Il terzo festival della gestione
Barbera e' probabilmente anche il peggior
Festival degli ultimi 5 anni.
La selezione dei
film e' scarsa, piena di film fasulli e poco
originali:
convincono pero', con le dovute eccezioni, i film
americani, mai come
quest'anno interessanti ed innovativi. La
qualita' delle pellicole
orientali, sempre piu' presenti nei festival del
cinema, e' mediamente
scarsa, colpa (o merito) probabilmente del Far
East Film Festival di
Udine, che riesce tutti gli anni ad accaparrarsi
le migliori pellicole
del mercato asiatico. In sintesi, mi hanno
convinto senza riserve "The
others" di Alejandro Amenabar (un ottimo
horror, senza momenti di
stanca), "Quem és tu?" di João
Botelho (un film formalmente impeccabile,
una via di mezzo tra "Il mestiere delle
armi", "Palavra e Utopia" e
"La
regina Margot"), "Hollywood, Hong
Kong" di Fruit Chan (una commedia
sulla Hong Kong di oggi), "Bully" di
Larry Clark (una sorta di "Delitto
e castigo" tra i giovani d'oggi),
"Address Unknown" di Kim Ki-Duk
(gelido dramma coreano) "Waking Life"
di Richard Linklater (un saggio di
filosofia a cartoni animati), "Abril
despedaçado" di Walter Salles
(l'appassionante storia di una faida familiare in
Brasile), "The Curse
of the Jade Scorpion" di Woody Allen (il
solito Woody Allen), "John
Carpenter's Ghosts of Mars" di John
Carpenter (forse il film migliore
del festival, fantascienza stile b movie),
"Training Day" di Antoine
Fuqua (film poliziesco solido e senza troppi
fronzoli), "Asoka di
Santosh Sivan (filmone popolare indiano, da amare
od odiare), "Pistol
Opera" di Seijun Suzuki (l'avanguardia piu'
pura, tra geometrie
insospettabili e una trama quasi
incomprensibile), "Tape" di Richard
Linklater (ottimo film da camera), "Me
Without You" di Sandra Goldbacher
(discreta commedia ambientata tra gli anni '70 e
gli anni '80),
"Invincible" di Werner Herzog (non al
livello dei suoi capolavori, ma
comunque bello), "Tuhog" di Jeffrey
Jeturian (divertente riflessione sul
cinema), "Monsoon Wedding" (deliziosa
commedia indiana) e "Reines d'un
Jour" di Marion Vernoux (commedia francese
di stampo abbastanza
classico). Per un totale di 18 film su ben 42
visti. Se a questi
aggiungo anche quelli che mi hanno convinto ma
non fino in fondo
(Birthday Girl, The Navigators, How Harry Became
a Tree, The triumph of
love, From Hell, Heist, Rain, Gege), arrivo
comunque a salvare poco piu'
della meta' dei film presenti al festival, un po'
poco rispetto agli
scorsi anni. Senza contare che mancano i veri
capolavori, film al
livello di "Brother",
"Uttara", "Seom", "La
principessa e il guerriero",
"Vengo", "La vergine dei
sicari"...
La divisione in due concorsi, cosi' come e'
concepita, e' indifendibile.
Indifendibile perche' divide i film in prodotti
di "Serie A" e di "Serie
B" (le motivazioni della direzione, secondo
cui nella sezione "Cinema
del Presente" sarebbero presenti i film piu'
innovativi, crollano di
fronte alla presenza nella sezione principale di
"Waking Life", una
delle pellicole piu' sperimentali degli ultimi
anni), assegnando quindi
premi dal diverso valore. Meglio sarebbe allora
un unico concorso in cui
far confluire tutte le pellicole, oppure la
suddivisione dei film nei
due concorsi secondo regole ben precise (ad
esempio si potrebbero
mettere in "Cinema del Presente" quei
registi che abbiano meno di
quattro film al loro attivo, realizzando cosi'
due concorsi paralleli,
uno per autori affermati, uno per le nuove leve).
