IDEOLOGIA
GLOBALE E MOVIMENTI ANTISISTEMICI
Di Wanda Piccinonno.
I giochi di prestigio e gli
acrobatici eufemismi del neoliberismo, la letteratura
apologetica del modello americano, le retoriche culturali
dell'esclusione, non riescono a celare l'illegalità
profonda della storia. Ciononostante, l'Europa
"Felix",ossia l'Europa disoccupata, continua a
percorrere le strade della seconda modernità, costellate
da nuove forme di barbarie. In questo scenario emergono
cambiamenti di scala spaziale e temporale, trasformazioni
del modo di produzione capitalistico, dinamiche inedite
di riproduzione sociale, mentre imperversa l'assurda
convinzione di vivere in una sorta di etemo presente, che
sgretola anche la base culturale dei movimenti
antisistemici. A questo proposito Z. Bauman osserva che
"la globalizzazione è il risultato della battaglia
condotta dal capitale, per rendersi indipendente dallo
spazio e rendersi inafferrabile dalla politica". Da
qui la "società del rischio", come la
definisce Bech, l'analfabetismo sociale e democratico,
l'azzeramento delle garanzie normative del lavoro, inteso
come fondamento della cittadinanza. Pertanto, al di là
della sciatta retorica del "progressismo",
delle ibridazioni culturali, dello spazio virtuale della
politica, occorre penetrare nell'effettuale, rilevando
che le dinamiche globali investono concetti-chiave come
"democrazia", "diritti umani",
"eguaglianza", "libertà". Ciò
significa che, se, per un verso, il capitale continua la
sua storia, è altresì vero che nella fase odierna si è
liberato dal rapporto antagonistico, che è stato una
delle sue caratteristiche peculiari. In questo contesto,
pur non mancando segnali di controtendenza, si manifesta
la crisi dei movimenti, tanto nelle versioni moderate
come in quelle radicali, infatti, si registra una
profonda carenza d'identità e di prospettiva. Vero è
che la situazione è destabilizzante, perché la
globalizzazione ha globalizzato le disuguaglianze, la
povertà, la schiavitù, il lavoro coatto: paradigmi
questi legittimati dall'universale burocratizzazione e
sanciti dai trattati di Maastricht e di Schengen. Siamo
dinanzi a un processo di globocolonizzazione, che,
violando anche la sovranità delle nazioni povere, impone
lo spirito neoliberista della concorrenza, incrementando
sempre più la folta schiera dei "miserabili"
del 2000. I quesiti che si pongono sono: è possibile
accettare uno dei momenti più foschi della storia? È
possibile opporre solo frammentarie resistenze prive di
alternativa? Non sarebbe, forse, necessario un taglio
reciso e intransigente? Senza cadere nella rete
dell'ottimismo sterile, e senza, però, indulgere al
catastrofismo, è utile sottolineare che oggi, quella che
si definisce "sinistra antagonista" è con le
spalle al muro e con la testa quasi vuota, ma, pur
constatando gli aspetti complessi e sgradevoli dello
status quo, occorre rispondere per le rime alle ebbrezze
politiche della "pseudosinistra istituita" e al
conformismo bigotto di ex compagni, perfettamente
organici all'assetto sistemico. Facendo un breve cenno al
quadro squallido della politica italiana, vale la pena
sottolineare
che i post-comunisti, ovvero "gli uomini ex",
hanno contribuito in modo determinante alla svendita
della politica e ad un ribaltamento del concetto di
democrazia. In nome del trasformismo generalizzato, si
registra, infatti, la regressione pre-modema del
dibattito politico, e ciò avviene con il supporto dei
"sinistri" di governo. I D'Alema, i Veltroni e
i "Brutti", in un clima schizofrenico,
enfatizzano solo profili di ingegneria istituzionale ed
elettorale, ricorrendo alla pseudopolitica dell'immagine.
