L’Europa a venire e il movimento dei movimenti

di wanda piccinonno

Un atteggiamento libero , disincantato , fuori dai megafoni della politica ufficiale , rivela che con le consultazioni elettorali si sono celebrati i fasti di un nauseante teatrino dell’assurdo . Mercanti di elisir rivoluzionari , acrobati dell’apparente , nani e ballerine , ciarlatani , imbonitori , falsi paladini degli oppressi , hanno infatti mostrato il volto più becero della società dello spettacolo . Non può quindi destare stupore che in uno scenario tanto grottesco il dibattito politico si sia tradotto in un volgare chiacchiericcio da cortile , in cui non sono mancati colpi di scena ed effetti speciali .

Pertanto , constatando che i professionisti della politica continuano a dare i numeri , barcamenandosi tra demagogia "nuovistica " e gioco delle spartizioni , giova fare alcune considerazioni inattuali . Ciò si impone perché le presunte sentinelle dell’interesse pubblico , i menzogneri profeti della liberazione , offrono quotidianamente le immagini semplificate dell’Antipolitica . Per quanto concerne la "vittoria" della sinistra si rileva che essa , in entrambe le versioni , seguita a puntare sulla capacità di manovra del suo personale politico. Vero è che la suddetta capacità si manifesta in modo eclatante nel " Parolaio rosso ", ossia un maestro nell’arte dell’inganno , il caso D’Erme docet . A questo proposito Michele Serra (L’espresso N 25 ) ha osservato : " Bertinotti ha fatto il pieno di voti dei giovani con la kefia , in aggiunta a quelli dei vecchi stalinisti con l’elmetto dell’Armata rossa . Il principale sforzo politico è evitare che i due gruppi si incontrino ".

La caustica provocazione polemica di Michele Serra non solo coglie nel segno , ma dovrebbe anche promuovere una seria e attenta riflessione all’interno dei movimenti , che purtroppo stanno via via cedendo alle strumentali lusinghe dei ciarlatani di mestiere .

Ma le considerazioni inattuali non si fermano qui , infatti , le ricorrenti ed opinabili semplificazioni sull’astensionismo di sinistra meritano alcune precisazioni .

Valicando le categorie tradizionalizzate , rivendicando l’autonomia di un pensiero libero e problematico, rigettando l’atrofia del senso critico , va innanzitutto sottolineato che la legge della maggioranza dei suffragi è una regola convenzionale , che presuppone anche l’unanimità . Non senza ragione Rousseau sosteneva : " In base a quale diritto cento individui che vogliono un padrone possono votare per dieci che non lo vogliono ? – La legge convenzionale che proclama il principio di maggioranza non può valere come regola generale e assoluta se non si è eguali , e non nel voto soltanto , ma nel clima in cui al voto si è chiamati , sui presupposti e sul contenuto del voto ". Inoltre , per evidenziare il deterioramento del responso elettorale e del voto popolare , è utile ricordare la Costituzione giacobina che notoriamente non riuscì a bloccare l’opacità regressiva del termidoro . Successivamente le operazioni distorsive della sovranità popolare si rivelano in modo evidente con Napoleone , che utilizzò la legittimazione popolare per farsi proclamare console a vita col responso del 2 agosto 1802 .

Va notato poi che più un potere politico domina un movimento sociale , più è difficile che si crei una società democratica e più tenderà a crearsi , al contrario , un potere assoluto che si dichiara l’unico in grado di far regnare l’eguaglianza .

Di più , quando le istanze popolari sono rappresentate da presunte avanguardie , allora la democrazia rivoluzionaria tende regolarmente ad autodistruggersi .

Ma per smascherare l’ipocrisia ripugnante del democraticismo di maniera e per non essere vittime di una sorta di determinismo storico , vale la pena ricorrere a Marx , che affermava : " Il plauso della folla , la popolarità è la prova che si è sulla falsa via . Detestare con sacro furore la popolarità e chi ne va a caccia . Aborrire i parolai dalle frasi forbite . Chi si perde nei vuoti giri di parole è un fhraseur , un parolaio ……Chiunque accettasse di ricoprire posti o cariche prima del tempo cadrebbe in braccio alla reazione " . Per quanto concerne poi il principio democratico della maggioranza il barbuto di Treviri sosteneva : " Se il regime parlamentare rimette tutto alla decisione della maggioranza , come possono non voler decidere anche le maggioranze esterne al parlamento ? Se voi suonate il violino ai vertici dello stato , perché sorprendersi se ai piani di sotto si balla ? " .

Il discorso meriterebbe un approfondimento , ma , al di là di ogni considerazione , è lecito rimarcare che il mito della rappresentanza va rimosso tout court , soprattutto in un paese in cui i cani da guardia del sistema hanno perennemente percorso i tortuosi sentieri del compromesso e della menzogna . Sicché , superando il narcisismo mediatico della politica ufficiale e demistificando la piaggeria servile di alcuni opinionisti , occorre precisare che l’astensionismo non può essere inteso , sic et simpliciter, come qualunquismo , populismo , o come disaffezione politica . Al contrario sono proprio l’affezione politica , il radicale desiderio di un mondo altro che spingono all’Esodo . Quest’ultimo , ovviamente , non si traduce in sterile rinuncia o in una muta rassegnazione , ma assume l’alta valenza di un Esodo costituente . Inoltre , va aggiunto che oggi le classi superiori o le èlites dirigenti non possono più identificarsi con Dio , con la Ragione o con la Storia . In altri termini , un pensiero autenticamente democratico e rivoluzionario non può ridursi al rispetto delle regole del gioco politico , né alla logica del " male minore " . D’altra parte , le dure lezioni della storia insegnano che i fiori della liberazione non possono prosperare nello sterco .