Troppo alto il numero dei lungometraggi di
fiction non retrospettivi:
ben 75, contro i 71 dello scorso anno. Questo ha
acuito ancor di piu' i
classici problemi del festival, con lunghissime
code per vedere i film,
un numero insufficiente di repliche, e la
relegazione di pellicole anche
in concorso (come "Sabado", di Juan
Villegas) in sale inadeguate
(clamorosi quest'anno gli esempi di
"Tape", con Uma Thurman e Ethan
Hawke, letteralmente assediato dagli accreditati,
e di "The Curse of the
Jade Scorpion", film di Woody Allen mostrato
in proiezione unica alle
13.30 di Sabato con accesso per accreditati e
pubblico
contemporaneamente). Ridurre a 60 i lungometraggi
di fiction (6 al
giorno per 10 giorni) gioverebbe sicuramente alla
qualita' dei film (di
un'ulteriore scrematura si sente il bisogno) e
alla fruibilita' degli
stessi.
Pessima l'organizzazione per l'ingresso alle
sale, con regolamenti che
cambiavano ogni giorno, accesso in sala da
ingressi sempre diversi, casi
di spettatori PAGANTI che si vedevano rifiutare
l'accesso in sala
(perche' erano stati fatti entrare erroneamente
prima gli accreditati)
e, nella Sala Palagalileo, personale di
sorveglianza incompetente.
Esempio lampante della cattiva organizzazione e'
la proiezione di "John
Carpenter's Ghost of Mars". Finisce il film
precedente, "Triumph of
Love", e all'apertura delle porte della sala
si vede che la pioggia e'
fortissima. Si iniziano allora le procedure di
sgombero della sala (tra
una proiezione e l'altra gli spettatori devono
sempre uscire e rientrare
dalla sala), ma la gente non vuole uscire alla
pioggia. Il responsabile
allora decide di lasciare le persone in sala, fa
entrare un po' delle
persone che da 40 minuti erano in fila sotto un
diluvio incredibile e
poi dice "Mi dispiace, la sala e'
piena". Al che le persone in fila
protestano (e' loro diritto entrare, erano le
persone all'interno che
dovevano essere fatte uscire) sfondano le
barriere ed entrano, con
grande rischio per la sicurezza... il
responsabile, accortosi di aver
fatto un madornale errore e di stare rischiando
una vera rivolta,
preferisce allora fare finta di niente e il film
inizia regolarmente.
Terribili infine i nuovi servizi igienici
installati al PalaBNL,
realizzati interamente senza acqua, compreso il
sistema di lavaggio mani
che consisteva nello strofinarsi le mani "a
secco" con un gel chimico...
Speriamo che il prossimo anno si migliori,
perche' cosi' com'e' Venezia
rischia di diventare la parodia di un vero
Festival del Cinema...
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The
Others - di Alejandro Amenábar
1945, isola di Jersey: Grace vive sola con i suoi
due figli, che non
possono esporsi alla luce del sole a cuasa di una
grave malattia, in una
grande casa vittoriana, attendendo il ritorno del
marito dalla guerra.
Un giorno, pero', nella casa cominciano a
sentirsi strani rumori e ad
accadere strani eventi...
"The others" e' probabilmente una dei
migliori horror degli ultimi anni,
e conferma Alejandro Amenabar come giovane astro
nascente del cinemafantastico. Ispirata a
"Giro di vite" di Henry James, la
pellicola entra gia' dalle prime immagini in un
atmosfera tetra e decadente, e ci regala un
perfetto gioco di tensione che avvolge lo
spettatore per tutto il
film. Fotografia, musiche e attori sono
perfettamente indovinate, e il
ritmo non cala mai nemmeno per un attimo. L'unico
appunto che si
potrebbe fare al film e' la ricerca a tutti i
costi del finale con colpo
di scena, che tanto va di moda negli ultimi anni:
realizzare il film in
funzione del finale infatti non permette di
approfondire tematiche che
avrebbero potuto essere interessanti, e alla fine
rende il film piu'
convenzionale di quello che avrebbe potuto
essere.
