DA - IL MANIFESTO Italiani, attenti a non
fare «i crociati»
Tareq Aziz incontra il papa e
lancia un monito a Italia, Spagna e agli altri paesi
auropei schierati con Bush
MAURIZIO MATTEUZZI
ROMA
Ci vorrebbe un miracolo, si sente dire sempre più spesso
da parte degli ambienti cattolici impegnati nel disperato
tentativo di fermare l'attacco americano all'Iraq. Noi,
gente di poca fede, ai miracoli non ci crediamo. La
guerra di Bush e ascari vari contro Saddam Hussein ci
sarà, fra una settimana o fra un mese. Al miracolo
sembra credere ancora il papa, impegnatissimo nel
dispiegare le sue divisioni cattoliche (oggi il suo
inviato a Bghadad, cardinale Roger Etchegaray, sarà
finalmente ricevuto da Saddam). Forse non ci crede
neanche più Tareq Aziz, il vicepremier iracheno che in
un'intervista uscita ieri sul quotidiano
cattolico-conservatore di Madrid Abc
aveva dichiarato che «solo un miracolo può salvare
l'Iraq da una guerra «provocata dagli Stati uniti» e
che, sempre ieri, ha incontrato Wojtyla in Vaticano (foto
Ap) in attesa di andare, oggi, ad Assisi a pregare per la
pace insieme ai frati sulla tomba di Francesco. Ma ognuno
deve fare la sua parte e così è giusto che si ciochi le
sue carte fino in fondo. Così ieri mattina verso le 11
Tareq Aziz, cattolico caldeo, ha avuto nella biblioteca
privata del papa un colloquio di mezz'ora. Incontri
definiti «cordiali» dal portavoce vaticano Joaquin
Navarro Valls e «fruttuosi» da parte irachena. Poi
altri tre quarti d'ora fra il vicepremier di Baghdad e i
vertici diplomatici della Santa sede, il cardinale Angelo
Sodano, segretario di Stato, e l'arcivescovo Jean-Louis
Tauran, ministro degli esteri. Al termine due comunicati
delle parti. Quello vaticano: «Il signor Aziz ha voluto
dare la sua assicurazione sulla volontà del governo
iracheno di cooperare con la comunità internazionale, in
particolare sul disarmo. Sua santità ha ribadito la
necessità di rispettare fedelmente, con impegni
concreti, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza che
sono la garanzia della legalità internazioonale». Una
posizione dura e chiarissima («concreti impegni»).
Quello iracheno: negli incontri è stata ribadita «la
convergenza di vedute fra Iraq e Santa sede sulla
necessità di mantenere la pace, alimentare la
solidarietà al popolo iracheno e raggiungere la
stabilità nell'intera regione del Medio oriente»,
nonché la posizione di Baghdad «che non ha nulla da
nascondere agli ispettori delle Nazioni unite».
Nel corso del colloquio col papa, Tareq Aziz gli avrebbe
consegnato una lettera di Saddam e anche «prove
documentali» sull'eliminazione delle armi di sterminio
come prova della «volontà» di collaborare «pienamente
e attivamente» con gli ispettori Onu.
Non c'è stato tuttavia quel coup de
theatre in cui molti speravano:
l'invito al papa per un viaggio in Iraq che sarebbe stato
un gesto clamoroso di sfida alle pulsioni animali di Bush
e ascari. «Il papa sa bene di non avere bisogno di un
invito formale se volesse venire in Iraq: sa di essere il
benvenuto, le porte sono sempre aperte se manifestasse il
desiderio di venire. Ma non c'è stato un invito formale
a causa della situazione», ha fatto poi sapere
l'entourage di Aziz («ragioni di sicurezza»). Per la
verità quando Giovanni Paolo II voleva andarci, nel '98,
le porte non sembrarono essere così «aperte». Ma oggi
i tempi sono diversi e la guerra è dietro l'angolo.
Prima del papa, Tareq Aziz era stato a casa dell'ex
presidente della repubblica Francesco Cossiga (a cui
aveva ripetuto un punto lapalissiano: che una guerra
all'Iraq alimenterebbe una ripresa del fondamentalismo
islamico) e, dopo il papa, è andato a trovare per un'ora
col ministro degli esteri Frattini («su richiesta
irachena», precisa la Farnesina perché gli americani
non la prendano male). Che gli ha detto che è ormai
«ridottissimo» il tempo che resta all'Iraq per
rimediare alle «omissioni e inadempienze» di Baghdad
quanto a distruzione degli arsenali e collaborazione con
le ispezioni. Ma, come ha poi notato maliziosamente Tareq
Aziz nella conferenza stampa di ieri sera, «non è
Frattini che decide sulla guerra...». Ma a Frattini
riferisce anche di avere detto altro, con il dovuto
rispetto: che l'Italia, la Spagna e altri paesi europei
devono stare attenti a non commettere «l'errore di
partecipare alla guerra imperialista americana, alla
crociata americana contro l'Iraq». E' quello che poi ha
ripetuto nel corso dell'affollatissima conferenza stampa
nella sede della Stampa estera. «L'Italia e la Spagna
non sono nemiche dell'Iraq e l'Iraq non è nemico loro.
