Il terzo festival della gestione Barbera e' probabilmente anche il peggior Festival degli ultimi 5 anni.

La selezione dei film e' scarsa, piena di film fasulli e poco originali:
convincono pero', con le dovute eccezioni, i film americani, mai come
quest'anno interessanti ed innovativi. La qualita' delle pellicole
orientali, sempre piu' presenti nei festival del cinema, e' mediamente
scarsa, colpa (o merito) probabilmente del Far East Film Festival di
Udine, che riesce tutti gli anni ad accaparrarsi le migliori pellicole
del mercato asiatico. In sintesi, mi hanno convinto senza riserve "The
others" di Alejandro Amenabar (un ottimo horror, senza momenti di
stanca), "Quem és tu?" di João Botelho (un film formalmente impeccabile,
una via di mezzo tra "Il mestiere delle armi", "Palavra e Utopia" e "La
regina Margot"), "Hollywood, Hong Kong" di Fruit Chan (una commedia
sulla Hong Kong di oggi), "Bully" di Larry Clark (una sorta di "Delitto
e castigo" tra i giovani d'oggi), "Address Unknown" di Kim Ki-Duk
(gelido dramma coreano) "Waking Life" di Richard Linklater (un saggio di
filosofia a cartoni animati), "Abril despedaçado" di Walter Salles
(l'appassionante storia di una faida familiare in Brasile), "The Curse
of the Jade Scorpion" di Woody Allen (il solito Woody Allen), "John
Carpenter's Ghosts of Mars" di John Carpenter (forse il film migliore
del festival, fantascienza stile b movie), "Training Day" di Antoine
Fuqua (film poliziesco solido e senza troppi fronzoli), "Asoka di
Santosh Sivan (filmone popolare indiano, da amare od odiare), "Pistol
Opera" di Seijun Suzuki (l'avanguardia piu' pura, tra geometrie
insospettabili e una trama quasi incomprensibile), "Tape" di Richard
Linklater (ottimo film da camera), "Me Without You" di Sandra Goldbacher
(discreta commedia ambientata tra gli anni '70 e gli anni '80),
"Invincible" di Werner Herzog (non al livello dei suoi capolavori, ma
comunque bello), "Tuhog" di Jeffrey Jeturian (divertente riflessione sul
cinema), "Monsoon Wedding" (deliziosa commedia indiana) e "Reines d'un
Jour" di Marion Vernoux (commedia francese di stampo abbastanza
classico). Per un totale di 18 film su ben 42 visti. Se a questi
aggiungo anche quelli che mi hanno convinto ma non fino in fondo
(Birthday Girl, The Navigators, How Harry Became a Tree, The triumph of
love, From Hell, Heist, Rain, Gege), arrivo comunque a salvare poco piu'
della meta' dei film presenti al festival, un po' poco rispetto agli
scorsi anni. Senza contare che mancano i veri capolavori, film al
livello di "Brother", "Uttara", "Seom", "La principessa e il guerriero",
"Vengo", "La vergine dei sicari"...

La divisione in due concorsi, cosi' come e' concepita, e' indifendibile.
Indifendibile perche' divide i film in prodotti di "Serie A" e di "Serie
B" (le motivazioni della direzione, secondo cui nella sezione "Cinema
del Presente" sarebbero presenti i film piu' innovativi, crollano di
fronte alla presenza nella sezione principale di "Waking Life", una
delle pellicole piu' sperimentali degli ultimi anni), assegnando quindi
premi dal diverso valore. Meglio sarebbe allora un unico concorso in cui
far confluire tutte le pellicole, oppure la suddivisione dei film nei
due concorsi secondo regole ben precise (ad esempio si potrebbero
mettere in "Cinema del Presente" quei registi che abbiano meno di
quattro film al loro attivo, realizzando cosi' due concorsi paralleli,
uno per autori affermati, uno per le nuove leve).

Troppo alto il numero dei lungometraggi di fiction non retrospettivi:
ben 75, contro i 71 dello scorso anno. Questo ha acuito ancor di piu' i
classici problemi del festival, con lunghissime code per vedere i film,
un numero insufficiente di repliche, e la relegazione di pellicole anche
in concorso (come "Sabado", di Juan Villegas) in sale inadeguate
(clamorosi quest'anno gli esempi di "Tape", con Uma Thurman e Ethan
Hawke, letteralmente assediato dagli accreditati, e di "The Curse of the
Jade Scorpion", film di Woody Allen mostrato in proiezione unica alle
13.30 di Sabato con accesso per accreditati e pubblico
contemporaneamente). Ridurre a 60 i lungometraggi di fiction (6 al
giorno per 10 giorni) gioverebbe sicuramente alla qualita' dei film (di
un'ulteriore scrematura si sente il bisogno) e alla fruibilita' degli
stessi.

