Giustizia, Ulivo in piazza
Moretti attacca i leader

Il regista: "Offrono uno spettacolo penoso"
Rutelli: "E' un intellettuale, non un politico"

ROMA - Si sono ritrovati in quattromila (diecimila secondo gli organizzatori) in piazza Navona a Roma. Dieci anni fa cominciava Mani Pulite, oggi l'Ulivo chiama i suoi elettori in piazza per la manifestazione sulla giustizia. Sul palco, al quale fa da sfondo un pannello azzurro con su scritto "la legge è uguale per tutti", sfilano tutti i leader del centrosinistra da Francesco Rutelli a Piero Fassino. C'è anche Antonio Di Pietro. Ma è Nanni Moretti che gela i leader dell'Ulivo e fa sobbalzare la folla sotto al palco. Chiaccherando con i cronisti aveva già criticato i vertici del centrosinistra: "Offrono uno spettacolo penoso". Sul palco però le sue parole si trasformano in un pesante atto d'accusa: "Questa serata è stata inutile. Il problema del centrosinistra è che per vincere bisogna saltare due-tre-quattro generazioni". Il regista è un fiume in piena. Mentre parla i volti del leader alle sue spalle si fanno tesi. Massimo D'Alema si allontana. Gli altri scuotono la testa. Qualcuno in piazza fischia. Altri applaudono. "Sono stato contento di aver assistito alla nascita del nuovo leader dell'Ulivo - dice Moretti - il professore di Firenze, il geografo che ha parlato prima di Rutelli e Fassino. A loro due si chiedeva almeno un minimo di autocritica rispetto alle scelte di questi ultimi anni, rispetto alla timidezza, alla moderazione, al non saper più parlare, alla testa, all'anima e al cuore delle persone e della gente. Purtroppo che avendo ascoltato gli ultimi due interventi di Fassino e Rutelli, anche questa serata è stata inutile!". Poi tocca a Berlusconi ("ha fatto il pieno del suo elettorato perchè i voti se li compra attraverso le sue televisioni e non se li guadagna") e a Emilio Fede ("è un violento come gli squadristi"). Moretti conclude tra gli applausi. Rutelli lo ascolta e liquida così le critiche: "Nanni Moretti è un grande intellettuale ma non è detto che un grande intellettuale capisca anche di politica".

In piazza sventolano le bandiere della Margherita, dell' Ulivo, dei Ds, e due striscioni, uno dell'Italia dei Valori ("Con Antonio Di Pietro non muore la speranza"), l'altro della federazione di Roma dei Pdci ("La legge è uguale per tutti").

E proprio nell'anniversario di Tangentopoli, D'Alema, respinge le reiterate accuse del centrodestra sull'operato di Mani Pulite. Berlusconi lo definisce un colpo di Stato? Il presidente diessino usa il sarcasmo. "Se era un colpo di Stato, ha portato al governo Berlusconi perché Berlusconi sembra aver dimenticato che le elezioni del '94 le vinse lui, non la sinistra. Chi andò al governo sull'onda delle inchieste dei magistrati non fu la sinistra ma proprio Berlusconi". Tangentopoli fu altro, ricorda D'Alema. Furono inchieste che portarono alla luce "un groviglio di interessi, collusioni, fenomeni estesi di corruzione: un momento positivo per il paese che presentò anche degli eccessi certo ma per il paese fu un momento di liberazione dall'oppressione della corruzione e non vorrei che si tornasse indietro".

Un ragionamento che Di Pietro riprende e sviluppa. "In qualsiasi paese del mondo, un cittadino attende l'esito della sentenza dei magistrati per sapere se è innocente o colpevole - dice l'ex magistrato - Invece, Berlusconi ha già dichiarato che non sarà condannato e che coloro che lo processano sono dei giudici che non fanno giustizia ma guerra civile".

Ma tutto passa in secondo piano quando sul palco va Moretti e spara sugli uomini che guidano il centrosinistra.

(2 febbraio 2002)

 

Così continuiamo a farci del male

di MASSIMO D'ALEMA

Caro direttore, è stato Curzio Maltese a ricordare ieri mattina su queste colonne quel morettiano "dì qualcosa di sinistra" che mi è rimasto appiccicato addosso per anni. E' vero. Anch'io ricordo quella sera e quel confronto con Silvio Berlusconi.



