5
maggio 2000
Addio a Gino Bartali
divise e salvò l'Italia
FIRENZE - E
adesso correrà in cielo, da una nuvola all'altra,
lasciando tutti dietro, come faceva quando pedalava sulla
terra. Gino Bartali è morto nel primo pomeriggio nella
casa di Firenze in piazza Cardinale Elia Dalla Costa. A
fermarlo un attacco di cuore, che ha avuto il riguardo di
arrivare in silenzio, dolcemente, senza farlo soffrire.
Il campione dei campioni aveva 86 anni, attorno al suo
letto c'era tutta la famiglia, la moglie Adriana, i figli
Andrea, Biancamaria e Luigi.
Per raccontarlo si può partire dalle vittorie: il Giro
nel 1936, 1937 e 1946, con sette acuti di tappa. Il Tour
de France per due anni (1938 e 1948), con 12 successi di
giornata, la Milano-Sanremo per quattro edizioni e i tre
Giri di Lombardia. La prima volta ha alzato le braccia
sul traguardo alla Portocivitanova-L'Aquila nella corsa
rosa del 1935. Ha chiuso con un lampo al Giro di Toscana
del 1950, vent'anni con il suo profilo inconfondibile
sulla bicicletta.
Vent'anni a brontolare, tanto da meritarsi il soprannome
di Ginettaccio, uno dei mille che gli si sono stati
appiccicati addosso nel corso della carriera. Vent'anni a
dire, un giorno sì e l'altro pure: "Gli è tutto
sbagliato, gli è tutto da rifare". Un ritornello
che si è portato dietro anche da osservatore e tecnico
appassionato, di uno sport, il ciclismo, che non
riconosceva più.
E non avrebbe potuto riconoscerlo, lui che negli occhi
aveva stampato il film in bianco nero delle sfide epiche
con Fausto Coppi, il suo rivale di sempre. Lui che con
una vittoria di tappa al Tour de France aveva anche
salvato l'Italia dalla rivoluzione dopo l'attentato a
Togliatti come poteva specchiarsi negli atleti di oggi
tutti sponsor e televisione?
Per raccontare Gino Bartali bisogna scalare con decisione
il muro dela retorica, non bisogna avere paura di
esagerare. Con lui lo sport è barocco, è sforzo,
sudore, lealtà. Con lui ci sono le foto color seppia con
la gente che urla ai bordi delle strade mentre Gino e
Fausto si affrontano a colpi di pedale.
La loro era qualcosa di più di una semplice rivalità:
difficile da raccontare se non la si è vissuta. Quelli
di Bartali e Coppi erano due mondi diversi, due pianeti
che si sfioravano solo sulle salite impolverate del Tour
e del Giro, per il resto erano lontani anni luce. Da una
parte l'atleta toscano: Gino le pieux, come dicevano i
francesi, che interpretava i sogni della sponda moderata,
cattolica della nazione. Che correva con grinta, senza
arrendersi mai, spendendo sempre una goccia in più di
energia. L'altro, elegante, bello, dotato di un talento
quasi soprannaturale, eleganza e tristezza innate, tirato
per la giacca dalla parte delle bandiere rosse.
Era un Italia così, quasi come quella di Don Camillo e
Peppone, ma qui i contrasti erano veri. Ed era vero
quella mattina del 1948 il rischio di una nuova guerra
civile. Un giovanotto irpino, Antonio Pallante aveva
sparato al segretario del Pci Palmiro Togliatti. Gli
operai erano scesi in piazza, il punto di rottura si
vedeva, era vicino.
Il presidente del Consiglio, il democristiano Alcide De
Gasperi telefonò a Gino Bartali impegnato al Tour de
France e gli chiese di vincere per l'Italia. Alla corsa
gialla è giorno di riposo, l'indomani ci sono due
tapponi massacranti consecutivi: la Cannes-Briancon e poi
la Briancon-Aix les Bains. Quello che combina il
fuoriclasse toscano su quelle salite è ormai leggenda,
mito, storia. Vola da solo sull'Izoard, come piaceva a
lui e lascia a bocca aperta i francesi, che da allora,
quando lo vedono, "ancor s'incazzano". In
Italia la notizia arriva alle 17,30 e le manifestazioni,
come per magia, si trasformano in cortei festosi.
Una piccola favola. Una di quelle che capitano quando
c'è di mezzo lo sport e soprattutto uno come Gino
Bartali. Adesso sarà da qualche parte in cielo a
brontolare e a tentare di andare di nuovo in fuga.
Perchè quelli come lui non vengono mai ripresi.
