Un bene in via
di estinzione
«La gravità dell'emergenza è ben presente a livello
internazionale» spiega Petrella. «I convegni a ogni
livello e i relativi documenti sono innumerevoli. Tra i
più importanti c'è stato il secondo Forum mondiale
sull'acqua, tenuto a L'Aia nel 2000, cui hanno
partecipato i rappresentanti ministeriali di 140 paesi;
nel 2003 è in programma il terzo Forum a Tokyo». Le
ragioni con cui si spiegano le difficoltà sono varie, ma
non tutte convincenti.
«La disomogeneità nella distribuzione naturale
dell'acqua e l'aumentata richiesta per la crescita
demografica sono dati di fatto, ma non bastano a spiegare
la situazione» afferma Petrella. «Per esempio, ci sono
situazioni di penuria locale anche in paesi ricchi
d'acqua. E si crea penuria in zone un tempo ricche, per
un insieme di cause. Da un lato ci sono gli sperperi: la
metà dell'acqua prelevata e trattata nel mondo va persa
lungo i sistemi di alimentazione. In gran parte
dell'Europa, le condotte idriche risalgono a prima della
Seconda guerra mondiale e una commissione dell'ONU ha
valutato le perdite nel continente in dieci miliardi di
dollari annui. In agricoltura, i sistemi di irrigazione
intensiva disperdono il 40 per cento dell'acqua
consumata».
L'altra grande preoccupazione
è l'intensificarsi del deterioramento delle acque
disponibili. L'inquinamento dovuto agli scarichi
domestici e industriali non trattati, i prelievi non
commisurati alle capacità di rigenerazione, il degrado
del suolo e la desertificazione contribuiscono tutti a
prosciugare o rendere inutilizzabili le falde e i corsi
d'acqua. L'esempio più vivido è quello del lago Aral
(Tempo Medico numero 639, pagina 13), ma non è l'unico.
«La maggior parte dei bacini d'acqua dolce al mondo
rischiano di morire per l'inquinamento» ha dichiarato lo
scorso novembre William Cosgrove, vicepresidente del
World Water Council, una delle grandi istituzioni
mondiali per l'acqua create su iniziativa della Banca
mondiale e delle Nazioni unite.
Le risposte che si invocano rispetto alla situazione
attuale e al previsto aggravamento non sono univoche. La
tecnologia può essere d'aiuto, ma è un'arma a doppio
taglio. I miglioramenti dei sistemi d'irrigazione, per
esempio, potranno migliorarne l'efficienza, ma
l'evoluzione verso le colture intensive è uno dei grandi
fattori che ha accresciuto il bisogno d'acqua e l'attuale
spinta verso le coltivazioni transgeniche, ad alta resa
ma spesso avide d'acqua, non farà che acuire la
tendenza. La desalinizzazione dell'acqua marina è citata
a ripetizione come la soluzione del futuro, ma le
difficoltà legate ai costi, all'impatto ambientale e
alla sicurezza fanno pensare che continuerà a restare
«del futuro» ancora per molto. «Israele, nonostante il
suo grande fabbisogno, pensa di rinunciare ai progetti di
desalinizzazione già avviati, anche per la
vulnerabilità degli impianti ad attacchi terroristici o
militari» osserva Petrella.
Le grandi dighe, infine, creano spesso più guai di
quelli che risolvono - dalla diffusione di malattie quali
l'oncocercosi e la bilarziosi alla dislocazione di intere
popolazioni dalle aree allagate - e danno risultati
inferiori alle aspettative in termini di produzione
agricola ed elettrica. Uno dei cardini del Manifesto è
infatti la richiesta di una moratoria della loro
costruzione, finché non si saranno stabiliti criteri che
garantiscano che la loro realizzazione vada a beneficio
delle popolazioni locali e non rechi danni eccessivi
all'ambiente.
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