziari. Chi volesse
approfondire può trovare su Internet ancora tanto
materiale. Ci hanno tenuti quattro ore
in piedi, davanti a un muro, senza poterci muovere, a
gruppi di quattro o cinque persone. Quando ho provato a
girarmi, mi sono preso un pugno nello stomaco, poi un
altro, fino a non resistere. Inizia così il racconto di
E.S. uno studente di 19 anni che abita con la famiglia
nel quartiere genovese di Sturla. Venerdì sera, dopo la
morte di Carletto Giuliani, suo amico, dice di essere
stato picchiato a sangue dai celerini, prima in corso
Gastaldi, vicino al luogo della sparatoria, e poi dentro
la caserma del IV Reparto Mobile di Bolzaneto. Il giovane
racconta che il centro della polizia è stato trasformato
in un lager sudamericano, un luogo di tortura che gli
ricorda soltanto i film sulle carceri turche. "Un
agente che all'ospedale Galliera mi aveva sentito urlare
"non voglio più vedere la polizia", mi ha
riconosciuto a Bolzaneto, e più volte mi ha chiamato
zecca, merdaccia; mi ha detto "sei ancora integro e
sano" e mi ha tirato un pugno sul naso, mentre gli
altri ragazzini in divisa mi sputavano addosso, mi davano
calci". Dalla caserma del reparto mobile sarebbero
passati quasi tutti gli arrestati, che poi sono stati
smistati nelle carceri di Pavia, Alessandria, Vercelli,
Milano. Ma anche quelli finiti poi nella casa
circondariale di Marassi, a Genova. "A Bolzaneto,
chiuso il cancello scorrevole, ci hanno fatto scendere
dalle camionette e ci hanno schierati nel cortile interno
- dice il giovane genovese, che si è preso una
manganellata in testa durante il corteo, chiusa con 22
punti di sutura all'ospedale Galliera. Qui, nella
questura di Bolzaneto, siamo rimasti fino alle tre del
mattino, senza alcun avvocato. Gli uomini in divisa
picchiavano come se fossero sotto effetto di droghe.
Confesso, io ho visto tante persone sotto effetto di
sostanze stupefacenti, e questi poliziotti erano così.
Sembravano drogati". La madre di E. dice di essere
sconcertata per quanto è accaduto: "Soprattutto, mi
chiedo come possano avergli rubato anche il referto
rilasciato dall'ospedale Galliera". Hanno paura
nella casa di Sturla, tanto che la famiglia non ha ancora
presentato denuncia. Il padre ha saputo che il figlio
avrebbe insultato i poliziotti, dicendo "Non voglio
più vederli, non fatemi più vedere la polizia".
Ancora non ha deciso se presenterà denuncia. <<<<>>>> Mi hanno detto: devi
obbedire sennò ti stupriamo. A.G.K., tedesca di 21 anni,
ha l'arcata dentale anteriore sfondata. Per tre giorni è
stata cercata disperatamente dalla madre. Ieri è uscita
dal carcere di Voghera. E' stata portata a Bolzaneto. I
celerini le avrebbero detto di tutto: "Puttana,
adesso ti sistemiamo noi". All'avvocato Riccardo
Passeggi, del Genoa Social Forum, A.G.K. ha detto che ad
un certo punto ha avuto paura di essere stuprata. Anche a
lei non sarebbero stati risparmiati calci e sputi. Ha
dichiarato ai magistrati: "Ci hanno fatto attendere
nel cortile e prima di prenderci le impronte digitali e i
dati anagrafici, ci hanno massacrati". La ragazza ha
detto di essere stata catturata mentre tentava di
scappare durante le cariche della polizia, ma di essere
estranea agli scontri e agli atti di vandalismo. Racconta
di essere stata portata in un posto di cui non conosce il
nome. Ricorda però il cancello bianco scorrevole e il
cortile interno. Alla Diaz i giovani fermati, ritenuti
responsabili dei disordini, venivano caricati sulle
camionette con destinazione Bolzaneto: il
"purgatorio". Stesso destino per i feriti,
appena medicati e dimessi dal pronto soccorso dei tre
ospedali cittadini (San Martino, Galliera e
Sampierdarena) qualche giorno prima allestiti di tutto
punto per affrontare l'emergenza. Anche la ragazza
tedesca ha rilasciato le stesse dichiarazioni agli
avvocati del Gsf: "Nel cortile ci hanno tenuti in
piedi per tantissime ore, insultandoci, gridandoci
bastardi tedeschi". Qualcuno sarebbe stato costretto
a gridare "viva il duce". Da indiscrezioni
sembra che la giovane tedesca vestisse con una maglietta
nera e sospettata di appartenere al gruppo dei black
bloc, gli anarchici che hanno sfasciato la città,
incendiato auto e banche, lanciato pietre e molotov
contro i celerini. <<<<>>>> Continuavano a colpire
cantando Faccetta Nera e un inno a Pinochet A.D., 26
anni, fotografo freelance di Roma. Capelli castano chiaro
lunghi, occhi blu. Ha un piede fratturato, una costola
incrinata. Il viso tumefatto, il corpo pieno di lividi.
Il suo racconto è lucido e concitato. "Mi portano a
Bolzaneto verso le 16.30 di sabato. Sono già stato
pestato a sangue dalla guardia di finanza mentre scatto
alcune foto dei black bloc. Arrivo alla caserma in
camionetta, assieme a una ventina di fermati. Ho le mani
legate, lacci neri di plastica, molto stretti. Il
benvenuto: ci lanciano fuori dal pullman e iniziano
manganellate e insulti. "Perché non provi a
chiamare Bertinotti o il tuo amico Manu Chao?". La
colonna sonora dell'orrore è una cantilena, i celerini
la sanno a memoria. Adesso anch'io l'ho imparata,
purtroppo: "un due tre, viva Pinochet, quattro
cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il
negretto non commuove". Finisco nell'ultimo stanzone
della caserma. Mi tocca una nuova dose di calci e pugni.
Rimango a terra, non posso più alzarmi: ho il piede
fratturato, la costola dolorante. Vedo uno spettacolo
dell'orrore: una ragazza svedese viene portata via per i
capelli, i celerini spengono le sigarette sulle mani di
un francese. Un ragazzo si fa la pipì addosso per la
paura o perché non ce la fa più. Nessuno di noi si può
muovere. Un agente corpulento entra nella stanza e inizia
a massacrare un ragazzo perché "l'ho visto in
piazza che mi insultava". Pochi minuti dopo passa un
carabiniere che raccomanda ad altri due: "Quelli
della celere è meglio non farli entrare". Ma il
peggio inizia quando arriva la polizia penitenziaria: non
ho mai visto tanta violenza in vita mia. Si infilano i
guanti neri imbottiti e per un'ora non smettono di
menare. Continuo a sognare un tizio che viene sbattuto
contro il muro e lascia sulla parete un rigagnolo di
sangue. Finalmente, verso le 4 di mattina partiamo per il
carcere di Alessandria. Ancora qualche botta. Poi la
pace, se di pace dopo l'inferno si può parlare".
A.D. è stato rilasciato lunedì sera. E' assistito
dall'avvocato Simonetta Crisci. Adesso è a casa sua, non
riesce a dormire, oggi andrà in ospedale. Né in
caserma, né a Bolzaneto ha potuto avere un referto
medico. Sporgerà denuncia per gravi lesioni volontarie.
"Voglio un processo per ciò che è successo a
Bolzaneto dice . Deve essere qualcosa di esemplare, di
cui parlerà tutta l'Europa". Gli sono stati
"sequestrati" i dodici rullini che aveva
scattato prima del "lager". Ma i ricordi sono
impressi nelle sue cellule, ormai. Dice: "Saprei
riconoscere tra mille i miei torturatori". <<<<>>>> Racconto di un giornalista
inglese pestato durante il blitz di sabato notte:
"Ho finto di essere morto continuavano a
picchiarmi" GENOVA - "Mai visto
fare una trasfusione di un litro e mezzo di sangue a una
palla da football? Beh amico, quel pallone ce l'hai
davanti agli occhi". Un polmone bucato, qualche
costola in frantumi, un paio di denti in meno. Gli
mancano un mucchio di pezzi a M.C. , 33 anni giornalista
inglese, ma non il tradizionale "humour" della
sua terra. Oggi può scherzare ma l'incubo iniziato
sabato notte è finito solo mercoledì mattina, quando
l'avvocato Filippo Guiglia gli ha comunicato che il suo
arresto non era stato convalidato. Del resto sarebbe
stato strano, visto che M.C. a Genova non ha partecipato
a nessuna manifestazione. Racconta questo ed altro dalla
sua stanza del reparto di chirurgia toracica
dell'ospedale San Martino. Gli hanno diagnosticato un
pneumotorace, ma di nascosto dalle infermiere si fuma una
sigaretta. D'altra parte, a uno che i carabinieri che
hanno preso a calci credevano morto, un po' di catrame
nei polmoni non fa più paura. A lui, come a decine di
altre persone di quel sabato cileno una sola domanda: che
cos'è successo? "E' successo che sono diventato un
'human football', un pallone umano - risponde -. Ero in
mezzo alla strada, proprio davanti al cancello della
scuola Diaz, quando sono arrivate le camionette. E ci
sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano
i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi
addosso, ho mostrato la tessera da giornalista (è
l'inviato di Indimedia uk., un network on line di
informazione alternativa con diverse edizioni, compresa
quella italiana, tra i più seguiti, ndr). Mi hanno
colpito subito con i manganelli. Poi uno con lo scudo mi
ha schiacciato contro il muro e l'altro mi ha riempito di
botte ai fianchi". E' solo l'inizio del racconto che
ieri pomeriggio M.C. ha ripetuto in diretta ai microfoni
della Bbc. "Mi dicevano in inglese - continua - 'you
are blackblock, we kill blackblock' (tu sei un black e
noi ti uccidiamo). A quel punto sono caduto mezzo svenuto
e ho visto che il furgone stava sfondando il cancello
della scuola. Ero a terra e loro continuavano a prendermi
a calci. Correvano da una parte e mi mollavano un calcio.
E' lì che sono diventato un pallone". Sky, questo
è il suo soprannome, tira il fiato e aggiusta il
tubicino del drenaggio. Il sangue esce dal polmone e cola
in un boccione. "Pensavo che sarei morto e così ho
fatto finta di esserlo - prosegue il giornalista -. Un
carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi
altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli
altri. Menavano ancora. Mi ha salvato un medico o un
infermiere, tra i primi arrivati che ha detto basta,
basta e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel
dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso".
Perché? "Perché ricordo - dice M.C. - che ero lì
sulla barella e la polizia voleva portarmi all'infermeria
militare (alla caserma di Bolzaneto, ndr). Ma due dottori
si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo
ringrazio davvero, forse sarei morto". Dopo?
"Dopo niente - risponde il reporter britannico -.