Un film, comunque, da vedere assolutamente.
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Raye
Makhfi (Il voto e' segreto) - di Babak Payami
Un'urna elettorale viene paracadutata, una donna
sbarca su una spiaggia
e incontra un soldato, che la dovra' accompagnare
insieme all'urna in un
viaggio di uan giornata per permettere di votare
agli elettori piu'
sperduti.
Babak Payami e' regista iraniano di nascita, ma
canadese d'adozione,
avendo lasciato l'Iran non ancora maggiorenne ed
essendoci tornato per
dirigere la sua opera prima: "Un giorno in
piu'". Questa premessa e'
fondamentale per riconoscere con maggiore
facilita' ne "Il voto e'
segreto", nei suoi piani sequenza rubati
alle pellicole di Kiarostami,
nella sua trama presa da un cortometraggio di
Makhmalbaf, nel suo uso di
attori non protagonisti, un tentativo di
costruire a tavolino un film
iraniano da festival incollando con un esile
pretesto una serie di
divertenti aneddoti sulle elezioni in Iran. Il
film e' piacevole,
poetico e divertente al tempo stesso, non si puo'
negarlo, ma premiarlo
per la miglior regia al Festival di Venezia senza
accorgersi di quanto
proprio le soluzioni registiche siano una
rimasticatura di autori ben
piu' bravi, e' segno di miopia cinematografica
della giuria. Speriamo
che tutto questo non porti ad un'invasione di
cloni in un settore,
quello del cinema d'essai, che proprio negli
ultimi anni sta soccombendo
sotto i colpi di registi che realizzano pellicole
senza sentimento
sull'onda delle mode del momento.
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Luce
dei miei occhi - di Giuseppe Piccioni
Antonio, che di
mestiere fa l'autista, conosce Maria,
proprietaria di un
negozio di surgelati sommersa dai debiti e in
causa per l'affido di sua
figlia, e se ne innamora. Per aiutarla nel pagare
le rate mensili del
suo debito si rivolge allora a Saverio, lo
strozzino a cui Maria ha
chiesto in prestito i soldi, e comincia a
lavorare per lui.
"Luce dei miei occhi" e' il classico
esempio di cinema italiano
"deteriore", che sfrutta i clichet
della pellicola impegnata per
attirare il pubblico verso un prodotto malamente
realizzato. E il fatto
che ricalchi le atmosfere malinconiche del
precedente "Fuori dal mondo"
(che comunque, al contrario di questo, era un
ottimo film) non fa che
confermare la mancanza di idee di Piccioni, che
mira a ripetere il
successo anteponendo il gia' visto
all'innovazione.
La maggior parte del film e' raccontata con voce
fuori campo o
monologhi, trucco usato solitamente dagli
sceneggiatori per
semplificarsi il lavoro. Raccontare il mondo
interiore di Antonio in
questo modo non porta altro che ad un
insostenibile rallentamento del
ritmo, che si cerca di mascherare con una
asfisiante presenza della
musica, per restituire alla pellicola una
parvenza di ritmo. I
personaggi, seppur credibili, diventano a volte
fin troppo
macchiettistici (l'amore incondizionato di
Antonio e' fin troppo
esagerato), e il finale nega le premesse della
pellicola per arrivare ad
una soluzione parzialmente riconciliatrice che
accontenti il pubblico di
bocca buona.
Rimangono due ottimi attori, vincitori di una
meritata "Coppa Volpi",
chiarendo pero' che la loro performance non fa
comunque di "Luce deimiei occhi" un
film degno di menzione.
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Heist
- di David Mamet
Joe Moore (Gene
Hackman) viene ripreso dalla telecamera di
sicurezzadurante un furto in gioielleria con i
suo soci Bobby e Pinky. A questopunto l'unica
soluzione e' la fuga, non prima pero' di aver
commesso un ultimo furto per Bergman (Danny De
Vito), un ricettatore che lo tiene in
pugno.Come sempre nel cinema di Mamet le cose non
sono mai quello che
sembrano, e i colpi di scena si susseguono uno
dopo l'altro. In Heist,
pero', i pezzi non si incastrano perfettamente
come al solito, lasciando
per strada parecchi buchi di scenggiatura.