Perché dovrebbero partecipare a una guerra ingiusta e
immorale e illegale?»; per gli Stati uniti si capisce:
«hanno ambizioni imperialiste, vogliono ricolonizzare
l'Iraq e insediare un regime filo-americano»; ma i paesi
europei? Rischiano di apparire «come i crociati» e
questo «avvelenerebbe i rapporti degli arabi e musulmani
con gli europei e cristiani»; tanto più che l'Iraq ha
«collabora pienamente» con gli ispettori («e avrete
sentito che il rapporto di poco fa in Consiglio di
sicurezza del dottor Blix e del dottor El-Baradei lo ha
confermato»); «non è una minaccia per nessuno»
(avrebbe fatto meglio a dire che non «più» una
minaccia) e «non ha nessun rapporto con al-Qaeda, con il
fondamentalismo islamico o con gli attacchi terroristi».
Il resto, ossia l'ossessione di Bush e dei suoi ascari,
è «solo un film americano, non la realtà». Ma l'Iraq
se attaccato dagli Usa, attaccherà Israele?, gli ha
chiesto l'israeliano corrispondente del Maariv:
«Sorry, non
rispondo alle domande di giornalisti israeliani», ha
risposto secco (ma, a una domanda analoga, ha risposto
che l'Iraq, quando sarà attaccato, potrà pensare solo a
difendersi).
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DA - IL MANIFESTO.
LONDRA
Niente
guerra, siamo inglesi
«Sarà la più grande
manifestazione pacifista mai vista» Nella capitale
atteso un corteo da mezzo milione di persone
Conclusione a Hyde Park: nonostante la resistenza del
governo, dopo giorni di trattative la ministra alla
cultura concede il parco reale
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
«Sarà la più grande manifestazione per la pace che
l'Inghilterra abbia mai visto». Sono euforici gli
organizzatori della marcia contro la guerra che oggi
partirà da Embankment (vicino a Westminster) per
concludersi a Hyde Park. Stop the War Coalition e la
British Muslim Association stanno cercando di coordinare
gli ultimi sforzi organizzativi. Il problema (si fa per
dire) sarà soprattutto uno: gestire la marea di gente
che fin dalle prime ore di stamattina comincerà ad
arrivare a Londra da ogni parte del paese. Centinaia i
pullman organizzati da associazioni, sindacati, moschee.
Gli organizzatori prevedono almeno mezzo milione di
persone. La polizia ieri ha consigliato a chi non intende
partecipare alla manifestazione di rimanere lontano dai
luoghi attraversati dal corteo: Westminster, Whitehall,
Downing street, Trafalgar Square e quindi Hyde Park dove
si terranno i comizi e i concerti finali. In un primo
momento il governo aveva vietato Hyde Park agli
organizzatori della marcia ma dopo diversi giorni di
trattative la ministra alla cultura Tessa Jowell ha
concesso il parco reale. Oggi sul palco saranno presenti
anche moltissimi deputati laburisti che ripeteranno la
loro richiesta al governo di consentire un dibattito e un
voto sulla guerra in parlamento. Prima che i
bombardamenti comincino, non dopo come vorrebbe Blair.
Ma le manifestazioni contro la guerra sono cominciate
ieri. Un gruppo di pacifisti si è incatenato ai cancelli
di Downing street, residenza del primo ministro. Tony
Blair era già a Edimburgo in occasione del congresso
primaverile del partito laburista che si svolge a
Glasgow. Davanti all'ospedale che Blair è andato a
visitare nella capitale scozzese si sono riunite
centinaia di persone che hanno contestato il premier e
ribadito il no alla guerra. Oggi a Glasgow è prevista
una manifestazione davanti al congresso laburista
scozzese.