Sono svenuto, credo, e mi sono svegliato il mattino. E
sono stati altri tre giorni duri. Stavo male e non mi
facevano vedere nessuno. Ho incontrato solo il console
(Alan Reuter, console generale di Milano, ndr)". La
liberazione è arrivata mercoledì mattina. Il giudice e
l'avvocato stavano per iniziare l'interrogatorio di
convalida dell'arresto quando è arrivato un fax dal
tribunale. Un altro giudice aveva già deciso di non
convalidare l'arresto (ancor prima dell'interrogatorio) e
M.C. è tornato ad essere un cittadino libero, ferito, ma
combattivo. "Ho detto al console che farò denuncia
- spiega - perché non è possibile che una cosa del
genere accada in un paese che si dice democratico. Come
hanno potuto accusarmi di essere un Black Block. Io non
ho nemmeno visto una manifestazione. Sono stato sempre
chiuso al terzo piano della scuola, dove c'era il News
Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie
che arrivavano dalle piazze e dalle strade. Non pensavo
andasse a finire così". <<<<>>>> Genova, un poliziotto
racconta cosa è successo nella caserma del Gruppo
operativo mobile di polizia penitenziaria. La notte dei
pestaggi a Bolzaneto il lager dei Gom. "Calci,
pugni, insulti: i diritti costituzionali erano sospesi. E
dicevano: tranquilli, siamo coperti". Un poliziotto
che presta servizio al Reparto Mobile di Bolzaneto, e di
cui Repubblica conosce il nome e il grado ma che non
rivela per ragioni di riservatezza, racconta la
"notte cilena" del G8. "Purtroppo è tutto
vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l'odore di quelle
ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non
veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è
cominciata una settimana prima. Quando qui da noi a
Bolzaneto sono arrivati un centinaio di agenti del Gruppo
operativo mobile della polizia penitenziaria". E' il
primo di uno dei molti retroscena sconosciuti del
drammatico sabato del G8. Il nostro interlocutore ammette
che "nella polizia c'è ancora tanto fascismo, c'è
la sottocultura di tanti giovani facilmente
influenzabili, e di quelli di noi che quella sera hanno
applaudito. Ma il macello lo hanno fatto gli altri,
quelli del Gom della penitenziaria". E il pestaggio
sistematico nella scuola? "Quello è roba nostra.
C'è chi dice sia stata una rappresaglia, chi invece che
da Roma fosse arrivato un ordine preciso: fare degli
arresti a qualunque costo. L'intervento lo hanno fatto i
colleghi del Reparto Mobile di Roma, i celerini della
capitale. E a dirigerlo c'erano i vertici dello Sco e
dirigenti dei Nocs, altro che la questura di Genova che
è stata esautorata. E' stata una follia. Sia per le
vittime, che per la nostra immagine, che per i rischi di
una sommossa popolare. Quella notte in questura c'era chi
bestemmiava perché se la notizia fosse arrivata alle
orecchie dei ventimila in partenza alla stazione di
Brignole, si rischiava un'insurrezione". La
trasformazione della caserma di Bolzaneto in un
"lager" comincia lunedì con l'arrivo dei Gom,
reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex
generale del Sisde, e già protagonista di un durissimo
intervento di repressione nel carcere di Opera. Appena
arrivati - vestiti con le mimetiche grigio verde, il
giubbotto senza maniche nero multitasche, il cinturone
nero cui è agganciata la fondina con la pistola, alla
cintola le manette e il manganello, e la
radiotrasmittente fissata allo spallaccio - prendono
possesso della parte di caserma che già alcune settimane
prima del vertice era stata adattata a carcere, con
annessa infermeria, per gli arrestati del G8. La palestra
è stata trasformata nel centro di primo arrivo e di
identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono
portati qui, chi ha i documenti li mostra, a tutti
vengono prese le impronte. A fianco alla palestra, sulla
sinistra, accanto al campo da tennis, c'è una palazzina
che è stata appositamente ristrutturata per il vertice
ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio.
All'ingresso ci sono due stanzoni aperti che fungono da
anticamera. Qui, la notte di sabato, fino a mattina
inoltrata di domenica, staziona il vice capo della Digos
genovese con alcuni poliziotti dell'ufficio e qualche
carabiniere. "Quello accaduto alla scuola e poi
continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei
diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a
parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono: che
tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo
coperti". Quella notte. "Il cancello si apriva
in continuazione - racconta il poliziotto - dai furgoni
scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti
stare in piedi contro i muri. Una volta all'interno gli
sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno
pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta
nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la
stavano a guardare. Alle ragazze minacciavano di
stuprarle con i manganelli... insomma è inutile che ti
racconto quello che ho già letto". E voi, gli
altri? "Di noi non c'era tanta gente. Il grosso era
ancora a Genova a presidiare la zona rossa. Comunque c'è
stato chi ha approvato, chi invece è intervenuto, come
un ispettore che ha interrotto un pestaggio dicendo
"questa non è casa vostra". E c'è stato chi
come me ha fatto forse poco, e adesso ha vergogna".
E se non ci fossero stati i Gom? "Non credo sarebbe
accaduto quel macello. Il nostro comandante è un duro ma
uno di quelli all'antica, che hanno il culto dell'onore e
sanno educare gli uomini, noi lo chiamiamo Rommel".
Che fine hanno fatto i poliziotti democratici?
"Siamo ancora molti - risponde il poliziotto - ma
oggi abbiamo paura e vergogna". <<<<>>>> Intervista ad un
ispettore dei Gom, il gruppo operativo della polizia
penitenziaria. "Mai visto tanto dolore" "A
Bolzaneto era la celere a pestare i prigionieri" ROMA - "Ce li
consegnavano pestati, sanguinanti, qualcuno piangeva,
altri urlavano, altri ancora erano impietriti dalla paura
e con gli occhi pesti. Un ragazzo straniero aveva i
testicoli rotti dai calci, mi sembrava fosse tedesco, non
ho mai visto tanto dolore sulla faccia di una persona. Ma
noi non c'entriamo nulla: portavamo quei ragazzi in
carcere così come ci arrivavano dai gabbioni della
polizia. Due li abbiamo ricoverati in ospedale".
Intende dire che i fermati erano stati ridotti in quelle
condizioni dalla polizia? "Io non ho visto pestaggi
con i miei occhi ma neppure potevo visto che stavo sempre
chiuso dentro l'ufficio matricola. Spesso mi affacciavo
nel corridoio che portava ai gabbioni della polizia
distanti almeno cinquanta metri dal mio ufficio, sentivo
urli e pianti dal fondo della palestra, ma non potevo
vedere". Cori e inni a Pinochet? "No, sentivo
urlare. Ma non so dire perché. C'era tanta gente e tanta
confusione. Era una situazione molto particolare.
Bisognava esserci per capire. Gli arrestati sono stati
288 ma da Bolzaneto, in tre giorni, sono passate più di
500 persone: molti sono stati mandati via dopo ore di
fermo. Erano finiti lì per sbaglio". L'ispettore
Paolo Tolomeo è in forza al Gom, il gruppo operativo
mobile della polizia penitenziaria, il reparto scelto del
Dap che secondo alcuni poliziotti sono stati "i veri
aguzzini" di quel lager chiamato Bolzaneto, la
caserma del sesto reparto mobile della polizia di stato.
Ispettore, lei era in servizio a Genova durante il G8?
"Io sono stato in servizio alla caserma Bolzaneto
dalla mattina del giorno 17 a mezzogiorno di lunedì 23
luglio. E per tre giorni, venerdì, sabato e domenica non
sono mai smontato dal servizio se non per un paio
d'ore". Dunque un testimone diretto. Un poliziotto
accusa il suo reparto, il Gom, di essere stato il vero
responsabile dei macelli a Bolzaneto. "Dare la colpa
alla polizia penitenziaria è spesso la cosa più facile.
Ora le spiego perché quello che dice l'agente di ps è
tecnicamente impossibile". Dica. "Il Gom e gli
agenti della polizia penitenziaria sono stati inviati a
Genova, in tutto duecento persone, con l'unico incarico
di provvedere alla immatricolazione e traduzione dei
detenuti. Noi non siamo mai stati impiegati in ordine
pubblico per strada e a Bolzaneto, territorio della
polizia di stato. Avevamo il divieto di occuparci dei
fermati. Noi li prendevamo in carico dopo ore che stavano
ammassati in trentaquaranta dentro i gabbioni. Da noi
arrivavano dopo l'identificazione e quando l'ufficiale di
polizia giudiziaria aveva scritto il verbale di arresto.
A quel punto passavano all'immatricolazione, si
comunicava in quale carcere sarebbero andati a finire e
venivano sottoposti a visita medica". Dunque non
c'erano contatti o zone miste fra voi e la polizia?
"Assolutamente no. Direi quasi che c'era una specie
di limite invalicabile, territoriale e
professionale". E' difficile immaginare quello che
dice visto che eravate tutti nello stesso ambiente, molto
grande ma pur sempre lo stesso edificio. "Dentro la
grande palestra della caserma sono stati costruiti,
apposta per il G8, nove gabbioni, celle con tanto di
sbarre, tutte in dotazione della polizia e tutte
destinate a trattenere i fermati prima
dell'immatricolazione. La polizia penitenziaria aveva
altri due gabbioni accanto all'infermeria gestita da tre
medici e sei infermieri. Qui i giovani ormai arrestati
aspettavano per andare verso le carceri di Alessandria e
Pavia. E qui, solo qui, noi della polizia penitenziaria
potevamo entrare". Quanto tempo passava
dall'arrivo dei fermati a Bolzaneto al passaggio
all'ufficio matricola, cioè sotto la vostra
giurisdizione? "Dipende, in certi momenti, venerdì
pomeriggio, sabato pomeriggio e sabato notte, anche otto
nove ore. I blindati della polizia scaricavano trenta,
quaranta persone per volta". Numeri che raccontano
veri e propri rastrellamenti. "I numeri sono
questi". Un giovane arrestato dice che agenti della
polizia penitenziaria si sono infilati guanti neri
imbottiti e hanno picchiato per un'ora. "Noi non
avevamo guanti neri, solo quelli bianchi di
lattice". Una ragazza ha raccontato di essere stata
minacciata di stupro dai Gom. "I Gom in servizio a
Bolzaneto erano sei per turno. Gli altri erano normali
agenti di polizia penitenziaria e addetti al servizio
traduzioni". Lei è mai entrato in un gabbione?
