RESPONSABILITA' - SANZIONE

di Aldo D'Adia


Essere uomo è precisamente essere responsabile
(A. de Saint-Exupéry)


Capita spesso di leggere articoli e di ascoltare discorsi grondanti di
comprensione, di compassionevoli giustificazioni per gli autori di crimini,
piccoli o grandi o efferati che siano.
Nessuna esitazione a credere che impulso iniziale possa esserne
un'ammirevole carità, un turbamento, , una sincera commozione come di chi
«legge» quasi riflessa nel colpevole la generale fragilità umana, la comune
ancestrale inclinazione all'errore e al peccato.
Un atteggiamento che può essere rispettato per la sua sostanziale umanità
anche da chi non lo condivida e se ne dissoci.  Ma perplessità e persino una
certa avversione nascono quando su questo moto generoso si costruisce una
sovrastruttura teorica, nutrita di argomenti sociologici, economici,
psicologici, per i quali alla responsabilità dell'individuo si vuole,
convincentemente e radicalmente, sostituire quella della collettività di
appartenenza; quando, richiamando (a proposito o a sproposito) una formula
sartriana e di certo esistenzialismo, si giunge all'affermazione che "l'uomo
è responsabile di tutti gli uomini", e, poi, che siamo tutti colpevoli,
«siamo tutti assassini», per dirla con il titolo di un famoso film di André
Cayatte.
   Formule di tal genere, assunte assolutamente, sotto l'apparenza molto
nobile d'una solidarietà fra gli uomini, per la quale ciascuno si sente
partecipe degli altri nel bene e nel male, di fatto, nella realtà,
diventerebbero un modo (a mio avviso inaccettabile) di affogare la
responsabilità di ciascuno nella responsabilità anonima di tutti; e
nell'anonimato nessuno è più responsabile, né colpevole, né meritevole di
sanzioni.
   La sanzione, infatti. può attingere la sua fondatezza dalla
corrispondenza ad una responsabilità, la quale, a sua volta, è ammissibile
nel senso di una determinazione precisa delle possibilità e degli oneri
morali di ciascuno.
    Se veramente le cose stessero nel modo generico sopra riferito, se,
cioè, il comportamento del singolo non fosse enucleabile da quello della
collettività e con questo fosse in un rapporto di rigoroso determiniamo, che
senso avrebbero le sanzioni?  E quando queste venissero applicate, che senso
avrebbe il principio della nostra Costituzione, secondo il quale «la pena
deve tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27).  Rieducare il
condannato: a che cosa?  Ad acquisire, forse, la coscienza della
propria.....    irresponsabilità!?
     D'altra    parte, non pare generalizzabile, ed è perciò discutibile,
che l'uomo sia deterministicamente condizionato da forze socio-economiche,
tanto è vero che, posti nelle medesime condizioni ambientali, i singoli
reagiscono diversamente, operando scelte diverse: alcuni contro, a danno,
altri a beneficio della collettività alla quale appartengono.  Non v'è
dubbio che le condizioni ambientali concorrono a facilitare o a rendere
difficili le scelte di vita e comportamentali dell'individuo (per questo le
istituzioni, lo stato hanno il sacrosanto dovere di interventi vigorosi,
positivi), ma non, assolutamente, alla loro determinazione.


 

 

 

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