Le iniziative londinesi sono state intitolate «Fate
l'amore non la guerra». Non originale, ammettono gli
organizzatori, ma pertinente. Ha aperto il fittissimo
programma «poeti contro la guerra». Quasi
contemporaneamente, in un'altra zona della città,
l'avvocata Gareth Peirce ha discusso assieme a un
rappresentante del parlamento musulmano e allo scrittore
Ghada Karmi della nuova legge antiterrorismo e sui suoi
effetti sulle comunità migranti e i profughi. Ma
l'appuntamento forse più importante della giornata di
ieri è stato il «Trade unions rally», la
manifestazione dei sindacati. Globalise Resistance ha
organizzato una serata dall'inequivocabile titolo
'Globalizza questo!': video conferenza e dibattito con
Edward Said in collegamento dagli Stati uniti. Anche Stop
the War Coalition ha voluto una vigilia della
manifestazione con ospiti d'eccezione, dal reverendo
Jesse Jackson (che in partenza dagli Stati uniti ieri ha
suggerito che forse Tony Blair dovrebbe incontrare Saddam
Hussein) al leader storico della sinistra Labour Tony
Benn (che è appena tornato dall'Iraq dove ha incontrato
e intervistato Saddam), Ahmed Ben Bella, Yvonne Ridley e
Bianca Jagger. I registi Ken Loach e Stephen Frears (che
oggi saranno in piazza) hanno presentato i film «9/11»
e «Dirty Pretty Things».
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DA - IL FOGLIO
Solo la minaccia della forza può convincere
lIraq a collaborare"
Il premier ha
ascoltato gli ispettori, poi ne ha parlato con il Foglio.
Ecco la linea che lItalia esporrà a Bruxelles
Come difendere pace e Onu - Roma. Il
presidente del Consiglio ha ascoltato parola per parola,
con i suoi consiglieri, il rapporto di Hans Blix e di
Mohamed El Baradei al Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite. E ora dice: "E un lavoro
professionale, tecnico, che non poteva non lasciare
aperte le interpretazioni politiche e le decisioni
conclusive alla luce della risoluzione 1441. I paesi
membri del Consiglio di sicurezza si apprestano a
definire in queste ore il loro orientamento, dopo i primi
pronunciamenti nella sessione pubblica del Consiglio. Il
governo italiano ritiene che, dopo dodici anni di
violazioni materiali delle risoluzioni dellOnu, e a
tre mesi dalla risoluzione che imponeva una totale e
incondizionata disponibilità dellIraq al disarmo,
la comunità internazionale deve specificare in modo
chiaro che ulteriori atteggiamenti dilatori
comporterebbero serie e immediate conseguenze.
LItalia ha una lunga tradizione di pace, e una
inclinazione naturale alla ricerca della pace fino
allultima e allultimissima ora, come ho detto
in Parlamento e confermo anche dopo il rapporto degli
ispettori. Su questa linea il governo si è mosso e si
muove, in Europa e nel mondo, senza risparmio di energie:
la pace può essere salvata solo dalla compattezza
dellOccidente, dellEuropa e dellinsieme
della comunità mondiale. Solo essendo e mostrandoci
uniti saremo in grado di evitare luso di
quellultima risorsa, che va sempre considerata con
riluttanza morale ma che nessuno Stato serio esclude dal
novero dei mezzi possibili di fronte a concreti rischi.
Solo una chiara assunzione di responsabilità, come hanno
ribadito il ministro degli Esteri britannico e quello
spagnolo, può evitare leventualità drammatica del
ricorso alla forza per disarmare un regime che ha usato
contro i suoi vicini e il suo stesso popolo armi di
distruzione di massa". Europa e Russia: decisioni
cruciali Berlusconi ritiene che lEuropa e la
Federazione russa possono giocare adesso un ruolo
decisivo, e che "il vertice europeo di lunedì va
molto al di là della routine diplomatica, è anzi un
appuntamento con la verità e con la storia". Il
ragionamento del presidente del Consiglio, che si tiene
costantemente in contatto con le parti e ha autorizzato
in ragione di questa linea del governo nuovi diritti
logistici per le truppe americane sul suolo nazionale, è
semplice: "Non avremmo avuto la ripresa del regime
delle ispezioni in Iraq se gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna, con il sostegno attivo e libero di molti paesi
europei, non avessero preso liniziativa per il
disarmo iracheno. Non avremmo avuto i timidi progressi
ammessi da Blix e ElBaradei se la pressione
politico-militare non fosse stata suffragata da una
credibile e ampia coalizione di paesi intenzionati a far
rispettare il dettato della risoluzione 1441. Ora, di
fronte alla mancata accettazione della sostanza di quella
risoluzione, cioè una immediata disponibilità al
disarmo da parte di Saddam Hussein, bisogna compiere un
passo in avanti, ancora di natura diplomatica, per
mostrare un grado superiore di unità della comunità
internazionale. E lUnione europea e la Russia
possono essere decisivi a questo fine, se solo si
riuscirà a superare il groviglio di incomprensioni e di
equivoci in cui siamo entrati nelle ultime settimane. Noi
italiani abbiamo un interesse vitale, forse superiore a
quello di altri paesi, a mantenere forte e chiara la
credibilità delle Nazioni Unite. La pace e la lotta al
terrorismo dipendono in larga misura dalla capacità
dellOnu di agire e di non essere percepito come un
organismo paralizzato, incapace di decidere e di far
osservare le sue decisioni. E questa voce porteremo a
Bruxelles, dintesa con i paesi che hanno firmato la
dichiarazione degli otto, poi dei venti, senza nessun
preconcetto e senza nessun pregiudizio nei confronti
delle opinioni diverse di altri grandi paesi membri
dellUnione". Berlusconi pensa di essere in
credito con lopposizione parlamentare: "Non
hanno voluto seguire il mio ragionamento nello scorso
ottobre, non hanno voluto accogliere il mio appello di
una settimana fa. Ho usato parole rispettose e sostenuto
una linea che ha ottenuto riconoscimenti e
incoraggiamenti ovunque: una linea responsabile,
favorevole a una soluzione pacifica ma non a ogni costo,
non al costo dellignavia e della
deresponsabilizzazione. Me ne rammarico. La chiave di
tutto è nel fatto che sullOnu sono divisi: una
parte di loro è su una posizione che nega allOnu
il diritto di imporre il disarmo a un paese come
lIraq. E questo il governo non può
accettarlo".