"Nei nostri. Per quello che ci riguarda abbiamo
offerto acqua, sigarette e cercato di tirarli un po' su
di morale. Qualcuno sarà stato anche un duro ma i più
sembravano ragazzini morti di paura". Vi accusano di
perquisizioni violente, ad esempio piercing strappati dal
naso e capelli lunghi rasati di colpo. "I piercing
sono stati tolti con la pinzetta dal medico. Così come i
braccialetti di spago ai polsi sono stati tagliati con le
forbici. Capisco che anche queste sono violenze ma il
regolamento penitenziario impone di non portare in cella
certe cose". Perché vi accusano? "I ragazzi
avranno confuso le divise. La polizia cerca di scaricare
su di noi ma siamo gli unici a non aver fatto nulla" <<<<>>>> Quelle che seguono sono
alcune considerazioni e una breve cronaca di una parte
del corteo dello spezzone della Rete di Lilliput Trentino
basate su quanto gli occhi hanno potuto vedere, e il
corpo toccare. Innanzitutto due parole sul cosiddetto
Black Block, nome mediatico così simile a
uno snack e, come gli snack, non sai mai quello che
contiene: groppucoli di chasseurs D.O.C., ma, secondo
molte testimonianze, ci dicono anche filmate, veri e
propri infiltrati al servizio delle forze dell'ordine,
con l'ovvio scopo di dividere i manifestanti, creare
incidenti allo scopo di giustificare una brutale
repressione poliziesca su tutto il corteo (come è
accaduto), screditare il movimento globale fatto di
centinaia di migliaia di persone venuto a Genova per
manifestare contro una politica economica, in gran parte
USA, che nel mondo provoca milioni di vittime e disastri
ecologici. Ed in effetti alcuni tic di questi disfattisti
rivelavano per lo meno qualcosa di strano: a cominciare
dal look mediatico così troppo preciso e omologato a un
luogo comune: berrettino simil lana nero, fazzoletto tipo
bandana che da metà naso scendeva fino alla gola,
camicia o maglioncino rigorosamente nero, un po' di
libertà lasciata ai pantaloni, scarpe o tipo anfibio o
agili nikers, tra le quali perfino qualche paio di Nike.
In mano, come da copione, bastoni, assi di legno. Un
rigoroso cliché estetico che prendeva poi forma
nell'infrangimento di auto e qualche vetrina di banca,
come se i crimini di queste (speculazione sulle spalle
dei paesi più poveri, amplissimi finanziamenti al
mercato delle armi, eccetera) si potessero annientare
distruggendo loro un vetro uno sportello bankomat, tutte
cose tra l'altro coperte dalle assicurazioni che queste
banche sicuramente avranno. Ma anche dando per buona la
genuinità di questi folkloristici personaggi, nulla
giustifica la violenza delle forze dell'ordine su TUTTI i
manifestanti, dai più pacifici dei pacifisti agli
autonomi, agli anarchici, passando per partiti politici,
i sindacati, i lavoratori curdi, greci, i gruppi tematici
italiani e stranieri, e tutte le centinaia di realtà
diverse che animavano il corteo. E così, non si possono
che pensare due cose: o le forze dell'ordine erano
impreparate, inesperte, emotivamente fragili, disordinate
e scoordinate, o, cosa più probabile, hanno seguito un
preciso progetto politico all'illusorio scopo di fermare
un movimento globale sempre più numeroso, motivato,
forte, appoggiato nelle critiche e nelle proposte da gran
parte dell'opinione pubblica. Ed è così che si possono
spiegare le due situazioni di cui siamo stati testimoni
fisici. La prima c'è stata quando
il lunghissimo corteo stava percorrendo il lungomare. In
testa al corteo si vedevano fumi di cassonetti bruciati e
molti lacrimogeni che disegnavano in cielo linee curve di
fumo, per poi ricadere sui manifestanti in prima linea.
Il corteo si ferma, aspetta che gli scontri finiscano
prima di ripartire. Qualche passo in avanti, poi molti
indietro perché i lacrimogeni sparati dalle forze del
(dis) ordine sembrano avvicinarsi. Si indietreggia
lentamente, per evitare la calca, perché la situazione
sembra governabile: nelle prime linee ci sono scontri, la
polizia vuol far desistere i facinorosi coi lacrimogeni,
basta indietreggiare un po', aspettando che i tafferugli
finiscano. Del resto il corteo, decine, centinaia di
migliaia di persone, era lontano da queste zone di crisi,
sul lungomare, incolonnato. Il nostro spezzone era circa
a metà di questo corteo, in un blocco compatto di
trentini. Improvvisamente i lacrimogeni sparati sembrano
avvicinarsi, si avverte il loro odore, la loro presenza,
e s'indietreggia in modo più rapido, finché la
situazione degenera in una calca generale, provocata
dalle forze dell'ordine che continuavano a lanciare i
candelotti sul pacifico corteo che stava indietreggiando
per allontanarsi. E' il caos, la fiumana di
persone rende vano ogni tentativo di spostamento
incontrollato, i lacrimogeni cadono dal cielo sempre più
numerosi, sempre più vicini, indietro, avanti, in mezzo
a noi. La pelle brucia, gli occhi bruciano, il fumo
blocca il respiro, qualcuno cade a terra, non si sa che
fare, dove andare. Una decina di minuti d'inferno. Usciti
non so come da quel caos , siamo rimasti in due, in
attesa della prossima sventura nella terra di Colombo. E
l'uovo della violenza premeditata delle forze dell'ordine
arriva poco dopo, quando parte del gruppo si era
ritrovata e attraverso una piccola stradina tremendamente
in salita, tipica del paesaggio urbano di Genova, stava
cercando di raggiungere gli altri compagni attraverso una
via apparentemente sicura. Giunti in cima alla salita,
vediamo arrivare correndo un paio di giovani con
caschetto in mano che gridano Sparano!
Sparano! dopo qualche indecisione, iniziamo a
correre, ma dopo qualche istante arrivano a pericolosa
velocità due camionette della polizia che inchiodano
davanti a noi. Da esse balzano fuori un gruppo di Rambo
armati e imbottiti d'ogni genere di protezione che ci
fanno inginocchiare. Uno di loro grida (ogni cosa che
dicevano era un grido animalesco, invasato) in una sorta
di romanesco Adesso vi facciamo vede' quanto siamo
fascisti!. Molti di noi gridano Ma siamo
pacifisti, non potete prendervela con noi, o cose
inutilmente simili. Ma che pacifisti di
merda! è una delle risposte, ci accusano di aver
distrutto la città, ci gridano che il compagno morto il
giorno precedente l'avevamo ucciso noi. La loro maschia
cavalleria risparmia per fortuna le donne, dalle quali ci
fanno separare, anche se uno di loro stava iniziando a
porgere fiori manganellanti al gentilsesso. No, le
donne NO!, lo ferma il meno peggio del gruppo. Il
che ci fa capire che per noi estremisti violenti di
Lilliput la sorte era segnata. A turno ci manganellano
ordinatamente sulle braccia, qual che democratico calcio
con gli anfibi sulle costole, giustizievoli colpi col
parabraccio. Qualche ragazza piange, ma per chi si gira
la manganellante democrazia è più solida. Le bandiere
multicolori con la scritta PACE, sullo
sfondo, sembrano guardarci grottescamente. Ci perquisiscono gli zaini,
chiedono i documenti ma poi neanche li guardano. Intanto
arriva un altro gruppo inseguito da un'altra camionetta.
Questi, ahimè, erano per giunta stranieri, e subiscono
sorta ben peggiore della nostra, perché tentano di
scappare. Li buttano sul muro, facce sbattute sul cemento
calci che non si contano. A uno di loro viene trovata una
maschera antigas (ce l'avessimo avuta anche noi, quando i
lacrimogeni piovevano in mezzo al corteo!), i calci lo
colpiscono in faccia, il manganello sembra un battipanni
sui capi che a Genova non si potevano stendere. Un
ragazzo reo di avere i capelli rasta viene sollevato per
i capelli e preso a calci da tre di questi robocop
statali, al grido di Questo è da parte di
Genova. Un altro viene trovato con un oggetto atto
ad offendere, ovvero una maglietta di Che Guevara:
Hai la maglietta del Che, eh? e giù altre
prove di democrazia e di controllo della situazione.
Ringrazio l'ignoranza di questi bambocci che non si sono
accorti che la mia maglietta, in inglese, era contro
McDonald's. E così, sotto la minaccia
di un'altra carica, e forse grazie alle grida di alcuni
abitanti (Bastardi picchiatori! e simili)
accorsi al balcone, ci lasciano fuggire. E chissà quante
situazioni simili o peggiori in giro per la città,
pensiamo. Al di là delle manganellate d'occorrenza, la
cosa che più ci ha lasciato stupefatti, era l'odio che
portavano dentro, la rabbia, gli occhi fuori dalle orbite
con le pupille ristrette, in una situazione non certo di
guerriglia urbana. Ci piacerebbe sapere qual è il
training di questi personaggi così simili a cocainomani,
a buttafuori di discoteca imbottiti di anfetamine. Ci
piacerebbe sapere come lo stato, le forze dell'ordine, li
addestrano, li istigano a simili stati alterati di
coscienza. Speriamo che qualcuno, da qualche parte, abbia
documentato queste gratuite violenze. Ad alcuni di noi,
pur non avendo fatto fotografie, è stata presa la
macchina fotografica, tolto il rullino, gettato via
l'apparecchio. Ma cosa rimane, dopo aver
fatto questo rendez-vous con la democrazia del governo
Berlusconi fatta di lacrimogeni e manganellate? Da una
parte amarezza, perché sia che si sia trattato
d'imprudenza, esaltazione, impreparazione, che di astuta
e vigliacca premeditazione, si tratta comunque di una
sconfitta per la democrazia. D'altra parte, la certezza
che non sarà qualche livido color mare o un po' di
bruciore agli occhi a cambiarci la testa. La
manifestazione di Genova ci ha fatto capire due cose: che
siamo in tanti e che da parte degli stati non c'è
volontà di dialogo, al di là di un nauseante buonismo
di facciata fatto di vuote parole o sterili discorsi sui
poveri. I lacrimogeni disperdono un corteo, ma le idee e
la determinazione sono sempre al loro posto. I morti e
gli sfruttati nel sud del mondo, la distruzione di natura
e cultura sono sempre in atto, e vivono nei sorrisi
inebetiti degli otto grandi inebriati dai
flash e dei grandi , e unici, interessi economici che
difendono. A loro la triste constatazione che per tutti
noi (tranne ovviamente che per i finti Black Block visti
dare ordini alle forze del (dis)ordine ) il controvertice
non era che un appuntamento. Il nostro terreno,
imbattibile, è l'azione quotidiana. Ad essa brindiamo. <<<<>>>> La mia modesta testimonianza
su quello che ho vissuto in prima persona a Genova: ad
ognuno le sue conclusioni. Ore 11.30, arriviamo a Nervi
con qualche preoccupazione dopo quello che era successo
il giorno prima, ma determinati a manifestare
pacificamente le nostre idee. Da Pisa una carovana di 15
autobus, ma sull'autostrada una carovana senza fine di
autobus da ogni parte di Italia. C'è il sole, una
giornata splendida, tantissima gente si mette in fila per
raggiungere il punto di partenza della manifestazione in
piazza Sturla, ma in realtà siamo già in corteo tanta
è la gente che si mette in marcia dal punto di sbarco
dagli autobus. Una mezz'oretta e siamo in piazza Sturla:
davanti a noi un serpentone di cui non si vede la testa,
dietro noi un serpentone di cui non si vede la coda. La
preoccupazione non c'è più: siamo tanti, nessun casco,
nessuna spranga, niente di niente. Un elicottero dei
carabinieri volteggia ininterrottamente su di noi a
vegliare che tutto proceda senza disordini, i pochi
genovesi rimasti si affacciano alle finestre e ci
salutano simpaticamente, l'atmosfera è rilassata e
gioiosa. Come può succedere qualcosa in questo contesto
? Ad un certo punto vediamo un camioncino un centinaio di
metri avanti a noi, fermo in mezzo al serpentone. Intorno
tanti punti gialli, rossi e
blu
..sono caschi
; Marco borbotta
la sua perplessità, non gli piace. Ci avviciniamo, loro
sono fermi (forse 100-150 persone ?), il corteo gli sfila
davanti ai lati. Gli elicotteri della polizia (se n'è
aggiunto uno) continuano a volteggiare. Ci avviciniamo
ancora, diventa chiaro che da quel camioncino si stanno
scaricando altri caschi, spranghe, brandine da utilizzare
come scudi, maschere anti-gas. La nostra preoccupazione
aumenta, così come quella di tutti i gruppi che
continuano a sfilare ai lati cercando di mettere quanto
più spazio possibile fra il corteo pacifico e chi assai
evidentemente è qua con ben altre intenzioni. Ci
guardiamo intorno, gli elicotteri continuano a
volteggiare e filmare, ma non si vede né polizia, né
carabinieri, niente di niente
..e intanto il
camioncino ha finito di scaricare e sta facendo manovra
per tornare indietro e dileguarsi; la sera apprenderemo
dal TG3 che quel camioncino è stato fermato e
sequestrato (lo riconosciamo perché il TG3 mostra le
immagini filmate da uno degli elicotteri che volteggiava
sopra di noi
.), ma quando ormai vuoto ha già
fatto il suo dovere di rifornire gli animali.
