Qualche spunto sul tema ‘globalizzazione’

Di P.L.Baglioni

di - Pier Luigi Baglioni

Dopo l’ennesima battaglia di Praga tra il così detto ‘popolo di Sattle’ e la polizia a difesa della Conferenza Internazionale del G8, Fondo Monetario Banca Mondiale degli otto paesi più industrializzati; con alcuni miei interlocutori di sinistra sostenitori della guerra alla ‘globalizzazione’ (radicale nei rifondatori comunisti e più articolata negli ex) ho cercato di imbastire una discussione laica sul tema. Mi sono accorto che il dibattito coglie poco interesse. Il problema non è far lavorare le meningi, per loro, ma i bastoni contro i poliziotti che difendono l’ordine pubblico nelle città in cui si svolgono quelle conferenze. Ove i fast food Mac Donald’s -simbolo negativo della globalizzazione- vengono sistematicamente distrutti. In ogni modo l’ostracismo concettuale alla ‘mondializzazione’ consta in pochi apodittici concetti: le multinazionali fanno la politica economica mondiale avendo asservito ai loro voleri gli otto paesi più industrializzati. Così producono e impongono cibi transgenici (scontatamente cancerogeni) per ricavarne maggiori profitti. Tutto questo sotto le insegne del ‘libero mercato’. La lotta, quindi, è per liberare il mondo dalle imposizioni mercantili che arricchiscono i paesi già ricchi ed impoveriscono quelli già poveri.Mi scrive un diessino: "Sono combattuto nei confronti del popolo (?) di Seattle: quando sento di proteste che sfociano nella violenza, di proteste contro un processo di evoluzione 'naturale' dello sviluppo umano, di proteste contro la camorra dell'economia, quando all'oscuro è il loro (del popolo di Seattle, che poi non saranno che alcune centinaia di mestieranti della protesta!) finanziamento e la loro organizzazione, non posso che denigrarli. Ma quando vedo che, nel nome delle multinazionali o di chissà quali interessi si abolisce la cioccolata naturale (es. stupido), quando sento che per certi personaggi in io non sono altro che un numero, una casella da riempire, quando sento da chi ha in mano l'economia mondiale che l'importante è il prodotto da vendere non come lo si fa (sfruttamento di bambini...), viene la voglia di far sentire la propria voce. Se lo si prende da un'altra ottica, per es. la diffusione a livello mondiale di informazioni e dati, certamente è da vedere positivamente. Come tutte le cose la mondializzazone ha i suoi aspetti positivi e negativi... Non so, credo che il problema debba essere scisso in più tronconi, affrontarlo olisticamente, sarebbe incomprensibile". Giustamente il mio interlocutore separa i problemi, e questo vale sia per il mercato che per la nocività dei cibi transgenici; secondo cui il problema non va preso come un blocco unico di problemi (come fa l’estremismo ideologico dei Centri Sociali) ma va scisso in una serie di parti affatto irrelate tra loro; cioè aventi una connessione logica che le lega.Altro interlocutore, aderente acritico (e drastico) al ‘popolo di Seattle’ -aderenza politica Rifondazione Comunista- a cui provocatoriamente avevo esposto questa obiezione "… nelle teste calde, quelli dei centri sociali che si divertono a fare il furioso e distruttivo turismo contro la 'globalizzazione', non ci credo. Per me sono teste di ca...., disadattati sociali, non certo avanguardia di classe…" mi apostrofa in questo senso: "Qui esageri. E ti devo dire che sono davvero indignato della leggerezza menefreghista con cui analizzi i fatti di Seattle e di Praga. Sul resto si discute, su questo punto della tua lettera no. Hai torto, e marcio, vergognosamente torto. Parli di gente che s'è fatta caricare di manganellate, ragazze che sono state stuprate o costrette a fare esercizi ginnici nude davanti ai poliziotti per ore ed ore, ragazzi che si sono fatti rompere la testa per difendere il mondo dalla globalizzazione, senz