Bisogna , dunque, evidenziare che quando il contesto politico non offre un’alternativa , quando i sistemi democratici- rappresentativi si affidano alla personalizzazione della politica, alla esaltazione del particolare , al leaderismo mediatico , allora il rapporto di rappresentanza si dissolve nel trionfo dell’Antipolitica . Ma , considerando che sovente la logica del potere risorge sotto mentite spoglie , conviene sottolineare che i cosiddetti partiti della sinistra radicale , al di là della retorica movimentista , spingono a registrare un marcato deficit democratico e , al tempo stesso , una bizzarra commistione tra arcaismo ideologico e nuovismo strumentale . Per quanto concerne l’esito positivo di Rifondazione alle consultazioni elettorali , va detto che esso è intrinsecamente connesso alla capacità di manipolazione del leader mediatico Bertinotti , che subdolamente è riuscito a pescare nell’area movimentista .

Ciò detto , è auspicabile che in futuro il movimento conservi il suo modo di essere , onde evitare ulteriori derive e laceranti contraddizioni , che potrebbero inficiare ogni orizzonte progettuale di democrazia radicale .

Bisognerebbe rilevare che se manca il fermento , la spinta , l’opera concertata degli uomini di idee , che combattono e si sacrificano in vista di un ideale avvenire , allora i movimenti tendono fatalmente ad adattarsi alle circostanze , fomentano lo spirito di conservazione e finiscono spesso col creare nuove classi privilegiate , consolidando così il sistema che si vorrebbe abbattere .

Purtroppo tutti i processi rivoluzionari devono fare i conti non solo con il potere esterno , ma anche con le dinamiche di nuovi poteri in formazione . Inoltre , non si può prescindere da un dato , ossia la crisi del sistema dei partiti . Clauss Offe ha osservato che il sistema dei partiti - o più esattamente , il doppio circuito , variamente integrato , della rappresentanza politica e di quella degli interessi - e sistema del welfare costituiscono insieme la duplice struttura portante di quella forma-Stato , in quanto incarnano l’indispensabile alveo istituzionale della serie di compromessi legittimanti che ne hanno consentito il consolidamento . Il dettaglio non trascurabile è che questo impianto paradigmatico , nel passaggio tra anni 60 e 70 , comincia ad entrare in una crisi profonda che tuttora persiste. E’ , dunque , bene chiedersi se nel mondo globalizzato sia ancora conveniente avvalersi di uno schema istituzionale che riaffermi il monopolio politico delle macchine di partito .

Sarebbe , invece , opportuno ridimensionare l’alternativa istituzionale , anche perché essa spinge ad evocare fantasmi storici legati a contesti del passato . D’altronde , la crisi della forma-partito è suffragata dalla volatilità elettorale , dalla personalizzazione della leadership , dalla metamorfosi mediatica della rappresentanza , dalla tirannia della maggioranza , da una politica percepita come merce negoziabile sul mercato , dalla fenomenologia dell’opportunismo .

Ne consegue che , in un’ottica anticonformista e anti-sistemica , le chiavi di lettura ricorrenti sull’astensionismo si rivelano opinabili e prive di senso .

Di più : conviene aggiungere che l’alto astensionismo registrato in Europa non è solo da attribuire ad un presunto euroscetticismo o a una disaffezione politica ,ma anche ad una pratica politica esodante . Ciò non consente di definire l’astensionismo di sinistra irrazionale e non giustificabile , perché così facendo , per via della battaglia al berlusconismo , si finisce col giustificare e convalidare il gioco di tutte le ambigue politiche di Palazzo . Inoltre , per demistificare una mentalità da devoti di S. Gennaro e per respingere la fede cieca del dommatismo, giova fare esplicito riferimento alle linee portanti dell’Unione Europea .

A questo proposito Yan Moulier Boutang osserva che " il progetto di costituzione dei valori comuni denota un conformismo desolante e , al tempo stesso , una visione preistorica del capitalismo e della scienza e della cooperazione sociale ". Superando quindi le consolidate coordinate del provincialismo italico , è lecito prendere atto che la potenza demiurgica dell’ideologia globalista plasma il pianeta sub specie pecuniae , sicché sarebbe opportuno ridimensionare gli effetti devastanti del berlusconismo , anche perché quest’ultimo è il risultato del gioco delle parti delle politiche di "sinistra "e dell’atavico spirito compromissorio del Bel-paese .

Pertanto , quando l’ex commissario Mario Monti , commentando l’astensionismo , sostiene che l’Italia è un’eccezione positiva , manifesta un pensiero decisamente opinabile . Vero è che tutte le griglie interpretative sono intrinsecamente connesse al significato che si attribuisce all’Europa a venire . Da qui la necessità di inventare e di aprire lo spazio di un’Europa altra, fuori dai cori , fuori dai retaggi culturali obsoleti , fuori dalle immagini stereotipate , fuori dai modelli di consumo politico , fuori dai parametri della cultura politica partitico-statalista .

L’impresa è irta di difficoltà perché l’idea Europa si rivela molto debole , vuoi perché manca un’opinione pubblica europea , vuoi perché nell’immaginario collettivo sussistono vecchi modelli , vuoi perché , come hanno osservato Balibar e Wallerstein, dilaga una costruzione di un’etnicità fittizia , ossia la tendenza dei popoli a "nazionalizzare"la società, la cultura , la lingua , la genealogia . In realtà , afferma Balibar , dopo la fine del comunismo reale e della visione del mondo in blocchi , occorre pensare o inventare una cittadinanza che possa permettere , contemporaneamente , di democratizzare le frontiere in Europa , di superare le sue divisioni interne e di ripensare completamente il ruolo delle nazioni nel mondo .

Purtroppo , invece , la dura realtà fattuale mostra che i provvedimenti dell’Unione non solo trascurano un modello sociale europeo , ma fanno registrare anche un esercizio asettico e formale di ingegneria istituzionale .