Pessima l'organizzazione per l'ingresso alle sale, con regolamenti che
cambiavano ogni giorno, accesso in sala da ingressi sempre diversi, casi
di spettatori PAGANTI che si vedevano rifiutare l'accesso in sala
(perche' erano stati fatti entrare erroneamente prima gli accreditati)
e,  nella Sala Palagalileo, personale di sorveglianza incompetente.
Esempio lampante della cattiva organizzazione e' la proiezione di "John
Carpenter's Ghost of Mars". Finisce il film precedente, "Triumph of
Love", e all'apertura delle porte della sala si vede che la pioggia e'
fortissima. Si iniziano allora le procedure di sgombero della sala (tra
una proiezione e l'altra gli spettatori devono sempre uscire e rientrare
dalla sala), ma la gente non vuole uscire alla pioggia. Il responsabile
allora decide di lasciare le persone in sala, fa entrare un po' delle
persone che da 40 minuti erano in fila sotto un diluvio incredibile e
poi dice "Mi dispiace, la sala e' piena". Al che le persone in fila
protestano (e' loro diritto entrare, erano le persone all'interno che
dovevano essere fatte uscire) sfondano le barriere ed entrano, con
grande rischio per la sicurezza... il responsabile, accortosi di aver
fatto un madornale errore e di stare rischiando una vera rivolta,
preferisce allora fare finta di niente e il film inizia regolarmente.

Terribili infine i nuovi servizi igienici installati al PalaBNL,
realizzati interamente senza acqua, compreso il sistema di lavaggio mani
che consisteva nello strofinarsi le mani "a secco" con un gel chimico...

Speriamo che il prossimo anno si migliori, perche' cosi' com'e' Venezia
rischia di diventare la parodia di un vero Festival del Cinema...

The Others - di Alejandro Amenábar



1945, isola di Jersey: Grace vive sola con i suoi due figli, che non
possono esporsi alla luce del sole a cuasa di una grave malattia, in una
grande casa vittoriana, attendendo il ritorno del marito dalla guerra.
Un giorno, pero', nella casa cominciano a sentirsi strani rumori e ad
accadere strani eventi...

"The others" e' probabilmente una dei migliori horror degli ultimi anni,
e conferma Alejandro Amenabar come giovane astro nascente del cinemafantastico. Ispirata a "Giro di vite" di Henry James, la pellicola entra gia' dalle prime immagini in un atmosfera tetra e decadente, e ci regala un perfetto gioco di tensione che avvolge lo spettatore per tutto il
film. Fotografia, musiche e attori sono perfettamente indovinate, e il
ritmo non cala mai nemmeno per un attimo. L'unico appunto che si
potrebbe fare al film e' la ricerca a tutti i costi del finale con colpo
di scena, che tanto va di moda negli ultimi anni: realizzare il film in
funzione del finale infatti non permette di approfondire tematiche che
avrebbero potuto essere interessanti, e alla fine rende il film piu'
convenzionale di quello che avrebbe potuto essere.

Un film, comunque, da vedere assolutamente.

Raye Makhfi (Il voto e' segreto) - di Babak Payami



Un'urna elettorale viene paracadutata, una donna sbarca su una spiaggia
e incontra un soldato, che la dovra' accompagnare insieme all'urna in un
viaggio di uan giornata per permettere di votare agli elettori piu'
sperduti.

Babak Payami e' regista iraniano di nascita, ma canadese d'adozione,
avendo lasciato l'Iran non ancora maggiorenne ed essendoci tornato per
dirigere la sua opera prima: "Un giorno in piu'". Questa premessa e'
fondamentale per riconoscere con maggiore facilita' ne "Il voto e'
segreto", nei suoi piani sequenza rubati alle pellicole di Kiarostami,
nella sua trama presa da un cortometraggio di Makhmalbaf, nel suo uso di
attori non protagonisti, un tentativo di costruire a tavolino un film
iraniano da festival incollando con un esile pretesto una serie di
divertenti aneddoti sulle elezioni in Iran. Il film e' piacevole,
poetico e divertente al tempo stesso, non si puo' negarlo, ma premiarlo
per la miglior regia al Festival di Venezia senza accorgersi di quanto
proprio le soluzioni registiche siano una rimasticatura di autori ben
piu' bravi, e' segno di miopia cinematografica della giuria. Speriamo
che tutto questo non porti ad un'invasione di cloni in un settore,
quello del cinema d'essai, che proprio negli ultimi anni sta soccombendo
sotto i colpi di registi che realizzano pellicole senza sentimento
sull'onda delle mode del momento.