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DA - LA REPUBBLICA
Il regista al corteo con i
"girotondini" sfila insieme
a Flores e Franca Rame. Acclamato dalla folla
Moretti
critica Berlusconi
"Obbedienza cieca a Bush"
ROMA - Lo chiamano, lo incitano, vogliono
stringergli la mano, vogliono almeno fotografarlo. Fatica
a farsi avanti il settore del corteo in cui sfilano i
girotondini: è la causa è lui, Nanni Moretti, salutato
e acclamato dai pacifisti. Moretti è arrivato alla
manifestazione con la sua compagna e con il figlioletto
Pietro, sfila accanto a Paolo Flore d'Arcais e a Franca
Rame, che porta un cappello con sopra la foto del marito
Dario Fo e la scritta "anch'io sono con voi".
"Dario - dice l'attrice - non è potuto venire
perché il nostro contratto lo obbliga ad essere oggi a
Fano. Ma è anche lui è con noi con lo spirito".
"Contro la guerra preventiva, contro il
terrorismo", dice lo striscione che apre l'area
"girotondina" della manifestazione. "La
guerra per la lotta al terrorismo - dice Nanni Moretti -
è solo un pretesto che innescherebbe una miccia in quei
Paesi. Bush cerca di risolvere problemi di strategia
politica che nemmeno suo padre ha risolto 10 anni
fa". Il regista attacca Berlusconi per "la sua
"obbedienza cieca a Bush, agli Stati Uniti, mentre
Paesi come Francia e Germania hanno almeno cercato di
avere una posizione autonoma, pur non essendo contro gli
Stati Uniti". Nel mirino di Moretti c'è anche la
decisione, annunciata ieri dal governo, di mettere a
disposizioni degli Usa strade, porti ed aeroporti del
nostro Paese: "In Italia - dice mentre continua a
sfilare nel corteo - si prendono decisioni senza
consultare nessuno. Berlusconi, che ha la mania dei
sondaggi forse in questi giorni è distratto. Non ha
consultato i sondaggi che in Italia e negli altri Paesi
dicono che ci sono tante persone, al di là dell'essere
conservatori o progressisti, che sono contro la guerra.
Quella di oggi - conclude Moretti - non è solo una
manifestazione pacifista ma solo una manifestazione di
tantissime persone che sono contro la guerra preventiva,
persone contro Saddam, e la sua dittatura che ha
sterminato i curdi".
L'ultima battuta è per la diretta della
manifestazione negata dalla Rai: "Non mi stupisco
più di niente - afferma il regista - Il servizio
pubblico è un concetto pubblico che loro proprio non
hanno, è un concetto che non hanno mai capito. Io sono
sempre e comunque per pagare il canone, ma dopo averlo
pagato, e lo ho già pagato da mesi, però mi
incavolo". "E' un atto di vigliaccheria - gli
fa eco la Rame - Si tratta di un atto di vigliaccheria,
di paura, sono terrorizzati. A parte questo poco rispetto
dell'intelligenza del Parlamento, li hanno trattati come
bambini influenzabili e tremanti. E' una vergogna, una
delle tante vergogne di questo Paese".
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DA - L'UNITA'
Tre milioni di
bandiere della pace, sventola tutta Roma
di Rachele Gonnelli
Mangiano un panino davanti a piazzale
Ostiense. Ma il cartello al collo non se lo tolgono. C'è
scritto: «Noi non saremo antiamericani, ma loro
esagerano». Firmato: Viterbo. È un cartello scritto a
mano, a pennarello. «Siamo una famiglia per la pace
senza se e senza ma, venuta con il treno di linea»,
risponde il padre addentando il panino incartato nella
stagnola.
