LUOMO
INFORME NELLEPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE
di
Wanda Piccinonno
Lingordigia
di spazio della globalizzazione sta divorando il
pianeta, imponendo una sorta di legge divina. La
logica onnipervasiva dellimpresa, la
tautologia del pensiero, una ragione procedurale
di marca economico-funzionale , generano un
nucleo dal quale scaturiscono automatismi, che
consentono le tele paralizzanti del paradosso.
I dati
sono inquietanti, basti pensare che due milioni
su cinque vivono nel mondo con meno di 4 mila
lire al giorno e che il reddito giornaliero di un
cittadino svizzero è uguale al reddito annuale
di un etiope. Intanto si continuano a celebrare i
fasti della new economy , della moltiplicazione
dei valori di Borsa, con freddo cinismo e con una
disinvoltura etica senza precedenti. Sulla base
di una procedura universale e calcolante, il
capitalismo odierno si esplicita allinsegna
delliperproduzione, vendendo servizi,
comprando azioni e instaurando rapporti
simbiotici con linformazione
standardizzata, con il carrozzone pubblicitario e
con i circuiti informatici. La vittoria del
capitale, lintroduzione della logica
dellimpresa, le variegate forme di
flessibilità pianificata, investono gli
ospedali, la scuola, luniversità e tutte
le condizioni di produzione del lavoro. Ciò
determina un regime di dominazione totalitario,
che inficia la rappresentazione di tutti i
rapporti fondati su valori, affetti, passioni.
Preso atto che tutto è misurabile
quantitativamente, ne consegue lespulsione
dello spazio pubblico e dellagire umano e
sociale.
Da qui
un sistema generalizzato di acculturazione, che
consente "alluno" di
moltiplicarsi e di fabbricare spazi eterodiretti.
I codici esangui ed esasperati del capitalismo
universale vengono descritti in un bellissimo
romanzo, "La caverna", di Josè
Saramago, che avvalendosi di toni vigorosi e
incisivi, si riappropria dellautentica
valenza delle parole e di forme antiche
insopprimibili, offrendo unimmagine
esaustiva delluomo moderno, vittima
dellatomismo globalizzato. Lautore,
partendo dalla storia di vita di un vasaio,
delinea una società caratterizzata dal
"Centro", ossia una città che con i
suoi poteri tentacolari, controlla tutti i luoghi
dello spazio sociale. Saramago, descrivendo,
simbolicamente, il folle processo di espansione
della globalizzazione e delle élite
globalizzate, focalizza lattenzione su
problemi inerenti la libertà individuale, il
mondo del lavoro, i vincoli collettivi, lo scarto
tra individuo e socialità. In questo contesto,
la storia non viene intesa come historia rerum
gestarum, ossia dei vertici politici e delle loro
imprese, ma è, invece, una storia di vita,
percepita come miniera esistenziale e come
memoria collettiva.
In
altre parole, come voleva Stendhal, i verbali
della giornata di un uomo diventano un metodo di
esplorazione significativa del sociale e
dellumano.
Illuminante
è la conclusione del romanzo, quando fa
riferimento a un manifesto del
"Centro", che così recita. "Entro
Breve, Apertura Al Pubblico Della Caverna di
Platone, Attrazione Esclusiva, Unica al Mondo,
Acquista il Biglietto". Il manifesto del
"Centro" diviene, dunque, il simbolo di
una realtà sociale impoverita, ossificata nei
parametri dellhomo aeconomicus e di un
capitalismo, che percepiscono luniversale
solo nel mercato, tantè che anche
laltissimo messaggio platonico viene
mistificato.
A
questo punto, nella consapevolezza che i
meccanismi globali, con una sorta di mostruosa
formazione permanente, riducono il soggetto a
mero strumento di un ingranaggio, vale la pena
rivisitare il mito platonico, per rilevare che lo
stato di schiavitù degli uomini della caverna
rimanda alla situazione odierna. Pertanto,
rimuovendo luso strumentale del mito,
operato dal "Centro", giova
sottolineare che quello della Caverna è insigne
tra i miti platonici, per vigore icastico e
rispondenza del simbolo ai concetti
simboleggiati. Proprio in virtù di queste
considerazioni è utile rievocare il mito. In una
caverna sono incatenati uomini prigionieri, con
le spalle volte alla luce del sole, ossia alla
verità. I prigionieri, schiavi delle opinioni,
ritengono che le ombre siano la realtà e non un
surrogato.
Solo
quando usciranno dalla caverna e contempleranno
il sole, ovvero la verità, negheranno
loscuro limbo delle apparenze e
approderanno alla conoscenza veritiera.