Qualcuno apostrofa gli animali, qualcun altro
si chiede se non sarebbe il caso di intervenire noi
corteo pacifico visto che le forze dell'ordine a quanto
pare hanno deciso di non intervenire. Ma che possibilità
abbiamo noi pacificamente disarmati e completamente
impreparati a qualsiasi tipo di violenza ?? Ci sono
vecchi, giovanissimi, qualche handicappato in
carrozzina
.con che coraggio possiamo pensare
di fermare 100-150 animali pronti a dare
battaglia ?? E se scoppia il casino qua chi interviene a
difenderci ?? La preoccupazione comincia ad aumentare e
con essa la rabbia verso gli animali ma anche
verso chi dovrebbe difendere il diritto democratico di
manifestare pacificamente, e invece ha deciso di
limitarsi ad osservare dall'alto. Cerchiamo di
allontanarci più possibile, ma ad un certo punto non è
più possibile andare avanti, siamo in coda al corteo;
qualcosa dobbiamo fare
.e allora organizziamo un
cordone umano che isoli il corteo pacifico da
infiltrazioni probabilissime di animali
provocatori da dietro e riusciamo a mantenerci ad una
ventina di metri dagli animali. Cerchiamo di ritrovare
tranquillità; dei simpaticissimi anziani genovesi ci
gettano acqua da un balcone
.è caldissimo e dal
corteo parte un applauso; dalla strade laterali sulla
destra (a sinistra abbiamo un muro che con un salto di
6/7 metri ci divide dalla spiaggia) vediamo muraglie di
poliziotti a qualche centinaio di metri. Allora ci sono !
Passiamo davanti ad una caserma dei carabinieri: qualcuno
abbozza un assassini, assassini, ma niente
più
.e allora di nuovo la preoccupazione comincia a
lasciare spazio all'ottimismo e alla soddisfazione di
essere in tantissimi a manifestare pacificamente le
nostre idee. Cominciamo a non preoccuparci più di tanto
degli animali alle nostre spalle: in fondo il cordone
funziona, infiltrati non ce ne sono e la distanza fra noi
e loro è tale da permettere agli elicotteri che
ininterrottamente (e giustamente !) continuano a
volteggiare e filmare sopra di noi di vedere chiaramente
la differenza fra gli animali dotati di caschi colorati,
spranghe, brandine e noi corteo pacifico. Si canta, si
prende il sole, si procede lentamente, di tanto in tanto
si sbircia in coda e ci si tranquillizza; qualcuno
comincia a parlare di tafferugli in piazza Kennedy, un
paio di chilometri davanti a noi, ma rimaniamo ottimisti
e fiduciosi. Certamente altri gruppi di animali, ma
certamente isolati dal resto del corteo, quindi
facilmente identificabili e attaccabili dalla polizia. Il
corteo si arresta (evidentemente ritardato dai tafferugli
in testa), ci sediamo. Intanto alla nostre spalle
qualcosa succede: la polizia si è finalmente schierata
scendendo da una strada laterale. Ovviamente si
posizionerà fra la coda del corteo pacifico e gli
animali isolandoli e disperdendoli
..tanto
più che gli elicotteri sono ora molto bassi sopra gli
animali e certamente stanno dirigendo le operazioni
dall'alto. Davanti a noi vediamo solo gente seduta,
almeno fin dove possiamo arrivare con lo sguardo, dal
momento che qualche centinaio di metri più in avanti la
strada curva leggermente sulla destra, o almeno così
pare. Inspiegabilmente (almeno fino a quel momento
)
qualche organizzatore del GSF comincia a parlare con il
corteo dai lati, in modo che tutti sentano: dicono di
come comportarsi in caso di lacrimogeni, di non farsi
prendere dal panico, di come respirare, di come ridurne
l'effetto, ecc. ecc. Molti si guardano pensando ma
che cavolo ci viene a raccontare? Gli animali sono
dietro isolati, noi siamo seduti tranquilli e pacifici (e
d'altra parte anche se fossimo in piedi ben difficilmente
dagli elicotteri potrebbero pensare che abbiamo
intenzioni bellicose), quindi si tratta di aspettare che
in piazza Kennedy la polizia disperda gli animali e la
marcia riprenderà. Unica preoccupazione, il sole a picco
e l'acqua che comincia a scarseggiare, ma sopravviveremo
! Poi, improvvisamente del fumo qualche centinaio di
metri avanti a noi
.restiamo seduti, non
realizziamo, ma qualcuno comincia ad urlare alzate
le mani, alzate le mani. Le alziamo capendone fino
ad un certo punto il motivo
.a chi dovremmo
arrenderci e per cosa ??? Però comincio a guardarmi
intorno
..a sinistra il muro a picco sul mare, a
destra un muro a picco verso case qualche metro più in
alto
.davanti non si può procedere, dietro la
polizia che isola gli animali (o almeno è quello che
pensavamo)
.non gli verrà mica in mente di lanciare
lacrimogeni ? Ma perché poi dovrebbero ? Però il fatto
che ormai sia chiaro che qualche centinaio di metri
davanti a noi stiano gettando lacrimogeni non ci lascia
completamente tranquilli
.ma piazza Kennedy non è
qualche chilometro distante da noi ?? Ad un certo punto
uno scoppio
.penso: ecco che quelli stronzi animali
dietro di noi cercano lo scontro con la polizia gettando
un petardo. Poi un altro scoppio, e un altro, e un
altro
..il fumo dei lacrimogeni ci avvolge, altri
scoppi, uno a qualche centimetro dai miei piedi, fuggi
fuggi, non si respira, impossibile tenere gli occhi
aperti, urla, non si capisce più niente, non si sa quale
direzione prendere
.la mia unica preoccupazione
tenere Francesca per mano e cercare in tutti i modi di
non cadere per non rischiare di finire
calpestati
incredulità, rabbia, paura, sforzo di
razionalità per salvare la pelle
..altri scoppi,
altro fumo
..corriamo indietro, si urtano altre
persone, si rischia di cadere, ma si cerca di correre,
sperando di aver preso una direzione sensata
.altri
scoppi, altro fumo, si sente piangere, urlare
basta, basta, sgomento perché non si sa
quanto durerà ancora, gli occhi scoppiano, la pelle
brucia da matti, si respira affannosamente
..poi ad
un certo punto gli scoppi cessano
si smette di
correre, ci si guarda intorno
.gente che piange,
gente che si tiene la testa grondante sangue (i
candelotti dei lacrimogeni fanno molto male, specialmente
quando te li sparano dagli elicotteri !), gente che urla
un medico, un medico, gente stesa per terra,
un paio di handicappati in carrozzella che si stringono
al muro verso il mare piegati tentando di proteggersi in
qualche modo
.poi piano piano la testa comincia di
nuovo a pensare, e allora ci accorgiamo che ormai i
pacifici e gli animali sono lì mischiati, si rivedono di
nuovo caschi e bastoni e allora realizzi che la polizia
non aveva isolato il corteo dagli animali, ma li aveva
spinti verso il corteo ! E allora tutte le certezze si
sfasciano e lasciano posto all'amarezza e ad una rabbia
indicibile ma silenziosa, perché troppo intima per
essere espressa
.e una miriade di dubbi
cominciano ad affacciarsi. Ti riviene in mente il
camioncino, ti riviene in mente che te eri lì a
manifestare pacificamente, ti riviene in mente che eri
lì ad esercitare un diritto democratico garantito dalla
costituzione, ti riviene in mente che per collaborare con
le forze dell'ordine hai fatto il massimo che ti si
poteva chiedere (isolare il gruppo di animali), ti
riviene in mente che in una frazione di secondo ti sei
ritrovato da seduto con le braccia alzate a fuggitivo con
il gas negli occhi, sulla pelle, nei polmoni ridotto a
dover animalescamente ridurti a pensare
egoisticamente solo a te stesso per non fare la fine del
topo. Tralascio il seguito della mia giornata, fra cui il
fatto che dopo tutto quello che era stato fatto per
disperdere il corteo, senza nessuna distinzione fra
pacifici e non, gli animali si siano tranquillamente
riorganizzati (tanto loro avevano le loro belle
mascherine anti-gas, scaricate da quel fottuto camioncino
nella mattinata !) avviandosi su via Zara (in direzione
Marassi), dove di nuovo fatti bersaglio di lacrimogeni
dagli elicotteri e caricati dal basso dalla polizia hanno
sfasciato tutto quello che gli si parava davanti
.ma
di nuovo con un varco davanti a loro verso cui proseguire
nella loro folle marcia violenta con gli elicotteri della
polizia a controllare e filmare dall'alto
.e i
poliziotti dal basso preoccupati di mantenerli incanalati
e ormai isolati da un corteo che ormai era sciolto e
disperatamente sulla via del ritorno ognuno nell'intimo
della propria rabbia e frustrazione. Mi sono sforzato di
riportare quello che ho vissuto: ad ognuno le sue
convinzioni. Personalmente ora più che mai
scenderò di nuovo in piazza
.. Un abbraccio a tutti
quelli che a loro volta l'hanno vissuto sulla loro pelle
! <<<<>>>> Mi chiamo P.,scrivo da
Perugia. Sono tornato da GE nella notte dell'infamia,
dopo due giorni pieni di esperienze e incontri belli e
interessanti,e altri due passati a scappare su e giù per
la città, e l'angoscia che ho provato in quei due giorni
non mi ha ancora lasciato. Ero arrivato alle 9 del 18
luglio, perchè oltre alle manifestazioni mi interessava
molto il Global Forum, sono arrivato senza problemi
all'info point di piazzale Kennedy, dove ho chiesto
indicazioni per piazzare la tenda in un posto
possibilmente tranquillo e non troppo distante, a causa
delle mie condizioni di salute: ginocchia malandate al
punto da non poter più correre, e il morbo di Werlhof, a
causa del quale ho valori di piastrine nel sangue tanto
bassi che un colpo in testa (per es. una manganellata) ha
ottime probabilità di causarmi un'emorragia cerebrale.