Rimangono dei buoni attori,
degli ottimi dialoghi, e una regia comunque
accurata. Quanto basta per
una visione gradevole, ma lontana dai capolavori
del regista di "La casa
dei giochi".
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A.I.
Artificial Intelligence - di Steven Spielberg
Siamo in un
remoto futuro, su una terra in cui le risorse
scarseggiano.
L'industria robotica e' all'avanguardia, e i
robot, sempre piu' simili
ad esseri umani ma considerati come macchine,
vengono utilizzati per
soddisfare i bisogni dell'uomo. David, robot
bambino di ultima
generazione, viene creato per replicare
fedelmente i comportamenti e le
emozioni umane e soddisfare cosi' un ultimo
bisogno: crescere un bambino
in una societa' in cui avere figli e' un lusso
concesso a pochi.
A.I. nasce come progetto anomalo: film di culto
gia' da molti anni prima
della sua uscita, pensato e ideato da Stanley
Kubrick prima della sua
morte, e poi passato nelle mani di Steven
Spielberg per volonta' di
Kubrick stesso. Sulla carta, un progetto
ambizioso ma di sicuro impatto,diretto da uno
Spielberg che potrebbe, almeno per una volta,
essere
tenuto a freno nei suoi eccessi deliranti dalla
paura di rovinare il
progetto del genio del cinema Stanley Kubrick. E
il film, non si puo'
negarlo, e' in effetti di una bellezza e di un
coinvolgimento
incredibili: Haley Joel Osment, ormai attore
bambino per eccellenza,
quasi spaventa da quanto e' bravo, gli effetti
speciali digitali sono
assolutamente perfetti e la sceneggiatura non
cade nelle trappole della
retorica (cammina sull'orlo del precipizio, ma
non sprofonda mai nel
moralismo Spielbergiano) e si muove agilmente tra
azione e riflessione.
Tutto questo pero' avrebbe funzionato se Kubrick
fosse ancora vivo, e
avesse impedito a Spielberg di rovinare due
incredibili ore di film con
uno dei finali piu' brutti degli ultimi anni,
pari solo alla delirante
conclusione di "Mission to Mars". E'
incredibile come, arrivati a un
punto in cui potrebbero tranquillamente partire i
titoli di coda,
Spielberg decida di continuare il film con uno
dei suoi soliti e
famigerati salti temporali (basti pensare ai
finali di "Schindler's
List" e di "Salvate il soldato
Ryan"), talmente gratuito, retorico ed
inutile da sfiorare i capolavori trash di Ed Wood
per banalita' ed
assurdita'.
Io un consiglio ve lo do, anche se so che non lo
seguirete: arrivati
alla scena con un sottomarino in fondo al mare, e
la voce narrante che
sembra concludere, uscite dalla sala e
conservatevi il ricordo di questa
pellicola. Perche', veramente, guardarsi anche il
resto del film e'
talmente irritante che non lo consiglierei
nemmeno al mio peggior
nemico.
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Il
pianeta delle scimmie - di Tim Burton
2029:
l'astronauta Leo Davidson (Mark Wahlberg) mentre
ispeziona un
anomalia elettromagnetica finisce su uno sperduto
pianeta, governato da
scimmie intelligenti che tengono in schiavitu'
gli uomini. Con l'aiuto
di Ari (Helena Bonham-Carter), una scimmia
simpatizzante della causa
umana, Leo cerca insieme ad altri umani il modo
di scappare dalla
schiavitu' e dal pianeta. Ma il gruppo e'
inseguito dall'esercito del
cattivissimo Generale Thade (Tim Roth).
Nei titoli di testa, che richiamano quelli di
Batman, commentati dalle
musiche di un Danny Elfman meno scontato del
solito, comincia e finisce
quello che puo' essere riconosciuto come il tocco
di Tim Burton. Tutto
il resto, seppur a volte realizzato con mestiere,
non ha niente a che
fare con le pellicole precedenti del regista dark
per eccellenza.