22
maggio 2000
Niente
quorum, alle urne
appena il 32% degli elettori
ROMA
- Il referendum ha perso, il quorum non c'è stato. I
dati definitivi, forniti dal ministero degli Interni sul
totale di 103 province, parlano di percentuali che
oscillano tra il 31,9% del terzo quesito (elezione del
Consiglio superiore della magistratura) e il 32,5%
(licenziamenti). Il secondo quesito, quello sulla legge
elettorale ha toccato quota 32,4%. In totale sono andati
alle urne poco più di 15 milioni e 700 mila elettori.
Per raggiungere il quorum, a quota 24.533.209, mancanoo
oltre otto milioni e mezzo di votanti.
Che fosse una giornata difficile per i promotori del
referendum lo si è capito subito, ai primi dati
ufficiali, diffusi dal Viminale attorno alle 12. I sette
quesiti si attestano sul 7 per cento, il confronto con le
elezioni del passato è subito in negativo. Lo stesso
vale per le rivelazioni successive: alle 19 non era stato
superato il muro del 20 per cento. Le prime proiezioni
fornite dall'Abacus intorno alle 22, parlavano di una
forbice tra il 30 e il 36 per cento che, alla fine, si è
rivelata giusta.
Se, comunque, il quorum fosse stato raggiunto, in sei
referendum su sette avrebbe vinto il "sì".
Vittoria del "no" (con oltre il 66%) solo per
quello sui licenziamenti più facili. In particolare,
quando mancano poche centinaia di sezioni da scrutinare,
il risultato più netto (ma vale solo ai fini statistici)
sarebbe quello dei "sì" all'abolizione
dell'attuale sisema elettorale per la Camera con l'82%.
Per cancellare il rimborso delle spese elettorali ai
partiti, il "sì" ha raggiunto quota 71,1%, per
l'elezione del Csm è al 70,6%, per la separazione delle
carriere dei magistrati al 69%, per gli incarichi
extragiudiziari ai magistrati al 75%, per le trattenute
sindacali al 61%.
24
maggio 2000
Libano, l'esercito israeliano
lascia l'ultima postazione
MARJAYOUN (Libano) -
L'esercito israeliano ha abbandonato il suo quartier
generale nel Libano meridionale. Alle due del mattino ora
italiana sono finiti 22 anni di occupazione della fascia
di sicurezza che Gerusalemme aveva creato per proteggere
il fronte sull'Alta Galilea. La "Porta di
Fatma", il valico di transito fra Metulla (Galilea)
e Kile (Libano sud), è stata chiusa da un militare
israeliano che così ha concluso, anche simbolicamente,
l'operazione di rimpatrio decisa dal premier Ehud Barak e
dal consiglio di sicurezza.
Un ritiro doloroso. I soldati hanno lasciato dietro di
sé una lunga colonna di fumo e di distruzione. Sia
perché hanno fatto saltare tutte le loro ex postazioni
sia perché hanno incontrato sul loro cammino gli ordigni
e il fuoco di sbarramento dei guerriglieri sciiti
Hezbollah. Reparti del genio israeliano hanno fatto
saltare in aria il bunker eretto accanto al castello
crociato del Beaufort. Era il più grande costruito da
Israele nel Libano meridionale, su più livelli, e capace
di ospitare un centinaio di combattenti. "Abbiamo
fatto grandi sforzi per non danneggiare i resti
archeologici" ha detto il capitano Avi, che è
persuaso si essere riuscito nella missione. Il castello
è stato eretto nel 1193 da Folco d'Angiò per proteggere
a distanza l'insediamento crociato di Tiro, nel Libano
meridionale.
I mezzi blindati israeliani sono comunque usciti indenni,
grazie alle tenebre e all'intervento massiccio di
elicotteri da combattimento. Nella prima mattinata un
portavoce militare ha confermato che il ritiro si è
concluso senza vittime per Israele.
A Kiryat Shmona, la città israeliana più vicina al
confine con il Libano, sono rimasti oggi - rinchiusi nei
rifugi - solo tremila dei suoi 22 mila abitanti. E' alto
infatti il timore che i guerriglieri tornino a colpire
gli insediamenti ebraici di confine.
Per tutta la nottata sono affluiti in massa in Israele i
miliziani filo-israeliani dell'Els (Esercito del Libano
sud) assieme con i loro familiari. Almeno 2.500 persone
sono state accolte in un centro di raccolta sul lago di
Tiberiade. Difficilmente potranno tornare un giorno nelle
loro case visto che in patria sono considerati traditori
assoldati dal nemico.
La tensione resta alta. Barak "esorta tutti i poteri
in Libano a comportarsi con moderazione e responsabilità
e afferma che Israele risponderà severamente a qualsiasi
attacco contro la sua sovranità, i suoi cittadini o i
suoi soldati".
Da Beirut il capo dei guerriglieri sciiti Hezbollah ha
affermato che con questo ritiro per gli arabi si chiude
"l'era delle disfatte".
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