Luce dei miei occhi - di Giuseppe Piccioni



Antonio, che di mestiere fa l'autista, conosce Maria, proprietaria di un
negozio di surgelati sommersa dai debiti e in causa per l'affido di sua
figlia, e se ne innamora. Per aiutarla nel pagare le rate mensili del
suo debito si rivolge allora a Saverio, lo strozzino a cui Maria ha
chiesto in prestito i soldi, e comincia a lavorare per lui.

"Luce dei miei occhi" e' il classico esempio di cinema italiano
"deteriore", che sfrutta i clichet della pellicola impegnata per
attirare il pubblico verso un prodotto malamente realizzato. E il fatto
che ricalchi le atmosfere malinconiche del precedente "Fuori dal mondo"
(che comunque, al contrario di questo, era un ottimo film) non fa che
confermare la mancanza di idee di Piccioni, che mira a ripetere il
successo anteponendo il gia' visto all'innovazione.

La maggior parte del film e' raccontata con voce fuori campo o
monologhi, trucco usato solitamente dagli sceneggiatori per
semplificarsi il lavoro. Raccontare il mondo interiore di Antonio in
questo modo non porta altro che ad un insostenibile rallentamento del
ritmo, che si cerca di mascherare con una asfisiante presenza della
musica, per restituire alla pellicola una parvenza di ritmo. I
personaggi, seppur credibili, diventano a volte fin troppo
macchiettistici (l'amore incondizionato di Antonio e' fin troppo
esagerato), e il finale nega le premesse della pellicola per arrivare ad
una soluzione parzialmente riconciliatrice che accontenti il pubblico di
bocca buona.

Rimangono due ottimi attori, vincitori di una meritata "Coppa Volpi",
chiarendo pero' che la loro performance non fa comunque di "Luce deimiei occhi" un film degno di menzione.

Heist - di David Mamet



Joe Moore (Gene Hackman) viene ripreso dalla telecamera di sicurezzadurante un furto in gioielleria con i suo soci Bobby e Pinky. A questopunto l'unica soluzione e' la fuga, non prima pero' di aver commesso un ultimo furto per Bergman (Danny De Vito), un ricettatore che lo tiene in
pugno.Come sempre nel cinema di Mamet le cose non sono mai quello che
sembrano, e i colpi di scena si susseguono uno dopo l'altro. In Heist,
pero', i pezzi non si incastrano perfettamente come al solito, lasciando
per strada parecchi buchi di scenggiatura. Rimangono dei buoni attori,
degli ottimi dialoghi, e una regia comunque accurata. Quanto basta per
una visione gradevole, ma lontana dai capolavori del regista di "La casa
dei giochi".

A.I. Artificial Intelligence - di Steven Spielberg



Siamo in un remoto futuro, su una terra in cui le risorse scarseggiano.
L'industria robotica e' all'avanguardia, e i robot, sempre piu' simili
ad esseri umani ma considerati come macchine, vengono utilizzati per
soddisfare i bisogni dell'uomo. David, robot bambino di ultima
generazione, viene creato per replicare fedelmente i comportamenti e le
emozioni umane e soddisfare cosi' un ultimo bisogno: crescere un bambino
in una societa' in cui avere figli e' un lusso concesso a pochi.

A.I. nasce come progetto anomalo: film di culto gia' da molti anni prima
della sua uscita, pensato e ideato da Stanley Kubrick prima della sua
morte, e poi passato nelle mani di Steven Spielberg per volonta' di
Kubrick stesso. Sulla carta, un progetto ambizioso ma di sicuro impatto,diretto da uno Spielberg che potrebbe, almeno per una volta, essere
tenuto a freno nei suoi eccessi deliranti dalla paura di rovinare il
progetto del genio del cinema Stanley Kubrick. E il film, non si puo'
negarlo, e' in effetti di una bellezza e di un coinvolgimento
incredibili: Haley Joel Osment, ormai attore bambino per eccellenza,
quasi spaventa da quanto e' bravo, gli effetti speciali digitali sono
assolutamente perfetti e la sceneggiatura non cade nelle trappole della
retorica (cammina sull'orlo del precipizio, ma non sprofonda mai nel
moralismo Spielbergiano) e si muove agilmente tra azione e riflessione.

