"I leader
dell'Ulivo imparino ad ascoltarci" di NANNI MORETTI
IO SONO un moderato. Infatti
voto Democratici di sinistra; ma essere moderati non
significa essere passivi, rassegnati, abituati alle
peggiori anomalie e anormalità italiane.
Del mio intervento di sabato scorso, qualcuno ha detto:
non era quello il modo, non era quello il luogo.
Rispondo: ma se non ora, quando? Cos'altro dobbiamo
aspettare?
Non mitizzo
quella che viene chiamata "società civile".
Penso che la politica debba
essere fatta dai politici di professione, che sappiano
però ascoltare il
loro elettorato.
Noi siamo imbarazzati, siamo a disagio di fronte
all'inadeguatezza dei
dirigenti dell'Ulivo. L'espressione è un po' brutale, ma
noi elettori siamo
i datori di lavoro di quei parlamentari; se prima non
sono stati capaci di
intuire il nostro disagio, oggi devono saper ascoltare
quando cominciamo a
parlare. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi,
è stato processato
e lo è tuttora per
accuse gravissime. All'estero basterebbe un centesimo dei
punti
interrogativi che gravano sulla sua carriera di
imprenditore per fargli
smettere di fare politica.
La situazione italiana è pazzesca, anormale, e però è
irreversibile: a
Berlusconi è stato permesso, unico caso nel mondo
democratico, di avere tre
reti televisive nazionali; è stato permesso, contro una
legge esistente, di
essere eletto, poi di diventare presidente del Consiglio
(e tra alcuni anni,
chissà, anche presidente della Repubblica). Sì, c'è
una legge che vieta
l'eleggibilità di chi abbia concessioni pubbliche, e
giustamente Sylos
Labini ce lo ricorda da tanti anni. Ma ormai c'è una
situazione di
fatto: ci sono state elezioni legittime che hanno visto
vincere una persona
che illegittimamente siede in Parlamento. Oggi bisogna
fare i conti con
questa situazione
assurda in una democrazia.
c'è uno speciale e nuovo, rispetto alla vecchia
Democrazia Cristiana
rapporto tra Berlusconi e il suo elettorato. Un rapporto
di identificazione
da parte di persone che nulla hanno a che vedere con lui.
Il suo elettorato
crede che i comunisti abbiano governato per cinquant'anni
perché lo dice
Berlusconi, crede che la maggioranza dei giornali e delle
televisioni siano
in mano alla sinistra, crede che Berlusconi sia
perseguitato dalla
magistratura, crede che il capo di un'azienda possa far
bene il capo
dell'"azienda Italia" (anche se la crescita e
l'affermazione delle sue
aziende è viziata, secondo molte inchieste, da
innumerevoli e varie
irregolarità ma questa non è materia politica).
Qualsiasi cosa Berlusconi dica o faccia che metta in
dubbio la sua onestà o
capacità, non gli provoca la perdita di un solo voto.
Berlusconi fa il pieno
del suo elettorato
potenziale (riuscendo a trascinare anche i seguaci di
Alleanza nazionale,
che con il partito-azienda di Berlusconi non c'entrano
proprio niente). Nel
centrosinistra c'è bisogno di qualcuno che con la sua
autorevolezza riesca a
fare il pieno dell'elettorato
potenziale del proprio schieramento, che sappia parlare
all'anima, alla
testa, al cuore degli elettori.
Ci sono tante persone che sembra non aspettino altro che
un segnale di
tranquilla fermezza, di serena decisione. Devono
ricominciare a sentirsi
rappresentate, mentre l'impressione è che i dirigenti
dell'Ulivo siano in
attesa degli errori di Berlusconi, senza che a loro
tocchi fare nulla.
Paradossalmente, dopo la vittoria di Prodi e dell'Ulivo
nel '96, è stato
proprio il centrosinistra a riqualificare politicamente
Berlusconi, che
veniva in quegli anni
considerato come perdente dal suo stesso schieramento,
che infatti si era
già messo alla ricerca di un nuovo leader.