Sono in tantissimi così, arrivati con mezzi
propri, non organizzati, gruppi di amici, famiglie,
coppiette, con striscioni fatti in casa o semplici
bandiere della pace. Un gruppo di trentenni di Firenze
sfila sotto un lenzuolo colorato con una frase: «La pace
non è né un mestiere né un'ideologia». «È una
strofa di una canzione dei Csi, ci piaceva...». Scendono
dal treno di Milano con colombine sorrette da bastoncini.
Su ogni colombina scritte tipo: «Paola c'è», «Nico
c'è». Non è come sembra una parafrasi delle famose
scritte su Dio sui piloni dell'autostrada. «No, non sono
io Carla, in effetti lei non c'è», risponde la signora
con la colombina "Carla c'è". «Non è potuta
venire però io sì e così porto questo cartello in suo
nome». Diavoli di milanesi...
Da Milano arriva anche un nutrito drappello di
curdi con le bandiere del Pkk. «È il terzo anniversario
dell'arresto di Ocalan, oggi», ricorda un ragazzo del
centro sociale Vittoria. Bandiere della Palestina non se
ne vedono molte, solo davanti al presidio dei lavoratori
dell'Acea che protestano per gli accordi che i vertici
dell'ex municipalizzata del gas e dell'acqua di Roma
hanno cominciato a stringere con le autorità israeliane
per lo sfruttamento delle acque della regione su cui ha
giurisdizione, in parte, l'Autorità nazionale
palestinese.
In compenso c'è chi ha tirato fuori vecchi
cimeli dall'armadio come un signore brizzolato che
sfoggia una maglietta con il pugno di Lotta Continua. Un
altro sbandiera un enorme drappo rosso con la faccia di
Mao Tze Dong.
Le bande di strada di Milano, Roma e Firenze
si sono date appuntamento e, lustrati gli ottoni,
iniziano a suonare: "Besame mucho". Si parte.
La strada per il Circo Massimo e poi piazza Venezia e San
Giovanni è un'espolosione di colori ma anche di musiche.
Ognuno ha la sua colonna sonora. I Verdi ballano
Guantanamera. I pensionati dello Spi Only You dei
Platters. La Cgil Funzione Pubblica Tracy Chapman.
L'associazione Aprile solo musica reggae. I Giovani
Comunisti hip hop napoletano. Attac apre e chiude il
meraviglioso corteo di tamburi Bandaò con in testa la
ballerina che incarna la pace: lei sola danza vestita i
ritmi brasiliani d'argento con una mantellina arcobaleno.
L'Unione sindacale italiana tramette dal camion a tutto
volume London Calling dei Clash.
Ci sono poi vere e proprie discoteche, camion
equipaggiati con casse enormi, musica techno o house a
palla, e dietro giovani molto impegnati nel trovare i
movimenti giusti. La più grande, inclusiva di carro
allegorico altissimo e di "baretto" - è
scritto così - incorporato, è quella del centro sociale
Forte Prenestino, che distribuisce anche cartoline con la
pubblicità di un meeting antiproibizionista. C'è poi
l'associazione NuovoCosmo, studenti universitari romani
che tra un cineforum e un rave party, fanno anche i dj
veri e propri nei locali.
Tra tutte queste note, più che slogan ogni
tanto si sentono brevi comizi hip hop o urlacci come:
«Fermianoli, Vanno fermatiii!!». Per concetti più
estesi si deve riandare agli striscioni. Il più bello
anche se poco visibile perchè scritto in rosso su fondo
nero, nello spezzone anarchico: «La guerra è giusta,
Berlusconi è innocente, mia madre è vergine». È
firmato "gestem". Una sigla quasi clandestina.
«È una vecchia sigla che usavamo negli anni '70 -
spiega un signore con barba bianca e uno spiccato accento
fiorentino - quando la Nazione ci attaccava sempre. La
sigla sta per "gruppi estremisti stronzi e
merde", cioè come in pratica ci dipingeva il noto
quotidiano fiorentino». «Ma guarda che la Nazione non
l'ha mai saputo...», aggiunge. Sempre nello spezzone dei
rosso-neri un altro drappo enorme, coloratissimo:
«Sabbia, non olio nel motore del militarismo. Siamo
tutti disertori».