Tutto questo pero' avrebbe funzionato se Kubrick fosse ancora vivo, e
avesse impedito a Spielberg di rovinare due incredibili ore di film con
uno dei finali piu' brutti degli ultimi anni, pari solo alla delirante
conclusione di "Mission to Mars". E' incredibile come, arrivati a un
punto in cui potrebbero tranquillamente partire i titoli di coda,
Spielberg decida di continuare il film con uno dei suoi soliti e
famigerati salti temporali (basti pensare ai finali di "Schindler's
List" e di "Salvate il soldato Ryan"), talmente gratuito, retorico ed
inutile da sfiorare i capolavori trash di Ed Wood per banalita' ed
assurdita'.

Io un consiglio ve lo do, anche se so che non lo seguirete: arrivati
alla scena con un sottomarino in fondo al mare, e la voce narrante che
sembra concludere, uscite dalla sala e conservatevi il ricordo di questa
pellicola. Perche', veramente, guardarsi anche il resto del film e'
talmente irritante che non lo consiglierei nemmeno al mio peggior
nemico.

Il pianeta delle scimmie - di Tim Burton



2029: l'astronauta Leo Davidson (Mark Wahlberg) mentre ispeziona un
anomalia elettromagnetica finisce su uno sperduto pianeta, governato da
scimmie intelligenti che tengono in schiavitu' gli uomini. Con l'aiuto
di Ari (Helena Bonham-Carter), una scimmia simpatizzante della causa
umana, Leo cerca insieme ad altri umani il modo di scappare dalla
schiavitu' e dal pianeta. Ma il gruppo e' inseguito dall'esercito del
cattivissimo Generale Thade (Tim Roth).

Nei titoli di testa, che richiamano quelli di Batman, commentati dalle
musiche di un Danny Elfman meno scontato del solito, comincia e finisce
quello che puo' essere riconosciuto come il tocco di Tim Burton. Tutto
il resto, seppur a volte realizzato con mestiere, non ha niente a che
fare con le pellicole precedenti del regista dark per eccellenza.

Appare chiaro come Hollywood negli ultimi anni abbia sempre piu'
difficolta nel realizzare bei film d'azione o di fantascienza "seria".
Quando si tratta di realizzare pellicole ironiche e dissacranti, ecco
che il tocco degli autori si fa sentire con pellicole di altissimo
livello ("Fantasmi da Marte", "Starship Troopers", "Mission Impossible
2"), ma quando viene a mancare l'ironia spesso emergono delle enormi
lacune: mancanza di sceneggiature all'altezza, incongruenze, moralismi (basti pensare a "Driven" o a "Pianeta rosso").

"Il pianeta delle scimmie" purtroppo non fa eccezione, e sebbene sia
girato da un regista di spicco con un cast di bravi attori ricorda nei
suoi difetti il terribile "Battaglia per la terra". La sceneggiatura e'
molto esile, con alcuni personaggi totalmente inutili (la bella Daena e'
inserita solo per mostrare il suo seno [mai scoperto, comunque]
rivitalizzato da un provvidenziale push-up), dei dialoghi spesso
incongruenti (forse c'entrano la traduzione e il doppiaggio o la mia
scarsa conoscenza dei primati, ma il dialogo in cui si dice che gli
scimpanze' sono considerati dalle scimmie come essere inferiori stride
con l'aspetto da scimpanze' del Generale Thade) e delle scene quasi
demenziali (il piano di Leo per sconfiggere le scimmie nel finale e'
veramente pessimo e ridicolo). Per non parlare del finale, che se riesce
a dare una spiegazione interessante dell'origine della comunita' di
scimmie, si impantana poi nelle ultimissime scene in una sequenza che
non ha nessuna spiegazione logica rispetto a quello che si e' visto
durante il film.

Un film insomma che si puo' tranquillamente perdere, magari
riguardandosi la versione anni '60 che era indubbiamente migliore.

Voto: 5.

Panic - di Henry Bromell



Alex (William H. Macy), all'apparenza un paziente come tanti altri, si
rivolge a un'analista (John Ritter) per risolvere i suoi problemi. Ma
Alex e' un killer, professione che ha ereditato da suo padre (Donald
Sutherland) e che adesso vorrebbe smettere. E, per complicare
ulteriormente le cose, nello studio dell'analista incontra Sarah (Neve
Campbell), ventitreenne da cui si sente subito attratto.

