Casus belli GIULIETTO CHIESA
22-5-2002
Cosa sapeva
l'Amministrazione di Washington prima dell'11 settembre?
Andiamo con ordine. Che la versione ufficiale del «siamo
stati colti di sorpresa» non stesse in piedi nemmeno
alla più elementare delle verifiche, non è sfuggito a
molti osservatori. In pochi giorni, apparentemente,
subito dopo il disastro, Fbi e Cia riuscirono a
individuare i nomi di diciannove dei venti kamikaze (i
nomi, sia ben chiaro, perché le vere identità rimangono
tuttora oscure), i luoghi dove alloggiarono alcuni di
loro (per esempio la cittadina di Fort Laudersdale, in
Florida), in molti casi perfino le fotografie, le carte
di credito usate (stranezza delle più inquietanti, che
quei signori usassero per pagare il mezzo più facilmente
esposto a indagini). In pochi giorni non si ottengono
questi risultati se non esistono dei files
precedentemente aperti.
Il fatto è che il ventesimo kamikaze lo avevano già in
mano fin dal 16 agosto. Zacarias Moussaui, arrestato
dall'Fbi a Eagan, Minnesota, 26 giorni prima dell'11
settembre. Allievo pilota nella locale Pan Am Flight
Academy. Un solerte cittadino avvisa; il locale ufficio
dell'Fbi fulmineamente agisce, ma la pratica si ferma.
Non si sa dove.
Se si torna indietro nel tempo si vede che l'arresto di
Moussaui non poteva passare inosservato. Per il semplice
fatto che rappresentava la conferma di quasi tutte le
tracce precedentemente accumulate dai servizi segreti
americani. In particolare quella del 5 luglio (meno
sessanta giorni all'impatto) e quella del memorandum
della Cia del 6 agosto (meno trentasei giorni
all'impatto). Nel primo caso fu Richard Clark, capo
dell'antiterrorismo, a riferire a tutti gli altri capi
dello spionaggio che «qualche cosa di terribile, di
spettacolare sta per accadere» e che l'obiettivo «sarà
un edificio». Nel secondo caso furono allertate le
compagnie aeree civili. Evidentemente si erano ricordati
del rapporto dei servizi che Bill Clinton aveva ricevuto
nel settembre 1999, dove si diceva che «combattenti
suicidi (...) potrebbero gettarsi con un aereo (...)
contro il Pentagono, la sede della Cia o la Casa
Bianca». Anticipazione quasi perfetta.
Parlare - come ha fatto Thomas Friedman sul New York
Times - di «mancanza d'immaginazione» da parte
dell'Amministrazione non è possibile: tutto era già
stato «immaginato» da molto tempo.
La vera novità di questi ultimi giorni consiste nella
rivelazione - questa davvero sconvolgente - che il sabato
immediatamente precedente la catastrofe, cioè
all'incirca tre giorni prima, il presidente Bush (o
qualcuno per lui) aveva già fatto compilare quello che
la stampa usa definisce un «ordine presidenziale», per
la preparazione dell'offensiva militare contro Al Qaeda
in Afghanistan. In contemporanea, per giunta, con
l'assassinio, nella Valle del Panshr, di Ahmad Shah
Massud.
Dunque il governo americano non era affatto distratto,
non stava con le mani in mano. Stava anzi preparando
un'offensiva militare su larga scala. Adesso sappiamo che
«Infinite Justice» era stata preparata prima dell'11
settembre.
Ma - e non è chiaro per quale ragione - George Bush non
diede corso e rinviò tutto alla settimana successiva. In
quei tre giorni fatali Al Qaeda scatenò l'attacco.
Naturalmente, su queste basi, non si può concludere
nulla.
Salvo che a Washington non stavano dormendo. Restano
mille ipotesi sul perché di quel rinvio. Tra queste
mille ipotesi ce n'è una che merita di essere presa in
considerazione e che, stranamente, non è finora venuta
in mente quasi a nessuno. Che, cioè, l'Amministrazione
(o qualcuno al suo interno, che agiva con una certa
libertà) avesse molte informazioni per prevedere un
attacco terroristico, e avesse ritenuto che una dura
risposta a un'offensiva terroristica contro l'America
sarebbe stata di gran lunga preferibile a un attacco a
freddo degli Stati uniti. Come motivarlo, infatti?
Inoltre, in tal caso, un attacco terroristico contro gli
Usa in guerra, avrebbe potuto apparire come una
ritorsione giustificata (o giustificabile).
La scelta sarebbe stata, dunque, politica, e basata su
una valutazione errata delle dimensioni del possibile
attacco terroristico. L'11 di settembre fu altra cosa
rispetto a ciò che ci si aspettava. Forse le cose non
sono andate esattamente così. Stiamo congetturando. Ma
è certo che questa teoria spiega molte delle cose
inspegabili che stanno emergendo adesso.
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