MISTERI
ITALIANI
La
memoria delle rimozioni
GIANNI
MINA'
Fa impressione vedere ancora
una volta, nelle immagini televisive, le targhette
numerate della polizia scientifica vicino ai bossoli
sparati da un'arma da fuoco contro un altro studioso
delle tematiche del lavoro, Marco Biagi, un professore
che mediava o cercava vie di uscita a conflitti sociali
che, anche all'inizio del terzo millennio, continuano ad
apparire "insanabili". Ma fa addirittura
sgomento sentire il presidente della Confindustria
Antonio D'Amato, uno di quelli che più ha spinto il
governo perché il conflitto sull'art. 18 non fosse
"sanabile", affermare con sicumera: "Era
un omicidio annunciato, c'è stata una campagna di
denigrazione crescente". Da chi aveva avuto la
notizia, dottor D'Amato e qual era la denigrazione? Forse
quello di spiegare, come ha fatto peresempio, l'avvocato
del lavoro Mario Fezzi su internet, che "la delega
al governo, in materia del mercato del lavoro,stravolge
l'intero diritto della materia, perché dalla tutela del
lavoratore si passa all'istituzionalizzazione del
precariato"?
Così fa proprio impressione ascoltare simili
esternazioni e prendere coscienza che, dopo Tarantelli,
D'Antona eRuffilli, professori d'economia, di diritto del
lavoro o politologi, vittime di assassini ancora impuniti
solo per il ruolo di pacificazione che incarnavano, la
solita Italia oscura, dei segreti mai svelati, abbia
deciso di togliere la vita anche a MarcoBiagi, docente di
diritto del lavoro a Modena, amico fraterno di Prodi e
collaboratore, prima ancora di Maroni, di altri
treministri del settore. E questo sfregio, chiunque lo
abbia commesso, sarebbe stato messo in atto solo per dare
un segnale che "indietro non si torna" e che
"non c'è niente da trattare". Ma suscita
addirittura un senso di desolazione ascoltare il
presidente del consiglio Berlusconi che, solo pochi
minutidopo l'accaduto, strumentalizzava il fatto con
queste parole: "Basta. Odio e menzogna nutrono gli
assassini". Quale menzogna, cavaliere? Quella di
affermare che, con la nuova legge-delega, com'è
incontestabile, il lavoro (dell'uomo) viene trattato alla
stregua di una merce che si cede, si affitta, si chiama,
volta per volta, solo quando serve, insomma si
"somministra"? Con l'abrogazione della Legge
1369/60, infatti, il lavoratore diviene di fatto un
prodotto liberamente commerciabile e, come dice ancora
l'avvocato Fezzi: "si riconosce la liceità del
trarre profitto dal lavoro altrui, attraverso una vera e
propria attività di interposizione, che non sarà
necessariamente temporanea". Chiarire queste cose
sarebbe una campagna d'odio? Il fatto che si cancellino
norme fondamentali (quella sull'intermediazione della
manodopera, per esempio) che introduce come normale, e
non più come temporaneo, il ricorso all'affitto di
persone, le pare una realtà alla quale è proibito
negarsi, pena il pericolo di essere chiamati terroristi?
L'Italia è l'unico paese europeo dove ancora si uccidono
funzionari e collaboratori dello stato, simboli
dell'equilibrio che deve esistere fra le strategie di una
Confindustria mai sazia, e i diritti dei
cittadini-lavoratori. Con il governo che dovrebbe fare da
garante. Ma se il governo è ostaggio dell'associazione
degli industriali, quali possibilità ha il cittadino, se
non quella di manifestare pubblicamente e in massa il
proprio dissenso? Anche in altri paesi europei vengono
uccisi dei cittadini, ma l'esecrabile spiegazione è,
come in Irlanda o nei Paesi baschi, una guerra
d'indipendenza da Inghilterra o Spagna che non è mai
finita. Qui a casa nostra invece, si uccide perfermare la
società, per fare in modo, magari, che un milione di
persone che sabato sfileranno a Roma e tra poche
settimane sciopereranno contro le preoccupanti decisioni
del governo, rimangano a casa.