Il fallimento della Carta spinge , dunque , a ridimensionare l’ottimismo di coloro che attribuivano alla potenza dei movimenti le capacità reali di incidere sul piano istituzionale . D’altra parte , ciò non può stupire perché i presunti paladini della liberazione , i cantori della molteplicità , ossia gli astuti cacciatori di voti postmoderni , pur truccandosi di luccicanti lustrini pseudorivoluzionari , si rivelano i sofisticati prestigiatori delle menzogne istituite e i rappresentanti della pesantezza del vuoto . Non senza ragione Tocqueville sosteneva che " in tempi di crisi gli attori politici o si elevano al di sopra del normale o ne cadono al di sotto " .

E’ appena necessario osservare che in Italia , per via di un consueto costume corrotto e compromissorio , continua a dilagare una pervasiva banalità che fa dimenticare la verità . La fattualità più grezza celebra i suoi fasti , infatti , i buffoni di corte, gli azzegarbugli della sinistra ufficiale , al di là delle dichiarazioni assai infuocate e barricadiere , perseverano nelle pratiche politiche dell’inganno .

Ciò non è casuale , del resto già Leopardi nel " Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani " aveva sottolineato l’irridente , irresponsabile cinismo delle classi dirigenti italiane , un’assenza di spirito civico che non aveva eguali presso altri popoli" . Le argomentazioni fin qui condotte intendono mettere in luce che nella fase odierna il berlusconismo sta diventando lo strumento di una presunta opposizione , che peraltro è incapace di elaborare alternative positive . In realtà , il rissoso condominio del centro-sinistra è immerso in un deprecabile caos , sicché l’unica parola d’ordine è : battere la destra . L’opposizione , dunque , sull’onda di pulsioni elementari e irriflesse , manipola l’opinione pubblica , provocando l’emotiva illusione che sia sufficiente andare avanti per andare bene . Ciò non significa sottovalutare le becere manovre del piazzista di Arcore , infatti , contestare le politiche berlusconiane è più che legittimo , a condizione che non si dimentichino alcuni dettagli significativi . Da qui la necessità di richiamare alla memoria le politiche neoliberiste della sinistra , l’infelice esperienza del governo D’Alema , la guerra in Kosovo, il pacchetto Treu , la parità scolastica , la riforma Berlinguer –Zecchino , la legge Turco-Napolitano . In altre parole , sarebbe opportuno rilevare che Berlusconi non è il risultato dei prodigiosi incantesimi di un mago , ma è , invece, l’effetto spregevole della commistione di cause endogene ed esogene .

Purtroppo , si vive schiacciati dall’immediato , tanto che trionfa e dilaga l’angoscia della scadenza elettorale , ormai diventata un’infezione endemica .

A questo punto , valicando gli angusti confini del bordello- Italia , giova porre alcuni interrogativi : è possibile una rifondazione permanente della sfera pubblica ? E’ possibile concretare il mutuo riconoscimento di una cittadinanza globale ? Qual è l’Europa che vogliamo ? Come passare dall’eurocentrismo formale al progetto di un’Europa sociale e politica ? Innanzitutto , nella convinzione che l’Europa a venire non può rivisitare i retaggi culturali del passato , è lecito fare un sommario excursus storico per demistificare nostalgie obsolete .

Peter Wagner ha osservato che in primo luogo c’è la narrazione liberale , ossia la storia dell’estensione dei diritti civili . Normalmente la si fa iniziare con la Magna Carta (1215) e con l’Habeas Corpus Act (1679) . Va precisato che " spesso questi diritti sono essi stessi limitati ad un certo gruppo sociale o a relativamente piccole e ben delineate comunità politiche ". La narrazione passa poi alla Dichiarazione dell’Uomo e del Cittadino (1789).

Questo momento si rivela particolarmente significativo , vuoi perché la Dichiarazione si applica a una grande compagine europea , vuoi perché emergono pretese universalistiche . Successivamente , con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 , si aggiunge un altro capitolo a questa narrazione . Ma , per non enfatizzare il concetto di sovranità e per rimarcare che esso risulta superato nell’odierno contesto , va sottolineato che il suddetto concetto è intrinsecamente connesso con lo sviluppo " del sistema degli Stati ".

Inoltre , non si può sottovalutare il fatto che l’edificio giuridico si è sviluppato sempre tenendo conto del personaggio del re .

A ragion veduta Foucault sostiene : " La teoria del diritto, dal medioevo in poi , ha avuto essenzialmente la funzione di fissare la legittimità del potere : il problema principale , quello centrale , attorno al quale si è organizzata l’intera teoria del diritto , è stato il problema della sovranità " . Da notare - aggiunge Foucault - che quando dico diritto , non penso semplicemente alla legge , ma all’insieme degli apparati , istituzioni , regolamenti che applicano il diritto ".

Ne consegue che per tagliare la testa al re , occorre valicare le dinamiche del potere costituito e, al tempo stesso , prescindere dai parametri della democrazia rappresentativa .

Ciò equivale a dire che , al di là del reality show dell’Antipolitica e al di là della miseria intellettuale dei venditori di menzogne , si dovrebbe attivare una lotta culturale e politica atta a rimuovere alcune categorie concettuali , ossia l’idea del confine-esclusione , il mito ottocentesco della sovranità popolare , la simulazione della rappresentanza .

Di più , per quanto concerne l’idea di frontiera conviene ricordare che la posizione egemonica dell’Europa nel mondo e la spartizione imperialistica delle potenze europee colonizzatrici non hanno fatto altro che " dividere la terra " per organizzare lo sfruttamento e per esportare " la forma frontiera " anche in periferia ". " Questa dinamica , sostiene Balibar, è durata sino alla decolonizzazione e , quindi , sino alla costruzione dell’ordine internazionale attuale ".

Per smascherare la politica dell’Antipolitica , per demistificare gli strumentali eufemismi tecnocratici , per eliminare il virus della ragione strumentale , bisogna , dunque , prendere atto che la Costituzione europea è di fatto già delegittimata , vuoi perché essa è stata elaborata da uomini di governo , vuoi perché è stata imposta dall’alto , vuoi perché l’impianto della Carta è stato generato dal protagonismo degli stati ,vuoi perché per i burocrati di Bruxelles è prevalsa l’idea di un’Europa delle banche e della moneta , affiancata da un’Europa poliziesca e penitenziaria .