Dopo il '96, alcuni dirigenti del centrosinistra hanno
cercato addirittura di riscrivere la Costituzione assieme
a lui,
regalandogli la patente di "statista". Ora a me
sembra che Berlusconi sia
proprio il contrario dell'uomo di Stato: la democrazia è
qualcosa che gli è
estranea, che non riesce bene a comprendere, e comunque
gli fa perdere
tempo. Sta facendo delle leggi a suo uso e consumo e a
questo proposito è
sconcertante come dai partiti suoi alleati non giungano
voci di dissenso.
Altri errori sono stati fatti in quegli anni, dal
centrosinistra: mancata
legge antitrust,
mancata legge sul conflitto d'interessi.
Credo, e la cosa è ancora più grave, più per
sciatteria che per calcolo. Ma
il governo Prodi aveva un'autorevolezza e una
credibilità inimmaginabili per
un governo italiano. Il declino dell'Ulivo è cominciato
dalla caduta del suo
governo, voluta in Parlamento da Rifondazione comunista
(autunno '98). In
quei mesi si poteva (e si doveva) andare alle elezioni
politiche anticipate.
L'Ulivo non ha avuto quel semplice coraggio, anzi, un
dirigente della
sinistra ha dichiarato pubblicamente: "Non possiamo
andare alle elezioni,
perché altrimenti consegneremmo il
paese alla destra".
Che concezione della democrazia può avere una persona
che dice una cosa del
genere? Non andando alle elezioni, l'Ulivo ha permesso a
Berlusconi di
battere e ribattere per anni sullo stesso tasto: il
governo D'Alema non è
legittimo. Un governo è legittimato dai voti che trova
in Parlamento, però è
vero che dalle elezioni del '94 è come se sulla scheda
noi elettori
indicassimo il nome del candidato premier. Era insomma un
governo più che
legittimo in Parlamento ma, è vero, il premier D'Alema
non era legittimato
dal voto popolare. Ed è necessario ricordare che
l'elettorato cattolico
dell'Ulivo ha vissuto come un tradimento, dopo la caduta
di Prodi, la
nascita del
governo D'Alema.
Nelle elezioni del maggio scorso, Rifondazione comunista
sembrava
indifferente al risultato finale delle votazioni, che
vincesse Rutelli o
Berlusconi. Temo fosse un sentimento comune al partito e
ai suoi elettori,
tutti più che altro interessati al raggiungimento del
quattro per cento che
gli avrebbe garantito una rappresentanza in Parlamento.
Ma i politici
dell'Ulivo dovevano ugualmente tentare, avevano il dovere
di cercare di
coinvolgere quel partito e la lista Di Pietro in uno
schieramento più ampio.
Mentre invece apparivano rassegnati a gestire una
sconfitta che loro stessi
avevano annunciato da mesi.
In quella campagna elettorale, a poche settimane dalle
votazioni, lo
"statista" Berlusconi aveva dichiarato che
l'Ulivo aveva vinto nel '96
grazie ai brogli elettorali (e in quell'occasione forse
sarebbe stata
opportuna una parolina del Presidente della Repubblica,
non genericamente
rivolta a svelenire gli animi, ma particolarmente rivolta
a
un uomo politico che minava le basi della democrazia).
Mi è stato detto: "Non era quello il luogo, non era
quello il modo". Ma
anche nel mio lavoro non ho mai avuto paura che le mie
critiche alla
sinistra potessero essere usate
o strumentalizzate dalla destra. Non sono mai stato
d'accordo con la pratica
stalinista della doppia verità, che dice: "Le
critiche ce le dobbiamo fare
in privato, in pubblico invece dobbiamo apparire
monolitici, tutti
d'accordo". No, secondo me i "panni
sporchi" vanno lavati in pubblico. E, a
giudicare da alcune reazioni, mi sembra che il mio sfogo
non sia stato
inutile.
I dirigenti del centrosinistra hanno preso tanti (troppi)
schiaffi dagli
avversari, forse sarà salutare lo schiaffo di un
elettore.
(5 febbraio 2002)
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