I dati usciti dagli
scrutini confermano il successo dell'Ulivo annunciato dalle prime proiezioni. In calo l'affluenza al voto Vittoria al centrosinistra in nove comuni su undici A Verona, Gorizia Alessandria, Asti e Piacenza l'Ulivo strappa le amministrazioni al Polo ROMA - Il centrosinistra
si aggiudica questa tornata di ballottaggi prendendo il
sindaco in nove delle undici città più importanti
chiamate a votare. Fin dalle prime proiezioni si era
capito che le liste dell'Ulivo e Rifondazione avrebbero
potuto gioire, poi i dati certi usciti dai seggi hanno
confermato l'impressione. Il dato riassuntivo è chiaro.
Nelle consultazioni comunali il centrosinistra vince a
Gorizia, Verona, Piacenza, Alessandria, Cuneo, Asti,
Frosinone, Cosenza e Carrara, perde solo ad Oristano ed
Isernia. Nelle provinciali, invece, la Lega si aggiudica
Treviso con un plebiscito, il centrodestra si conferma a
Vercelli mentre il centrosinistra vince a Campobasso. Nel
totale della consultazione elettorale su 27
amministrazioni comunali il centrosinistra ne conquista
14 (+4 rispetto alle ultime elezioni) e la Casa delle
Libertà 13, perdendone 4. Per quanto riguarda le
Province: si partiva da 5 per ogni schieramento ed oggi
sono 6 del centrodestra e 4 del centrosinistra. A Verona, città importante che la Casa
delle Libertà aveva un po' eletto a sua vetrina
(Berlusconi era andato di persona nella città scaligera
durante la campagna elettorale), il centrosinistra
approfitta al meglio delle divisioni nello schieramento
avversario e riesce a far eleggere Paolo Zanotto con il
54% dei voti, la stessa percentuale raggiunta dal
neosindaco di Alessandria Mara Enrica Scagni e da quello
di Piacenza Roberto Reggi. E se a Gorizia l'Ulivo ha
vinto sul filo dei voti con il 50,7% ottenuto da Vittorio
Brancati netta è stata la conferma di Cosenza che ha
eletto Eva Catizone con il 56% dei voti (percentuale non
ancora definitiva). Caso particolare quello di Monza, una
delle roccaforti della casa delle Libertà dove, a
sorpresa, il candidato del centrosinistra e Prc Michele
Faglia ha battuto un pezzo da novanta come l'ex ministor
del primo governo Berlusconi Roberto Radice che si è
dovuto accontentare del 46,6% contro il 53,4 ottenuto dal
suo avversario. |
COMUNI Alessandria (uscente: Lega Nord) Risultati definitivi Mara Scagni (centrosinistra): 53,9% Tino Rossi (centrodestra): 46,1% Asti (uscente: centrodestra) Risultati definitivi Vittorio Voglino (centrosinistra): 54,6% Luigi Florio (centrodestra: 45,4% Carrara (uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Giulio Conti (centrosinistra): 54,2% Giulio Andreani (centrodestra): 45,8% Cuneo (uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Alberto Valmaggia (centrosinistra): 53% Angelo Giordano (centrodestra): 47% Piacenza (uscente: centrodestra) Risultati definitivi Roberto Reggi (centrosinistra): 54,6% Gianguido Guidotti (centrodestra): 45,4% Gorizia (uscente: centrodestra) Risultati definitivi Vittorio Brancati (centrosinistra): 50,07% Guido Pettarin (centrodestra): 49,93% Verona (uscente: centrodestra) Risultati definitivi Paolo Zanotto (centrosinistra): 54,1% Pierluigi Bolla (centrodestra): 45,9% Frosinone (uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Domenico Marzi (centrosinistra): 54,4% Nicola Ottaviani (centrodestra): 45,6% Isernia (uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Alfredo D'Ambrosio (centro): 35,9% Gabriele Melogli (centrodestra): 64,1% Cosenza (uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Eva Catizone (centrosinistra): 56,7% Umberto De Rose (centrodestra) : 43,3% Oristano (uscente: centro) Risultati definitivi Linalba Ibba (centrosinistra): 47,1% Antonio Barberio (centrodestra): 52,9% PROVINCE Campobasso (presidente uscente: centrosinistra) Risultati definitivi Augusto Massa (centrosinistra): 56,4% Antonio Ventresca (centrodestra): 44,1% Treviso (presidente uscente: Lega Nord) Risultati definitivi Diego Bottacin (centrosinistra): 31,1% Luca Zaia (Lega Nord): 68,9% Vercelli (presidente uscente: centrodestra) Risultati definitivi Gianni Mentigazzi (centrosinistra): 47,3% Renzo Masoero (centrodestra): 52,7% (10 giugno 2002) |
La sinistra
