Ovidio scrive ai proprio uomini, dando per una volta parola alle donne, alle donne che attendono, alle donne che non smettono damare. Sono tante e diverse, la prima lettera è dal pugno di Penelope, fra le donne fedele, e scrive al mare, che ha proprio Ulisse che non torna. Parla per Ulisse che non parla. «Sto pensando a te, ed al tuo modo di non rispondere. Ovviamente questo mi dà modo di tessere e ritessere - a differenza di Penelope non attendo lamato, né ho insidie, ed anziché disbrogliare con la notte linganno del giorno che no - non è passato - per me è leterno immutato, senza lui - ritessere e tessere le trame della verità, e pensare, pensare sul tuo silenzio». Penelope inverte il tempo nella notte, volta la clessidra, ed è lei il tempo per il quale Ulisse può attraversare i suoi giochi, sempre da principio, incarnando per antonomasia il "viaggio", inizio e termine, sempre nuovo inizio, maestro della soglia, e della cresta donda. Beh, senza Penelope, Ulisse non avrebbe mosso il piede. E di questo, di qui, il suo odio. Questo Ulisse risponde a Penelope. Spero anche tu vorrai rispondere, lindirizzo di posta elettronico cui puoi inviare le tue lettere è lettereparole@tiscali.it Per chi voglia immedesimarsi in Ulisse e rispondere alle Penelope di Ovidio le vostre lettere potranno essere pubblicate su queste pagine scrivete P. Ovidio N., Heroides (I-XV), trad. it. di Angela Cerinotti, Heroides: lettere damore. Le eroine dellamore nellantichità, Demetra s.r.l., Bussolengo (VR) 1993. **************************************** «Questa lettera, è la tua Penelope che te la manda, Ulisse: sei tanto pigro a rispondere! Ma non rispondermi, vieni tu stesso. Di sicuro Troia è abbattuta, città odiosa per le fanciulle dei Greci; forse Priamo e Troia tutta intera non valevano un prezzo così alto! Se almeno quando la flotta puntava verso Sparta ladultero fosse stato inghiottito dai flutti furiosi! Non sarei qui distesa, di ghiaccio, in un letto deserto; non avrei pianto; tutta sola, il lento scorrere dei giorni né ci sarebbe una tela mai portata a compimento a stancar le mie vedove mani, mentre maffanno a contrastare il vuoto della notte. Quando mai non ho temuto pericoli maggiori di quelli reali? Lamore riempie il cuore di ansia e di paura. Mi immaginavo i Troiani abbattersi violenti su di te; sempre, a sentire il nome di Ettore, mi si sbiancavano le guance. Se qualcuno raccontava di Antiloco vinto da Ettore, Antiloco era la fonte delle mie paure; se era il figlio di Menezio ad esser caduto con indosso armi non sue, mangosciava che gli inganni potessero non andare a buon fine. Il sangue di Tlepolemo aveva fatta rossa una lancia di Lidia: si rinnovava la mia pena per il trapasso di Tlepolemo. Infine, il nome di qualunque acheo che dicevano esser stato sgozzato sul campo faceva più freddo del ghiaccio il mio cuore damante. Ma un dio giusto ha soccorso il mio amore casto: Troia è ridotta in cenere e il mio sposo è vivo. Sono ritornati i capi degli Argivi, fumano gli altari. Le spoglie dei barbari sono poste ai piedi degli dei protettori della patria. Le giovani donne recano doni riconoscenti per la vita fatta salva ai mariti; alcuni cantano i destini di Troia vinti dai loro. Li ascoltano ammirati i vecchi stanchi e le fanciulle trepidi; pende la sposa dal labbro del suo uomo che racconta. E qualcuno sceneggia sulla mensa apparecchiata le fiere battaglie e dipinge tutta Pergamo con una goccia di vino: "Per di là scorreva il Simoenta, questa è la piana sotto il Sigeo; qui sorgeva la reggia eccelsa del