Appare chiaro come Hollywood negli ultimi anni
abbia sempre piu'
difficolta nel realizzare bei film d'azione o di
fantascienza "seria".
Quando si tratta di realizzare pellicole ironiche
e dissacranti, ecco
che il tocco degli autori si fa sentire con
pellicole di altissimo
livello ("Fantasmi da Marte",
"Starship Troopers", "Mission
Impossible
2"), ma quando viene a mancare l'ironia
spesso emergono delle enormi
lacune: mancanza di sceneggiature all'altezza,
incongruenze, moralismi (basti pensare a
"Driven" o a "Pianeta
rosso").
"Il pianeta delle scimmie" purtroppo
non fa eccezione, e sebbene sia
girato da un regista di spicco con un cast di
bravi attori ricorda nei
suoi difetti il terribile "Battaglia per la
terra". La sceneggiatura e'
molto esile, con alcuni personaggi totalmente
inutili (la bella Daena e'
inserita solo per mostrare il suo seno [mai
scoperto, comunque]
rivitalizzato da un provvidenziale push-up), dei
dialoghi spesso
incongruenti (forse c'entrano la traduzione e il
doppiaggio o la mia
scarsa conoscenza dei primati, ma il dialogo in
cui si dice che gli
scimpanze' sono considerati dalle scimmie come
essere inferiori stride
con l'aspetto da scimpanze' del Generale Thade) e
delle scene quasi
demenziali (il piano di Leo per sconfiggere le
scimmie nel finale e'
veramente pessimo e ridicolo). Per non parlare
del finale, che se riesce
a dare una spiegazione interessante dell'origine
della comunita' di
scimmie, si impantana poi nelle ultimissime scene
in una sequenza che
non ha nessuna spiegazione logica rispetto a
quello che si e' visto
durante il film.
Un film insomma che si puo' tranquillamente
perdere, magari
riguardandosi la versione anni '60 che era
indubbiamente migliore.
Voto: 5.
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Panic
- di Henry Bromell
Alex (William H.
Macy), all'apparenza un paziente come tanti
altri, si
rivolge a un'analista (John Ritter) per risolvere
i suoi problemi. Ma
Alex e' un killer, professione che ha ereditato
da suo padre (Donald
Sutherland) e che adesso vorrebbe smettere. E,
per complicare
ulteriormente le cose, nello studio dell'analista
incontra Sarah (Neve
Campbell), ventitreenne da cui si sente subito
attratto.
Dopo una partenza che puo' lasciare intravedere i
toni della commedia,
le atmosfere di Panic si fanno gelide come quelle
di "Fargo", film di
culto dello scorso decennio: ed e' probabilmente
per questo motivo che
William H. Macy, che gia' aveva recitato nel film
dei Coen, e' stato
scelto per la parte.
Il film, bisogna ammetterlo, non decolla mai in
momenti di cinema
memorabili, ma affronta i rapporti tra i
protagonisti in maniera
esemplare. Il rapporto tra padre-figlio entrambi
killer, il primo per
scelta il secondo quasi per costrizione, il
rapporto di Alex con la
moglie e con la giovane ragazza di cui si
innamora, il suo rapporto con
l'analista a cui per la prima volta si apre.
Tutto questo e' raccontato
senza eccessi, senza retorica, con un rigore che
raramente si trova nel
cinema americano.
Nel complesso "Panic" e' un film
discreto, che affascina e coinvolge a
tratti, con alcuni momenti morti ma una grande
voglia di analizzare afondo le dinamiche della
vita.
Voto: 7-.
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The
Hole - di Nick Hamm
Inghilterra: in
una scuola privata 4 studenti decidono in segreto
di
trascorrere il fine settimana in un bunker
antiatomico nei pressi della
scuola, piuttosto che aggregarsi alla gita
organizzata dall'Istituto
stesso. Dopo 18 giorni di ricerche viene
finalmente ritrovata Liz (Thora
Birch): cosa e' realmente successo? Perche' i 4
ragazzi sono scomparsi per tutto quel tempo?