D’altronde , ciò non può stupire perché l’ideologia globalista inscrive anche nel suo codice forme inedite di analfabetismo democratico ed etico . Basti pensare alla stigmatizzazione delle differenze, alla criminalizzazione delle nuove classi pericolose e alla " differenza inassimilabile ", all’organizzazione discriminatoria e antisociale della sicurezza , alla segregazione spaziale dei "diversi ", alla frantumazione dell’universalismo .

Queste inquietanti problematiche conducono , come vuole Alessandro De Giorgi , al concetto di public enemy , ossia " quel nemico pubblico che periodicamente riappare sotto sembianze mutevoli , rievocato da una retorica politica che sempre più spesso affida il proprio successo all’inquietudine , all’insicurezza ".

Constatando che la Carta nega di fatto sia la prassi della differenza , sia uno spazio politico aperto , è proficuo insistere sull’argomento . In realtà , al di là della retorica di un formale universalismo giuridico , la Costituzione mostra una deplorevole ambiguità , tant’è che nel tentativo di superare le pretese dei poteri statali e dei poteri sovranazionali , trascura in modo palese le istanze federaliste , sicché pare quasi che manifesti i tratti di una sovranità transnazionale , o di un potere regionale sovrano .

Ciò conferma che il sistema comunitario è ancorato a una dimensione statalista , ai parametri della democrazia rappresentativa e a una retorica democratica convenzionale .

Ma a questo punto è lecito porre i seguenti interrogativi : esistevano i presupposti per garantire una pratica democratica partecipativa ? Quali soggetti costituenti potevano elaborare e articolare un progetto alternativo ? Quale potenza costituente e rivoluzionaria poteva operare un salto di paradigma ? Se si vuole restituire un senso alla politica occorre evidenziare che esistevano le premesse per prevedere che sarebbero stati burocrati di Bruxelles , i tecnocrati della Commissione , i rappresentanti eletti in una circoscrizione di un territorio nazionale, a stabilire l’impianto paradigmatico della Carta .

Si potrebbe obiettare che il testo introduce il principio di democrazia partecipativa , infatti si legge che " le istituzioni dell’Unione mantengono un dialogo aperto , trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile ". Ma al di là di un linguaggio stereotipato , si evince che " il principio della democrazia partecipativa si trova in una posizione subordinata rispetto al principio della democrazia rappresentativa . Sembra tutto si muova in una sfera comunicativa asettica , tendenzialmente spoliticizzante , in cui le istituzioni dell’Unione continuano a dialogare con una società civile istituzionalizzata , protetta , preconfezionata : quella delle parti sociali organizzate già incluse nei processi di consultazione –mediazione , che nulla aggiunge rispetto al dato " ( G. Allegri ) .

Le considerazioni sopracitate mettono in luce che la Costituzione si rivela un prodotto convenzionale di marca sovranista , tant’è che di fatto vengono rimosse le istanze del federalismo cooperativo e quelle di partecipazione multilaterale .

E’ evidente quindi che l’idea di una comunità inclusiva sembra irrevocabilmente condannata a una perpetua ambiguità . Difatti la si potrebbe paragonare a un contenitore atto ad accogliere una commistione confusa di elementi nebulosi . Ciò è intrinsecamente conneso alla cultura da casinò , ovvero quella dell’istantaneità e dell’episodicità . Se questi dettagli non trascurabili sfuggono, allora si potrebbe coltivare l’utopica credenza in una rivoluzione culturale e politica . Pur riconoscendo le condizioni di possibilità , invece, bisogna prendere coscienza che il contesto odierno è costellato di nuovi inizi , di storie brevi , sicché conviene non enfatizzare episodi e presunti soggetti politici , perché sul piano della prassi si registra una carenza di linee – guida su cui basarsi .

Lucidamente Mario Tronti ha affermato che," oggi , ci sono opinioni pubbliche , ci sono audience televisive , maggioranze silenziose e minoranze urlanti , ma popoli , no , non ce ne sono più ".

Ne consegue che se manca la riflessività critica per comprendere le contraddizioni sistemiche , allora inevitabilmente si tende ad ingigantire le condizioni di possibilità positive.

In realtà , oggi , la prospettiva di un’azione efficace collettiva si rivela piuttosto problematica . Bisognerebbe , infatti , riconoscere che i movimenti non sono stati in grado di creare un’autentica alternativa , vuoi perché sul piano della prassi non hanno mostrato grandi capacità innovative rispetto alle forme politiche istituzionali , vuoi perché non sono stati in grado di intendere l’esercizio del potere , vuoi perché sovente hanno delegato i partiti a rappresentare " l’altro mondo possibile " .

L’asserzione perentoria , " il movimento si rappresenta da solo " , risulta così priva di senso, se poi si reiterano i paradigmi della democrazia rappresentativa . Purtroppo , la cruda realtà fattuale mostra che le istanze alternative del movimento non sono supportate da un atteggiamento costituente . Ciò è suffragato sia dall’insufficienza di una progettualità sociale e politica , sia da una carenza di adeguati momenti di riappropriazione della sfera pubblica , sia dalla genericità programmatica .

Pertanto , preso atto che la Costituzione europea , avvalendosi dei perversi meccanismi della rappresentanza , sussume e neutralizza la presunta necessità di confronto con il movimento , sarebbe opportuno operare una svolta decisiva .