Limpresa
non è priva di impedimenti, tantè che
Platone, usando la forma del dialogo, fa
intervenire Glaucone, che afferma: "Strani
sono quei prigionieri". La risposta è
destabilizzante ed inquietante, infatti la
conclusione è: "Somigliano a noi". Pur
prendendo atto che il contesto economico, sociale
e culturale è cambiato, il mito della caverna
risulta attuale, se si fa riferimento
alluomo, alla sua alienazione, alla perdita
di ogni identità autentica, al suo cogito
ridotto solo a mercanzia. La verità è che la
pratica atomizzata della vita collettiva è
diventata individualismo estremo, che espelle lo
spazio dallappartenenza sociale.
Si vive
in una sorta di presente eterno, di "tempo
accorciato, concentrato nel presente senza
passato e senza futuro", come lucidamente
osserva Virno. Daltra parte, con la
globalizzazione, la vittoria del capitale e
dellimpresa svuota i luoghi dellagire
comune, trasformandoli in non-luoghi, dal momento
che lunico spazio è quello degli
investitori e delle imprese transnazionali. Ciò
dissolve ogni vincolo e ogni capacità di
autorappresentarsi. Il tempo accelerato
dellinformazione ha cancellato via via la
memoria della comunità, delle esperienze
collettive. Daltro canto, la situazione
odierna, ossia la postmodernità, altro non è
che la radicalizzazione della modernità, infatti
il nesso non antropomorfo della socializzazione
moderna è il mercato, inteso come istituto di
riconoscimento reciproco dei soggetti mediato
dallo scambio delle cose. Ciò significa che il
riconoscimento sociale e lintegrazione del
privato nel pubblico avvengono mediante
lacquisizione di forme universali astratte.
Oggi, con un sistema di conoscenze sempre più
razionalizzate e formalizzate, lastrazione
reale risiede nelle cose e nelle idee attraverso
cui gli uomini pensano. Siamo passati dalla
sussunzione formale alla sussunzione reale della
società al capitale e ciò consente al capitale
di penetrare in ogni esperienza e di farsi
principio di totalità.
A
questo proposito Pietro Barcellona afferma che
"Di fronte a questo scenario della
contemporaneità non solo perdono significato le
tradizionali distinzioni di destra e di sinistra
(che non hanno più nessuno spazio e nessun
luogo), ma la stessa assunzione di un principio
regolativo, di un criterio per ipotizzare una
società migliore dellattuale, appare una
mera velleità".
In
questo quadro "luomo senza
qualità" di Musil corrisponde alluomo
del "Centro" di Saramago, difatti in
entrambi i casi emerge un soggetto reificato e
sussunto da un rapporto formalizzato di regole
astratte. La globalizzazione, dunque, percepita
ormai come un fatto naturale, invade culture,
rapporti di reciprocità, forme di vita. La
diffusione del modello psicologico-culturale
imperante discende dalla separazione tra
produzione e bisogni, tra impresa e territorio,
dalla deculturazione della società, dalla
neutralizzazione della politica, che concorrono a
colonizzare limmaginario individuale e
collettivo. Ciò provoca un imbarbarimento
globale, un individualismo esasperato, un
narcisismo senza aggettivi, e di conseguenza una
cultura del successo e della competizione.
Latouche, analizzando il problema, sostiene che
"La cultura del successo è anche la cultura
dello scacco, perché rispetto a questo
immaginario lesperienza è purtroppo una
massa di frustrazioni che stanno rendendo le
nuove generazioni apatiche rispetto alla
prospettiva di una responsabile progettazione del
proprio destino". Quando questultimo
è già tracciato, preconfezionato dal sistema di
dominazione, non vi è, daltra parte,
nessuna possibilità che si realizzi il
"progetto esistenziale", inteso come
fondamento del sapere antropologico. Ciò
significa che una totalizzazione pianificata
determina la sussunzione reale della sfera
sociale e della sua significazione, sicché
individuo e comunità si separano e rimangono
solo le pratiche commerciali. In questo contesto,
la soggettività viene intesa nella dimensione
finanziaria, la democrazia discorsiva viene
eliminata ed anche i mestieri artistici ed
educativi sono degradati dalla razionalizzazione
economica.