Non può destare stupore quindi che la politica virtuale
punti sui Rutelli e sulle Melandri, volti sì
botticelliani, ma, ahimè, privi di anima. Nella
consapevolezza che addentrarsi nella "selva
oscura" dell'Italietta,
richiederebbe una dovizia di dettagli, è opportuno
procedere, indagando sulla situazione globale, dalla
quale, peraltro, non si può prescindere, considerando il
processo di transnazionalizzazione. Dinanzi alla
modemizzazione distruttiva e alla indistinguibilità
delle alternative programmatiche, occorre guardare a
quello che Weber definiva "un orizzonte di un
politeismo irriducibile". Il baricentro del
politico, dunque, si sposta sui movimenti antisistemici e
sulla capacità di leggere la realtà, operando una
rottura epistemologica e non tentando una definizione
univoca della globalizzazione. Innanzitutto è necessario
superare il guazzabuglio analitico dilagante, ossia le
masturbazioni verbali di pseudointellettuali, che, alla
ricerca di un posto al sole, rendono opinabili le chiavi
di lettura sul carattere multidimensionale del
neoliberismo. Intanto, giova evidenziare che nella
globalizzazione emergono elementi di rottura con il
passato, ma anche di continuità. L'apparente paradosso
trova una soluzione, mettendo in luce che gli elementi di
continuità sono connessi alla natura intrinseca del
capitale. Quest'ultimo, infatti, non aggiunge mai niente
alle regole della sua riproduzione, ma si accontenta di
ripeterle, sia pure in guise diverse. Vero è che la
barbarie tecnicistica è il tratto caratterizzante della
nostra epoca, ma la barbarie era già iscritta
nell'origine. A questo punto, è utile rilevare, facendo
un excursus storico, che mentre nelle realtà
precapitalistiche, i rapporti tra gli individui erano
connessi alle cose e alla produzione, con la
trasformazione dei prodotti in merci, anche le relazioni
interpersonali sono state mercificate e reificate. Per
avere un quadro chiaro d'intellegibilità della fase
odierna, occorre rivisitare Marx, inopinabilmente
relegato in soffitta. Considerando, invece, l'attualità
teorico- politica dei "Grundrisse" marxiani,
giova decostruire questo testo-chiave, come matrice del
materialismo costitutivo e come previsione della società
capitalistica matura. Marx rivela come il capitale
annulla la soggettività nella oggettività, attraverso
un processo che va dal denaro al valore. Il denaro,
dunque, diviene la forma dei rapporti sociali, li
rappresenta e li sancisce organizzandoli. Ciò significa
che, pur emergendo elementi di rottura tra fordismo e
post-fordismo, il denaro
funge sempre da mediatore sociale e funziona come
strumento di diseguaglianza. Va precisato, però, che
attualmente, con il "capitale cognitivo" e con
la completa sussunzione della società al capitale, la
realtà del dominio si realizza come sistematica e
totalitaria. Da qui una socialità sussunta nell'universo
delle merci, sicché anche quelle che sembrano forme di
integrazione sociale, sono, di fatto, anomiche. In questo
spazio virtuale e colonizzato, a livello planetario,
prerequisito indispensabile per creare relazioni umane
altre, è quello di contrastare l'iter dell'economia
generalizzata, promuovendo circuiti antagonistici di
comunicazione.
Ciò impone un'organica progettualità, in grado di
battere vie inedite, non mancando, però, di risalire
all'ipostasi metafìsica e mistifìcatoria del capitale,
che è stato concepito come misura dello sfruttamento.
Pertanto, seguendo il filo rosso della storia, si può
facilmente argomentare che il capitale, con le sue
pulsioni dementi e distruttive, è passato dal fordismo
al post-fordismo, nella prima metà degli anni 70', per
fronteggiare la crisi internazionale. Delocalizzazioni
produttive, mobilità del lavoro, smantellamento dello
stato sociale, discendono, dunque, dalle esigenze del
capitale, che, per sopravvivere, ha bisogno di mutare gli
strumenti di produzione. Preso atto che il capitale è un
cancro che corrode la società, è
necessario sottolineare che la situazione odierna è
quanto mai inquietante, perché la commistione di
elementi di continuità e di rottura, consente di
conciliare capitalismo, schiavitù e forme di lavoro
coatto. Considerando, dunque, che tratti inediti si
sovrappongono a elementi arcaici e barbari, occorre che i
movimenti antisistemici recuperino il senso della storia,
non trascurando la triade, passato, presente, futuro.
Solo l'interazione tra progetto e processo, può far
coincidere soggetto politico e oggetto, nella prospettiva
di una società altra, intesa non in un modo nebuloso, ma
avvalendosi, cartesianamente parlando, di idee chiare e
distinte. Una progettualità critica e variegata dovrà
misurarsi con i processi di delocalizzazione, con
l'evanescenza temporale dello spazio, con il moto
perpetuo del capitale apolide, non sottovalutando il
fatto che quest'ultimo, per via della sua onnipotenza,
sovradetermina tutti gli aspetti della vita, creando una
tautologia di vita e di valore, di tempo e di lavoro. È
evidente che focalizzare l'attenzione sulle differenze
tra fordismo e post-fordismo, significa prendere atto che
mentre il fordismo era un sistema strutturato e dotato di
una sorta di razionalità, il post-fordismo, ossia il
post-civile, tende a destrutturare, dissolvendo l'ordine
geocentrico. Ciò è suffragato dal fatto che il sistema
a rete comporta la gestione dei flussi, concementi i
saperi, il denaro e, al tempo stesso, la gestione dei
processi, cioè lavoro, merci, impianti. Ne consegue che
la produttività diventa sempre più astratta, sottratta
a ogni regolazione sociale e ciò comporta che lo Stato,
per via del paradigma dell'impresa orizzontale e dei
poteri transnazionali, espleti le sue funzioni, divenendo
strumento di redistribuzione dell'indigenza. In questo
scenario a tinte fosche, l'economicismo assoluto, con
"l'economicizzazione del mondo", usando
un'espressione di Latouche, pervade ogni territorio,
sussumendo nell'universo delle merci anche la socialità.