I più "duri" sono molte strade più
avanti. Il loro slogan dice "Guerra per nessuno,
Reddito per tutti". Loro si definiscono
"un'area", "l'area reclaim" -che sta
per reclamo, qualcosa del genere - un "nuovo
soggetto sociale", nato da un anno. Si trovano in
varie città: Roma, Napoli, San Giuliano Milanese,
Rovereto, Novara, Taranto, Treviso. Sono disoccupati,
studenti, e lavoratori precari, tutti dai trenta ai
quarant'anni. Si organizzano in associazioni, centri
sociali, gruppi ma il loro vero luogo è Internet, sul
sito www.redditodicittadinanza.org.
Un loro comizio contro la
guerra in Kosovo fa schierare il servizio d'ordine della
federazione romana dei Ds.
Più avanti Ale e Patti si tengono la mano,
hanno due cartelli al collo con una filastrocca «corta e
matta» di Gianni Rodari che finisce "il matto vuole
essere un mattone e il più matto della terra sapete che
vuole? vuole fare la guerra". «Con tanti che ci
tengono tanto a fare i duri - dice Ale guardando Patti -
noi abbiamo scelto di essere dolci e teneri».
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DA - L'UNITA'
15 febbraio, in
tutto il mondo una sola parola: pace, peace, paix,
Frieden
di red.
Roma, alle nove di mattina, è già piena di
gente. Il corteo che doveva muovere verso le 14 da
piazzale Ostiense partirà probabilmente due ore prima.
Ma forse sarà impossibile persino marciare, c'è gente
dappertutto, anche in piazze molto lontane dal lugo di
raduno principale. Quasi i trenta i treni speciali che
stanno arrivando nella capitale, centinaia, migliaia i
pullman. Sulle autostrade, a nord e a sud della città,
ci sono già code lunghissime di pullman in attesa di
entrare.
Dalla via Ostiense e dal Circo Massimo, in un
percorso che poi ufficialmente sarà coperto in un'unica
direzione, si snodano migrazioni di piccoli gruppi.
Piumoni, giubbotti, sciarpe, berretti di lana, già
intorno alle 9 gremiscono piazzale dei Partigiani, che
sarà un primo punto di riferimento. A centinaia si
addensano tra Testaccio, via Marmorata, via Marco Polo,
Porta San Paolo, viale Aventino, piazza Albania, la Fao -
che ha già visto un'altra imponente mobilitazione - fino
al Colosseo.
Gli striscioni ancora arrotolati - ma c'è chi
se ne serve per coprirsi - sono quelli dell'arcobaleno
che in questa giornata fa da sfondo alla scritta
«pace». Chi non ha la bandiera arcobaleno, srotola
quella italiana. Palloncini colorati con sopra impressa
la colomba della pace disegnata dal belga Folon
sventolano attaccati ai lampioni, alle fermate dei bus,
alle pompe di benzina.
Le manifestazioni europee di oggi sono state
precedute da quelle asiatiche, dalla Tailandia alla Corea
del Sud, da Tokyo a Melbourne. A Melbourne, venerdì,
sono stati oltre centomila i manifestanti che hanno
sfilato, mentre altre proteste si sono svolte a Perth,
Hobard e Canberra.
In Nuova Zelanda, a Auckland, un aereo di
Greenpeace ha sorvolato la città con un enorme
striscione dov'era scritto : «No War, peace now».
Costruiamo insieme due iniziative
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No alla guerra
perché
di Furio Colombo
Cè una zona buia e pericolosa che - in questa
vigilia tormentata - lega la parola America alla parola
guerra. Occorre allontanare quel buio e allontanare
luna dallaltra le due parole, guerra e
America. O almeno, questo è il tentativo ostinato e
appassionato di chi si sente vicino allAmerica e sa
che ad essa deve molto, non solo nella vita personale, ma
anche nella sua esistenza di cittadino libero in un mondo
di diritti umani e di diritti civili.
Il fatto è che in questi giorni, in queste ore, un
cambiamento di visione e di percezione politica
nellAmerica di George W. Bush (qualcuno dice:
limprovviso nascere di una ideologia) ha prodotto
una sovrapposizione, quasi una identificazione fra le due
parole, guerra e America.
Per capire torniamo allevento troppo spesso
dimenticato di questa storia, l11 settembre del
2001. È un giorno che ha segnato per sempre
lAmerica. Ma era fatale, era inevitabile, o - come
dicono i collaboratori e sostenitori di Bush - era
necessario che il cambiamento arrivasse qui,
sullorlo di una guerra di scala mondiale destinata
a non finire?
Tornando con la memoria a quel giorno, il problema per
tanti di noi, in Europa, è di non riuscire a vedere, a
capire ciò che è successo.
Possiamo nominare un solo Paese, più o meno generoso,
più o meno ricco, più o meno potente, che non sarebbe
entrato in una fase durissima di riesame della propria
identità e della propria esistenza, in un drammatico
interrogatorio, prima di se stesso e poi del mondo, dopo
un simile evento, per mettere almeno un po
dordine nel caos spaventoso di quella mattina?