Di sicuro non sono andato a GE per fare casino, ma
perchè, anche se con paura e preoccupazione lo sentivo
come un dovere civico, un imperativo morale. Sono stato
mandato a Valletta Cambiaso, un parco vicino al lungo
mare a circa tre km da piazzale Kennedy: appena arrivato
mi sono subito reso conto che il campo era autogestito,
nessun rappresentante del GSF, e quasi nessuno che
parlasse italiano; ho messo la tenda in uno dei pochi
posti rimasti, nel viale centrale del parco, in mezzo a
tende e furgoni di quelli che sembravano i soliti
campeggiatori tedeschi, attrezzatissimi e
organizzatissimi.Tra di loro il colore dominante era il
nero. Erano tranquilli, alcuni di loro mi hanno anche
prestato attrezzi per montare la tenda e mi ha un
po stupito il fatto che, mentre io avevo lasciato a
casa il martello di gomma per piantare i picchetti per
non dare pretesti alla polizia in caso di controlli, loro
erano forniti di martelli da carpentiere molto grossi...
Il 19 ho cominciato a chiedermi come mai nessuno di loro
usciva dall'accampamento, nessuno partecipava alle
attività del Forum, nè ne avevo visti ai concerti del
18; poi uno dei miei amici che erano appena arrivati mi
ha spiegato che era meglio cambiare posto, che lì in
mezzo ci poteva essere gente pericolosa: purtroppo quella
sera è venuto giù il diluvio, e ho dovuto rimandare
alla mattina. Alle 8 del 20 mi ha svegliato un gran
trambusto: intorno a me iniziavano i preparativi alla
battaglia, un centinaio di tute nere intente a preparare
protezioni artigianali ma efficaci e leggere per arti e
tronco, bastoni, spranghe, tubi, bottiglie; molti di loro
erano molto giovani, c'erano anche molte ragazze, tutti
con una calma incredibile si stavano scrivendo sugli arti
i numeri di telefono. Intanto altri Black Block
affluivano nel campo dall'ingresso nord, credo che in
totale fossero un duecento. Ho buttato la tenda com'era
in macchina, ho chiesto a una trentina di loro di
spostarsi, e me ne sono andato pensando con tristezza a
quanti di loro sarebbero stati massacrati al confine
della zona rossa. Ancora non avevo capito che quella
gente non era interessata alla zona rossa, e che la gente
massacrata sarebbe stata quella pacifica. Da notare che
il 18, il 19 e il 20 i genovesi passavano tranquillamente
in mezzo all'accampamento (dove comunque c'era anche
tanta gente pacifica, molti di Attac-France), molti con i
cani al guinzaglio, inoltre sono passati quelli del
comune e della nettezza urbana, e la mattina del 20 hanno
visto quello che ho visto io; infatti il TG2 domenica ha
detto chiaramente che i cittadini in questione avevano
tempestivamente riferito alle forze dell'ordine dei
preparativi alla battaglia, MA NIENTE! Già la mattina
del 19 c'era stata una prima scaramuccia all'ingresso
nord del parco, e la sera sotto la pioggia un attacco,
credo con molotov, alla grossa caserma di polizia che
stava a non più di cento metri(!!) da Valletta Cambiaso.
COME MAI LE COSIDDETTE FORZE DELL'ORDINE HANNO FATTO
FINTA DI NIENTE? COME HANNO FATTO LE TUTE NERE A USCIRE
DAL CAMPO SENZA ESSERE INTERCETTATE? CHE CAZZO FACEVANO
GLI ELICOTTERI CHE CI HANNO SORVOLATO CONTINUAMENTE PER
TRE GIORNI? DORMIVANO TUTTI? Nemmeno la sera del
20, con tutto quello che era successo, si è pensato di
andare a stanare i neri, a quel punto noti a tutti. Ma
forse le forze dell'ordine (ah ah) stavano risparmiando
le forze per le infamità del giorno e della notte
successivi..... Un ultima cosa:il 21, a fine corteo, in
piazza Ferraris, alla sinistra del palco c'erano alcuni
esponenti Ds umbri, assessori comunali e regionali: erano
lì per caso, in gita turistica,o cosa? A titolo
personale, forse? Per loro c'erano le
condizioni? Ma si sa, ultimamente i Ds sono un pò
confusi........ <<<<>>>> Venerdì 20 luglio, poco
dopo le 13, mi trovavo all'altezza di piazzale Kennedy,
all'entrata delle strutture del Genoa Social Forum, ormai
pressoché deserto. A circa 100 metri a levante ( via
Rimassa ) arrivava la testa del corteo proveniente da
Piazza Paolo da Novi che aveva già percorso via Torino
"accompagnato" dalle azioni dei cosiddetti
Black Block. Mentre il corteo, con in testa i Cobas, si
fermava e in parte rientrava nell'area del GSF non più
di VENTI persone vestite di nero spaccavano
sistematicamente tutte le vetrine dei portici
immediatamente a levante di Piazza Rossetti. La polizia,
schierata a circa 200 metri di distanza (subito a ponente
di Piazza Rossetti) assisteva assolutamente immobile e
senza muovere i mezzi blindati che aveva alle spalle. Il
corteo era fermo, non partecipava alla distruzione, le
persone con cui ho parlato erano allibite. La scena si è
protratta per una decina di minuti. Non si sapeva ancora
che in altri punti della città ci sarebbero state
cariche su persone pacifiche ed inermi. E.G. Imperia <<<<>>>> Sono un'insegnante di scuola
elementare di 51 anni, sposata con due figli di 27 e 28
anni. Desidero raccontare i miei
tre giorni di partecipazione alle manifestazioni anti-G8.
Tutta la famiglia ha partecipato con entusiasmo alla
manifestazione dei migranti tenutasi a Genova il giorno
18 c. m. e siamo tornati a casa soddisfatti. Il primo
giorno della manifestazione dei migranti, eravamo tutti
molto tesi e preoccupati, la gente arrivava numerosa e
man mano gli animi si sono distesi, tra noi mamme con
bambini, ragazzi buffi con parrucche coloratissime,
gruppi con tamburi, canti , danze corde con mutande
appese: il tutto molto coreografico. Man mano che si
procedeva con il corteo, a parte qualche fischio, si
incominciava a ridere, a ballare e a divertirci. La
manifestazione era riuscita ed eravamo più del previsto.
L'indomani avremmo ancora partecipato, ma, siccome i
gruppi erano diversamente distribuiti nei quartieri del
Centro, avremmo dovuto scegliere la zona dove recarci.
Muniti di cartine, messe a disposizione dei manifestanti,
abbiamo deciso di unirci al corteo della rete Lilliput e
della bottega solidale. Li' avremmo trovato degli amici
ed anche preti che conosciamo delle parrocchie di Genova.
Arrivati in Piazza Manin il giorno 29 alle ore 12 circa,
avevamo avuto sentore di tafferugli in altre zone della
città ad opera di alcune frange violente. Io e mia
figlia guardavamo in giro piuttosto incuriosite, il clima
non mi era sembrato particolarmente teso e ingannavamo
l'attesa di partire con il primo corteo sporcandoci le
mani con la pittura bianca in segno di pace ed
osservavamo alcuni ragazzi che disegnavano su grandi
fogli bianchi creando una specie di tappeto che dalla
Piazza sii srotolava verso Via Assarotti, la via che
porta a Piazza Corvetto sbarrata dalle grandi reti e
protetta da un cordolo di poliziotti armati di scudo,
casco, pistole e bastoni. Verso l'una abbiamo cominciato
a dirigerci in corteo verso le reti; tutto intorno
ragazzi con striscioni, palloncini colorati ed una
mutanda enorme disegnata su un lenzuolo che due ragazzi
facevano passare correndo sulle nostre teste, mentre noi
dovevamo abbassarci velocemente e si rideva moltissimo.
Arrivati quasii alla fine della via Assarotti, la
maggioranza dei manifestanti si sono seduti per terra,
mentre alcune donne tenendosi per mano e cantando hanno
chiesto ai poliziotti se potevano passare per toccare la
rete. I poliziotti erano piuttosto tesi, ma non
apparivano indisposti e ci hanno detto di passare un po'
alla volta. Rassicurate dal loro atteggiamento io con
alcune ragazze ci siamo avvicinate, mentre qualcuno
continuava a danzare ed altre appendevano cartelloni e
striscioni, come segno simbolico, per dire semplicemente
che non si era d'accordo su quelle enormi grate, segno
inquietante di scarsa democrazia. I poliziotti
vicinissimi a noi non sembravano aggressivi, anzi si
sussurrava tra la gente che quel tale ( non voglio dare
troppi particolari sulle caratteristiche fisiche
per non metterlo in difficoltà con i suoi capi) è dalla
nostra parte, nel senso che capiva i motivi del
manifestare. Lho guardato bene, era
vero, i suoi occhi sorridevano, non aveva certamente
paura di noi che eravamo lì armati solo dalla voglia di
farci vedere, di farci notare. Poi mi sono diretta,
sempre in compagnia di mia figlia e sue amiche, nella
piazzola attigua protetta anch'essa da reti. Noi
guardavamo ad una distanza di circa 50 metri. Dopo pochi
minuti un gruppo di manifestanti sii sono avvicinati alla
grata ed un ragazzo con dei fiori in mano è riuscito ad
arrampicarsi in cima alla rete, per poi ridiscendere
subito dopo, mentre altre due ragazze tentavano di
arrampicarsi con delle corde senza riuscirci ; si stava
creando un po' di confusione e c'era agitazione, ma erano
dimostrazioni soltanto e puramente simboliche, che non
potevano produrre nessun danno, se non agli stessi autori
di tanto ardire. Ed è stato in quel momento che ho
sentito dire da quel famoso poliziotto che era tra noi
:"Se fate un varco, passiamo e ce ne andiamo"
Allora io mi sono messa a gridare le stesse parole alle
persone vicine a me: lasciateli passare, se ne vanno!
