Se gli indigeni stanno a Guardare
di Baltasar Garzòn

È un dato di fatto che i popoli indigeni di tutto il mondo e in particolare dell'America Latina abbiano patito una privazione costante dei loro diritti più elementari: la vita, la libertà, la dignità. Una violazione coperta da norme di tutela nominali che in realtà non vengono applicate.
Degli indigeni non si è tenuto conto nei piani di sviluppo degli Stati. Piuttosto sono stati considerati un ostacolo, il che ha portato a sottrarre loro le terre e alla repressione di massa. Non bisogna dimenticare che nell'America Latina la popolazione indigena ammonta a 40 milioni di persone appartenenti a 400 gruppi etnici.
L'ottanta per cento di essi vive in estrema miseria a causa soprattutto di questioni razziali. Non è retorica ripetere che questa ingiustizia deriva dal sistema coloniale quasi senza eccezione adottato dai nuovi Stati latinoamericani.
Attorno al discorso della costruzione nazionale, o della cultura nazionale, o dell'identità come nazione, tutti coloro che avevano un'identità propria e millenaria sono diventati vittime della «integrazione nazionale», che in realtà si è risolta in una mera aggregazione o un processo di assorbimento che non ha rispettato né la differenza né la diversità.
Solo la pressione, in qualche caso la sollevazione, delle comunità e dei movimenti indigeni ha fatto sì che questa impostazione cambiasse e si ammorbidisse.
D'altra parte in qualche caso queste politiche pseudo-filoindigene erano mosse da oscuri interessi economici multinazionali che tendono allo sfruttamento delle risorse naturali.
Ho avuto occasione di verificare che in Bolivia, Ecuador, Colombia, Paraguay, Messico, Guatemala, Salvador la presenza di indigeni in qualsiasi atto ufficiale, sociale o politico, è vista con pregiudizio.
I preconcetti arrivano al punto che, quando gli indigeni chiedono di essere ascoltati, sono respinti e considerati come un oggetto folcloristico per attirare i turisti.
Probabilmente l'unica possibilità di esistenza dei popoli indigeni passa per il riconoscimento e la protezione internazionale. Ossia: ogni paese ha degli obblighi nei confronti delle etnie e dei gruppi con un'identità culturale, linguistica, politica ed economica particolare.
Questa posizione acquista speciale rilievo se si considera che le comunità o nazionalità indigene non necessariamente coincidono con i paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite.
La creazione della Comunità Internazionale dei Popoli costituisce una grande sfida per l'umanità, se vogliamo mantenere e proteggere l'identità e i diritti di alcune nazionalità che non hanno la possibilità di continuare ad esistere senza un adeguato sistema di protezione individuale e collettivo.
Di qui l'importanza decisiva dell'approvazione, ratifica e applicazione di una autentica convenzione delle comunità indigene del pianeta, una sorta di carta fondamentale dei diritti a cui aderiscano tutti coloro che li proteggono e in cui siano contenuti tutti quegli obblighi richiesti alla comunità internazionale e a ciascun paese, compreso un sistema di giustizia autonomo delle comunità indigene.
La comunità internazionale non ha soltanto il dovere morale, ma anche quello giuridico, di dare protezione a queste comunità nella stessa misura in cui favorisce o ha consentito la loro lenta distruzione.
Gli indigeni sono attori passivi o vittime a cui è stata tolta la voce e la vita. Una comunità internazionale e una società che si solleva contro l'eccidio dell'11 settembre negli Stati Uniti non può restare in silenzio di fronte agli attacchi contro cittadini indifesi in Afghanistan, alle stragi di indigeni in Colombia e Guatemala, alle persecuzioni in Messico, alla negazione dei diritti in Ecuador. Se ignoriamo questi fatti, non meritiamo rispetto e conviviamo con una farsa.
Però non basta denunciare questa doppia morale del «tutto va bene», che da una parte proclama la solidarietà e dall'altra consente lo spreco e la rapina degli aiuti internazionali, bisogna fare qualcosa di positivo per cambiare le cose, ciascuno dalla sua posizione e secondo le sue responsabilità.
Chissà che la forza della parola, l'azione dinamica contro la corruzione e la negligenza di coloro che governano e la denuncia o la punizione di coloro che massacrano, torturano e disprezzano la vita in una comunità universale non possano essere gli elementi di un cammino lungo e difficile, ma senza alternative, per recuperare la dignità cancellata.
Un cammino che vale la pena percorrere e che passa per:
-il diritto alla propria identità culturale, individuale o collettiva
-il diritto alla terra e al territorio, con le proprie norme di controllo, le proprie regole e il diritto al rispetto
-il diritto a un'organizzazione sociale e al costume giuridico. Vale a dire il rispetto del diritto consuetudinario e la risoluzione dei conflitti all'interno di queste norme in uso attraverso le autorità tradizionali
-il diritto alla partecipazione politica alle decisioni statali.
Ma, sopra ogni altra cosa, il motore che muove i popoli indigeni è la loro lotta pacifica e permanente per essere riconosciuti, accettati, rispettati come il resto del genere umano.
Non ci sembra di chiedere troppo.

* Baltasar Garzón è uno dei sei giudici spagnoli dell’Audiencia National.
È lui ad aver aperto il procedimento giudiziario contro la giunta militare cilena di Pinochet; si è occupato di narcotraffico, terrorismo dell’Eta, terrorismo di Stato (Gal, una Gladio spagnola), falso in bilancio nella vicenda Telecinco di Silvio Berlusconi.


 

 

 

 

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