"The Hole" e' un thriller
giovanilistico, che rifugge la trappola dei
vezzi metacinematografici alla "Scream"
che oggi vanno tanto di moda a
favore di un solido plot.
Qui non troviamo citazioni o divertimento, ma
un'atmosfera di pura
angoscia, in cui man mano che la pellicola
procede le cose si rivelano
essere diverse da quello che sembrano.
Sicuramente il film non e' perfetto: alcuni degli
attori sono abbastanza
inespressivi e lo svolgimento avrebbe giovato di
una maggiore
linearita'. Ma il tutto si fa comunque guardare
con piacere, il che per
un film che vuole essere di intrattenimento e'
sicuramente un ottimo
risultato.
Voto: 7.
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Fantasmi
da Marte - di John Carpenter
Marte, 2176. Il
tenente Melanie Ballard (Natasha Hentsridge) ha
il
compito di consegnare alla giustizia il criminale
James "Desolation"
Williams (Ice Cube). Quando pero' arriva a
Shining Canyons, la base e'
totalmente deserta, e strani esseri si aggirano
nei dintorni.
Delle persone arrivano in una base e la trovano
deserta. Strane creature
si aggirano nei dintorni. Questo plot e' forse
uno dei piu' abusati dal
cinema di fantascienza-horror, a partire da
"Alien" fino al recentissimo
"Pitch Black". Ma John Carpenter
colpisce ancora una volta nel segno,
reinventando il tutto nel segno del western-heavy
metal, e con un'enorme
dose di ironia.
Difficile non notare nelle "creature"
che si aggirano nella base,
abbigliate in una via di mezzo tra Marilyn Manson
e Alice Cooper, la
parodia dei metallari (anche perche', nel caso
avessimo dei dubbi, la
colonna sonora heavy metal composta da Carpenter
stesso provvede presto
a fugarli), e non accorgersi che, guarda caso,
contro di loro lotta il
rapper Ice Cube. E difficile anche non divertirsi
quando Carpenter
fornisce come unico rimedio all'invasione quello
di assumere droghe (nonsvelo niente di
importante, non temete...).
Per 100 minuti l'adrenalina sale, e il regista
americano dimostra di
essere uno dei pochi a riuscire a realizzare un
film senza punti morti,
in un momento in cui la verbosita' e' diventata
un vanta e molte delle
pellicole in circolazione abbisognerebbero di
consistenti tagli.
Voto: 9.
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Session
9 - di Brad Anderson
Un'azienda per la
sanificazione degli edifici dall'amianto vince
l'appalto per ripulire un vecchio ospedale
psichiatrico. L'atmosfera
tra gli operai e' da subito tesa visto che Gordon
(Peter Mullan), il
capo, ha dei problemi con la famiglia, Hank ha
rubato la ragazza a
Phil e il giovane Jeff non ha nessuna esperienza.
E come se non
bastasse Mike trova dei nastri, la registrazione
delle sedute di una
paziente affetta da schizofrenia...
La fotografia simil-documentaristica, il cast di
personaggi ridotto al
minimo (5 attori, su cui si basa quasi tutto il
film), la tensione
prodotta con pochi mezzi, una fuga ripresa con
camera a mano... tutto
questo porterebbe ad individuare come facile
referente per "Session 9" quel
"Blair Witch Project" di cui non tutti
hanno capito la portata
per il futuro del cinema. Ma "Session
9" oltre che da "Blair Witch
Project" prende molto da quello che forse e'
l'unico altro capolavoro
horror del decennio passato: "Il regno"
di Lars von Trier. Sia le
musiche, sia le inquadrature sui personaggi, sia
una certa atmosfera
oppressiva non possono non provenire che da uno
studio attento del
film danese.
