LA SCHEDA

Le accuse al sindacato
di Bossi, Martino e Sacconi


ROMA - Il ministro della Difesa Antonio Martino, il ministro delle Riforme Umberto Bossi e il sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi hanno rivolto tra ieri e oggi dalle pagine dei quotidiani accuse più o meno esplicite alla Cgil. Il sindacato, avvertono gli esponenti del governo, che mettono in relazione le dichiarazioni della Cgil sull'articolo 18 con il terrorismo, deve chiarire ogni sua ambiguità e deve abbandonare ogni intento politico che si nasconde dietro al confronto sociale.

ANTONIO MARTINO (ministro della Difesa)
Con la manifestazione di sabato la Cgil, afferma Martino su La Sicilia di ieri, ha voluto "mostrare i muscoli" ed esibire la sua "preoccupante potenza" "per ricordare alle istituzioni democratiche che non è loro consentito svolgere i compiti previsti dalla Costituzione e che sono stati loro assegnati dalla maggioranza degli elettori". Per Martino il sindacato ha mostrato di saper ben impiegare il denaro e di saper organizzare eventi di dimensioni imponenti, trasportando centinaia di migliaia di persone "a fior di miliardi ad applaudire Cofferati". Lo scopo è stato quello di alimentare la vanità del leader sindacale: "L'intera, gigantesca piazza era fatta soprattutto a beneficio di una sola persona, 'ad majorem Cofferatianam gloriam'", continua Martino. Il ministro si spinge oltre: partecipando alla manifestazione, la gente ha "inconsapevolmente" sostenuto la tesi degli assassini di Biagi: "Che la riforma del mercato del lavoro costituisce un tradimento dei diritti dei lavoratori". Martino non stabilisce collegamenti diretti tra manifestanti e terroristi, ma denuncia lo strapotere della Cgil e l'anomalia tutta italiana di un sindacato che vuole dettare le regole del gioco a governo e istituzioni: "La vera anomalia italiana - dice Martino - consiste nell'aver consentito la creazione di un potere sindacale smisurato sottratto a qualsiasi disciplina legislativa, dotato di risorse finanziarie ingenti, rispetto alle quali è immune dagli obblighi che valgono per tutti gli altri, che si pone come dichiarato obiettivo quello di impedire al Parlamento di fare leggi non di suo gradimento ed al Governo di esercitare il mandato ricevuto dagli elettori, governandolo".

UMBERTO BOSSI (ministro delle Riforme)
A dare un colore tutto politico alla manifestazione di sabato è anche il ministro delle Riforme Umberto Bossi, che sulle pagine del Messaggero di oggi non esita a definire la Cgil "un partito" e che attribuisce alla sinistra e al sindacato la responsabilità dell'assassinio di Biagi. Il vero fine di Cofferati, dice il leader della Lega, è quello di sostituirsi a D'Alema e Fassino, e finora "le sue bugie sono state l'alibi per il ritorno del terrorismo". "Cofferati - continua Bossi - ha visto che la sinistra stava giù senza un'idea e senza una bandiera, lui è andato in giro per le fabbriche a raccontare delle balle, come quella che licenziano i lavoratori. Questo ha portato al terrorismo. Peraltro a sinistra sono anche bravi, prima lo hanno ammazzato... e poi si sono appropriati del morto".

MAURIZIO SACCONI (sottosegretario al welfare)
Di ambiguità tra la Cgil e certe cellule anomale del mondo del lavoro parla oggi sulla Stampa anche il sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi, che invita il sindacato a chiarire definitivamente la sua posizione. "La Cgil deve chiarire da che parte sta. Non servono parole per condannare il terrorismo, dai sindacati vogliamo fatti concreti": il sindacato deve porre un confine a sinistra, come fece Lama negli anni di piombo. Non basta una semplice condanna.
"L'omicidio di Marco Biagi - dice Sacconi - nasce nel mondo del lavoro, non è un universo così vasto quello dove bisogna cercare e i sindacati conoscono le nicchie anomale di questo sistema". "Vogliamo denunce, delazioni. Ci sono situazioni di confine, che hanno nomi e cognomi, che tutti conoscono", conclude Sacconi.

(25 marzo 2002)

 

 

 

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