L'analisi del portavoce delle Tute Bianche
"A Genova il potere ha esploso 18 colpi di pistola..."


Casarini: "Il futuro siamo noi
la sinistra storica ha chiuso"

ROMA - "Ormai la vecchia sinistra ha chiuso il suo ciclo storico, i partiti, la forma partito sono un qualcosa di antico. Noi siamo orfani, dobbiamo pensarci soli con la nostra memoria e su questo costruire il nuovo". Per spiegare le diversità del movimento che chiama "movimento dei movimenti" dandogli finalmente un nome, per quanto vago, Luca Casarini abbandona per un attimo l'immaginifico linguaggio che lo ha reso famoso dalle "moltitudini in marcia", alla "guerra ai signori dell'impero", quelle frasi mutuate dal linguaggio tipico del comandante Marcos che, nell'occidente globalizzato, hanno portato spesso a drammatici equivoci e non pochi guai a chi le ha pronunciate.

Casarini, come lo definirebbe questo movimento per il quale è difficile anche trovare un nome?
"Parliamo di movimento dei movimenti per far capire che c'è stata una rottura anche con le dinamiche classiche della sinistra extraparlamentare. Questo è il prodotto di diverse reti sociali che hanno costruito quel fare società che è la nostra rivoluzione. Prima si parlava di una dinamica unica che vedeva nel futuro la trasformazione, oggi questo è superato ci sono contaminazioni fra differenze, nessuna omogeneità ma l'intreccio di percorsi lontani. Il fatto stesso che il portavoce sia Vittorio Agnoletto, un medico che si occupa di Aids è emblematico della diversità di approccio rispetto al passato".

Dove sono le origini di questa diversità?
"Non possiamo dimenticare Seattle come passaggio culturale. Per noi Tute Bianche, poi, la carovana zapatista dello scorso anno è stato un passaggio fondamentale, un corso di formazione per stare dentro al movimento dei movimenti. Per altri può essere stata la campagna di cancellazione del debito. L'incrocio di tutto questo ha prodotto Genova, i nuovi linguaggi, lo spirito del movimento dei movimenti. A noi lo spirito di Genova ci è entrato dentro a Nuryo durante il Congresso nazionale indigeno con i comandanti zapatisti. Per tutti è stato un cammino, diverso, che ci ha portato a Genova".

Va bene lo spirito, ma a Genova c'è stato un morto. Non avete nulla da rimproverarvi?
"Certo, il fatto di non essere riusciti ad impedirlo. I morti non servono, non servono ai familiari e non servono a noi che abbiamo perso un fratello. Certo è che anche il potere ha fatto il suo cammino in un crescendo di violenza culminato a Goteborg. Il fatto è che nessuno pensava che a Genova avrebbero esploso 18 colpi di pistola contro manifestanti disarmati, pericolosi per l'ordine ma non per la vita di alcuno. Ero a Praga, ho visto i carri armati, gli arresti senza garanzie, ma non ho visto sparare, uccidere un ragazzo in canottiera...".

Non aveva solo la canottiera ma anche un estintore in mano...
"Ormai è chiaro che non c'è relazione fra pistola ed estintore. Con 18 colpi sparati un morto ci poteva scappare, bastava un'inclinazione sbagliata per uccidere qualcuno, tralasciando Bolzaneto, la Diaz eccetera. Comunque dicevo a Quebec c'era il muro della vergogna ma non ho visto uccisi. A Goteborg hanno sparato nella schiena ad un ragazzo di 20 anni. Poi c'è stata Genova. Un crescendo che non può essere addebitato al movimento. Noi ci siamo espressi in forme dure ma non violente. Vorrebbero che ci dislocassimo sul piano militare ma noi abbiamo rifiutato quel livello. Ci siamo chiesti che fare? Stiamo a casa o li affrontiamo ancora? E come li affrontiamo? Poi, pur con la paura addosso abbiamo deciso di evitare la spirale della violenza".

Dopo Genova, non ci sono stati più scontri, la situazione si è normalizzata?
"No, a Roma per la contestazione agli Stati generali c'erano i blindati, i poliziotti con le maschere antigas, i lacrimogeni Cs, quelli non ammessi, i carabinieri che provocavano, i cavalli con i paraocchi. Questo è l'apparato, quello il livello, per questo sbaglia la sinistra a dire che a Genova sono state sospese le libertà. Genova ha segnato una restrizione permanente delle libertà, la respiriamo ogni volta che andiamo in piazza".

Se questa è la ricostruzione voi siete caduti nel meccanismo in pieno...
"E' stata una cosa mai vista".

E' saltato quel meccanismo di "simulazione" dello scontro che aveva retto fino a Genova?
"Ci aspettavamo uno scontro duro ma dentro uno spazio di garanzie, senza una radicalizzazione dello scontro. Noi a Genova potevamo anche andare a fare i black bloc e poi? Abbiamo scelto diversamente perché vogliamo cambiare le cose".

Però una qualche lezione l'avrete tratta.
"A Genova dovevamo fermarli, eravamo impauriti. Se avessero avuto più esperienza intorno alla jeep Carlo e gli altri non ci sarebbero stati così a lungo. Stiamo riflettendo sul significato della disobbedienza, dobbiamo trovare la maniera di esprimersi nel meccanismo conflitto-consenso rifiutando il confronto militare ma sapendo che lo scontro sarà durissimo. D'altra parte per avere più democrazia lo scontro con il potere è necessario e allora si tratta di capire come disobbedire all'impero senza trasformarci in un esercito., Un discorso che riguarda noi disobbedienti ma anche quel che a Genova avevano le mani alzate. Questo è il nodo da sciogliere".

Come vi rapportate con la sinistra istituzionale?
"Ci vuole la dissoluzione dei Ds. Se si dissolve quel partito si liberano energie positive. D'altra parte la scelta dell'internazionale a favore delle politiche neoliberiste fa scuola. Ormai quella sinistra ha chiuso il suo ciclo. Sulle altre sinistre va fatto un lavoro politico ma chi vuole mettere il cappello sarà sconfitto".

Avremo un nuovo soggetto politico?
"Nel futuro deve esserci il movimento vedo più delle sperimentazioni locali, magari con liste civiche, che rompono lo schema classico dei partiti piuttosto che una struttura nazionale. Sono per l'autorganizzazione sociale, i partiti non si fanno attraversare dallo spirito del movimento forse per la loro forma antica".

 

 

 

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