Ma a questo punto , rilevando che l’Italia è stata percepita come una magnifica eccezione rispetto all’astensionismo europeo , conviene fare ulteriori precisazioni . Innanzitutto giova ricordare che per Alexis de Tocqueville il suffragio universale deve partire da un presupposto imprescindibile , ovvero quello del " cittadino-unità " . Ciò detto , va aggiunto che l’atavica anomalia del nostro paese emerge in modo palese anche nel mondo "uno " e "pieno" della globalizzazione . D’altra parte , la nostra secolare tradizione è caratterizzata dalla cupidigia di servilismo , da un esasperato provincialismo , dall’assenza di spirito civico , da una corruzione endemica . Questo quadro mortificante e ripugnante spinge , dunque , ad auspicare con vigore l’avvento di un’Europa altra . Passando , però , dalla speranza alla dura realtà , è bene insistere sui tratti inquietanti della " technocratic governance " dell’Unione, che peraltro non manca di fare esplicito riferimento ai valori della dignità umana , della libertà, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani , della pace .

" Tranne la passione della libertà , la forza dell’uguaglianza e lo slancio della fratellanza , tutto viene elencato . E per questo niente convince ….. Nella scrittura della Costituzione si produce uno slittamento che non regge . Dalla diversità dei popoli e delle culture , si passa alla tesi confederalista secondo la quale solo lo Stato-nazione ne è la garanzia . Da qui questa affermazione solenne , un po’ troppo ripetuta , della imprescrittibilità degli Stati membri dell’Unione " ( Yan Moulier Boutang ) .

In realtà , la Carta è attraversata da perverse ambiguità e da un palese spirito compromissorio : elementi questi che poi hanno generato il consenso di tutti gli Stati- membri .

Inoltre , il corpus di regole evidenzia che la concezione " multilivelli " è assunta nell’ottica di un asettico formalismo.

Ne consegue che un impianto siffatto non può costituire un’efficace alternativa culturale e politica ai neo-cons USA e alla volontà egemonica di Bush . Di più , per quanto concerne i diritti si avverte la spiacevole sensazione che abbiano il primato quelli relativi al funzionamento del mercato . Genera poi non poche perplessità l’introduzione del superpresidente europeo , sia per la durata del mandato ( due anni e mezzo ) , sia perché il ruolo del Presidente si rivela piuttosto nebuloso .

Va aggiunto che le politiche della sicurezza non solo istituiscono un’Agenzia europea per gli armamenti , ma incrementano anche la militarizzazione della società , sempre ovviamente per garantire il mantenimento della pace e " per prevenire i conflitti " .

Si dichiara , dunque , ancora una volta guerra al terrorismo e ciò consente , come sostiene Susan Sontag , " a ogni governo di poter fare quel che vuole ".

E’ evidente che , al di là di un minuzioso tecnicismo , emergono le ricorrenti paranoie sicuritarie e l’impianto di un sistema poliziesco : elementi questi che certamente non spingono all’ottimismo .

In verità pare quasi che un linguaggio burocratico e formale operi un processo di astrazione, che di fatto ignora le discriminazioni preesistenti ,l’ineguaglianza sostanziale , l’effettività dei diritti . In altri termini, la Carta non fa altro che consolidare uno spazio definito dalla lex mercatoria , dalle reti finanziarie multinazionali , dalla produzione normativa della logica capitalistica .

A questo punto , considerando che la Costituzione europea cela con eufemismi tecnocratici realtà triviali , è utile porre corposi ed inquietanti interrogativi : come evitare di assistere impotenti all’inflazione dell’uso delle parole " cittadino " e " cittadinanza " ? Quali processi costituenti possono garantire il pieno diritto di cittadinanza ai " cittadini " , ai " meteci " e "iloti "? Come rimuovere gli ostacoli strutturali per affermare un progetto significativo di una cittadinanza europea ? Come negare le politiche dell’esclusione e dei comunitarismi ? Come debellare tutte le forme di provincialismo e di nazionalismo ? Come demolire l’impianto paradigmatico che vede " nella cittadinanza una semplice addizione delle cittadinanze nazionali "? Come neutralizzare la deriva bellicista statunitense ? Come rivendicare una libertà cosmopolita ?Come abbattere gli attuali gulag dello sfruttamento e della segregazione ? Come rovesciare i rapporti di forza senza rivisitare i parametri ideologici della presa del potere ? Nella consapevolezza che i nodi da sciogliere sono complessi e variegati , è bene ridimensionare tutte le forme di ottimismo adolescenziale e tentare , invece , di definire i contorni della democrazia europea , superando tutte le rappresentazioni che sono state storicamente associate ai progetti di emancipazione .

In un’ottica altra si dovrebbero rimuovere le clausole dei Trattati , i programmi di partito , l’assolutezza della sovranità , le coordinate dei sovranisti . Inoltre , si dovrebbero respingere vuoi i tecnicismi e i funzionalismi inerenti il concetto di democrazia partecipativa , vuoi i meccanismi di costruzione ideologica , vuoi le definizioni , apparentemente neutre , che di fatto rivelano la subordinazione della politica e del diritto allo spazio economico .

Ciò significa che pur accettando alcuni diritti fondamentali nel modello europeo , si dovrebbe valicare l’angusta e deleteria equazione cittadinanza- nazionalità . In altre parole, bisogna prendere coscienza che la rottura epocale impone l’assunzione di inedite categorie concettuali e un approccio interdisciplinare, che ovviamente dovrebbero escludere il principio di cittadinanza basata sulla residenza .

Ne consegue che la " disobbedienza " può sortire effetti positivi a condizione che persegua un progetto politico-filosofico che tenga ferma la " legge dell’indocilità " . Da qui la necessità di acquisire un nuovo stile mentale per mettere in luce " il gioco difficile tra la verità del reale e l’esercizio della libertà " . Perspicacemente Foucault sostiene che " prima che lo facciano gli altri , bisogna apprendere a governare se stessi ".

La " disobbedienza volontaria ", "l’indocilità ragionata " , dovrebbero pertanto interagire con un Ethos critico . Ripristinando così la funzione etica della critica , si potrebbe assumere un atteggiamento autenticamente costituente .