L'opinione generale fu che il capo di Forza Italia ne uscì battuto e forse non per caso da lì in avanti si è sempre negato a confronti diretti con me o con altri leader dell'Ulivo. A distanza di tempo resto convinto che quella sera a prevalere furono i toni e i contenuti. Quelli scelti da noi. Parlai semplicemente, e con calma, dell'Italia.

Senza cedere al gergo di una sinistra innamorata delle sue parole. Forse, già da allora, delusi Moretti. Ma ci capirono gli altri che, a loro volta, non erano pochi. E il risultato, se i conti si fanno coi voti, si vide. Quelle elezioni le vincemmo proprio perché non inseguimmo un radicalismo che è sinonimo di minoritarismo e di separazione dal paese. Oggi, dopo la sconfitta, torna virulento e aggressivo un virus che confinerebbe la sinistra in un'opposizione cinquantennale. Capisco lo scontento, il fastidio e persino il disgusto di fronte all'arroganza e all'immoralità dei vincitori. Per non dire del conformismo di una parte dell'informazione e della cultura. Comprendo anche il bisogno, etico innanzitutto, di una risposta intransigente, di una testimonianza di fermezza e di coerenza. Guai se l'Ulivo non sapesse replicare a questa domanda e bene ha fatto Piero Fassino a marcare l'esigenza di un dialogo aperto alle critiche e allo stesso tempo rispettoso delle persone.

Il punto è che tutto questo non basta a creare le condizioni della rivincita. C'è, dietro alla pulsione autolesionista che pervade una parte del cosiddetto "popolo di sinistra", l'idea che la vittoria di Berlusconi sia moralmente inaccettabile e razionalmente incomprensibile. E che quindi essa non possa che essere il frutto dell'ignavia dei dirigenti. Ma questo modo di ragionare rivela una radicale incomprensione della società italiana e delle ragioni profonde, degli interessi e persino dei sentimenti che questa destra ha saputo intercettare e rappresentare da quando vinse le elezioni nel '94 a quando nel '96 raccolse - con Bossi - ben oltre il 50 per cento dei voti e sino al 2001.

Guardare in faccia la realtà non serve per giustificare o negare i limiti e gli errori del centrosinistra. Ma per andarli a cercare nella direzione giusta. "Fare le riforme con gli altri" attraverso una Commissione Bicamerale fu la proposta numero uno con la quale l'Ulivo vinse le elezioni del 1996 in contrapposizione a una destra che prometteva di "non fare prigionieri" e che anche per questo perse.

Non credo sia stato un errore dare attuazione al nostro programma. Era piuttosto un atto dovuto. Né lì si consumarono osceni compromessi che non vi furono tanto è vero che le riforme, purtroppo, non si fecero. Il limite vero fu che l'Ulivo e il centrosinistra erano privi di un proprio coraggioso disegno di cambiamento e anche per questo le riforme si arenarono. Questo è il nodo vero. Berlusconi è tornato a vincere perché l'Ulivo esaurito il compito del risanamento e dell'ingresso nell'euro, pur continuando a ben amministrare il paese è apparso privo di un progetto coraggioso di innovazione politica, istituzionale e sociale. E da qui bisogna ripartire. Dalla sfida a una destra che ha promesso un cambiamento, ma che non appare in grado di mantenere questo impegno e che anzi apre conflitti e lacerazioni nella società italiana.
Spetta all'opposizione portare alla luce questi elementi liberandosi da quella ossessione di Berlusconi che finisce per ostacolare la nostra azione più che la sua, come ha lucidamente spiegato Ilvo Diamanti su questo giornale ancora ieri mattina.