I servizi segreti italiani, coinvolti negli anni passati
in sette stragi o che almeno le hanno coperte (come hanno
confermato i dispositivi di sentenza dei vari processi)
hanno fatto sapere giovedì scorso che si temevano
attentati a collaboratori o consiglieri del ministro
Maroni. Informazione che si è rivelata tragicamente
esatta e che attribuisce la responsabilità dell'atto
alle brigate rosse sopravissute alla loro stessa tragica
storia. Questi servizi che non hanno ancora aiutato ha
farci sapere come i brigatisti rossi residuati hanno
colpito anni fa il professor Tarantelli e più
recentemente il professor D'Antona, ora mostrano, a
sorpresa, un'efficienza quasi cronometrica. Ma, se lo
sapevano dai loro (presumiamo) informatori infiltrati,
perché non hanno neutralizzato questi ambigui sicari di
battaglie fuori dal tempo e fuori dalla realtà? O
perché non hanno almeno avvisato il Viminale perché
fosse data immediatamente una scorta seria a quei cinque,
sei collaboratori del ministro Maroni che potevano essere
il più esposti a questa minaccia? In fondo, per stessa
ammissione della nostra "intelligence", i
brigatisti attivi non sono più di trenta e i loro
complici una cinquantina. E' possibile che, dopo decenni
e dopo aver decapitato la cupola storica di questa
fabbrica di contraddizioni e delitti, non si sia ancora
riusciti a neutralizzare questo sparuto gruppo di
irriducibili? E chi li guida adesso? E a quale obiettivo
mira questa leadership? Quella di atterrare per sempre il
movimento dei lavoratori? E sarebbero di sinistra coloro
che perseguono questo scopo?
Qualcuno, come Agnoletto e Casarini, ha parlato di
ritorno della "strategia della tensione". Mi
sembra che si sono fatti prendere la mano. La guerra
fredda è finita tredici anni fa. Ma leggendo il libro di
Gianni Cipriani "Lo stato invisibile" che svela
le trame dei poteri occulti, dell'eversione e delle
stragi dal dopoguerra ad oggi, ti imbatti, in molte
pagine, in un clima ambiguo come quello di oggi. E' una
storia che abbiamo già vissuto e per questo ci pare
inquietante venga nuovamente proposta, magari conrisvolti
grotteschi, come il recente presunto attentato di via
Palermo. Perché viene in mente che qualcuno, oltre alla
loggia massonica P2, deve aver pur deciso che la
strategia vincente per fermare la protesta sociale e
culturale degli anni `70 era, in Italia (quando non ci
riusciva la politica) quella di compiere degli attentati
da attribuire ad anarchici incolpevoli come Pinelli, o da
caricare sulle spalle di un povero cristo come Valpreda.
In quale riunione al Viminale fu deciso cinicamente che
quel ballerino fotografato un po' di sbieco poteva essere
la persona giusta a cui affibbiare la parte del mostro?
Chi scelse freddamente di inventarsi la pista anarchica?
Chi coprì gli attentatori veri? I funzionari che
parteciparono a quella triste pagina della nostra storia,
sono ancora in servizio o collaborano? E quelli che
infiltrarono un esponente della `Ndrangheta e forse anche
un agente (come risulta da molte testimonianze) nel
commando delle br che rapì Moro, che uso hanno fatto
delle informazioni apprese allora? E quell'esperienza
inquietante non è servita a nulla? E infine, perché
dovremmo credere ad un apparato di
"intelligence" che dal libro di Cipriani appare
più che mediocre, e che, tanti anni dopo, non sa ancora
dirci per ordine di chi e per quale strategia politica o
eversiva sono stati gambizzati Gino Giugni, Antonio Da
Empoli ed eliminati Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli,
Massimo D'Antona ed ora anche Marco Biagi? Tutta gente
che lavorava per il progresso della società, non per un
ritorno al tempo nel quale il lavoro non era né
tutelato, né rispettato.
E' giusto riflettere su questi interrogativi, su queste
pieghe oscure della nostra società. Ma non con animo
esasperato, bensì con una sincera voglia di chiarezza.
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