Dopo una partenza che puo' lasciare intravedere i toni della commedia,
le atmosfere di Panic si fanno gelide come quelle di "Fargo", film di
culto dello scorso decennio: ed e' probabilmente per questo motivo che
William H. Macy, che gia' aveva recitato nel film dei Coen, e' stato
scelto per la parte.

Il film, bisogna ammetterlo, non decolla mai in momenti di cinema
memorabili, ma affronta i rapporti tra i protagonisti in maniera
esemplare. Il rapporto tra padre-figlio entrambi killer, il primo per
scelta il secondo quasi per costrizione, il rapporto di Alex con la
moglie e con la giovane ragazza di cui si innamora, il suo rapporto con
l'analista a cui per la prima volta si apre. Tutto questo e' raccontato
senza eccessi, senza retorica, con un rigore che raramente si trova nel
cinema americano.

Nel complesso "Panic" e' un film discreto, che affascina e coinvolge a
tratti, con alcuni momenti morti ma una grande voglia di analizzare afondo le dinamiche della vita.

Voto: 7-.

The Hole - di Nick Hamm



Inghilterra: in una scuola privata 4 studenti decidono in segreto di
trascorrere il fine settimana in un bunker antiatomico nei pressi della
scuola, piuttosto che aggregarsi alla gita organizzata dall'Istituto
stesso. Dopo 18 giorni di ricerche viene finalmente ritrovata Liz (Thora
Birch): cosa e' realmente successo? Perche' i 4 ragazzi sono scomparsi per tutto quel tempo?

"The Hole" e' un thriller giovanilistico, che rifugge la trappola dei
vezzi metacinematografici alla "Scream" che oggi vanno tanto di moda a
favore di un solido plot.

Qui non troviamo citazioni o divertimento, ma un'atmosfera di pura
angoscia, in cui man mano che la pellicola procede le cose si rivelano
essere diverse da quello che sembrano.

Sicuramente il film non e' perfetto: alcuni degli attori sono abbastanza
inespressivi e lo svolgimento avrebbe giovato di una maggiore
linearita'. Ma il tutto si fa comunque guardare con piacere, il che per
un film che vuole essere di intrattenimento e' sicuramente un ottimo
risultato.

Voto: 7.

Fantasmi da Marte - di John Carpenter



Marte, 2176. Il tenente Melanie Ballard (Natasha Hentsridge) ha il
compito di consegnare alla giustizia il criminale James "Desolation"
Williams (Ice Cube). Quando pero' arriva a Shining Canyons, la base e'
totalmente deserta, e strani esseri si aggirano nei dintorni.

Delle persone arrivano in una base e la trovano deserta. Strane creature
si aggirano nei dintorni. Questo plot e' forse uno dei piu' abusati dal
cinema di fantascienza-horror, a partire da "Alien" fino al recentissimo
"Pitch Black". Ma John Carpenter colpisce ancora una volta nel segno,
reinventando il tutto nel segno del western-heavy metal, e con un'enorme
dose di ironia.

Difficile non notare nelle "creature" che si aggirano nella base,
abbigliate in una via di mezzo tra Marilyn Manson e Alice Cooper, la
parodia dei metallari (anche perche', nel caso avessimo dei dubbi, la
colonna sonora heavy metal composta da Carpenter stesso provvede presto
a fugarli), e non accorgersi che, guarda caso, contro di loro lotta il
rapper Ice Cube. E difficile anche non divertirsi quando Carpenter
fornisce come unico rimedio all'invasione quello di assumere droghe (nonsvelo niente di importante, non temete...).

Per 100 minuti l'adrenalina sale, e il regista americano dimostra di
essere uno dei pochi a riuscire a realizzare un film senza punti morti,
in un momento in cui la verbosita' e' diventata un vanta e molte delle
pellicole in circolazione abbisognerebbero di consistenti tagli.

Voto: 9.

Session 9 - di Brad Anderson



Un'azienda per la sanificazione degli edifici dall'amianto vince
l'appalto per ripulire un vecchio ospedale psichiatrico. L'atmosfera
tra gli operai e' da subito tesa visto che Gordon (Peter Mullan), il
capo, ha dei problemi con la famiglia, Hank ha rubato la ragazza a
Phil e il giovane Jeff non ha nessuna esperienza. E come se non
bastasse Mike trova dei nastri, la registrazione delle sedute di una
paziente affetta da schizofrenia...

