INTERVISTA AL PADRE DI CARLO GIULIANI

21.03.2002 Giuliano Giuliani: "Il movimento è pacifico ed è una garanzia contro il terrorismo"

«Una follia, una follia», dice Giuliano Giuliani, che ha saputo di quella rivendicazione del delitto di Bologna firmata da una certa brigata «Carlo Giuliani». Cioè firmata col nome di suo figlio, un ragazzo di 23 anni, ucciso a Genova l'estate scorsa da un carabiniere, durante le contestazioni al G8, e diventato un po' il simbolo del «movimento dei movimenti» (come si autodefinisce) o dei no-global (come li chiamano i giornali).

Giuliani, le battaglie dei no-global, il clima che hanno creato, c'entrano qualcosa con questo ritorno del terrorismo?

«È chiaro che non c'entrano niente. È chiaro come il sole. Chiunque lo capisce. Vent'anni fa il terrorismo si fece forza dell'ambiguità o delle incertezze di un movimento di massa - quello dei ragazzi del '77 - che non aveva risolto il problema della violenza. Ora la situazione è del tutto diversa. Il movimento è pacifico e pacifista. E costituisce la garanzia più grande contro il rischio di una vera ripresa del terrorismo. Chi dice il contrario è in malafede. Non solo chi cerca di attribuire qualche colpa al sindacato e al movimento dei lavoratori. Ma anche chi punta il dito sui no-global».

Il Ministro Maroni ha puntato il dito sui no-global. Ha detto che i sindacati devono cacciarli dai loro cortei perché i no-global giustificano i terroristi e se i sindacti non li cacciano, fanno anche loro il gioco dei terroristi...

«Non ci credo».

È vero. C'è una dichiarazione. La riporta l'Ansa. Gliela leggo

(gli leggo il testo integrale della dichiarazione di Maroni. Lui ascolta e poi resta un po' in silenzio). «Cosa devo fare? Commentare? È impossibile, è un delirio. Cosa vuole che dica di fronte a cose così? Chi dovrebbe incitare gli altri ad avere senso di responsabilità, cioè un ministro, invece si dà da fare per dimostrare di non avere neanche un briciolo di senso di responsabilità. È uno spettacolo penoso».

E questa rivendicazione a nome di suo figlio?

«Sono disgustato, si capisce. È un'idea insensata e sommamente idiota quella di chi dovesse credere che con una morte ingiusta si può rivendicare un'altra morta ingiusta. Mi indigna vedere che qualcuno può immaginare qualcosa del genere. Sono due morti ingiuste. Si sommano, non si elidono. Cosa c'entra mio figlio con la criminalità di questi assassini? Non c'entra niente. Il terrorismo era la cosa più lontana al mondo dalle idee e dai sentimenti di Carlo. Per fortuna mi pare che la rivendicazione è giudicata inattendibile dagli inquirenti».

Domani sarà a Roma per la manifestazione della Cgil?

«Certo che ci sarò, ci mancherebbe. Ho dedicato la mia vita alle lotte del movimento operaio e alla Cgil. Sabato è una giornata molto importante, un momento decisivo nella battaglia per la difesa di diritti giusti».

Lei ha circa 60 anni, e alle spalle, se non sbaglio, una lunga militanza contro il terrorismo. Come sindacalista e come uomo di sinistra.

«Sì, è un elemento fondamentale della mia vita politica. Quando nacque Carlo, giusto 24 anni fa, feci appena in tempo a vederlo in braccio a mia moglie. Poi, dopo neanche due giorni, le Br rapirono Moro e io dovetti lasciare tutto e gettarmi anima e corpo nella battaglia sindacale per resistere a quel feroce attacco alla democrazia. Ci opponemmo con successo. E un paio d'anni dopo fui trasferito da Roma a Genova proprio all'indomani dell'uccisione di Guido Rossa, operaio comunista. Tutta la mia vita l'ho spesa a combattere la follia dei terroristi».

Chi ha sparato stavolta?

«Non lo so. Francamente non lo so. Quello che so è contro chi va questa azione: contro i sindacati, contro i lavoratori che erano impegnati in modo molto forte, largo, serio, in una battaglia fondamentale per il loro futuro. Lo ha detto Olga D'Antona, la vedova di Massimo D'Antona, e mi sembra che abbia assolutamente ragione».

Quindi lei è preoccupato. Teme che questo attacco terrorista possa costare caro al sindacato?

«Per fortuna mi sembra che in questo momento il movimento sindacale sia molto forte. Sia saldo, unito. Tanto sul piano della sua capacità di dare risposte di massa, quanto sul piano della compattezza. Non credo che il movimento dei lavoratori si farà intimidire: ha le spalle forti...».

Adesso cosa bisogna fare per reagire?

«Sul terreno sindacale e politico mi sembra che la risposta ci sia. Ci deve essere una risposta forte anche sul terreno dell'intelligence. Cioè bisogna fare qualcosa per scoprire i colpevoli. Noi ancora non sappiamo chi ha ucciso Massimo D'Antona, e sono passati tre anni. Se sono stati davvero quelli delle Brigate Rosse non dovrebbe essere difficilissimo prenderli...»

Perché, lei ha dei dubbi sul fatto che siano state le Br?

«Non so, non ho elementi. Ci sono delle rivendicazioni che gli inquirenti ritengono attendibili. Però poi non c'è altro. Non ci sono riscontri, dati di fatto. E c'è stato abbastanza tempo per raccoglierli, dal maggio del 1999! Può darsi che siano state le Brigate Rosse o qualcosa di simile, non si può escludere: qualche pazzo in giro c'è sempre. Non sono io che posso stabilire queste cose. Io so con certezza a cosa servirà questo delitto: a cercare di fermare la rivendicazione di giusti diritti. Tutto qui. E ragiono su questo».

COMMENTO - quindi dei dubbi li ha anche il padre di CARLO GIULIANI - sindacalista storico - e li abbiamo anche noi della redazione namir - se non altro perche' abbiamo letto nei vari siti internet la rivendicazione delle brigate rosse - e comparandola con quella precedente inviata per MASSIMO D'ANTONA - vi si possono leggere - in termini rozzi - i stessi passaggi. avendo letto quasi tutti i comunicati della storia delle brigate rosse - vi possiamo assicurare che mai e poi mai - un documento e' uguale all'altro - e invece in questo sembra che si siano fermati a tre anni fa - oppure e' un copia e incolla di qualche buon tempone per sviare le indagini.

 

 

 

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