UCCISO L'OSTAGGIO DIMENTICATO DA TUTTI

di paolo carotenuto

Ayad Wali, imprenditore iracheno da 25 anni in Italia, è stato barbaramente ucciso lo scorso 2 ottobre con un altro ostaggio turco, colpevoli di essere ritenute spie occidentali. A leggere le prime pagine dei giornali parrebbe quasi che in queste ultime settimane, oltre alla vicenda di Simona Pari e Simona Torretta, non si sia parlato d’altro. E dovremmo supporre che nei pensieri dell’opposizione non vi sia stato altro, visto che ieri, quando la notizia dell’uccisione è stata diffusa, alcuni suoi esponenti hanno usato toni severi contro il Governo, chiamato a riferire in Parlamento. Come spesso accade, qualche personaggio politico si segnala per la sua idiozia e intempestività, così che Diliberto ritiene “inaccettabile il silenzio del Governo”, Pecoraro Scanio chiede con urgenza “un piano di pace”, Di Pietro denuncia che “Wali è stato trattato come un ostaggio di serie B” e Fabris (dell’Udeur) ci illumina affermando che “Wali è stato ucciso due volte: dal silenzio e dai terroristi”.

Tutto vero, ma queste accuse dovrebbero essere rivolte innanzitutto a se stessi. La verità è che per questo ostaggio, che nessuno ha sentito veramente un connazionale (forse per il suo nome), non è stato fatto tutto il possibile come ha invece affermato il ministro degli Esteri Frattini, e non è stato il destinatario di una mobilitazione dell’opinione pubblica e dei promotori delle tanto coinvolgenti marce pacifiste. Per lui non sono state accese candele, la sua immagine non è stata esposta in alcun luogo istituzionale, non sono stati attivati canali di trattative e di pressione come invece è stato fatto in altri recenti casi. Forse perché Wali non era formalmente italiano anche se lavorava nel nostro Paese da 25 anni, aveva sposato un’italiana, promuoveva i prodotti del Nord Est nel mondo. Ma non era nemmeno un iracheno per gli iracheni. Evidentemente sapevano chi fosse solo i terroristi che lo hanno sequestrato: una spia che faceva affari con il nemico. Ma forse la sua sorte era già segnata perché Wali non ha avuto la fortuna di finire nelle mani degli stessi sequestratori delle due Simona, non legati ai gruppi più estremisti.

Per questo ci vuole una gran faccia tosta degna soltanto di personaggi intellettualmente disonesti, per piangere la morte di una persona che è stata accantonata per far posto a battaglie più accattivanti da un punto di vista mediatico, cavalcando la partecipazione di un Paese intero.

Oggi Wali è diventato italiano, tutti lo riconoscono tale e lo piangono. Peccato che avrebbero dovuto accorgersene quando avrebbe avuto ancora un senso. Sequestrato da iracheno, fucilato da italiano, quel che è più squallido è l’uso che i soliti avvoltoi hanno fatto della sua memoria per ribadire il proprio antiamericanismo e l’auspicio di un disimpegno militare, politicizzando il dolore di una famiglia. Il silenzio e il disinteresse verso le sorti dell’imprenditore di Conegliano dovrebbe pesare su ognuno di noi perché siamo tutti responsabili. Il resto è puro e meschino sciacallaggio.

 

 

 

 

 

 

 

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