La fotografia simil-documentaristica, il cast di personaggi ridotto al
minimo (5 attori, su cui si basa quasi tutto il film), la tensione
prodotta con pochi mezzi, una fuga ripresa con camera a mano... tutto
questo porterebbe ad individuare come facile referente per "Session 9" quel "Blair Witch Project" di cui non tutti hanno capito la portata
per il futuro del cinema. Ma "Session 9" oltre che da "Blair Witch
Project" prende molto da quello che forse e' l'unico altro capolavoro
horror del decennio passato: "Il regno" di Lars von Trier. Sia le
musiche, sia le inquadrature sui personaggi, sia una certa atmosfera
oppressiva non possono non provenire che da uno studio attento del
film danese.

Ma nonostante tutti questi riferimenti "Session 9" e' un film
originale, un piccolo gioiellino del cinema horror che riesce a
spaventare e a stupire senza utilizzare effetti speciali o colpi di
scena ad effetto. E in effetti quello che spiazza, alla fine della
vicenda, e' proprio la linearita' della storia: dove ci aspetteremmo
rivelazioni sconvolgenti o capovolgimenti di fronte alla Amenabar
troviamo invece un'idea di fondo portata avanti con estrema coerenza.

Gli attori sono eccezionali, soprattutto Peter Mullan, le musiche
estremamente evocative e l'atmosfera terribilmente angosciante.

Insieme a "Tho others", "Session 9" e il secondo gioellino horror
della nuova stagione cinematografica. Se il buongiorno si vede dal
mattino, prepariamoci a spaventarci sempre di piu'.

La nobildonna e il duca - di Eric Rohmer



La nobildonna e' Grace Elliott, dama inglese innamorata della Francia edapertamente monarchica. Il Duca e' Philippe, Duca d'Orleans e cugino del Re di Francia. Ex-amanti, si trovano entrambi a Parigi durante la
Rivoluzione Francese, cercando di non finire sotto la lama della
ghigliottina...

Tratto da una storia vera (il romanzo delle memorie di Grace Elliott),
"La nobildonna e' il duca" e' un buon esempio di cinema in costume
rigoroso ma innovativo, intenso ma non noioso.

Dal punto di vista visivo Rohmer riprende un'idea gia' sfruttata in un
altro suo film in costume, "Perceval le Gallois": utilizzare fondali
apertamente finti, per rendere l'atmosfera ancora piu' teatrale. Mentre
pero' nel Percival i fondali erano set teatrali veri e propri, stavolta
l'ottantenne regista francese sfrutta le possibilita' della tecnologia
digitale, fondendo a computer attori con ambientazioni dipinte a mano.
Lascia invece abbastanza perplessi l'utilizzo di una fotografia e di
colori volutamente televisivi, che rendono la pellicola in parte simile
agli sceneggiati televisivi dell'epoca d'oro.

Gli attori sono molto bravi. Su tutti spicca Jean-Claude Dreyfus, "le
Duc", gia' utilizzato in ruoli anche anomali dalla coppia Jeunet e Caro.
Lucy Russell, la nobildonna, dalla fisionomia incredibilmente simile a
una Alicia Silverston con 20 anni di piu', gli fa da contraltare in
ottima maniera.

La sceneggiatura e' sempre sobria, mai noiosa ma mai eccessiva, e le due
ore di film passano alla svelta.

Rispetto alle pellicole di Rohmer dell'ultimo decennio manca forse un
po' della freschezza che contraddistingueva il regista francese, ma nel
complesso il film e' sicuramente da vedere.

Voto: 8.

Shriek: hai impegni per Venerdi' 17? - di John Blanchard



Parlare di trama per "Shriek" sarebbe quantomeno azzardato. Il film e'
infatti un contenitore di piccoli sketch demenziali che parodiano
centinaia di film horror (e non solo), con tuttalpiu' un esile filo
conduttore (un maniaco omicida stile Scream).

L'idea di base e' probabilmente quella di bissare il successo di "Scary
Movie", grosso successo in America tra i teenager. Peccato che gia'
"Scary Movie" fosse un film piu' che perdibile, e che Shriek sia ancora
meno divertente. Il livello della comicita' e molto basso, quasi al pari
delle annuali commedie Vanziniane, e tutto il resto e' poco piu' che
amatoriale.

Dire che non si ride mai sarebbe una bugia, ma 3 o 4 risate strappate da
un film che dovrebbe essere totalmente demenziale non sono certamente
qualcosa di cui andare troppo fieri...

Ma in fondo, da una pellicola nata per l'home video (e che non si sa per
quale motivo esce in Italia nelle sale) che cerca copiare un film
("Scary Movie") che e' la parodia di un altro film ("Scream") che prendein giro numerosi altri film, cosa potevamo aspettarci?