Sono un ammiratore di Nanni Moretti. E capita anche a me di rammentare qualcuna delle sue battute più felici. In particolare, quel "continuiamo a farci del male" così pertinente al contesto di questi giorni. Per il resto, sono talmente persuaso che la sinistra e l'Italia abbiano bisogno di nuove idee e nuove risorse che oramai da due anni mi sono dedicato soprattutto a questo lavoro. Ma credo proprio non sia utile alla formazione di una nuova classe dirigente travolgere in un'ondata di radicalismo e di moralismo qualunquista quella generazione che con i suoi limiti ed errori in questi anni ha governato l'Italia, le nostre città, province, regioni come mai era avvenuto in cinquant'anni restituendo dignità e speranza a questo paese.

( 4 Febbraio 2002 )

"I leader dell'Ulivo imparino ad ascoltarci"

di NANNI MORETTI

IO SONO un moderato. Infatti voto Democratici di sinistra; ma essere moderati non significa essere passivi, rassegnati, abituati alle peggiori anomalie e anormalità italiane.
Del mio intervento di sabato scorso, qualcuno ha detto: non era quello il modo, non era quello il luogo. Rispondo: ma se non ora, quando? Cos'altro dobbiamo aspettare?



Non mitizzo
quella che viene chiamata "società civile". Penso che la politica debba
essere fatta dai politici di professione, che sappiano però ascoltare il
loro elettorato.

Noi siamo imbarazzati, siamo a disagio di fronte all'inadeguatezza dei
dirigenti dell'Ulivo. L'espressione è un po' brutale, ma noi elettori siamo
i datori di lavoro di quei parlamentari; se prima non sono stati capaci di
intuire il nostro disagio, oggi devono saper ascoltare quando cominciamo a
parlare. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stato processato
e lo è tuttora per
accuse gravissime. All'estero basterebbe un centesimo dei punti
interrogativi che gravano sulla sua carriera di imprenditore per fargli
smettere di fare politica.

La situazione italiana è pazzesca, anormale, e però è irreversibile: a
Berlusconi è stato permesso, unico caso nel mondo democratico, di avere tre
reti televisive nazionali; è stato permesso, contro una legge esistente, di
essere eletto, poi di diventare presidente del Consiglio (e tra alcuni anni,
chissà, anche presidente della Repubblica). Sì, c'è una legge che vieta
l'eleggibilità di chi abbia concessioni pubbliche, e giustamente Sylos
Labini ce lo ricorda da tanti anni. Ma ormai c'è una situazione di
fatto: ci sono state elezioni legittime che hanno visto vincere una persona
che illegittimamente siede in Parlamento. Oggi bisogna fare i conti con
questa situazione
assurda in una democrazia.

c'è uno speciale e nuovo, rispetto alla vecchia Democrazia Cristiana
rapporto tra Berlusconi e il suo elettorato. Un rapporto di identificazione
da parte di persone che nulla hanno a che vedere con lui. Il suo elettorato
crede che i comunisti abbiano governato per cinquant'anni perché lo dice
Berlusconi, crede che la maggioranza dei giornali e delle televisioni siano
in mano alla sinistra, crede che Berlusconi sia perseguitato dalla
magistratura, crede che il capo di un'azienda possa far bene il capo
dell'"azienda Italia" (anche se la crescita e l'affermazione delle sue
aziende è viziata, secondo molte inchieste, da innumerevoli e varie
irregolarità ma questa non è materia politica).

Qualsiasi cosa Berlusconi dica o faccia che metta in dubbio la sua onestà o
capacità, non gli provoca la perdita di un solo voto. Berlusconi fa il pieno
del suo elettorato
potenziale (riuscendo a trascinare anche i seguaci di Alleanza nazionale,
che con il partito-azienda di Berlusconi non c'entrano proprio niente). Nel
centrosinistra c'è bisogno di qualcuno che con la sua autorevolezza riesca a
fare il pieno dell'elettorato
potenziale del proprio schieramento, che sappia parlare all'anima, alla
testa, al cuore degli elettori.

Ci sono tante persone che sembra non aspettino altro che un segnale di
tranquilla fermezza, di serena decisione. Devono ricominciare a sentirsi
rappresentate, mentre l'impressione è che i dirigenti dell'Ulivo siano in
attesa degli errori di Berlusconi, senza che a loro tocchi fare nulla.
Paradossalmente, dopo la vittoria di Prodi e dell'Ulivo nel '96, è stato
proprio il centrosinistra a riqualificare politicamente Berlusconi, che
veniva in quegli anni
considerato come perdente dal suo stesso schieramento, che infatti si era
già messo alla ricerca di un nuovo leader.