che mi piace di Gianni Cuperlo Piero Sansonetti ha proposto l'altro ieri su questo giornale un'analisi stimolante sull'evoluzione della linea dei Ds nei mesi successivi al congresso di Pesaro. La tesi, se mi è consentita la sintesi, è quella di «una svolta a sinistra». Basta con le vecchie parole d'ordine come modernizzazione e flessibilità. Oggi, e cito l'articolo, «si parla di cose completamente diverse: difesa dei diritti dei lavoratori, e in qualche modo lotta alla flessibilità, difesa degli immigrati, battaglia contro lo strapotere televisivo e giornalistico della destra». La sinistra insomma, passata la sbornia modernizzatrice, sarebbe tornata a fare il suo mestiere. E pure bene, visti i primi risultati del voto amministrativo. Ora, la tesi di Sansonetti, per quanto argomentata, non convince. In primo luogo per il giudizio sul passato recente. Sostenere, a meno di un anno da Pesaro, che le cose sono radicalmente cambiate e che adesso si difendono i diritti dei lavoratori, implica che prima di adesso quei diritti non siano stati tutelati e difesi. O almeno che non lo si è fatto in modo adeguato. Ne consegue una valutazione critica sulle scelte che pure hanno consentito a Piero Fassino di aggregare intorno a una piattaforma di contenuti e valori una solida maggioranza dei consensi congressuali. Diciamolo in altro modo. La leadership diessina per il fatto stesso di trovarsi all'opposizione e sotto le spinte «del movimento no-global, del sindacato e dei girotondi», avrebbe preso atto che la strada della rivincita non passa per l'offerta di un progetto d'innovazione più credibile ma per la difesa dei diritti acquisiti e contro l'impianto falsamente modernizzante della destra. «Resistere, resistere, resistere», ricordate? Dovendo restituire a Cesare quel ch'è suo, e sempre da lì - da quell'ammonimento autorevole - che si deve ripartire ed è lì, infine, che l'analisi ritorna e s'impianta. Se le cose stessero davvero così, non solo avrebbe ragione Sansonetti ma è probabile che Berlusconi si ritroverebbe a governare il paese per i prossimi due lustri e forse più. Un po' come accadde ai laburisti inglesi con la Thatcher. E questo, sia chiaro, non perché i diritti di chi lavora o degli immigrati o delle altre categorie più deboli sulle quali Tremonti scarica il prezzo di una crescita fantomatica, non rappresentino una barriera invalicabile. Ma per un motivo diverso. E cioè che, piaccia o meno, la destra vince - in Italia e purtroppo non solo qui - offrendo soluzioni semplificate e dannose a problemi reali. E costruendo intorno a quelle soluzioni, condite di formule e messaggi efficaci, il proprio radicamento e consenso. Ora, di fronte a questa situazione, ritenere che la sinistra batta un colpo quando fa la sinistra per davvero, e dunque quando abbandona l'idea bizzarra di dotarsi d'una sua concezione della flessibilità senza subire quella selvaggia dei propri avversari, è una posizione che preoccupa. Perché rinchiude la sinistra e la sua cultura nel recinto di un'identità rigida e immodificabile. Regalando agli altri non solo un vantaggio psicologico - la percezione di parlare del futuro mentre noi difendiamo l'esistente - ma l'agenda dei temi che in quel futuro domineranno, a partire dalla riforma del mercato del lavoro, delle forme di flessibilità individuale, degli ammortizzatori sperimentati fin qui e via di questo passo. Naturalmente ciò non significa che la battaglia per la difesa dell'articolo 18 sia sbagliata. Quella è una grande questione di principio, di libertà e tenuta di un fronte sindacale e politico che non può consentire al governo di usare la modifica d'un diritto acquisito come grimaldello per scardinare l'intero sistema di garanzie e tutele consolidatosi negli anni. Ma il punto non è questo. È nel fatto che quella stessa battaglia vedrà la sinistra più forte se sapremo accompagnare la difesa dei diritti esistenti con una loro ragionevole espansione ai milioni di giovani, e non solo, finora esclusi o marginali rispetto ad essi. Ecco perché una sinistra che «non parla più di flessibilità» non è più forte e compatta di prima. Anzi, dal momento che flessibile non sarà soltanto il lavoro, ma più in generale la gestione del tempo, l'accesso ai consumi individuali e ai servizi e la dimensione stessa della propria vita, il rischio è quello di una sinistra meno credibile e che possiede minori strumenti e linguaggi e opportunità per recuperare