Intanto va sottolineato che la creazione di un’Europa altra incontra non poche difficoltà , perché " la comunità europea rimane esposta allo sviluppo di increspature identitarie , secondo un modello di rafforzamento reciproco delle esclusioni e dei comunitarismi , che è tipico della mondializzazione ". Si tratta , aggiunge Balibar , di un vero e proprio apartheid europeo che investe le istituzioni formali della cittadinanza e costituisce un elemento decisivo del blocco della costruzione europea come costruzione democratica .

Le considerazioni sopracitate trovano conferma nella Carta , che lungi dal promuovere una cittadinanza attiva , mostra un palese nanismo politico che rende il globalismo dei diritti una confortante utopia . Basti pensare all’esaltazione di " un’economia sociale di mercato altamente competitiva " , che necessariamente non può che ignorare tutte le problematiche inerenti la protezione sociale . Constatando , però , che le procedure di ratifica della Costituzione saranno lunghe e laboriose , è auspicabile che il movimento si muova in modo adeguato per una rifondazione permanente della sfera pubblica . In altre parole , sarebbe opportuno avviare un nuovo processo costituente per definire un’Europa sociale , politica , pacifica e solidale .

Vero è che per perseguire questi obiettivi bisogna dirimere alcuni nodi fondamentali . Difatti, al di là delle posizioni resistenziali , il movimento dovrebbe elaborare un progetto contenutistico relativo alle tematiche inerenti la guerra , il federalismo , la costituzione , la democrazia , la nuova divisione del lavoro ,l’ambiente , la cartografia dei diritti , il reddito ,la cittadinanza globale . Ciò rimanda ovviamente ad un problema cruciale , ossia quello della rappresentanza . Per farla breve, il movimento dovrebbe operare una scelta chiara e distinta per rifiutare i paradigmi della "etero-rappresentanza" e optare per l’ auto-rappresentanza , intesa come pratica costitutiva della moltitudine .

Occorre , dunque, ribadire che se la disobbedienza vuole essere incisiva , deve essere creativa e , al tempo stesso , delineare un orizzonte progettuale pregno di senso e di contenuti .

Pertanto , per non semplificare , appiattire , banalizzare questi ambiziosi obiettivi , si dovrebbe evitare la perniciosa confusione tra creatività e approssimazione, tra sperimentazione e avventurismo . Sicché , per mirare "al di là di ciò che esiste " , sarebbe illuminante ricorrere alla teoria dei due "umori " di Machiavelli . Quest’ultimo , nei "Discorsi " affermò : " Sono in ogni republica due omori diversi , quello del popolo , e quello de’ grandi ; e come tutte le leggi che si fanno in favore della libertà nascano dalla disunione loro ".

In realtà , se non si intende " la democrazia come regime a vantaggio della moltitudine ", allora l’autentico spirito libertario è destinato allo scacco .

Da qui l’esigenza di cogliere la complessità del reale , per evidenziare che l’Esodo radicale implica il disassoggettamento da tutti i meccanismi di potere e l’assunzione di una responsabilità etica . Quest’ultima , intesa come etica della liberazione , impone ,quindi , la rimozione sia delle trovate pubblicitarie dei professionisti della politica , sia delle false promesse di una presunta "rivoluzione " .

A questo punto , rilevando che la strumentale e ambigua retorica populista della cosiddetta sinistra radicale rivisita l’impianto paradigmatico novecentesco , giova sottolineare che " nel contesto attuale , la teoria leninista dell’insurrezione armata per la presa del potere e la proposta ghandiana della non-violenza costituiscono le due facce di una moneta fuori corso" ( Giuseppe Caccia ).

Purtroppo , le sopracitate facce , pur essendo fuori tempo e fuori luogo , potrebbero riemergere , anche se in guise diverse . Il fatto inquietante è che una parte del movimento si sta integrando non solo nella prassi dei partiti ex stalinisti , ma anche nella prassi della rappresentanza .

Occorre , ancora una volta ribadire che una nuova prassi costituente per un ‘Europa sociale e politica , potrà procedere a condizione che i cittadini europei abbiano la possibilità di esprimere liberamente e autonomamente le loro istanze dal basso , negando così l’impianto tecnocratico della Costituzione europea e tutte le procedure autoreferenziali .

D’altra parte , un vitale federalismo , la globalizzazione dei diritti , l’approccio " multilevel ", le possibilità non realizzate della storia , impongono l’espulsione di tutte le forme di nazionalismo , di localismo , di sciovinismi -veteroeuropei .

Ne consegue che la realizzazione di una democrazia senza aggettivi dovrebbe coniugare la comunanza e la singolarità in un’ottica inedita e dirompente .

In altre parole , si dovrebbe percepire " l’Europa non come ricordo malinconico , perdita e lutto , o- persino , come ritorno ad una origine mitica - da lungo tempo perduta - ma , piuttosto , in quanto cominciamento , come momento di rottura contro la storia , il destino, la destinazione d’Europa " ( Heidrun Friese ).

Stando così le cose la formazione di un’Europa politica non può essere intesa come identità regionale , anche perché questo impianto non sarebbe in grado di neutralizzare il controllo imperiale e le strutture sovranazionali ( come la Banca Mondiale , il Fondo Monetario Internazionale , le Nazioni Unite , l’Organizzazione per il Commercio Mondiale).

La Carta , invece , al di là di un’asettica ingegneria istituzionale , non fa altro che salvaguardare gli Stati-nazione , tenendo fermo allo stesso tempo il modello neoliberale .

In realtà , infatti , la mano invisibile della lex mercatoria , fungendo da demiurgo , plasma il progetto europeo secondo la logica del mercato .

Ciò è suffragato dal fatto che l’ Unione ha definito non solo uno spazio adeguato all’ideologia globalista , ma ha anche ignorato le disuguaglianze crescenti e le dilaganti discriminazioni sociali .

Ma considerando che le promesse sono intrinsecamente connesse alle premesse , conviene ricordare gli accordi di Schengen , che hanno stigmatizzato lo status di clandestinità . Inoltre, giova menzionare l’istituzione dell’Europol , i cui poteri tendono ad ampliarsi sempre più .