Inoltre,
i media non consentono laccesso
allesperienza plurale dei fatti,
concorrendo così a formare il pensiero unico e
una coscienza drogata, che annullano la
possibilità di essere individui e comunità. In
realtà, oggi assolutamente libero è solo il
capitale transeunte , che si avvale anche del
"denaro linguistico". Usando questa
espressione, Rossi Landi tiene a precisare che
con la figura del denaro linguistico, la lingua
diventa denaro, in quanto mezzo universale di
qualsiasi comunicazione. Il denaro, dunque,
diviene lequivalente generale di tutte le
comunicazioni possibili, nel senso che le regola
tutte. A questo proposito rimane illuminante
lanalisi del grande Vecchio, ossia Marx,
che nei "Grundrisse", sostiene che il
denaro rappresenta la forma dei rapporti sociali,
perché la forma del denaro vede come presupposto
il capitale, ed è inscritta nel processo di
socializzazione del capitale stesso. Da qui
luniversale epifenomeno dellagire
astratto e della figura spettrale della
differenza identica, con le forme relative di
senso. Vero è che attualmente la forza
immateriale del capitalismo è ovunque e in
nessun luogo, è una sorta di deus absconditus,
che per via delle autostrade informatiche,
divulga item scarnificati, pre-codificati ,
programmati, in vista del controllo della
quantificazione. Svanisce così la realtà
sociale umanamente significativa, con le sue
dinamiche interne e con le sue pulsioni, che
possono trasformare la potenza in atto.
Daltra parte, quando il tempo è
accelerato, il tempo non può essere percepito
come durata, ovvero come categoria esistenziale,
che poi è la precondizione evolutiva per vivere
la società. Ciò consente di utilizzare la vita
intrapsichica dei soggetti e di invadere la vita
collettiva, cancellando ogni possibilità di
riflessione e di reminiscenza. Ne consegue una
paurosa miseria interiore, che permette al regime
proprietario di regolarizzare anche la
corporeità, i sentimenti, i bisogni. La società
di controllo e una finzione prestabilita
comportano che al posto degli uomini liberi vi
siano numeri e, al posto delle scelte collettive,
poteri, apparati, corporazioni. Lo scenario
inquietante spinge a rivisitare Nietzsche, che,
nella solitudine di una sana "follia",
afferma: "Abbiamo tolto di mezzo il mondo
vero; quale mondo ci è rimasto? Forse quello
apparente
Ma no! Col mondo vero abbiamo
eliminato anche quello apparente". Inoltre,
Nietzsche, con la sua "decostruzione
chimica", non manca di evidenziare la
frammentazione delluomo, infatti, sostiene:
"In verità, amici, io mi aggiro in mezzo
agli uomini, come in mezzo a frammenti e membra
di uomini".
Indubbiamente
Nietzsche rappresenta il caposaldo di un processo
di liberazione, perché è il grande
smascheratore di tutti i pregiudizi, è colui che
osa guardare ciò che si cela dietro i valori
universalmente accettati, dietro le verità
stabilite. Daltra parte, pur rilevando le
palesi divergenze tra il pensiero di Marx e
quello di Nietzsche, si può constatare che in
entrambi si manifesta una critica vigorosa alla
massificazione della società borghese, e al
tempo stesso, il riconoscimento della
materialità e della corporeità delluomo.
Procedendo nellanalisi sulla prassi
collettiva della mercificazione, vale la pena
sottolineare che, con le condizioni di
riproduzione sociale, gli esseri umani vengono
percepiti dagli eco-sistemi solo come forze
sociali produttive, sicché anche le condizioni
comunitarie si manifestano sotto forma di
"capitale sociale".
Il
regime proprietario, dunque, avvalendosi della
strategia dellinclusione, sussume la
materialità e la socialità ai criteri
regolatori del primato delleconomico. A
questo proposito sono estremamente incisive le
osservazioni di Paul Virilio, quando sostiene che
con le "nuove forme di controllo
allaria aperta", si sostituiscono le
vecchie discipline operanti in un sistema chiuso,
con forme aperte egualmente dure. Le formazioni
nucleari, le manipolazioni genetiche,
lassistenza a domicilio, il day hospital,
sembrano quasi rappresentare una svolta, ma, in
realtà, sono forme di asservimento e di
controllo totale. Lucidamente Deleuze afferma che
i diversi ambienti di internamento attraverso cui
passa lindividuo sono variabili
indipendenti, infatti, si presume che ogni volta
si ricominci da zero, invece il linguaggio comune
a tutti gli ambienti è analogico. Nelle società
di controllo, scrive ancora Deleuze, la cosa
essenziale non è più né una firma né un
numero , ma una cifra. Questultima è un
lasciapassare e ciò significa che, mentre le
società disciplinari sono regolate da parole
dordine, il linguaggio del controllo è
fatto di cifre che contrassegnano laccesso
allinformazione.
Ne
consegue "che non si ha più a che fare con
la coppia massa-individuo, perché gli individui
sono diventati dei dividuali e le
masse dei campioni, dati, mercati o banche".
Collari elettronici; carta elettronica
individuale; il mistificato e strumentale senso
di educazione permanente introdotto nelle scuole;
il regime dellimpresa che impone la
modulazione del salario; i test che servono per
etichettare e selezionare secondo i parametri
dellamministrazione totale, sono gli
elementi che offrono le coordinate per
comprendere lattuale regime di dominazione.