una quota dei consensi che, solo pochi mesi fa, si sono accasati altrove. Il nostro problema vero, a dirla tutta, è che anche su questo terreno strategico - l'immagine di sé che si trasmette all'esterno - tendiamo ad apparire peggiori di quel che siamo. E personalmente trovo questo un aspetto davvero sconcertante. Pensiamo alle polemiche degli ultimi giorni e al modo in cui se n'è riferito. Non entro nel merito della discussione, anche se appare evidente l'inopportunità dell'assegnare pagelle alle legittime scelte del sindacato. Di ogni sindacato, compresa dunque la Cgil. Mi limito a notare che di fronte all'azione del governo avremmo fatto meglio, tutti insieme, a rivendicare i contenuti della «carta dei diritti del lavoro» messa a punto dall'Ulivo e che estende le tutele attuali anche ai sette milioni di lavoratori atipici oggi privi di ogni difesa. Voglio dire che il profilo dell'opposizione, e della sinistra riformista in particolare, passerà sempre di più dalla nostra capacità di contrastare nel merito le politiche del governo. E di farlo senza rimanere schiacciati in una posizione esclusivamente difensiva. Noi non torneremo a vincere soltanto inanellando una serie di sacrosanti e fermissimi "no". E neppure se scioglieremo a giorni o settimane il garbuglio della futura leadership. Che, per inciso, si scioglierà da solo quando verrà il tempo, sulla base di un processo democratico e senza deleghe a questo o quell'editore di giornale. Il punto è che oggi, dopo il risultato incoraggiante delle amministrative, abbiamo bisogno di rilanciare proprio quel disegno d'innovazione e modernizzazione del paese che altri - e il governo in primo luogo - vorrebbe definitivamente archiviare, rispolverando l'italietta dei favori all'impresa, delle promesse mirabolanti e dei fallimenti mascherati. Ecco perché non convince l'idea di una «ricollocazione» dei Ds, sospinti dagli eventi verso un'opposizione dura e intransigente. Perché non riflette, a mio parere, la natura della discussione interna a noi. Ma soprattutto perché riduce lo spessore dei problemi che abbiamo davanti - e che non investono solo il riformismo italiano - a una questione di toni o di tattica. La verità è che dell'immigrazione come dei diritti dei lavoratori ci siamo occupati sempre nel corso degli ultimi anni, prima dal governo e poi dall'opposizione. Non è dunque la scelta di questi o di altri temi l'elemento di novità, ma il bisogno di elaborare e imporre soluzioni più forti e credibili delle impronte digitali o del taglio delle garanzie. «Modernità e diritti», come si disse a Pesaro. O «modernizzazione e progresso» per citare Delors. Il nodo è sempre lo stesso. Come consentire alla sinistra di tornare a giocare all'attacco. Certo, in questo quadro tanto più c'è bisogno di serrare le fila riscoprendo il valore dell'unità della coalizione. Dobbiamo allargarne il raggio e fissare nuove regole di vita interna a partire dalla nomina di due portavoce unici per Camera e Senato. Poi sarà il tempo a dire se, chiuso il ciclo riformatore degli anni '90, si creeranno le condizioni di una ripresa accelerata delle forze di sinistra e progressiste. Certo, speriamo tutti che questo avvenga. Ma per favorire un esito del genere, come è del tutto ovvio, non saranno irrilevanti le nostre scelte e i contenuti di un nuovo riformismo. |
Il neoliberismo fa
bene alla mafia di Giuseppe Di Lello Il decennale della strage di Capaci va
celebrato nella consapevolezza di quanto è stato fatto -
in positivo e in negativo - e di quanto è diventato
difficile il da farsi in una fase storica caratterizzata,
a livello europeo, dal dominio del pensiero e della
pratica neoliberista. Lasciamo da parte la
semplificazione del "calo di tensione", che non
spiega nulla e, nella sua vaghezza, si presta ad essere
usata da tutti contro tutti. Cerchiamo di attenerci ai
fatti e torniamo al contesto, quanto meno siciliano, per
analizzare il passato e cercare di capire se cè
una qualche via duscita per il futuro. Fao, in marcia per terra e cibo |
ANGELO
MASTRANDREA ROMA
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Cofferati
incalza i Ds
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Un voto dal
significato europeo IL VENTO DI PARIGI E LA VELA DI BLAIR
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