E’ evidente che la Carta legittima l’ideologia punitiva , penalizzando così la prassi della differenza e riducendo il concetto di democrazia partecipativa ad una formula vuota .

Il progetto di una globalizzazione altra è dunque fallito ? Senza indulgere al catastrofismo , ma evitando anche di cadere nelle trappole di una acritica retorica rivoluzionaria , bisogna constatare che stiamo vivendo una crisi profonda , che , forse , potrebbe essere esorcizzata , promuovendo una critica riflessiva e costruttiva .

Da qui la necessità di riconoscere che alcune frange del movimento prediligono lo scenario nazionale , non disdegnando , nel contempo , bizzarre commistioni con il potere costituito .

E’ utile precisare che alcuni conflitti locali sono più che legittimi , a condizione che non si perda di vista che la resistenza deve essere necessariamente globale .

Di più , per esprimere l’alta valenza della "disobbedienza " è bene ricorrere ad Hannah Arendt . Quest’ultima ha lucidamente osservato che " la disobbedienza mette in luce il carattere dispotico della democrazia rappresentativa , " il dominio di un intricato sistema di uffici , di cui nessuno , né uno , né i migliori , né i pochi , né i molti può essere ritenuto responsabile ".

Ciò significa che occorre attivare esperienze di democrazia non delegata per affermare dal basso un profilo costituente . Si potrebbe obiettare che la complessità dell’assetto odierno richiede forme inedite di resistenza . Ciò risponde al vero , ma il dettaglio non trascurabile è che ogni azione può essere anche valutata sulla base dei risultati .

In realtà , pur apprezzando il conatus della disobbedienza postmoderna , bisogna purtroppo rilevare che la potenza del corpo collettivo sta cedendo alla logica perversa delle istituzioni, basti pensare all’esperienza di Lula in Brasile .

Ciò detto , considerando che i processi di resistenza sono in continuo divenire , e quindi fidando in una inversione di marcia , vale la pena focalizzare l’attenzione sul concetto di "cittadinanza imperfetta " , nella consapevolezza che essa non può essere ridotta a slogan, né può essere manipolata da personaggi tipo –Bertinotti .

Difatti , " parlare di cittadinanza imperfetta significa dire , soprattutto , che la cittadinanza è una pratica e un processo piuttosto che una forma stabile . Che essa è sempre in divenire". ( E. Balibar ) .

Pertanto si impone l’esigenza di negare perentoriamente le alternative semplicistiche e grossolane , per costruire una rappresentatività autonoma , fuori dall’idea di nazione, che , per quanto universale , costituisce un ostacolo , e non una premessa , per l’affermazione di una cittadinanza globale .

Per sottolineare il significato dirompente del concetto di cittadinanza globale , per evitare immotivate nostalgie , è lecito ricordare che le dichiarazioni fondative , i testi costituzionali del concetto moderno di cittadinanza si inscrivevano nello Stato- nazione . Va aggiunto che il suddetto regime di cittadinanza non ha garantito l’abolizione degli esclusi , ma ha incrementato sentimenti di chiusura , la logica del confine , forme di xenofobia e di razzismo. Inoltre , al di là delle coordinate del formalismo astratto , si dovrebbe prendere coscienza che tutti i processi di normalizzazione , che intensificano i controlli amministrativi , si rivelano estremamente opinabili e perversi .

Ne consegue che l’idea di cittadinanza oltre la comunità , implica una filosofia politica radicalmente altra , anche perché , vuoi la nazione democratica moderna , vuoi le Dichiarazioni dell’uomo e del cittadino , hanno sempre innescato meccanismi escludenti .

Operando poi un distinguo tra i diversi momenti storici , si evince che mentre precedentemente le forme di esclusione erano circoscritte ad un territorio , oggi , invece , la logica dell’inclusione-esclusione investe tutto il mondo globalizzato .

Il turbolento scenario odierno , però , pur mostrando il volto becero della barbarie , offre anche condizioni di possibilità per un significativo salto di paradigma . Notoriamente , infatti , il capitalismo cognitivo ha bisogno della forza inventiva dei cervelli , della trasformazione in merce della conoscenza , dell’assemblaggio dei saperi , di una configurazione socializzata dei processi produttivi . Da qui il proletariato intellettuale , la eccedenza del general intellect , la crescente produzione di conoscenza , che generano nuove forme di resistenza e di militanza .

La pubblicità dell’intelletto , le facoltà linguistico-cognitive , offrono solo condizioni di possibilità , ma non garantiscono il salto nel mitico regno della libertà .

Bisogna rimarcare che il General intellect è fortemente condizionato da processi di dipendenza e di sottomissione , dalle regole feroci del nuovo mercato del lavoro , dal monopolio del sapere organizzato , dal codice semiotico del capitale . Inoltre , la fenomenologia dei conflitti postmoderni mostra che essi sono frammentati e intermittenti .

Ciò non può destare stupore, infatti , " la nuova militanza si allontana dalla logica del movimento operaio perché le singolarità individuali e collettive che costituiscono movimento sviluppano una dinamica di soggettivazione che è , insieme , affermazione della differenza e composizione di un comune , non come fine da costruire ma come condizione di processo di soggettivazione eterogenea " ( Maurizio Lazzarato ) .

Va precisato che le suddette caratteristiche si rivelano di fatto ambivalenti . D’altra parte , il concetto stesso di potenza ingloba anche la privazione , sicché le vitali potenzialità del movimento implicano anche la possibilità di derive e involuzioni .

Ne consegue che risulta piuttosto opinabile attribuire un autentico potere costituente alla cosiddetta moltitudine , anche perché la realtà fattuale non fa altro che smentire questo assunto .

E’ evidente che se i processi di costituzionalizzazione non vengono intesi come processi pubblici , allora non può stupire che l’Unione Europea abbia partorito un mostro .