Cosi' in pochi secondi questi poliziotti hanno fatto la
cosa più intelligente, si sono spostati verso il fondo
della piazza senza alzare un dito. I manifestanti
continuavano con le loro azioni simboliche, senza
nessun'altra arma che dei fiori e due corde, verso la
presa, metaforica s'intende, della Bastiglia, ma dopo
brevi istanti i poliziotti dall'altra parte della rete
hanno cominciato ad usare gli idranti e subito dopo
hanno lanciati i lacrimogeni. C'è stato un fuggi, fuggi
generale ed io ho cominciato a correre verso una stradina
che portava verso Piazza Manin, mentre gli occhi si
gonfiavano, la gola bruciava intensamente e qualcuno
dalla finestra mi ha passato un pezzo di limone per
lenire il bruciore.Il cuore mi batteva forte, ma non era
successo niente di grave e dentro di me ero grata a quell
poliziotto che era riuscito a tenere calmi i suoi .Tutto
sembrava più che tranquillo in piazza Manin, addirittura
accanto al panificio che era aperto (l'unico nell'area di
chilometri) era stato preparato un piccolo palco con
sopra strumenti musicali ed alcuni ragazzi si sono messi
a suonare e cantare. All centro della piazza vi erano
alcuni banchetti, fra questi quello della bottega
solidale. Li' ho incontrato un carissimo amico che però
mi ha detto di stare attenta perché sarebbero arrivati
gli anarchici. Ho girovagato per la piazza ma non ho
notato segni di inquietudine, allora mi sono diretta
verso il panificio aperto per acquistare qualcosa da
mangiare, ho scherzato tranquillamente con una signora di
Como e si è parlato della manifestazione del giorno
precedente. Mentre era ormai arrivato il mio turno, nel
negozio entra trafelata mia figlia e mi chiede di
sbrigarmi. Io non do troppo peso alla sua tensione e
finisco di comprare con la massima tranquillità. Appena
uscita dal negozio, squilla il cellulare, è mia figlia
che urla di portarmi dall'altra parte della piazza
perché sono arrivati " i neri" e sono tra noi
,proprio dove ero io. Guardo bene e noto dei ragazzi
vestiti di nero, riconoscibili al solo sguardo, armati di
spranghe e con i fazzoletti sul viso per non farsi
riconoscere, c'è molta agitazione, io non trovo mia
figlia e comincio a cercarla tra la folla mentre altri
ragazzi cercano di mandare via questi "neri".
Trovo mia figlia agitatissima che mi fa segno di salire
velocemente sulla sella della vespa e di corsa ci
spostiamo dall'altro lato della piazza. Qui incontriamo
due amici di famiglia, marito e moglie di circa
quarant'anni di età, a vederli mi si allarga il cuore,
si fanno due battute per sdrammatizzare, però si decide
frettolosamente: mia figlia e le sue amiche portano in
salvo le vespe proseguendo verso Corso Firenze, così ci
separiamo. Nel frattempo arriva la Polizia, non vedo più
i Black Block e la gente comincia a correre. I poliziotti
lanciano i lacrimogeni e noi tre, insieme ad altri che si
sono uniti al piccolo gruppo, cominciamo a salire lungo
una scalinata. Il mio amico dice di stare calmi, di non
correre, intanto mi ricomincia a bruciare la gola e gli
occhi. Mentre saliamo una gentile signora mi dice che è
un medico, di non fregarmi gli occhi e amichevolmente mi
porge un po' d'acqua per lenire nuovamente il bruciore.
E' la seconda volta, nel giro di un'ora o poco più, che
mi becco i lacrimogeni, intanto ci arrampichiamo verso il
Righi, la zona alta di Genova, arrancando preoccupati.
Una rabbia mi attanaglia la gola e mi metto a urlare:
Cosa credono di fare? Stanno rovinando tutta la nostra
manifestazione, sono dei maledetti, ma chi ce li manda?
Forse la stessa Polizia? Mentre urlo disperata, la mia
amica mi prende per un braccio e mi dice: Zitta, zitta,
sono qui! Guardo bene e davanti a me, vicinissimi, due,
tre ragazzi vestiti di nero, uno alle mie parole si
ferma, mi rivolge uno sguardo durissimo e per un momento
temo mi voglia picchiare, allora deglutisco e giro la
testa altrove. Il ragazzo se ne va, continuiamo a
camminare e notiamo altri quattro ragazzi vestiti di
nero, tra cui una ragazza, che, sicuri, si arrampicano
sulle aiuole in salita tagliando e abbreviando il
percorso, mentre noi ed altri gruppi che incontriamo ci
guardiamo disorientati e proseguiamo lungo la strada
asfaltata. Cominciano le telefonate con i cellulari. I
miei amici sono in contatto telefonico anche con persone
che stanno seguendo in diretta tv la manifestazione; il
loro figlio è in un altro corteo e cercano di sapere
cosa sta succedendo. Ci informano di non scendere, per il
momento, verso piazza Manin perché i disordini
continuano. Sono molto preoccupata: mia figlia è giù
vicino alla piazza, mio marito deve raggiungermi, ma è
in ritardo. Finalmente squilla il cellulare, mia figlia
mi rassicura che non le è successo niente e mi invita a
scendere piano piano. Gruppetti di gente disorientata
vaga qui e là senza sapere cosa fare esattamente e
qualche straniero chiede come poter raggiungere il
centro. Non sono in grado di spiegare bene, ma ci pensano
altre persone, in ogni caso l'unica via di fuga è verso
l'alto . Si ritorna verso piazza Manin, mi affretto
perché voglio vedere se trovo i i miei familiari ;
finalmente arrivo in piazza mentre mia cognata mi
telefona allarmata e mi raccomanda di non proseguire
verso l'ospedale evangelico perché i Black Block hanno
spaccato tutto. Trovo mia figlia e mio marito che è
attonito e quasi in lacrime per quello che ha visto:
vetrine in frantumi, macchine bruciate,. Nel gruppo di
persone che vagano noto una signora sulla sessantina con
la testa completamente fasciata, mi avvicino e le chiedo
cosa le è successo. Mi racconta che ,mentre io ed altri
correvamo verso il Righi, lei ed altre donne si sono
tenute per mano cercando di fermare quei ragazzi
"neri" i quali sono scappati (allora capisco
che molto probabilmente sono quelli che ho visto e che
correvano verso l'alto insieme a noi e che ad un certo
punto si sono dileguati). A quel punto è arrivata la
polizia che invece di correre dietro a questi gruppetti
di devastatori ha caricato loro, donne totalmente
indifese che sono state prese a manganellate dai
poliziotti. Risultato: una testa rotta e diversi contusi.
Ho visto un ragazzo straniero con un ematoma sanguinante
sulla spalla destra grosso come un'arancia che scrollava
la testa , mentre una ragazza cercava di soccorrerlo. Non
potevo credere ai miei occhi, ma come! La polizia non è
in grado di fermare piccole bande di ragazzi, tutti
giovanissimi e riconoscibili anche a distanza, mentre
carica addirittura noi pacifisti, donne anche anziane e
giovani del tutto inermi.Davanti a tanta violenza mi sale
la rabbia. No, non ci credo! Prima ho visto quei
poliziotti che mi sembravano bravi ragazzi; possibile che
non abbiano capito che non siamo noi i i devastatori? Le
lacrime mi scendono giù per le gote, nonostante cerchi
di controllarmi. Sembra ritornare una relativa calma che
dura poco perché pochi minuti dopo riappaiono nuovamente
alcuni teppisti, ma questa volta molte persone, tra cui
molti uomini, li affrontano senza paura e gridando li
allontanano. Cosa si può fare di più? Le notizie che ci
giungono sono sempre più preoccupanti: la città è
messa a ferro e fuoco da queste bande che scorrazzano
indisturbate spostandosi velocissime da un posto
all'altro. In piazza sono rimaste poche persone, ci
sediamo qualche minuto su un muretto per cercare di
capire cosa fare. Intanto veniamo a sapere che il Sindaco
Pericu ed Agnoletto ci vogliono tutti in Piazza Kennedy.
La voce si sparge e vediamo un gruppo di circa 50, 60
persone che innalzano una croce colorata e si dirigono
verso la Foce .Anche noi decidiamo di recarci in
assemblea nel piazzale Kennedy, mentre mia figlia rimane
con le sue amiche in piazza Manin. Lo scenario che
vediamo subito dopo è impressionante: cassonetti della
spazzatura rovesciati che ostruiscono il passaggio, auto
bruciate, negozi sconquassati, vetri ovunque. Ora abbiamo
veramente paura! Polizia non se ne vede, ci dirigiamo
verso Brignole, ma il tunnel che dovrebbe portarci li' è
bloccato dai poliziotti che ci fanno nervosamente segno
di tornare indietro senza alcuna spiegazione; cambiamo
strada e proseguiamo e ci troviamo in mezzo ai Black
Block ancora una volta mentre scagliano pietre e si
spostano veloci girando indisturbati. Un'altra
volta un odore terribile di lacrimogeni. Ma come? La
polizia ci ha mandato in mezzo a loro invece di
proteggerci? Come è possibile? Da una parte la polizia
ci respinge, dall'altra i Black Block
distruggono.Incontriamo i nostri amici che erano partiti
prima di noi, loro sono a piedi e ci incoraggiano ad
andarcene. Vorrei portarli con me, ma non posso. Si
ritorna indietro, è impossibile raggiungere la zona
della foce. Proseguiamo verso corso Firenze, raggiungiamo
l'abitazione di altri amici con i quali siamo
rimasti in contatto telefonico e finalmente siamo al
sicuro. Sono sfinita, delusa, affranta, addolorata e
arrabbiata contro la polizia che invece di difenderci ci
ha messo in pasto al lupo e per giunta carica la gente
comune che manifesta pacificamente. Mi rifiuto di
pensare che i poliziotti siano così imbecilli. Due le
riflessioni: o la polizia è stata completamente incapace
a gestire la situazione, o questi sono utilizzati per non
rendere credibili agli occhi dell'opinione pubblica le
ragioni del nostro manifestare. Nel frattempo abbiamo
saputo che un ragazzo è morto, forse è uno spagnolo.