È sbagliato, è ingiusto dire: il mondo ha avuto tanti
morti, non si vede perché quelli americani, con tutto il
compianto, debbano valere di più. Dire questo vuol dire
non sapere che l11 settembre è stata
unimmensa tragedia, non solo le vittime (più di
tremila) ma il modo, il luogo, il tempo.
Che cosa è accaduto? È accaduto che qualcuno ha
consegnato agli americani un messaggio che dice: vi
vogliamo tutti morti. Tutti chi? Tutti quelli che si
possono uccidere, ogni volta che è possibile. Un
annuncio di sterminio. Il gesto di Manhattan riproduce
ciò che è accaduto e accade in Israele quando
luomo, o il ragazzo, o la adolescente-bomba si
fanno esplodere per fare morire. Come è possibile che
sfugga il senso di questo modo di morire? Vuol dire:
morire tutti, morire per sempre. Vuol dire dichiarazione
di sterminio.
Il limite della guerra tradizionale, per quanto orrenda
è stato distrutto per farci entrare in un paesaggio in
cui tutto è guerra e tutti sono vittime. In un «per
sempre» che è arbitrariamente definito da volontà
sconosciute. Si può trattare, e a che tavolo, la fine di
una simile cosa, che non è più la guerra, ma un
progetto di morte senza limiti e senza confini?
Dico queste cose per cercare di capire che cosa hanno
visto intorno e sé i newyorkesi, gli americani, quel
giorno.
È iniziato un cammino immensamente difficile. I
cittadini si sono raccolti nel privato, nelle chiese,
nelle scuole, nei rapporti fra esseri umani nel tentativo
di decifrare lannuncio di uno strano stato di
guerra.
Nel governo è iniziato un lavoro febbrile. E solo alla
fine gli americani hanno visto e noi abbiamo visto, la
conseguenza del tragico evento di Manhattan.
Ha portato allaccettazione e certificazione dello
stato di guerra. Ha portato ad accettare lidea del
mondo come cosa distruttibile a seconda della potenza o
della destrezza, dellinganno o del peso che puoi
esercitare, ha proposto limmagine di una esistenza
da martiri e da martirizzati (o loro o noi, dipende da
chi arriva con più forza in un dato momento).
Perché chi si sente vicino allAmerica si ribella a
questa visione? Perché questa visione (che è la
dottrina di guerra preventiva di George W. Bush) consacra
lAmerica nel ruolo di nemico da distruggere ovunque
sia possibile, dal momento che sceglie come difesa di
distruggere chiunque venga indicato (o designato) come
nemico dovunque sia possibile.
È vero che cè un rapporto causa-effetto fra la
posizione (e il gesto orrendo) del terrorismo, e il
progetto di guerra sempre e dovunque, come risposta.
Ma se non si recide quel rapporto, lo stato di emergenza
distruttiva è destinato ad essere senza fine. Invece del
lavoro immenso, sia psicologico che politico, per
cancellare il trauma dell11 settembre e le
maledette circostanze che lo hanno fatto accadere, la
decisione sembra essere: 11 settembre sempre. Solo che
toccherà ad altri. E se toccherà di nuovo a noi, noi
siamo pronti.
* * *
Che senso hanno le immagini che vediamo in questi giorni
sulle prime pagine dei giornali americani e in
televisione e che ci mostrano soldati e poliziotti
americani armati nelle strade di Manhattan? Che senso
hanno i carri armati intorno allaeroporto di
Heathrow, a Londra, e le postazioni contraeree a
Washington?
Infinite storie e film sui serial killer hanno mostrato
che non ha nessun senso aspettare lassassino nello
stesso punto in cui ha già colpito. Il problema è
immenso, è il problema del mondo. Si può lavorare col
mondo (in ogni luogo cè una cellula folle di
terrorismo) non contro il mondo, per la ricerca frenetica
del serial killer, prima che uccida di nuovo.
La contrapposizione Occidente-Islam che sembra apparire
alle spalle della logica di guerra che adesso toglie il
respiro a tutti, in America, in Europa, nel mondo, ha ben
poco senso. La migliore cultura americana, le sue
università, le sue informazioni, ci hanno detto che
quella divisione non corrisponde a nulla. Mezzo Occidente
è contro qualcosa dellOccidente, mezzo Islam (e
forse molto di più) ha orrore dei messaggi impazziti di
Osama Bin Laden o di chi presume di rappresentarlo. Il
governo iracheno è un pessimo soggetto della vita
nazionale di quel Paese, del Medio Oriente e del mondo,
identico ad altri pessimi soggetti che si aggirano per il
mondo e che vengono nutriti dalla guerra e isolati dalla
pace.