Ma nonostante tutti questi riferimenti
"Session 9" e' un film
originale, un piccolo gioiellino del cinema
horror che riesce a
spaventare e a stupire senza utilizzare effetti
speciali o colpi di
scena ad effetto. E in effetti quello che
spiazza, alla fine della
vicenda, e' proprio la linearita' della storia:
dove ci aspetteremmo
rivelazioni sconvolgenti o capovolgimenti di
fronte alla Amenabar
troviamo invece un'idea di fondo portata avanti
con estrema coerenza.
Gli attori sono eccezionali, soprattutto Peter
Mullan, le musiche
estremamente evocative e l'atmosfera
terribilmente angosciante.
Insieme a "Tho others", "Session
9" e il secondo gioellino horror
della nuova stagione cinematografica. Se il
buongiorno si vede dal
mattino, prepariamoci a spaventarci sempre di
piu'.
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La
nobildonna e il duca - di Eric Rohmer
La nobildonna e'
Grace Elliott, dama inglese innamorata della
Francia edapertamente monarchica. Il Duca e'
Philippe, Duca d'Orleans e cugino del Re di
Francia. Ex-amanti, si trovano entrambi a Parigi
durante la
Rivoluzione Francese, cercando di non finire
sotto la lama della
ghigliottina...
Tratto da una storia vera (il romanzo delle
memorie di Grace Elliott),
"La nobildonna e' il duca" e' un buon
esempio di cinema in costume
rigoroso ma innovativo, intenso ma non noioso.
Dal punto di vista visivo Rohmer riprende un'idea
gia' sfruttata in un
altro suo film in costume, "Perceval le
Gallois": utilizzare fondali
apertamente finti, per rendere l'atmosfera ancora
piu' teatrale. Mentre
pero' nel Percival i fondali erano set teatrali
veri e propri, stavolta
l'ottantenne regista francese sfrutta le
possibilita' della tecnologia
digitale, fondendo a computer attori con
ambientazioni dipinte a mano.
Lascia invece abbastanza perplessi l'utilizzo di
una fotografia e di
colori volutamente televisivi, che rendono la
pellicola in parte simile
agli sceneggiati televisivi dell'epoca d'oro.
Gli attori sono molto bravi. Su tutti spicca
Jean-Claude Dreyfus, "le
Duc", gia' utilizzato in ruoli anche anomali
dalla coppia Jeunet e Caro.
Lucy Russell, la nobildonna, dalla fisionomia
incredibilmente simile a
una Alicia Silverston con 20 anni di piu', gli fa
da contraltare in
ottima maniera.
La sceneggiatura e' sempre sobria, mai noiosa ma
mai eccessiva, e le due
ore di film passano alla svelta.
Rispetto alle pellicole di Rohmer dell'ultimo
decennio manca forse un
po' della freschezza che contraddistingueva il
regista francese, ma nel
complesso il film e' sicuramente da vedere.
Voto: 8.
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Shriek:
hai impegni per Venerdi' 17? - di John Blanchard
Parlare di trama
per "Shriek" sarebbe quantomeno
azzardato. Il film e'
infatti un contenitore di piccoli sketch
demenziali che parodiano
centinaia di film horror (e non solo), con
tuttalpiu' un esile filo
conduttore (un maniaco omicida stile Scream).
L'idea di base e' probabilmente quella di bissare
il successo di "Scary
Movie", grosso successo in America tra i
teenager. Peccato che gia'
"Scary Movie" fosse un film piu' che
perdibile, e che Shriek sia ancora
meno divertente. Il livello della comicita' e
molto basso, quasi al pari
delle annuali commedie Vanziniane, e tutto il
resto e' poco piu' che
amatoriale.
Dire che non si ride mai sarebbe una bugia, ma 3
o 4 risate strappate da
un film che dovrebbe essere totalmente demenziale
non sono certamente
qualcosa di cui andare troppo fieri...
Ma in fondo, da una pellicola nata per l'home
video (e che non si sa per
quale motivo esce in Italia nelle sale) che cerca
copiare un film
("Scary Movie") che e' la parodia di un
altro film ("Scream") che prendein giro
numerosi altri film, cosa potevamo aspettarci?
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