LA LETTERA

Al Ministro dei Trasporti, anno 1953.

 

«Egregio Signor Ministro, in relazione alla circolare numero tal di tali, protocollo tal dei tali, riguardante la palma situata nel piccolo terreno antistante al casello numero tal dei tali della linea Roma-Torino, la famiglia del casellante informa l’Eccellenza Vostra che la suddetta palma non costituisce nessun impaccio alla visuale dei convogli di passaggio. Si prega dunque di lasciare in piedi la suddetta palma essendo l’unico albero del terreno, a parte una rada pergola di vite che cresce sulla porta ed essendo molto amata dai figli del casellante, facendo specialmente compagnia al bambino che essendo di natura cagionevole è costretto spesso al letto e almeno può vedere una palma nel riquadro della finestra che se no vedrebbe solo aria che dà malinconia, e per testimoniare dell’amore che i figli del casellante hanno per il suddetto albero basta dire che l’hanno battezzata e non la chiamano palma ma la chiamano Giosefine, dovuto questo nome al fatto che avendoli noi portati una volta al cinema in città a vedere Quarantasette morto che parla con Totò, nel film luce si vedeva la celebre cantante negra francese col suddetto nome che ballava con un copricapo bellissimo fatto con foglie di palma, e allora i nostri bambini siccome quando c’è vento la palma si muove come se ballasse la chiamano la loro Giosefine.

La famiglia del casellante»

(Antonio Tabucchi)

LA MIA RISPOSTA. ALLA LETTERA :

Alla famiglia del casellante, 15 luglio 2002.

«Gentile famiglia,

ho letto e capisco le vostre ragioni. Spero capiate voi pure che il tempo a disposizione di un ministro dei trasporti è un bene prezioso, che purtroppo non può essere scialacquato senza danni per l’intero funzionamento del nostro amato paese. Voi di certo sareste più ragionevoli se solo aveste la compiacenza di paragonare il danno, ben più grave, di centinaia di vittime dovute ad una semplice palma con l’affetto, sentimento che ben s’addice ad ingenui e puri bambini, che dei teneri ma inconsapevoli fanciulli, detengono per un albero. Del resto se e come una palma possa arrecare seri inconvenienti alla viabilità ed alla sicurezza, è oggetto di approfonditi studi di nostra competenza, e quando dico “nostra” alludo a eruditi e rispettabili professionisti. Quel che a voi sembra, ben poco congrua con l’effettività dei nostri calcoli, nei quali spero voi non vogliate davvero entrare nel merito. E, davvero poco c’entra, in tutto questo, il pur lusinghiero film con Totò, se solo pensaste ad un convoglio che deraglia, portando con sé, dall’altra parte del mondo, una striscia di sangue e la paura di tanti occhi, coi loro grassi panini. Da troppo tempo, forse il vostro bambino è assente alla finestra di questa via. Ma la sua malinconia, tutta quella troppa aria che è il solo incubo che vi arriva sul bordo della finestra quando è la stagione delle piogge ed il cuore a pelo galleggia, è la via di transito di questo mondo nuovo. I convogli – sente e vede se esce di casa o dal balcone – portano stipati i progressi ammazzettati in blocchi di dinamo e sale. Ed occorre molto vuoto per questo transito che sfila via silenzioso sulle rotaie. Magari il sacrificio di una palma, e voi certo capirete è poca cosa. Mi dispiace per vostro bambino, mi spiace soprattutto, al di là della palma, della quale saprà farsene ragione, che sia così tanto ammalato. Eppure, anch’io so, come suo figlio che piange dagli occhioni, qui so, dal tavolo mezzo di legno, e mezzo di cavi, che non verrà più nulla, su un convoglio, o su un treno, a sostituire quella palma. Forse perché nulla che di qui passa ha la pazienza di esitare, soffermarsi. Non nutra fiducia in un fischio ininterrotto, che non ha i tempi del sonno e della veglia. Neppure il mio cuore ne ha più i tempi, e fischia. Per un caffè che alla sua linea di confine, del tal dei tali binario, tal di tali casello della linea Roma-Torino, si ripete inguaribile ogni mattina. Sa che lo vedo, suo figlio col mento sulla mano e sulla finestra che mira la palma, sparsa macchia nel cielo, e più del fumo, coi venti che soffiano dietro, alla sua triste danza. Non verrà treno a toglierla, non verrà sole a morirla, non verrà notte a coprirne il sorriso e le mosse, non verrà umido da seccarla, o cuore ad abbatterla, non verrò io, col mio copricapo di fuoco e la zozza sega. Lo dica al suo bambino, che finché mi sarà pieno il bicchiere di silenzio, le gambe non mi porteranno ad osare il mio dovere. Non vorrò mai farlo. Mi saluti Giosefine e baci per me la prima bella giornata di sole.

Il ministro dei trasporti»

(elisa santucci)

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