PERCHÉ NON ESISTE UNA CULTURA DI DESTRA
di Adriano Romualdi

Uno dei motivi che più ricorrono sulla nostra stampa e nelle conversazioni
del nostro ambiente è la condanna del massiccio allineamento a sinistra
della cultura italiana. Questa condanna viene formulata in tono un po'
addolorato, un po' sorpreso, quasi fosse innaturale che la cultura si trovi
ormai schierata da quella parte mentre a destra si incontra un vuoto quasi
completo. Di solito si cerca di rendersi ragione di questo stato di cose con
spiegazioni a buon mercato, quel tipo di spiegazioni che servono a
tranquillizzare sé stessi e permettono di restare alla superficie delle
cose. Si dice - ad esempio - che la cultura è a sinistra perché là si trova
la maggior quantità di danaro, di case editrici, di mezzi di propaganda. Si
dice anche che basterebbe che il vento cambiasse perché molti "impegnati a
sinistra" rivedessero il loro engagément. In tutto questo c'è del vero. Una
cultura, o meglio, la base di lancio di cui una cultura ha bisogno, è anche
organizzazione, danaro, propaganda. È indubbio che lo schiacciante
predominio delle edizioni d'indirizzo marxista, del cinema socialcomunista,
invita all'engagément anche molti che - in clima diverso - sarebbero rimasti
neutrali. Ma ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio
dell'egemonia ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là
esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della
vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione
del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare
radicalismo e comunismo, neoilluminismo e scientismo a sfondo
psicoanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d'estrazione
"sociale". Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione unitaria
dell'uomo, dei fini della storia e della società. Da questa comune
concezione trae origine una massiccia produzione saggistica, storica,
letteraria che può essere meschina e scadente, ma ha una sua logica, una sua
intima coerenza. Questa logica, questa coerenza esercitano un fascino sempre
crescente sulle persone colte. Non è un mistero per nessuno il fatto che un
gran numero di docenti medii ed universitari è comunistizzato, e che la
comunistizzazione del corpo insegnante dilaga con impressionante rapidità.
E, tra i giovani che hanno l'abitudine di leggere, gli orientamenti di
sinistra guadagnano terreno a vista d'occhio. Dalla parte della Destra nulla
di questo. Ci si aggira in un'atmosfera deprimente fatta di conservatorismo
spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che
la cultura tenga maggior conto dei "valori patriottici", della "morale" il
tutto in una pittoresca confusione delle idee e dei linguaggi. A sinistra si
sa bene quel che si vuole. Sia che si parli della nazionalizzazione
dell'energia elettrica o dell'urbanistica, della storia d'Italia o della
psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato, alla diffusione di una
certa mentalità, di una certa concezione della vita. A destra si brancola
nell'incertezza, nell'imprecisione ideologica. Si è "patriottico -
risorgimentali" e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che
coesistettero nel Risorgimento con l'idea unitaria. Oppure si è per un
"liberalismo nazionale" e si dimentica che il mercantilismo liberale e il
nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere
l'ordine europeo. O, ancora, si parla di "Stato nazionale del lavoro" e si
dimentica che una repubblica italiana fondata sul lavoro l'abbiamo già -
purtroppo - e che ridurre in questi termini la nostra alternativa significa
soltanto abbassarsi al rango di socialdemocratici di complemento. Forse gli
uomini colti non sono meno numerosi a destra che a sinistra. Se si considera
che la maggior parte dell'elettorato di destra è borghese, se ne deve
dedurre che vi abbondano quelli che han fatto gli studi superiori e
dovrebbero aver contratto una certa "abitudine a leggere". Ma, mentre l'uomo
di sinistra ha anche degli elementi di cultura di sinistra, e orecchia Marx,
Freud, Salvemini, l'uomo di destra difficilmente possiede una coscienza
culturale di destra. Egli non sospetta l'importanza di un Nietzsche nella
critica della civiltà, non ha mai letto un romanzo di Jünger o di Drieu La
Rochelle, ignora il "Tramonto dell'occidente" né dubita che la rivoluzione
francese sia stata una grande pagina nella storia del progresso umano. Fin
che si rimane nella cultura egli è un bravo liberale, magari un po'
nazionalista e patriota. È solo quando incomincia a parlare di politica che
si differenzia: trova che Mussolini era un brav'uomo e non voleva la guerra,
e che i films di Pasolini sono "sporchi". Basta poco ad accorgersi che se a
destra non c'è una cultura ciò accade perché manca una vera idea della
Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica,
antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di
certe nostalgie e di certe oleografie politiche.