Il nutrimento di Saddam Hussein è lo stato di guerra. Se
la pace si diffonde intorno a lui, a cominciare dalla
pace intorno a Israele (che può solo essere la pace che
Rabin e Barak avevano proposto ad Arafat: due Stati,
confini certi, rispetto reciproco, accettazione
reciproca, convivenza), Saddam Hussein e il suo regime di
sangue sono finiti.
Un fondamentalismo cieco, che non fa distinzioni e non
vuole sapere nulla delle condizioni e delle sofferenze
reali del mondo, ha colpito lAmerica l11
settembre. Chi ama quel Paese (perché ama la libertà e
ricorda tutto del modo in cui è nata la nostra libertà)
non può desiderare e neppure capire che la risposta sia
fondamentalista: «tutto il male» in un punto del mondo,
rispondere alla pena patita, satana contro satana, ferro
e fuoco contro ferro e fuoco.
Lerrore non è una tragedia da cui tanti saranno
travolti nellarea di questa guerra per un mese o
per un anno. Lerrore è per sempre. Perché manca -
per questa guerra - una definizione di area e una
definizione di tempo. Il luogo è dovunque, il tempo è
sempre, in una situazione di militarizzazione perenne di
tutti (si pensi alle istruzioni di protezione e
sopravvivenza impartite giovedì ai cittadini americani)
che finirà per travolgere in modo ingiusto un numero
immenso di innocenti. È un percorso che non concepisce
più estranei al conflitto.
La guerra è di tutti, per tutti, con tutti, contro
tutti. Si arriva a questa guerra attraverso una serie di
errori logici, pragmatici e pratici prima ancora di
arrivare al grande dibattito morale sulla pace, e al tema
della possibile guerra giusta. Giusta è la difesa di
tutti noi cittadini del mondo, dal pericolo del
terrorismo. Ingiusto è pensare che facendoci tutti
soldati, ogni americano e ogni altro cittadino del mondo,
saremo un po più al sicuro.
I più sofisticati sistemi di «intelligence» del mondo
(inglesi e americani) dovrebbero dire e ripetere ad alta
voce ai loro governanti che il terrorismo è altra cosa.
Quando è ricco, il terrorismo è immensamente più agile
degli eserciti. Ma persino se è povero gli basta una
faccia anonima e una valigia, dovunque, nel mondo,
possibilmente lontano dai momenti di «allarme arancio»
e «allarme rosso». Il terrorismo è una serie diffusa
di cellule malate e di focolai di infezione che vanno
fronteggiati con una grande politica, una grande
diplomazia, una intelligentissima «intelligence», che
parte da condizioni reali per risalire a una teoria,
piuttosto che partire da una teoria già consolidata e
formata in stanze lontane, per «trovare le prove».
È sbagliato, è ingiusto, attribuire a questa America,
spinta dal suo governo in un perenne stato di guerra,
odiosi secondi fini.
No, il petrolio è una causa antica e modesta. Il volto
tragico del momento è dato dalla persuasione sbagliata
che il terrorismo sia un esercito compatto da incalzare e
distruggere prima in un luogo poi in un altro poi in
altri ancora, come se questa visione avesse senso. Fra
qualche anno il mondo intero, insieme allAmerica,
dirà il suo stupore per le ore che stiamo vivendo.
Ma in queste ore tutto va detto e tutto va tentato,
specialmente da chi si sente e si è sentito negli anni
vicino allAmerica, per scongiurare una guerra che
rischia di essere senza esito e senza fine.
Lodio è la vera arma batteriologica che si deve
disattivare subito. Invece si commette lerrore di
farlo crescere.
È tipico degli spiriti pratici affermare che coloro che
stanno dalla parte della pace sono imprudenti. Con la
loro utopia espongono e si espongono al pericolo.
Questa volta è vero il contrario. La guerra di Bush è
lutopia di un dominio impossibile del ferro e del
fuoco su un mondo avvelenato. Disperatamente la maggior
parte degli amici, dei Paesi, degli alleati, delle più
diverse militanze politiche e delle religioni del mondo
lo stanno avvertendo: questa guerra è colpire a vuoto
(anche se ci saranno alcuni colpevoli fra i milioni di
innocenti) e scavare un pozzo di odio senza fondo
destinato a replicare allinfinito il male che si
vuole distruggere.
Questa volta utopia è la guerra e realismo è il rifiuto
della guerra con ogni mezzo. Questa volta gli alleati e
gli amici degli americani vogliono e chiedono la pace per
salvarli e salvarci da un futuro di infinite vendette.
Soltanto i finti amici si sono già seduti davanti al
televisore pronti a fare il tifo per missili e bombe.
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