RASSEGNA STAMPA
A cura del
coordinamento sindacati di base TIM Bologna
La
mossa di Bush
VALENTINO
PARLATO
" E'la prima
guerra del XXI secolo. Guideremo il mondo alla
vittoria". Questo ha dichiarato ieri
l'attuale presidente Usa, George W. Bush.
E' indiscutibile: c'è aria di guerra, non si sa
contro chi e nessuno l'ha ancora formalmente
dichiarata, ma c'è e noi ci siamo dentro. Ci
siamo dentro perché nella serata di martedì,
per la prima volta in oltre cinquant'anni della
sua vita (e solo un po' meno di guerra fredda),
la Nato ha reso esecutivo l'articolo 5
dell'Alleanza, che afferma che ogni attacco
armato contro un paese alleato comporta
l'intervento militare di tutti i componenti
dell'Alleanza. Lord Robertson ha spiegato che se
sarà chiarito che l'attacco terroristico agli
Usa è stato diretto dall'estero, l'articolo 5
entrerà in vigore.
Detto tutto ciò, vale osservare che lo stato
nemico è ancora ignoto e che l'articolo 5 della
Nato andrebbe applicato secondo le norme di
ciascun paese e, nel caso nostro, secondo
l'articolo 78 della Costituzione, che recita:
"Le Camere deliberano lo stato di guerra e
conferiscono al Governo i poteri necessari".
A rigor di legge dunque non siamo ancora in
guerra, ma è evidente la volontà politica degli
Usa di coinvolgere tutti gli alleati nella loro
guerra e Berlusconi ha detto che ci vuole
"una forte risposta militare" e anche
politica: obbedienza scontata.
Il punto è che Bush è in grandissima
difficoltà: il suo prestigio è caduto in basso
e si sente obbligato a recuperare con una
clamorosa rappresaglia: ma contro chi, e come?
(E' ancora pesante la memoria del clamoroso
fallimento di Carter, nel 1980 in Iran). In
questa situazione, il suo primo atto politico è
stato quello di coinvolgere gli alleati con il
duplice obiettivo di ripartire le responsabilità
e i rischi: nella disperata ipotesi di una
punizione nucleare o in quella più probabile di
un indiscriminato bombardamento, la
responsabilità sarebbe ripartita tra tutti e tra
tutti sarebbe ripartito il prevedibile rischio
della risposta alla rappresaglia. Così, anche in
seguito alle modifiche dell'art. 5 nel 1999, ai
tempi del Kosovo, gli alleati sono stati
degradati al ruolo di correi e di bersaglio.
Ma questa storia dello stato di guerra, che
ancora non c'è e si potrebbe evitare, avrebbe
anche preoccupanti conseguenze sul piano interno.
Le parole finali dell'art. 78 della Costituzione
- "le Camere conferiscono al Governo i
poteri necessari" - preparano e legittimano
il passaggio ai poteri eccezionali. Il governo,
questo governo di Fini, Berlusconi e Bossi
avrebbe ampio spazio per limitare le libertà dei
cittadini: di manifestare, telefonare senza
essere ascoltati, protestare, etc. Sicuramente
contro molti di noi rifiorirà l'accusa di
"disfattisti" di fascistica memoria.
Anche questo deve sollecitare la nostra
attenzione: i poteri derivanti dallo "stato
di guerra" potrebbero consentire anche al
nostro governo la sua rappresaglia per il
fallimento di Genova.
A questo punto il ruolo dell'Italia e dei paesi
europei, soprattutto della Francia e della
Germania, può essere decisivo per non cadere
nello "stato di guerra" a piacere degli
Usa. Il dispositivo della stessa Nato dice che
per l'entrata in vigore dell'art. 5 bisogna
accertare che l'attacco terroristico dell'11
settembre abbia avuto la sua base in uno stato
estero. Questo deve essere un accertamento
fondato e accettato dagli alleati: non può
dipendere dalle convenienze di Bush.
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