vecchio Priamo. Qui lEacide, là Ulisse avevan drizzato la tenda; qui Ettore tutto lacero spaventò i suoi cavalli lanciati". Si narra anche di Reso e Dolone immolati di spada, e come luno fosse stato tradito dal sonno e laltro dallinganno. Tu poi hai osato, oh, troppo, troppo dimentico dei tuoi, penetrare con frode notturna nel campo dei Traci e tanti abbatterne tutti insieme, mentre uno solo ti era daiuto. Davvero fosti prudente e soprattutto e di certo a me avevi il pensiero! Il mio cuore non ha smesso di battere forte fino a quando mi han raccontato che tu, vincitore, sei passato tra i nostri soldati su cavalli della terra dove salza lIsmaro. Ma che bene fanno a me Ilio abbattuta dalle vostre braccia e una terra desolata dove un tempo sorgevan delle mura, se mi trovo ora come quando Troia era in piedi e se luomo che mi fu tolto deve restare pur sempre lontano? Distrutta per tutti gli altri, per me sola Troia cè ancora, anche se un vincitore ne ara la terra, con laiuto dei buoi sottratti ai nemici. Già biondeggian le spighe dove un tempo fu Troia e la terra, resa pingue dal sangue nemico, soffre fertile al taglio della falce; nelle ossa affioranti dei caduti simbatton le lame degli aratri ricurvi e lerba ricopre i resti delle case. Vincitore, tu resti lontano e a me non è dato sapere, crudele, che cosa fa il tuo ritardo né in quale parte della erra tu ti nasconda. Chiunque volga verso questi lidi la poppa di una nave straniera, se ne parte carico di tutte le domande che sul tuo conto gli ho fatto e perché te lo porga, se mai un giorno dovesse vederti, io gli affido ogni volta un messaggio, come questo scritto di mio pugno. Ho richiesto notizie da Pilo, terra del vecchio Nestore, figlio di Neleo e da Pilo son tornate notizie insicure. Ne ho chieste anche a Sparta: anche Sparta è ignara del vero. Ma in che terra sei mai e perché tanto prolunghi il ritorno? Meglio sarebbe se le mura di Febo si levassero ancora (ma mi adiro, me misera, con i miei stessi desideri)! Saprei dove combatti e solo della guerra avrei timore, e comune sarebbe il mio pianto a quello di molte altre donne. Invece non so di che cosa temere e tutto, come folle, io temo e senza confini è lo spazio che si apre davanti allangoscia. Tutti i pericoli del mare, tutti quelli della terra: tutti io temo che sian la causa del tuo lungo ritardo. E mentre, stolta, son vinta da tutte queste paure, forse, perché tale è il capriccio degli uomini, tu puoi esser trattenuto da un qualche amore straniero. Forse ora le vai raccontando quanto è rozza la sposa che hai, che è buona sola a sgrossare la lana! Possa ingannarmi, e che tale sospetto si dissolva nellaria leggera. Che tu non voglia, se libero ti fosse il ritorno, voler restare lontano! Mio padre Icario mi spinge a lasciare il letto di vedova, brontolando sullattesa infinita. Brontoli pure fin che gli piace: sono tua e tua è giusto che mi si dica; io, Penelope, sarò sempre la sposa di Ulisse. Tuttavia, vinto dal mio tenero affetto di figlia e dalle mie vereconde preghiere, si lascia addolcire e simpone da solo di non farmi pressione. Quelli di Dulichio, di Samo e quelli venuti dallalta Zacinto, uno stuolo impudente di pretendenti mi assilla e regna nel tuo palazzo, senza che nessuno vi si possa opporre. Fanno a pezzi il mio cuore e i tuoi beni. Perché nominarti Pisandro, Polibo, Medonte crudele, Eurimaco e Antinoo dalle avide mani, e gli altri ancora che tu, colpevole dessere assente, nutri da te dei beni acquisiti dal tuo stesso sangue? Iro il mendicante e Melanzio il mandriano - disonore supremo - fan maggiore il tuo danno. Noi siamo tre, e del tutto inermi: una sposa senza forze, il tuo vecchi padre Laerte e Telemaco tuo figlio. Poco mancò che no perdessi anche lui, cui avevan preparato uninsidia, mentre sapprestava contro il volere di tutti a imbarcarsi per Pilo. Voglian gli dei, io li prego, che i destini si compian nellordine e che sia lui a chiudere i tuoi ed i miei occhi. Dalla nostra cè il guardiano dei buoi, la tua vecchia nutrice, ed infine colui che ha cura dei porci. Ma Laerte, poiché non può più portare le armi, non può reggere il posto di re in mezzo ai nemici; così io non ho proprio la forza di cacciare dalla tua casa chi ti è rivale e nemico. Vieni dunque più in fretta che puoi, tu sei il porto sicuro, laltare per noi! Hai un figlio, e tale io prego che ti sia, che, nella tenere età, doveva apprendere e scienza e arti dal padre. Volgi dunque il pensier a Laerte: purché tu arrivi a chiudergli gli occhi, attende il giorno che porrà fine al suo destino. E di me, una ragazzina ancora alla tua partenza, per prossimo che sia il tuo ritorno, è una vecchia che vedranno i tuoi occhi.
(Ovidio, I - Penelope a Ulisse) **************************************** «"ma sono innamorata". Stupido giro ottuso e opaco. "sono innamorata". Ti sei soltanto fermata. Ed un punto, dillo, vale laltro. "ruoto sotto il mio sole, arcipelago di colori ". Tu ruoti sulla tua noia. "io dilanio la mia carne per il tuo amore". Tu non sai cosaltro fare della tua carne, e del tuo pensiero. Poco più fiato, poche più forze, e non ti saresti accucciata a leccarti le ferite proprio sotto me. Innamorata? Mhai preso per puttana? Od ostello? Sono la porta cieca alla tua anima cieca. Tu premi, con la tua anima buia asserragliata al mio volto. Sono la tua speranza, che in me oltre me esplodano i colori di cui misuri i chiaroscuri geometrici col tuo bisturi di cervello strozzato, ed il tuo chimico occhio impazzito. Righello, compasso. Blandi mezzi. Oltre me, torneresti al vuoto che hai in me. Ringrazia che ti fornisco la misura blasfema scura di parlar di Dio ed implorarlo, e pregarlo, per laltro mondo che non esiste. Perché se ti cascassi come un bacio sulla più giovane delle tue bocche, saresti ancora il tuo stretto abisso di dolore. Ed invece Mhai preso per il muro del cielo, e mi sbatti le tue ambizioni, ed i tuoi occhi profondi per la più stretta delle porte del creatore. Lassurdo. Non mi saprai mai e paghi il tuo dolore, in spiccioli di ciglia e lacrime e cispe, annidando sotto me il tuo fagotto e le tue poche vesti. Pernotti senza più sapere tempo, povera, la più povera delle bestie. Muta, la più muta delle bestie. La tua lingua perde parole per ogni lutto, in cuore, ad ogni giro vano che stendi mantello per cogliermi. Cado, speri. La tua perdita filo filo, mi soffermi in vento di saliva, sottile, direbbe di te, lultimo sciolto buco, seta fino a me, direbbe di te quanto grande è il mondo altrove, il mondo immenso che tha fermato. Se solo Ed io dovrei, clausura, monaca, custodire le tue ricchezze, cassa di risonanza spaziale, eco infinita, dal tintinnare delle lune, i vuoti abissi, enormi boati delle sfere celesti nella notte cosmica, allargare e dinamite esplodere il il tuo mutore? "tu sei il cielo ed il mio abisso". Io sono il silenzio cosmico che ti esplode lanima, il silenzio tremendo fra il ritmo biologico del tuo battito. Lattesa smisurata che la vita continui, la speranza di sprofondare nel segreto del silenzio, quando il cuore ha già battuto, ed ancora non batte.
(elisa santucci) |