Nemici
RICCARDO BARENGHI Un uomo colpito in mezzo alla strada,
ucciso come molti altri negli ultimi trent'anni. Stava
rientrando a casa in bicicletta, tutto si sarebbe
aspettato tranne che di morire così, freddato da una
raffica di colpi sparati da due sconosciuti. Come tanti
prima di lui. Come Ezio Tarantelli, ucciso anche lui
durante uno scontro sociale, come Massimo D'Antona,
ammazzato per la strada tre anni fa, anche lui consulente
del ministero del lavoro, anche lui sconosciuto ai
riflettori della ribalta. Professori, studiosi, uccisi
come simboli di un potere evidentemente irraggiungibile
per chi ancora sceglie di fare politica con la pistola in
pugno.
Pistole puntuali, che arrivano sempre al momento giusto,
non sgarrano di un minuto, puntuali come la morte.
Pistole che uccidono un uomo per colpirne milioni,
proprio quelli che fra tre giorni dovrebbero sfilare a
Roma e tra poche settimane scioperare contro il governo,
quelli che hanno manifestato a Genova e contro la guerra,
quelli dei girotondi e del palavobis, i professori di
Firenze, i cittadini che si sono incontrati ieri al
teatro Quirino, le fiaccole di Napoli. Sono loro le
vittime politiche dei terroristi che hanno ammazzato a
sangue freddo Marco Biagi.
Non è certo un caso che sia stato colpito un uomo che
lavorava insieme al ministro Maroni, un uomo che aveva
partecipato all'elaborazione del libro bianco sul lavoro,
libro che sta alla base dello scontro sociale in atto. E'
una scelta ben studiata, così come i tempi dell'omicidio
sono stati pianificati a tavolino in chissà quali e
quante riunioni clandestine. E' Maroni il nemico del
sindacato, il "nemico di classe"? Colpiamo
Maroni. Magari per interposta persona così è più
facile e rischiamo di meno. Che ci vuole a uccidere un
professore che va in giro solo e in bicicletta? Niente, e
infatti l'hanno ucciso.
Ma chi sono questi assassini, che dopo tanti anni dalla
sconfitta politica e militare del terrorismo nostrano
sono ancora su piazza? Dove trovano soldi e armi, rifugi
e appoggi? Pare che i servizi segreti fossero vicini ad
arrestare gli assasssini di D'Antona ma che - dicono -
sono arrivati troppo tardi. Dicono anche che sarebbero
gli stessi, ieri D'Antona oggi Biagi. Ammesso che sia
vero, possibile che dopo tre anni questi terroristi
fossero ancora liberi e addirittura in grado di ammazzare
qualcun altro? Come mai i nostri servizi erano arrivati
vicini ad arrestarli ma non li avevano arrestati?
Lasciamo stare polemiche maliziose, oggi sarebbe il caso
solo di riflettere e anche seriamente.
Peccato che lo spettacolo andato in scena subito dopo il
delitto con la riflessione e la serietà nulla ha da
spartire. Gli uomini del governo e della maggioranza non
hanno neanche perso un attimo a piangere sulla sorte
dell'uomo ucciso per buttarsi a capofitto nelle accuse
più odiose. Nemmeno il tempo di una lacrima, e giù
contro le menzogne della sinistra, il sindacato che aizza
lo scontro, la violenza che si annida in chi sta oggi
all'opposizione. Qualcuno è anche apparso in televisione
per dire che tra l'omicidio di Biagi e la manifestazione
di sabato prossimo c'è un rapporto diretto. Un'accusa
tanto pazzesca quanto ridicola. Purtroppo però qui non
c'è da minimizzare, qui c'è qualcuno che uccide e
qualcun altro che specula su quell'omicidio in tempo
reale. Lo stesso Berlusconi non ha avuto remore ad
accusare implicitamente la sinistra che fomenta
"l'odio politico di cui si nutre l'inumana ideologia
che muove la mano degli assassini". Se mai ci
fossero stati ancora dei dubbi su quanto grave fosse la
situazione della democrazia italiana, oggi quei dubbi
possono ritenersi superati.
E se possiamo suggerire una risposta al terrorismo,
quello reale come quello metaforico, tutto dovremmo fare
tranne che rifiugiarci in improbabili e deleterie unità
nazionali o rinchiuderci nelle case, impauriti e col
senso di colpa. Più gente ci sarà sabato prossimo a
Roma più possibilità avremo di sconfiggere insieme il
terrorismo e chi quel terrorismo utilizza cinicamente per
i suoi giochi politici.
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