Dalle osservazioni fatte si evince che i codici del
passato risultano obsoleti, perché le neotecnocrazie
transnazionali e la nuova geografia dei poteri hanno
determinato
un salto di paradigma. Da qui l'esigenza di rompere
drasticamente con la logica nichilistica del post-modemo
per creare spazi pubblici autonomi, regolati dalla
reciprocità e non dal denaro o dal potere
amministrativo. La genealogia di un soggetto costituente
e delle soggettività emergenti deve, dunque, valicare i
limiti della pressione riformista e porre un'alternativa
radicale ed effettuale. Onde evitare fraintendimenti, va
precisato, che il potere costituente non deve produrre
Costituzioni, ma porsi esso stesso come alternativa. In
altre parole, l'obiettivo prioritario dovrebbe risiedere
in una "democrazia della moltitudine", come
volevano Machiavelli e Spinoza. Per esplicitare in modo
esaustivo le assunzioni,
vale la pena sottolineare che è necessario abbattere gli
steccati della pseudodemocrazia centrata sul mercato,
negando, al tempo stesso, la strumentale retorica della
eguaglianza delle opportunità, per ipotizzare, invece,
una democrazia sostanziale, fondata sull'assolutezza
delle capacità produttive dei soggetti e
sull'eguaglianza dei diritti e dei doveri. Fuori dai
parametri del positivismo legalistico, il nuovo approccio
impone quindi un esodo produttivo, che implica la totale
liberazione del lavoro vivo, con tutta la sua vis viva e
creativa. Partendo dalle griglie interpretative usate,
non risulta riduttiva la proposta di Rifondazione
Comunista sul salario sociale? Non si ripercorrono strade
obsolete, estrapolando il salario sociale da un contesto
organico? Non si cade, forse, nei meccanismi perversi
dell'assistenzialismo? Una inquieta e radicale
criticità, spinge ad affermare che il reddito garantito
va inscritto in una filosofia di vita altra, altrimenti
può essere recepito come un sopruso e non come un
legittimo diritto di vivere e di operare scelte, in un
contesto sociale autenticamente libero. Ciò significa,
come rileva A. Gorz, che l'assegnazione di un reddito
sociale, non dovrebbe costringere chi riceve il sussidio
ad accettare qualsiasi lavoro, ma ad affrancarlo
dall'attuale modello di sviluppo. Alterare le variegate
valenze del reddito sociale, significa cadere nelle
gabbie d'acciaio dell'assetto sistemico. Valicando i
limiti dei perversi meccanismi di dominio e delle
alchimie dei teatranti della politica, l'imperativo
categorico deve partire da un presupposto
imprescindibile, ossia che occorre soddisfare bisogni
collettivi e non mercantili, avvalendosi, ovviamente, di
mezzi collettivi. In quest'ottica si pone la dimensione
politica dell'antagonismo tra capitale e lavoro vivo e
ciò significa che la svolta dipende dal potere di
decidere la destinazione e l'uso sociale della
produzione. È doveroso aggiungere che l'autonomia del
lavoro deve essere intesa come intrinsecamente collegata
con l'autonomia culturale, morale e politica. Lucidamente
Claudio Napoleoni sosteneva che "non si tratta di
uscire dal capitalismo per entrare in qualcos'altro, ma
si tratta di allargare la differenza fra società e
capitalismo". Ne consegue che la ricostruzione
dell'universo sociale non può prescindere da una
radicalità progettuale e dalla valorizzazione di
un'auto- organizzazione antagonistica. Per quanto conceme
quest'ultima, è opportuno puntualizzare che
l'antagonismo va inteso come sorgente plurale, come
pensiero costitutivo della forza collettiva: in altri
termini, come forza rivoluzionaria, che intende mutare la
situazione esistente. Fatte queste doverose precisazioni,
giova rimarcare che optare per una sussidiarietà
subalterna, comporta la sussunzione del reddito di base
alla ragione strumentale. Giustamente Felix Guattari
rileva che "si tratta di costruire un habitat, in
modo tale che la qualità della produzione di nuove
soggettività divenga la finalità prima delle attività
umane". Un'etica della liberazione, quindi, una
disutopia etica, che deve rompere con la logica del
mercato, promuovendo la filosofìa dell'avvenire. Non
più, dunque, coniazione dell'essere collettivo; non più
un tempo ridotto a spazio economico, ma un tempo della
liberazione. Ma, tempo liberato significa soggettività,
fenomenologia della prassi collettiva, spontaneità delle
coscienze, finalmente liberate da tutte le forme di
reificazione. Da qui la necessità di negare i miraggi
della sofìstica capitalistica, nella consapevolezza che
"il clinamen appare come la libertà, perché esso
è quella turbolenza che rifiuta lo scorrimento
forzato" (M.Serrès).
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