Via via che il tempo passa veniamo anche a sapere che i
nostri familiari sono al sicuro e che a noi personalmente
non è successo niente di grave, ma quello che ho visto
è veramente sconcertante. Siamo in guerra!! Nonostante
tutto decidiamo insieme a tutti i nostri amici, per lo
più coetanei, di partecipare alla manifestazione del
giorno seguente per dare un segnale, per dire a questa
gente che non ci fanno paura e che abbiamo il diritto di
manifestare il nostro dissenso. L'indomani si riparte:
questa volta ci dirigiamo in gruppo, sette persone su
quattro vespe, una in fila all'altra e arriviamo presso
Marassi per posteggiare i mezzi. Ci incamminiamo a piedi
verso Corso Torino, con noi si aggiunge una giornalista
del Corriere Mercantile alla quale racconto cosa è
successo il giorno prima. Lei prende nota e poi ci
salutiamo. Arriviamo davanti a piazzale Kennedy. Tutto
sembra di nuovo tranquillo. Io ed una mia amica decidiamo
di utilizzare i WC che sono in fondo al piazzale. Al
nostro ritorno lo scenario è cambiato, ci sono gruppi di
persone che stanno aspettando il corteo proveniente da
Sturla ed in mezzo ragazzi strani con il foulard sul viso
per non farsi riconoscere. Vedo mia figlia che sta
parlando con uno di loro, è un tedesco ma lei sa
abbastanza bene parlare inglese e cerca di farlo
ragionare dicendo che non si può essere violenti. I toni
sono accesi, le sto vicino, io e mio marito ed ad un
certo punto il ragazzo la sposta con un braccio e
raccoglie la pietra che mia figlia gli aveva impedito
poco prima di prendere mettendoci il suo piede sopra. Finito il diverbio ci
allontaniamo e la tensione sale; arriva il corteo,
vediamo Bertinotti ed il gruppo di Rifondazione,
decidiamo di seguire loro mentre tutto intorno gli uomini
più robusti cercavano di non far entrare i casseurs.
Camminiamo prima in silenzio, poi battiamo le mani
scandendo un ritmo preciso, sappiamo di essere in tanti,
si parla di 200 mila persone, forse anche di più. Ad un
certo punto una ragazza col megafono ci invita a sederci
tutti per terra, ci sono scontri in testa ed in coda al
corteo. Vedo ragazzi e uomini adulti che cercano di
sbarrare l'accesso dei Black Block dalle stradine
laterali, poi la gente comincia a spostarsi bruscamente,
ci si alza, sembra che sia successo qualcosa, alcuni
"neri" sono ai lati e tentano di dividerci.
Qualcuno comincia a guardare se c'è una via di fuga e a
correre, io che sono seduta in mezzo ad una aiuola salto
sul lato della strada, ma un amico mi dice di stare
calma, è tutto sotto controllo. Abbiamo il cuore in gola
e piano piano il corteo si muove di nuovo e riusciamo ad
arrivare in Piazza Galileo Ferraris, dove la
manifestazione si chiude. E' un fiume di gente, ma le
notizie sono sempre più allarmanti: scontri,
devastazioni, gente picchiata dalla polizia. Il corteo è
stato diviso in più parti. Decidiamo di tornare indietro
lentamente seguendo la folla; ad un certo punto siamo in
una stradina laterale e vediamo alcuni Black Block girare
indisturbati. Più avanti la polizia, sembra che ne abbia
preso uno, lo tengono per mano ma non è assolutamente
ferito. Il suo sguardo mi comunica sorpresa, non paura.
E' un ragazzino di 15-16 anni, lo guardo bene e potrei
riconoscerlo senza esitazione. Sul ponte pattuglie di
poliziotti stanno cercando di reagire, ma non capisco
perché non stanno seguendo i ragazzi devastatori che
sono a pochi metri da noi. Saliamo sulle vespe
precipitosamente, incuranti del casco, l'unico desiderio
è scappare. C'è una grande confusione; ci sono i soliti
segni del passaggio dei devastatori ed altri sembra che
stiano arrivando. Scappiamo verso Piazza Manin e ad un
certo punto ci troviamo di fronte a 6-7 Black Block che
ci guardano, qualcuno ridendo ma ci lasciano passare.
Slalom tra loro con le vespe ed il cuore batte a mille.
Finalmente siamo di nuovo a Principe e ci rifugiamo in
casa dei nostri amici. Sono letteralmente sgomenta,
provata e piango per molto tempo scaricandomi così della
tensione accumulata. A tarda sera ritorniamo a casa
angosciati ma sicuri che tutto ormai è passato. Sono
circa le due di notte, mio marito accende la tivù e
atterrita vengo a sapere del blitz nella scuola Diaz.
Quello che si sente dal cellulare di un cronista sono le
grida disperate dei ragazzi aggrediti dalla polizia ed il
rumore di un elicottero e sirene di ambulanze. La tivù
ci informa che è stato vietato l'accesso a tutti:
parlamentari, giornalisti, medici, avvocati. Allora
capiamo: lì c'era tutto il materiale informativo:
fotografie e riprese su quanto è successo. La polizia ha
prelevato tutta la documentazione e poco dopo sentiamo la
voce di un responsabile della Questura che cerca di
tranquillizzare dicendo che ci sono solo una decina di
feriti, ma che molti erano già feriti negli scontri in
piazza. Bugia tremenda: i feriti sono decine e decine,
così come gli arrestati. Al mattino presto vengo a
sapere che un nostro amico dell'ARCI ha ricevuto verso
l'una e mezza una telefonata dove una ragazza chiedeva
aiuto e gridava: " Ci stanno massacrando!!".
Sono corsi in tanti ed il resto lo sapete
Cosa dire? Angoscia, paura,
terrore, sgomento sono i sentimenti che mi attanagliano.
Ora desidero solo una cosa! Dire a tutti la verità e
cosa è successo veramente. Spero che la mia
testimonianza possa servire a qualcosa e comunque sono
pronta a ripetere a voce ciò che ho scritto cercando di
essere obbiettiva ed onesta. La sensazione comunque è
quella di essere stata vittima di una tremenda
repressione: quella più dura mai subita negli ultimi
trenta anni e la volontà da parte del governo di
tapparci la bocca. Finisco con domande che possono
servire da riflessione a tutti quelli che non credono a
ciò che è successo veramente. Perché una donna come
me, più che matura, dovrebbe mettere in pericolo la
propria incolumità fisica e ad acconsentire che anche i
suoi familiari rischino di prendere delle botte dalla
polizia o dai casseur? Non sarà che con grande
determinazione e passione si voglia lottare per una
società più giusta, più equilibrata? Non è che ora,
dopo questi fatti, si debba lottare anche per
salvaguardare la libertà di espressione e di pensiero?. T.V. <<<<>>>> Ciao a tutti.. questo è
tutto quello che ho vissuto a Genova in questi giorni..
non ci sono nomi di persone ma solo iniziali.. qualcuno
di voi si riconoscerà all'interno del racconto.. 18/07/2001 Sono circa
le 21 quando arriviamo alla stazione di Brignole, sembra
tutto molto tranquillo, c'è solo da decidere se andare a
dormire al campo sportivo Carlini o allo Sciorba, il
primo pare indubbiamente più vivace, ci sono
le tute bianche, il secondo più tranquillo. Decido con
P. di provare a dormire la prima sera nel secondo e in
caso passare al Carlini il giorno seguente, per vivere
più da dentro la contestazione. Il campeggio
non sembra male, ci sono pure le docce e dormire
sull'erba mi sta più che bene. Ma c'è da fare in
fretta, a p. Kennedy ci aspetta il concerto di Manu Chao,
l'ho visto solo sei giorni prima, ma non vedo l'ora di
essere ancora sotto al palco. Finito il concerto tutti
verso i campi sportivi con autobus speciali, ripenso al
concerto, se l'inizio è questo mi aspettano 4 giorni
favolosi.. 19/07/2001 Giovedì, al GSF,
si tengono degli interventi sulla globalizzazione,
parlano Bovè, Agnoletto e tanti altri, mando un sms ad
un'amica.. qui è fantastico.. Ma ho già
quasi finito l'unico rullino che mi ero portato, andiamo
con P. a zonzo per la città alla disperata ricerca di un
rullino di riserva, durante la caccia riusciamo a trovare
un supermercato aperto e facciamo rifornimento di
limoni.. non si sa mai.. Quando oramai non ho più
speranze, trovo un piccolo studio fotografico gestito da
un simpaticissimo rifondarolo che ci racconta le sue
impressioni di genovese sulla città.. non ha mai avuto,
in 50 anni, il marciapiede di fronte al negozio senza
nessuna macchina. Ci dice che il Duce (come chiama lui
Berlusconi) toglie addirittura il gas alla zona rossa in
certe ore. Ora che abbiamo il rullino ci avviamo verso
l'inizio della marcia dei migranti, ci accodiamo ad un
gruppo di Attac e conosciamo F. un simpatico siciliano.
Sembra che siamo in 50 mila in corteo, vedo la
Francescato in testa con i verdi.. verso la coda vedo
Diliberto.. preso un po' di mira da qualcuno per il suo
appoggio ad un governo complice della guerra
umanitaria in Kosovo. La polizia è schierata nelle
strade secondarie.. ma non succede niente.. è una marcia
pacifica al grido di Genova libera,
mutande, mutande o hasta la victoria
sempre. Qualcuno sente sussurrare da qualche forza
dell'ordine annoiata peccato che siano così
pacifici.. speravo di rompere qualche ossa.. La
sera piove, quindi niente festa e a nanna presto.. tutti
un po' umidicci. 20/07/2001 E' il giorno
delle diverse forme di manifestazione nelle diverse
piazze di Genova. Sono impegnato fino all'una con
Greenpeace, poi corro verso il centro di Genova. Appena
sceso dall'autobus vedo del fumo nero.. mi precipito lì
con un pass stampa e la mia macchina fotografica, è un
auto data alle fiamme. Mi dirigo verso la zona degli
scontri, c'è la polizia che lancia lacrimogeni verso un
gruppo di circa 500 persone, vestite in nero.. poi
scoprirò chi sono.. il Black Block. Alla carica della
polizia questi scappano e al loro passaggio distruggono
tutto ciò che trovano (una signora impreca mentre
osserva la sua auto rovesciata e data alle fiamme),
giungo in una piazza e non riesco più a vederli, chiedo
a dei giornalisti, si sono divisi, decido di
seguire uno dei due gruppi, quello che si infila sotto la
galleria che conclude corso Torino e erige barricate al
termine di questa, l'altro gruppo, capirò in seguito..
si dirige verso il corteo che proviene dal Carlini. In
questi frangenti un poliziotto con una faccia da boia
spruzza me ed altri giornalisti con lo spray irritante al
peperoncino.. passo 10 minuti di inferno, non respiro,
non ci vedo.. il limone serve a ben poco.. riesco a
raggiungere una fontana ma con l'acqua mi brucia ancora
di più. E' facile vedere da dove sono passate le
tute nere lasciano una scia
riconoscibilissima.. riesco ad intrufolarmi tra le
barricate alla fine della galleria e a raggiungerli, sono
preoccupato di una possibile carica della polizia alle
mie spalle ma non succede niente. Uscito dalla galleria
comincio a fotografarli mentre si sfogano con i simboli
del capitalismo.. soprattutto banche e macchine costose,
rischio anche un po' perchè ad un certo punto mi si
avvicina una tuta nera con aria minacciosa
NO FOTO!!.. obbedisco.. per un po'. Continuo
a seguirli.. arrivano ad un supermercato, un discount, lo
scassinano, entrano e prendono tutto quello che possono,
sopratutto da bere e jogurt.. molti mi sorridono o mi
offrono da bere. Una donna li spinge uno per uno, li
picchia, è questa la vostra pace? chiede..