Paul, Mick e gli altri - di Ken Loach



Paul, Mick e gli altri sono un gruppo di operai delle ferrovie. Quandole ferrovie britanniche vengono privatizzate, si scontrano con le nuove
condizioni di lavoro, con i soprusi della direzione e con i tagli di
personale.

Ken Loach non ha mai fatto brutti film: anche le sue pellicole meno
riuscite sono sempre state perlomeno dignitose. E' anche vero, pero',
che nonostante la sua grandissima fama non ha mai prodotto dei veri e
propri capolavori.

Il limite maggiore del regista inglese e' sempre stato quello della
ripetitivita': se realizzare film schierati politicamente non e' certo
un peccato, lo e' ripetere ad libitum sempre gli stessi concetti, con
sempre gli stessi personaggi, sempre negli stessi modi.

"Paul, Mick e gli altri" si inserisce appieno in questo discorso. Buona
pellicola sul tema della flessibilita' del lavoro, scritta tra l'altro
da un operaio ferroviario, soffre moltissimo nel confronto con i film
precedenti di Loach, di cui non e' altro che una rielaborazione.

In sostanza un film che, preso come prodotto singolo, fa divertire e
riflettere (anche se la parentesi drammatica finale appare un po'
posticcia, realizzata appositamente per appagare il pubblico
festivaliero), ma alla poetica Loachiana non aggiunge nulla.


Voto: 7,5

Uneasy Riders (Nationale 7) - di Jean-Pierre Sinapi



In un istituto per disabili arriva Rene', cinquantenne arrabbiato col
mondo intero per la sua nuova condizione. I rapporti con le infermiere e
gli altri disabili sono terribili, almeno finche' non sottopone ad una
infermiera una richiesta: poter avere rapporti sessuali con una
prostituta.

Uneasy Riders, bel titolo italiano contrapposto ad un piu' scialbo
titolo originale (Nationale 7, il nome della strada in cui Rene' va in
cerca della prostituta), e' un film sulla sofferenza, sui diritti,
sull'uguaglianza. E, nonstante questo, riesce anche ad essere
soprattutto una commedia, a non scadere mai nel patetico e nel retorico.

Le riprese sono fatte con camera a mano, e l'inizio ricorda molto
"Idioti" di Lars von Trier, con il pulmino dei disabili che viaggia per
le strade della campagna francese. E probabilmente non a caso Sinapi si e' scelto come operatore un collaboratore di Von Trier. Le atmosfere di
"Idioti" emergono piu' volte durante la pellicola, al servizio pero' di
una storia molto piu' simile a quella di "Balla la mia canzone", forse
il capolavoro di Rolf de Heer, il film definitivo sull'handicap.

Tutto funziona perfettamente, dagli attori (alcuni sono sicuramente
disabili, ma anche gli altri sono incredibilmente realistici), alla
sceneggiatura. E il finale metafilmico, che porta a nostra conoscenza
come il film sia tratto da una storia vera, e' perfetto nel concludere
una vicenda che, per certi versi, avrebbe potuto portare ad un finale
forse fin troppo consolatorio.

Un film come pochi altri, pieno di coraggio e di amore per i personaggi.

Voto: 9.

La maledizione dello scorpione di Giada - di Woody Allen



CW Briggs (Woody Allen), investigatore di una compagnia di
assicurazione, viene ipnotizzato dal mago Voltan, che lo costringe a
compiere delle rapine. Con lui viene ipnotizzata anche Betty (Helen
Hunt), assunta per razionalizzare e ottimizzare l'ufficio dove lavoro
CW, e per questo da lui odiata.

Con questo film Woody Allen ritorna ancora una volta a quello che e' il
suo grande amore: la New York degli anni '40. E lo fa non solo nelle
ambientazioni, ma anche nei dialoghi e nella trama, volutamente ingenua
per ricalcare il gusto dell'epoca.

Dire ogni anno che il nuovo film di Woody Allen e' il solito film di
Woody Allen puo' far pensare ad una mancanza di fantasia dei recensori.
Invece la mancanza di fantasia c'e', ma e' proprio nei film
dell'attore-regista newyorchese.

Altro errore sarebbe pero, come fa certa critica, liquidare i film di
Allen come filmacci di nessun valore. Le idee mancano, e' vero, e la
ripetitivita' si fa sentire, ma i dialoghi sono sempre ottimi, il ritmo
sostenuto e i personaggi ben caratterizzati. Non siamo di fronte ad un
capolavoro, ma perlomeno ad un discreto film di intrattenimento.