Mentre i fascisti nella loro visione di uno "stato organico" contemplano al
suo interno anche gli intellettuali e gli artisti, i liberali e sopratutto i
liberali capitalisti al governo oggi, lasciano la gestione della cultura al
volontarismo dei singoli e non possiedono una linea d'azione comune e
condivisa. Gli apologeti del libero mercato hanno ridotto la politica ad
apparato  necessario alla gestione dell'economia. Ciò ha portato a vedere il
politico come "manager" di una azienda: la Nazione. Anche così credo si
spieghi l'avvento, dopo tangentopoli, di uomini politici prestati alla
politica dal mondo aziendale e imprenditoriale. L'economia purtroppo non
conosce "appartenenza" e questo è il motivo per il quale i confini e l'unità
nazionale sono minati dal fenomeno della globalizzazione, che non è altro
che una forza centrifuga. Forza che disgregando le vecchie identità e
appartenenze vende scarpe Nike e impianta i suoi Mac Donalds in tutto il
mondo. Il risultato? Tradizioni millenarie vengono spazzate via dalle
multinazionali e l'uomo non ha più senso al di fuori della
produzione-consumo. Ovvero esiste e ha ragione di esistere quando è un
ingranaggio della produzione-consumo. Il poeta in questa ottica è un
meccanismo guasto. Quindi io sono per un modello economico e politico
differente da quello liberale democratico attuale. Modello che si fondi non
sull'unione di "soggetti" legati solo da interessi economici, ma su un
legame più profondo, spirituale, comunitario. Tale modello vuole l'uomo
tutto intero: spirito, carne, sangue uniti. Il liberismo vede lo stato come
meccanismo che faccia coesistere e regoli diversi interessi eterodiretti,
mentre uno stato fondato su di una superiore "comunità di destino" va oltre,
chiede a tutti gli uomini di partecipare ad un progetto dai fini comuni e
condivisi. Esalta l'individuo in quanto tale, per quei valori che è capace
di attribuire a tutta la comunità, mentre il liberismo conosce solo il
valore denaro. Il ventennio fu un periodo nel quale l'orgoglio nazionale
spingeva a finanziare e promuovere davvero le arti, la poesia, l'ingegno e
senza il basso tornaconto del best-seller. Tu mi potrai dire: "si ma la
libertà..." Il ventennio fu un periodo più libero di quanto si possa
immaginare. Prendiamo ad esempio la libertà di voto nel sistema
rappresentativo parlamentarista. Tale libertà è davvero inutile quando a
guardare bene ci si accorge che i programmi di Polo e Ulivo sono speculari.
Tutti e due privatizzano la cosa pubblica, nessuno dei due ritiene opportuno
attuare una politica sociale nei confronti dei più deboli. Il "Polulivo" è
tutto filoamericano e filoatlantico e via di seguito. Perché le categorie
deboli non contano nulla e sono oppresse? Perchè non sono rappresentate in
Parlamento! I poeti nessuno li rappresenta. Per fare un partito ci vogliono
miliardi e in questo dove sta la libertà? I giornali sono in mano a poche
famiglie e gruppi finanziari. La libertà è solo formalmente garantita, e non
nella sostanza come invece dovrebbe essere. La libertà non è essere
costretti o meno a portare il burka o la barba lunga. È ben altra cosa, come
ad esempio essere liberi di rimanere neutrali in conflitti che non ci
riguardano. Ma purtroppo noi non ci siamo mai "liberati dai liberatori" e ne
dobbiamo pagare le spese. Colonia Italia...