a mai far uso della violenza se non in estremissimi casi di difesa. E non mi tirar fuori la storia dei Mc Donald’s, perché quella non è violenza fisica, sono atti dimostrativi ben più perdonabili delle reazioni devastanti dei corpi d'ordine. Tu puoi non pensarla come loro, e su questo si discute quanto vuoi, ma che tu li archivi così è semplicemente inaccettabile. Ieri ero alla manifestazione nazionale di Rifondazione, ho sentito il comizio di Bertinotti. Non ci crederai, ma su alcune cose ero d'accordo... su altre no. Ma proprio no, non un pochino, no e basta. Però i manifestanti erano persone che cercavano di produrre qualcosa, un nuovo mondo, una nuova politica, un nuovo modo di pensare... quello che vuoi ma qualcosa cercavano tutti di produrre. Questo è lo spirito che deve avere il cittadino italiano e del mondo: produttivo. Tu tendi solo alla distruzione, non parli mai "a favore" ma solo contro quello e questo, non riesci a trovarmi d'accordo. Neanche un pochino. Il giorno che manifesterai costruttivamente le tue idee in piazza esponendoti agli stessi pericoli ai quali si espongono le "teste calde turistiche" potrai dir di loro quello che dici oggi. Fino ad allora credo converrebbe, a te e me, informarsi un po' di più, parlar con più cognizione di causa e rispettare gli eroi".Mi servo di questo preambolo per annotare serenamente la mia opinione sul problema cercando di non lasciarmi trasportare dalla vis polemica sempre presente in noi italiani. Esaminerei la questione partendo proprio dal contrapposto della globalizzazione, il Feudalesimo. E’ noto come l’economia ‘curtense’ o feudale sia stata una economia sostanzialmente chiusa. Il territorio anche nelle regioni già evolute sotto i Romani era privo di strade, quindi le comunicazioni pressoché inesistenti. Il castello, il borgo, la campagna limitrofa coltivata, pascoli e riserve di caccia componevano un unicum posseduto dal feudatario che disponeva di ogni cosa a sua discrezione. Codesti possedimenti non erano neppure confinanti l’uno con l’altro ma componevano una specie di pelle di leopardo ove il grosso era terra di nessuno. Per cui la necessità della più vasta autosufficienza alimentare, con macine, e frantoi per la trasformazione dei prodotti agricoli; dell’artigianato per la fabbricazione di ogni manufatto atto a soddisfare le necessità locali. Nella mancanza più assoluta di mercato con le sue compensazioni è chiaro come prosperità o carestie dipendessero dai fattori aleatori della meteorologia, e della natura in genere. Buon clima e piogge davano abbondanza e benessere. Siccità, calamità naturali come le cavallette, malattie dei raccolti… significavano carestia e quindi fame. In questi pochi elementari e schematici tratti ho descritto la società umana a cavallo del primo millennio. Oggi, a cavallo del secondo, l’economia del feudo si è dilatata a tutto il globo terracqueo, ‘il villaggio globale’ come è stato definito. Questa è la ‘mondializzazione’ che in se non ha niente di deteriore ma anzi, nella sua ineluttabilità, è certamente positiva. Perché allora certi gruppi se ne fanno ideologicamente antagonisti e nemici dichiarati? Io credo che stia tutto nella giustapposizione che identifica le ‘multinazionali’ nel potere del feudatario arroccato nel Castello. Così come egli era indifferente alla umanità che lo circondava badando soltanto a sollazzarsi e godere lui, secondo questi gruppi, altrettanto fanno oggi i potenti della terra usando il mercato mondiale per arricchirsi. Il mondo ha bisogno di grano? Le raggiunte automazioni di semina e raccolta dovute all’industrializzazione dei processi agricoli non soddisfano più il profitto perché la aleatorietà della natura incombe oggi come nel 1000? "Bene, per ovviare e dare sicurezza ai raccolti, si ricorra pure alla manipolazione genetica delle sementi" dicono pragmaticamente i produttori entrando nei reconditi recessi della natura alterandoli per ottenere i vantaggi voluti: resistenza ai parassiti, alla siccità, al freddo ecc…". Se questo serve a sfamare il mondo sempre più popoloso che c’è di male? Le risposte dei detrattori sono sostanzialmente due: la prima prende a cuore la salute dell’uomo: "Non sappiamo quali effetti queste alterazioni abbiano sull’organismo umano" dicono dando per scontato che tali effetti siano perniciosi. La seconda riguarda invece l’aspetto economico della innovazione: "Poiché la manipolazione genetica dei cibi aumenta la produzione e nel contempo riduce i costi il profitto delle multinazionali sale alle stelle senza alcun vantaggio per i popoli". Ma è davvero così? Siamo proprio sicuri che se la produzione dei cereali fosse ancora basata su metodi tradizionali, o addirittura su ‘l’agricoltura biologica’ come vorrebbero i verdi e ambientalisti, i governi dei paesi ricchi potrebbero fare quei grandi piani di aiuti internazionali ai paesi poveri? E, la domanda è rivolta agli inviperiti antagonisti dei Centri Sociali, siamo proprio sicuri che tutto il maggior profitto della vicenda transgenica vada nelle tasche delle ‘multinazionali’ e -detratto il necessario e legittimo profitto perno di ogni iniziativa economica- non serva a diminuire i costi e diffondere maggiormente il consumo dei prodotti? Voglio dire: quante famiglie nell’intiero mondo pasteggiano a tavola con una buona bottiglia di vino? Credo poche. Se i vigneti transgenici servissero a portare il vino su ogni tavola invece che solo su quelle privilegiate non sarebbe un progresso positivo della umanità?Certo la sicurezza del prodotto alimentare deve essere certa e provata. A nessuno piace morire di cancro per un bicchiere di vino a tavola. Ma questo è il controllo imprescindibile che il cittadino deve esigere, non il rifiuto aprioristico alla maniera dei luddisti quando la macchina sostituì la forza dell’uomo. Oggi -credo proprio- le multinazionali non rappresentano il potere assoluto detenuto dal feudatario. Tra loro ed il popolo esistono i governi che sono espressione di democrazia non autocrazia. Per cui a loro debbono essere affidati i controlli e le regolamentazioni della materia. Altrimenti, senza incidenza democratica sulla questione, si corre il rischio che frange ristrette della società contrastino episodicamente con la guerriglia urbana ‘la mondializzazione’, mentre essa procede brada nel feudo economico del ‘villaggio globale’. Questo per me è il vero pericolo.