Intanto , mentre le vitali potenzialtà del movimento non sono in grado di attivare una significativa prassi costituente , dopo 16 mesi di Convenzione , la Carta liberista è stata legittimata .

L’approvazione di quest’ultima non deve essere sottovalutata , perché tutte le costituzioni possono rappresentare un ostacolo formidabile per la realizzazione delle istanze antisistema . Va notato che i politicanti di "sinistra " non hanno fermato la doverosa attenzione sull’argomento , anche perché impegnati a delineare la presunta offensiva contro il berlusconismo . La cosiddetta sinistra radicale poi , guidata dal buffone pseudorivoluzionario Bertinotti , sta addirittura organizzando l’alternativa . Ahimè , se queste sono le alternative , c’è solo da infliggere un colpo mortale alla speranza di concretizzare una società di liberi e uguali .

Ma , valicando i confini del bordello- Italietta , è bene evidenziare ancora una volta l’alto tasso di astensionismo registrato in Europa . Il che spinge a sostenere che gran parte del movimento si muove in un’ottica radicalmente altra .

A questo punto si impone la necessità di avanzare delle riserve : che senso ha per i disobbedienti mandare al parlamento europeo un loro rappresentante ? Non è forse vero che L’Esodo costituente implica la rimozione delle regole della rappresentanza e del potere costituito ? La disobbedienza non aspira alla costruzione di una democrazia assoluta e radicale ? Se , dunque , i movimenti si muovono all’insegna della cooperazione e della sperimentazione , è altresì vero che occorre operare un netto distinguo tra le pratiche di partito e quelle peculiarmente sociali . Inoltre , l’ipotesi che i partiti ex stalinisti possano essere al servizio di un esodo costituente risulta estremamente illusoria .

Ciò detto , pur rilevando le palesi incongruenze del movimento , conviene ribadire che la nuova cartografia di singolarità è dinamica , aperta , flessibile , sicché sarebbe auspicabile una seria e profonda valutazione critica , per prendere coscienza che la " sinistra radicale " può solo inficiare tutte le potenzialtà innovative .

Ciò significa che le facoltà cognitive , comunicative - relazionali della resistenza postfordista dovrebbero rigettare le procedure codificate della politica e optare per un approccio problematico e critico , nella consapevolezza che la costruzione di un mondo altro è intrinsecamente incorporata alla capacità di creare spazi significativi di contropotere .

Se , invece , il movimento si allinea all’impianto paradigmatico istituzionale , alle ingannevoli alternative del centro-sinistra , alle forme codificate di partiti e sindacati , alla politica di Palazzo , allora l’appaiamento movimento-moltitudine potrebbe rivelarsi una forzatura .

Si può obiettare che la moltitudine postmoderna , per via del suo modo di essere, è una costellazione rizomatica che rifiuta le strutture verticali - direttive e che non può convergere in una volontà generale . Questi tratti sono indubbiamente fecondi , vuoi perché rompono le pratiche del Novecento , vuoi perché rivelano una vocazione esodante , vuoi perché rimuovono le forme obsolete di ideologismo .

La possibilità del positivo non deve spingere a sottovalutare i processi di sussunzione connessi all’impresa postfordista , né può autorizzare ad escludere a priori derive , frammentazione , condizioni di dipendenza e di sottomissione a gerarchie di potere .

D’altronde , enfatizzare eccessivamente l’alta valenza dell’Intellettualità di massa , prescindendo dall’equivocità e dalla complessità dello status quo , significherebbe approdare ad una romanzesca e rassicurante utopia .

Inoltre , giova rimarcare che la moltitudine contemporanea presenta caratteri ambivalenti , infatti , contiene servilismo e libertà , acquiescenza e conflitto , sicché è un modo di essere esposto a derive e involuzioni . A questo proposito Paolo Virno osserva che " la pubblicità dell’intelletto , là dove non si articoli in una sfera pubblica , si traduce in proliferazione incontrollata di gerarchie , tanto infondate quanto robuste " .

Da qui la necessità di ripensare ogni volta il reale , considerando anche che la virtus della moltitudine è stata sovente fagocitata e manipolata dalle dinamiche del potere costituito, dalla dialettica della storia , dal formalismo giuridico . Basti pensare ai costituzionalismi americani , a Jefferson e alla libertà di frontiera che vengono rovesciati nel progetto imperialistico , ai rivoluzionari francesi che esauriscono nel terrorismo le vitali istanze libertarie , ai bolscevichi , che , esasperando il potere dello Stato , neutralizzano i reali processi di emancipazione .

Valutando quindi il lato cattivo della storia e rigettando le coordinate del messianismo marxista , è lecito ridimensionare i toni enfatici di coloro che preannunziano una sorta di Comune di Parigi .

Dalle argomentazioni fin qui condotte emerge l’esigenza di liberarsi dalle ambiguità , sia per esprimere appieno la potenza dell’intelletto comune , sia per rimuovere il rapporto strumentale che i partiti instaurano con i movimenti , sia per rendere operante il concetto di contropotere non omologato al potere costituito .

Per promuovere , dunque , una prassi critica e costruttiva di contropotere , per scongiurare il pericolo che l’esodo costituente assuma una valenza virtuale , per rompere l’incontrollato avvitamento dei processi di globalizzazione ,per annientare il drago dalle molte teste , ossia il biopotere , per cambiare radicalmente il sistema produttivo , per attivare un’auto-organizzazione onnilaterale , per pensare una profonda modificazione antropologica , bisogna " occupare , riempire lo spazio-tempo , inventare nuovi spazi-tempo "

Per concludere , da " soggetto differente " , ritengo che sia illuminante rievocare la più scomoda , fra le donne della Rivoluzione francese , ossia Olympe de Gouge , che nella sua " Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina " , affermò : " Il Dio delle coscienze è il solo Dio che gli uomini dovrebbero adorare " .

 

 

 

 

 

 

 

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