Voto: 7.

Il trionfo dell'amore - di Clare Peploe



La principessa Aspasie (Mira Sorvino) viene a sapere che il principe
Agis, a cui di diritto apparterrebbe il trono su cui lei siedera', e'
stato allevato in gran segreto dal filosofo Ermocrate (Ben Kingsley) e
sua sorella Leontina. Decide allora di travestirsi da ragazzo e, col
nome di Phocion, farsi accettare in casa del filosofo per far innamorare
Agis.

Visti i poco felici trascorsi da regista di Clare Peploe, "Il trionfo
dell'amore" era visto un po' da tutti al Festival di Venezia come un
flop annunciato. Tratto da un'opera teatrale, il film si rivela essere
invece fresco e divertente, anche se profondamente debitore del "Molto
rumore per nulla" portato al cinema qualche anno fa da Kenneth Branagh.

Gli attori non sono tutti all'altezza. Soprattutto Mira Sorvino, poco
credibile nei panni di un uomo (a tratti sembra quasi una parodia
dell'interpretazione di un'uomo, simile alle "donne barbute" di "Brian
di Nazareth" dei Monty Python), e Jay Rodan, monoespressivo nei pannidel principe Agis. Bravo invece, come suo solito, Ben Kingsley.

Nel complesso una piacevole pellicola di svago, che avrebbe potuto
essere molto migliore con una diversa scelta di attori, ma che diverte
quanto basta allo spettatore per essere appagato.

Voto: 6.

Moulin Rouge - di Baz Luhrmann



Parigi, 1899: Christian (Ewan McGregor), un giovane scrittore
bohemienne, incontra per caso Toulouse Lautrec (John Leguizamo), che lo convince a presentare le sue proposte per uno spettacolo teatrale a
Satine (Nicole Kidman), la stella del Moulin Rouge. Ma Satine scambia
Christian per il Duca di Monroth, a cui deve concedersi per convincerlo
a finanziare il teatro. Questo incontro cambiera' la vita di tutti...

Rispetto allo scorso anno, avaro di buoni film, questo inizio di
stagione cinematografica e' incredibilmente ricco di ottimi titoli. "The
others", "Fantasmi da Marte", "La nobildonna e il duca" e adesso quella
che e' la vera sorpresa dell'anno: "Moulin Rouge".

Al ritorno dal Festival di Venezia non riuscivo a spiegare perche',
sebbene ci fossero alcuni ottimi film, il festival fosse sottotono: il
motivo e' proprio che mancavano titoli al livello di "Moulin Rouge", da
amare alla follia, eccessivi, strepitosi. E pensare che, quando i pochi
fortunati che avevano potuto vederlo gia' a Cannes, mi dicevano che era
molto piu' eccessivo di "Romeo+Giulietta" stentavo a credergli,
ritenendo impossibile superare quegli eccessi.

"Moulin Rouge" e' un capolavoro e proietta Baz Luhrman, che gia' aveva
diretto due ottimi film, nell'olimpo dei registi che rimarranno nella
storia del cinema. Il ritmo e' trascinante: divertentissima e mai noiosa
la parte iniziale, ricca di invenzioni linguistiche e narrative e in
molti momenti quasi cartoonistica, struggente la seconda parte, dove il
divertimento lascia spazio al pathos. Le scenografie sono barocche fino
all'eccesso: interni incredibilmente eccessivi ed esterni dipinti che
sembrano uscire da un film di Tim Burton. L'idea di fondo della colonna
sonora e' geniale: creare un musical adattando ad un contesto da fine
'800, e alle esigenze narrative del film, molte delle canzoni che hanno
fatto la storia della musica moderna; gia' Resnais, in "Parole, parole,
parole" aveva fatto qualcosa di simile, si potrebbe dire: ma aveva
invece compiuto l'operazione inversa, adattando musiche del passato ad
un contesto moderno.

E, infine, non bisogna sottovalutare il fatto che "Moulin Rouge" sta
gia' diventando oggetto di culto: casualmente, all'uscita dalla sala, ho
incontrato 4 persone che conoscevo che stavano entrando al secondo
spettacolo, ognuna venuta per conto suo: tutte e quattro erano venute a
vedere il film per la seconda volta. Erano anni, probabilmente dai tempi
di "Titanic", che non vedevo persone tornare a rivedere il film dopo
pochi giorni...

Voto: 10.