ONG, ONLUS E TUTELA DELLA VITA DEI VOLONTARI

DI RAFFAELE BERNARDINI

Si calcola che siano oltre 35 mila le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale ( Onlus ), le Organizzazioni non governative ( Ong ) e quelle di volontariato che, con scopi di solidarietà, sono state costituite nel nostro Paese, i cui compiti spesso si intersecano e si sovrappongono e che operano soprattutto nell’ area del sociale. Occupano migliaia di persone tra volontari e collaboratori con regolare retribuzione.E’ di grande ampiezza l’ area di intervento delle suddette Organizzazioni, che per finanziare le loro attività ed i loro progetti hanno bisogno di notevoli risorse, provenienti da donazioni di privati, contributi dello Stato e di Istituzioni territoriali ed i cui importi, se erogati da privati, sono fiscalmente detraibili dal reddito di chi li offre e deducibili dal reddito d’ impresa.

 

Sostanzialmente è assolutamente meritoria l’ azione solidaristica delle Organizzazioni in parola, che meritano l’ appoggio ed il rispetto dell’ opinione pubblica. Senza di esse molte attività sociali, molte aree di disagio e di bisogni resterebbero scoperte. E quindi questo va detto con chiarezza per non creare equivoci o fraintendimenti.

 

Ma il drammatico episodio del rapimento delle due Simone in Iraq ed altri fatti che si sono verificati in passato ci  debbono indurre a considerare con grande attenzione e razionalmente i rischi, anche gravi e gravissimi, che corrono gli operatori delle citate Organizzazioni nel momento in cui il loro incarico venga a svolgersi in zone ad elevato od elevatissimo rischio per la loro incolumità e per la loro stessa vita.

 

Bisogna anzitutto avere il coraggio e la lealtà di affermare che il volontario o l’ operatore di una Onlus non è né deve “ sentirsi” di essere o di diventare un “eroe”. E’ invece una persona che svolge una attività prestata in maniera personale, spontanea ed anche gratuita tramite le Organizzazioni di cui si è detto, con esclusivi fini di solidarietà umana e sociale.

 

Questo è il volontariato puro, che non integra né in senso formale né in senso sostanziale , un rapporto di lavoro. Anche se nelle Organizzazioni in questione vi sono elementi che, seppure ispirati da principi solidaristici vanno a svolgere per conto di esse un vero e proprio lavoro sulla base di progetti presentati da tali Organizzazioni e finanziati da privati o da enti pubblici. E’ noto, ad esempio, che il nostro ministero degli Esteri, attraverso la sua struttura della cosiddetta “ cooperazione allo sviluppo”, finanzia adeguatamente progetti presentati dalle Ong da realizzare  nei Paesi in via di sviluppo, spesso estremamente poveri e disagiati, ma anche politicamente a rischio.

E l’ organizzazione “ Un ponte per…” , alla quale appartenevano ed appartengono le due Simone, è una di tali Ong con progetti ed iniziative finanziati da Istituzioni pubbliche.

 

Ma ritorna alla nostra attenzione il problema della assoluta necessità di una accurata verifica, puntuale e continua, della valutazione dei rischi, di qualsivoglia tipo, che corrono in certi Paesi ed in certe aree di tali Paesi i volontari o comunque coloro che operano per Ong ed Onlus.E quindi bisognerebbe valutare fin dall’ inizio di ogni missione il tipo di rapporto di lavoro o di collaborazione che intercorre tra le Organizzazioni stesse e coloro che vanno comunque a lavorare per  conto di esse. E nel contempo elaborare con estrema attenzione una specie di “carta dei rischi” di ciascun Paese nel quale debbono recarsi gli operatori in parola. In altri termini, stabilire quali diritti e doveri “fanno capo” alle parti, se vi è una clausola che consente ai volontari od ai non volontari di mettere a rischio, nella missione, la propria vita e di operare con un tale rischio, seppure potenziale.

 

E’ questo un problema serio perché  un qualsivoglia tipo di attività  presuppone comunque un accordo delle parti, l’ assunzione di precise responsabilità di esse con la evidente indispensabile salvaguardia del “diritto alla vita ed alla tutela della salute” che  deve essere riconosciuto. Neppure l’ attività di volontariato, per quanto nobile essa sia,può e deve disconoscere un tale diritto perché nessuno può o deve ritenere che il volontario o l’ operatore di una Ong in missione in un Paese a rischio debba andare a fare od a diventare un eroe…

 

E’ quindi quella dei volontari una volontà libera di ciascun soggetto che deve essere adeguatamente tutelata con polizze assicurative ( già previste in molti casi ) e con la responsabile consapevolezza dei “datori di lavoro” di salvaguardare in ogni caso il bene incommensurabile della vita e l’ incolumità di volontari e collaboratori.

Si tratta di limiti precisi, che non contrastano con i fini delle Ong e delle Onlus, ma che debbono fare da paletto ai rischi e pericoli che un operatore va ad affrontare in certi Paesi fino a porre a repentaglio la sua vita.Altrimenti nei  testi formali dei rapporti di collaborazione con i volontari e con gli operatori occorrerebbe porre una clausola, che possa prevedere il rischio di morte o la eventualità del concretizzarsi di gravi pericoli per la vita e la salute degli operatori stessi.

 

Mi pare che queste valutazioni nelle attività altamente meritorie delle Ong e delle Onlus vadano fatte per tentare di eliminare o quanto meno ridurre i fattori di rischio ai quali possono andare incontro volontari e quanti intendano partecipare alle attività ed ai progetti delle suddette Organizzazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

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