Dopo il '96, alcuni dirigenti del centrosinistra hanno
cercato addirittura di riscrivere la Costituzione assieme a lui,
regalandogli la patente di "statista". Ora a me sembra che Berlusconi sia
proprio il contrario dell'uomo di Stato: la democrazia è qualcosa che gli è
estranea, che non riesce bene a comprendere, e comunque gli fa perdere
tempo. Sta facendo delle leggi a suo uso e consumo e a questo proposito è
sconcertante come dai partiti suoi alleati non giungano voci di dissenso.
Altri errori sono stati fatti in quegli anni, dal centrosinistra: mancata
legge antitrust,
mancata legge sul conflitto d'interessi.

Credo, e la cosa è ancora più grave, più per sciatteria che per calcolo. Ma
il governo Prodi aveva un'autorevolezza e una credibilità inimmaginabili per
un governo italiano. Il declino dell'Ulivo è cominciato dalla caduta del suo
governo, voluta in Parlamento da Rifondazione comunista (autunno '98). In
quei mesi si poteva (e si doveva) andare alle elezioni politiche anticipate.
L'Ulivo non ha avuto quel semplice coraggio, anzi, un dirigente della
sinistra ha dichiarato pubblicamente: "Non possiamo andare alle elezioni,
perché altrimenti consegneremmo il
paese alla destra".

Che concezione della democrazia può avere una persona che dice una cosa del
genere? Non andando alle elezioni, l'Ulivo ha permesso a Berlusconi di
battere e ribattere per anni sullo stesso tasto: il governo D'Alema non è
legittimo. Un governo è legittimato dai voti che trova in Parlamento, però è
vero che dalle elezioni del '94 è come se sulla scheda noi elettori
indicassimo il nome del candidato premier. Era insomma un governo più che
legittimo in Parlamento ma, è vero, il premier D'Alema non era legittimato
dal voto popolare. Ed è necessario ricordare che l'elettorato cattolico
dell'Ulivo ha vissuto come un tradimento, dopo la caduta di Prodi, la
nascita del
governo D'Alema.

Nelle elezioni del maggio scorso, Rifondazione comunista sembrava
indifferente al risultato finale delle votazioni, che vincesse Rutelli o
Berlusconi. Temo fosse un sentimento comune al partito e ai suoi elettori,
tutti più che altro interessati al raggiungimento del quattro per cento che
gli avrebbe garantito una rappresentanza in Parlamento. Ma i politici
dell'Ulivo dovevano ugualmente tentare, avevano il dovere di cercare di
coinvolgere quel partito e la lista Di Pietro in uno schieramento più ampio.
Mentre invece apparivano rassegnati a gestire una sconfitta che loro stessi
avevano annunciato da mesi.

In quella campagna elettorale, a poche settimane dalle votazioni, lo
"statista" Berlusconi aveva dichiarato che l'Ulivo aveva vinto nel '96
grazie ai brogli elettorali (e in quell'occasione forse sarebbe stata
opportuna una parolina del Presidente della Repubblica, non genericamente
rivolta a svelenire gli animi, ma particolarmente rivolta a
un uomo politico che minava le basi della democrazia).

Mi è stato detto: "Non era quello il luogo, non era quello il modo". Ma
anche nel mio lavoro non ho mai avuto paura che le mie critiche alla
sinistra potessero essere usate
o strumentalizzate dalla destra. Non sono mai stato d'accordo con la pratica
stalinista della doppia verità, che dice: "Le critiche ce le dobbiamo fare
in privato, in pubblico invece dobbiamo apparire monolitici, tutti
d'accordo". No, secondo me i "panni sporchi" vanno lavati in pubblico. E, a
giudicare da alcune reazioni, mi sembra che il mio sfogo non sia stato
inutile.

I dirigenti del centrosinistra hanno preso tanti (troppi) schiaffi dagli
avversari, forse sarà salutare lo schiaffo di un elettore.

(5 febbraio 2002)