Osservo una ragazza, mi sembra faccia parte anche lei del
Black Block, ma con lei c'è la madre ad accompagnarla,
un normalissimo genitore vestito in modo normale (poteva
essere la mia di madre) e che sembra fare solo una
smorfia quando osserva la figlia di ritorno dal
rifornimento. Molti sono stranieri, ma tanti sono
italiani e non vestiti di nero, sembrano quasi gente
giunta lì per caso e aggregatasi ai Black Block, altri
sembrano lì per caso. Tra i tanti a fare rifornimento
nel supermercato ci sono pure dei passanti, un signore
sulla 50ina con due litri di rosso appena presi mi chiede
posso?.. Proseguono passando un ponte e
arrivando ad una specie di piazza.. qui si fermano, al
mio fianco riconosco Ghezzi di Blob con una telecamera in
mano e una faccia sconcertata, per tutto questo tempo non
c'è un solo poliziotto a seguirli, possono fare tutto
ciò che credono. Trovo degli amici anche loro attirati
dai disastri del Black Block, mentre le tute nere si
disperdono (credo che a questo punto un gruppo si diriga
verso la manifestazione di Lilliput e Legambiente,
un'altro verso il Marassi) decidiamo di raggiungere il
corteo delle tute bianche e partecipare alla loro
manifestazione. Arriviamo all'incrocio tra corso Torino e
corso Buenos Aires, l'inferno. C'è un continuo tira e
molla tra forze dell'ordine e manifestanti (che
provengono da due vie convergenti e ogni tanto riescono a
ricongiungersi, prima di dover indietreggiare e poi
tentare di nuovo l'assalto), ho assistito (e subito) ad
altre cariche della polizia contro manifestanti.. ma mai
niente del genere. I lacrimogeni il più delle volte
vengono sparati ad altezza uomo, le cariche sono
disordinate e senza senso. Tento di aiutare più
manifestanti posso offrendo limone, ad uno anche un
elastico per capelli con tutti quei lacrimogeni mi
stanno diventando zizza. Anche qui mi sembra che ci
sia gente che non c'entra niente con la manifestazione ma
che ha solo voglia di fare casino, è li che salta e ride
mentre rovescia qualche cassonetto, qualcuno che ha colto
l'occasione del g8 per fare un po' di casino e divertirsi
con gli amici, ma questi non sono nel vivo degli scontri,
ad affrontare la polizia sono altri. Ad un certo punto un
cellulare resta isolato e viene preso d'assedio dai
manifestanti, ci sono ancora carabinieri al suo interno,
che riescono comunque a fuggire, ma quel cellulare è un
piccolo trofeo. Mi sposto nelle retrovie delle forze
dell'ordine.. passa qualche carabiniere che non respira
molto bene per tutti i lacrimogeni che ha lanciato,
qualcun'altro che zoppica per qualche botta. Uno si
toglie il casco, avrà si e no la mia età, 21 anni,
torna verso gli scontri.. poi ci ripensa e torna sui suoi
passi. Ad un certo punto acchiappano una tuta bianca, in
sei la scaraventano su un portone e cominciano a
picchiarla, calci, manganellate, pugni, sono sconcertato,
in 20 o 30 persone, tra giornalisti e passanti,
cominciamo a chiedere che la smettano, basta
urliamo con le mani alzate, lo portano dentro al
cellulare continuando a picchiarlo, ho a fianco a me un
cameraman del tg1.. sto riprendendo tutto mi
dice. Continuiamo a dire di smetterla, a quel punto ci
caricano, riescono a dare qualche manganellata a
qualcuno, una ragazza è presa da un carabiniere senza
casco e tenuta antisommossa ma in uniforme (uno di quelli
che davano ordini, ma no so di che grado), viene
scaraventata su una panchina e riceve calci e
manganellate sulla schiena, le sue grida ci attirano in
quella zona. C. le alza la maglia sulla schiena e le
versa dell'acqua, ha tre lividi rossi. Gli scontri pian
piano diminuiscono, i manifestanti indietreggiano sempre
di più spinti dai lacrimogeni e dalle cariche della
polizia fino al Carlini. Ritrovo il cameraman del tg1,
non so se manderanno in onda quelle immagini
dice avranno qualche pressione dal ministero.
Per oggi è abbastanza, decidiamo di tornare verso p.
Kennedy e lungo la strada troviamo dei passanti che
protestano con i carabinieri perchè un ragazzo che non
c'entrava niente con la manifestazione è stato picchiato
dalle forze dell'ordine. Ma con loro non si può parlare,
sono esaltati, drogati, parlano solo con il loro casco,
la tuta antisommossa e il manganello, non sanno sostenere
una conversazione sul piano delle solo parole, gente che
ha la vigliaccheria di picchiare un ragazzo in sei contro
uno, bastardi che si mettono a picchiare una ragazza che
non c'entra un bel niente.. Lungo la strada ritrovo F. e
P. e comincia a girare la notizia della morte di quel
giovane e di una possibile seconda vittima, mi chiamano
al telefonino e scopro che la polizia ha attaccato pure i
manifestanti di Lilliput. Arrivati a p. Kennedy Agnoletto
parla e racconta che anche il corteo di Attac e
Rifondazione ha subito lanci di lacrimogeni mentre
tornava al piazzale.. forse per contratto con la casa
produttrice devono spararne un tot al giorno. Gli
elicotteri continuano a passare sopra la nostra testa e
sono accolti da una marea di indici rivolti al cielo,
mentre si alza il pugno quando qualcuno grida vendetta.
Gira la voce che le tute bianche stiano ancora
combattendo contro la polizia, con altri ragazzi urliamo
corteo per liberarle dalle forze dell'ordine,
per fortuna Casarini ci informa che sono giunte al
Carlini. Pian piano la gente comincia a riunirsi nel
piazzale, gli interventi si susseguono sul palco finchè
una signora racconta le immagini che ha mostrato il tg5
sulla morte del ragazzo, gli hanno sparato e gli
sono passati sopra con la jeep. Rabbia, sconcerto,
tristezza e voglia di vendetta.. 21/07/2001 Mai viste tante
persone in una volta sola, osservo il corteo dal suo
inizio alla fine, sembra una festa, la gente dalle case
lancia acqua fresca sui manifestanti. Arrivato alla fine
risalgo velocemente con P. ma arrivati davanti p. Kennedy
ci accorgiamo che ci sono scontri, non riuscendo a
passare ci infiliamo dentro p. Kennedy, ma anche qui
piovono lacrimogeni, ci rifugiamo sugli scogli, c'è
altra gente, un ragazzo dell'organizzazione GSF ci
assicura che se stiamo lì tranquilli non ci succederà
niente. Una ci racconta che il suo ragazzo è stato preso
dalla polizia e che non ne ha notizie, non gli permettono
di chiamare nemmeno l'avvocato. Passano i finanzieri
all'interno del piazzale accompagnando di pari passo la
carica dei carabinieri in corso Italia, la gente scappa
sulla spiaggia. Tento di andare a fare foto all'interno
degli scontri ma un poliziotto mi ferma nonostante il mio
pass, quindi decidiamo con P. di aggirare quella zona e
risbuchiamo in corso Torino più avanti. Scopriamo che il
corteo è stato tagliato in due dalla carica delle forze
del disordine, per colpa dei Black Block o no, non si
capisce, e che la prima parte del corteo è giunta ignara
a destinazione, alcune frange stanno combattendo nei
dintorni, e la seconda parte del corteo è bloccata e
caricata in corso Italia. Vedo alcuni manifestanti con le
mani alzate che tentano di passare davanti alla polizia.
Mi dirigo verso gli scontri che restano nei pressi della
stazione, la solita galleria è piena di fumo.. ma la
attraverso e di là trovo due scontri, seguo uno dei due
finchè con gli idranti e i fumogeni (quanti ne ho
respirati in questi giorni) i pochi manifestanti non sono
disciolti completamente. Sono esausto, torno verso
piazzale Kennedy incontrando sul mio cammino centinaia di
manifestanti probabilmente senza meta, sono sconcertato
da quello che ho visto in questi due giorni. Con P.
decidiamo di andare a Brignole e prendere un treno per
Venezia, ho voglia di tornare a casa il più presto
possibile, via da questo inferno. In stazione vedo gente
che fa festa.. ne parlo a P., secondo me non dovrebbero
cantare scherzare ridere ballare, c'è un ragazzo che è
morto, dovrebbero essere tutti seri e incazzati.. quei
due poliziotti che girano per la stazione bisognerebbe
prenderli in massa e linciarli, mi spiega che l'anima del
movimento è comunque questa, che il morto non verrà
dimenticato e che comunque alle forze del disordine fa
molta più rabbia vederci sempre pieni di energia che
tristi e avviliti.. Si sente una canzone Non ne
possiamo più.. delle divise blu..
23/07/2001 Chiudo gli occhi e vedo polizia che carica, gli unici sogni che ricordo la mattina sono sempre collegati a Genova, se sento qualche rumore strano penso sempre a qualche fumogeno sparato, non riesco a sopportare la gente che si diverte, la gente che ride vestita bene per le strade, la gente in fila ai negozi che non sa e non ha visto quello che so e ho visto io, non capisco come non gliene possa fregare niente a nessuno di tutto questo. Tutti si preoccupano dei danni a Genova, a parte il fatto che a me può andare pure bene se i Black Block distruggono qualche banca, ma se vi preoccupate di 100 miliardi di danni andate a chiedere conto al presidente del consiglio di quanti ne ha spesi per quella supernave con tappeti rossi bicchieri di cristallo e tutti i lussi possibili (in barba ai poveri di cui tanto si interessa!!).. 6 volte tanto... e se vedo qualche poliziotto o carabiniere in giro mi viene solo voglia di picchiarlo. Se anche si dimette il ministro della difesa o il capo della polizia (cose che non succederanno mai), non cambierà comunque un cazzo nella mentalità fascista delle istituzioni e delle forze dell'ordine italiane.. comincio a capire il terrorismo degli anni '70, comincio a capire quelli che lottavano tanto pacificamente nel '68 e non riuscivano a raggiungere niente e decidevano di costruire qualche bomba almeno per togliersi qualche soddisfazione.. lo capisco perchè in questo momento ammazzerei quel carabiniere che ha picchiato quella ragazza, ammazzerei chi ha mandato dei ventenni con una pistola in mano a Genova, ammazzerei Berlusconi e i suoi sorrisi di merda in barba ad una vita spenta, manderei una bomba molto più grossa a Fede per tutte le cazzate che dice. Si è già detto che 1000 o 2000 Black Block si sarebbero potuti fermare tranquillamente, come vi ho raccontato io li ho visti scorazzare per Genova senza problemi, altri li hanno addirittura visti parlare con la polizia, e questa invece carica e ammazza di botte le tute bianche colpevoli solo di voler fare una manifestazione pacifica e armati solo del proprio corpo. Facile quando si ha tuta protettiva, maschera antigas, casco, manganello e pistola, e ti preoccupi di un sasso? |