E evidente che il nuovo ordine, instaurato
dalla globalizzazione, invade luniverso del
discorso sociale e i luoghi della critica, con i
poteri impersonali, con la demagogia e con
unistituzionalizzazione priva di legami
sociali ed affettivi. Daltronde le
istituzioni assolvono la funzione di assicurare
la pratica della vita comune, retta da vuote
regole giuridiche e funzionali ai grandi settori
globalizzati, ossia la finanza, leconomia,
la tecnologia, i media.
Ne
consegue che lindividuo non è più persona
concreta, ma persona astratta, definita solo da
codici istituiti e formalizzati. Venute meno le
pratiche comuni basate sullidentità
relazionale-associativa, eliminata la distinzione
tra pubblico e privato, svuotato il principio
della rappresentanza, rimane una vuota
impalcatura istituzionale, gestita dalle èlite
transnazionali e dal potere tecnocratico, che
modulano i loro interventi, avvalendosi del
tentacolare sistema policentrico della logica
proprietaria. Ciò significa che sono proprio i
detentori del capitale a produrre diritto,
regolando la vita sociale e condannando gli
individui allannichilimento. Non può,
pertanto, stupire che un docente di diritto
privato, di grande calibro, come Pietro
Barcellona affermi che "non possono
continuare a bloccarci con le categorie classiche
della filosofia del diritto, della filosofia
politica, per vedere se bisogna avere una legge
elettorale maggioritaria o una legge
proporzionale", dal momento che la
democrazia è diventata evanescente e che lo
spazio pubblico è stato espulso. Non si può,
infatti, insistere su aspetti formali, quando
ciò che simpone è solo la "lex
mercatoria del diritto globale senza stato".
Ciò comporta il declino della società
autenticamente umana e la dissoluzione delle
città, intese come luoghi della significazione
sociale e dellinvestimento affettivo.
Lapparato strumentale, onnivoro e
onnicomprensivo, spinge Massimo Cacciari a
parlare della "città mollusco", ovvero
di una città che non ha più punti di
riferimento , né spazi, né luoghi che si può
rappresentare come un insieme di nomadi che
stanno insieme in una fluttuazione permanente, in
un contesto, in cui non cè né inizio né
fine. La verità è che luniversalismo
della massificazione si insinua nei pori
dellagire comunicativo rendendo così
impossibile la riproduzione simbolica del mondo
vitale. Axel Honneth constatando che il comune
denominatore delle società moderne e
post-moderne è la razionalità strumentale,
propone unopposizione che si dovrebbe
esplicitare nel "non-identico".
Questultimo dovrebbe comprendere le
relazioni pubbliche o private, quali
lamore, lamicizia, la tenerezza, che,
ovviamente, dovrebbero rifiutare di essere
utilizzate come mezzi in vista di fini altri da
se stesse. Pur accettando lapproccio
teorico di Honneth, ritengo che siano più
incisive le proposte di Deleuze, vuoi perché
partono da indagini esaustive sulle società di
controllo, vuoi perché penetrano con maggiore
acume sulla possibilità di alternative. Deleuze,
fedele allo spirito spinoziano e consapevole
della valenza del discorso filosofico, ritiene
che per fare "movimento" siano
necessarie tre componenti: "il
concetto" o nuove maniere di pensare,
"il percetto" o nuove maniere di
vedere, "laffetto" o nuove
maniere di provare. Le folgoranti intuizioni di
Deleuze aprono una prospettiva rovesciante, che
facendo irruzione nel tempo reificato, potrebbe
sconvolgere gli ambiti consueti e costituire la
potenza della moltitudine. In altri termini, in
unottica inedita e vitale, supportata dai
conatus individuali e dal conatus collettivo,
dovrebbero interagire processi di composizione e
decomposizione, in vista della liberazione
"dellimmaginazione produttiva" di
spinoziana memoria. Da qui la necessità di
negare lalfabetismo coatto e optare per la
massima trasgressione dei codici universali. Vero
è che lottimismo della volontà
sinfrange nelle barriere del dilagante
processo di deculturazione, che poi è gestito da
una vera e propria tecnica della manipolazione.
Ciò provoca limperversare di slogan, di
espressioni ad effetto, che escludono, però,
ogni elaborazione concettuale e ogni analisi
critica. E paradossale dover constatare
come sia sufficiente lanciare, con facilismo
pressappochistico, qualche slogan da
"pseudorivoluzionario" per suscitare
consenso, o addirittura uno stato di esaltazione,
che, a dire il vero, hanno il sapore amaro
dellallucinazione. Cadono così i punti di
riferimento per lazione individuale e
collettiva, sicchè lo sviluppo di una visione
alternativa si avvita su se stesso e degenera in
forme di puro e sterile narcisismo.
Non
senza ragione Gramsci sosteneva che la cultura è
un concetto basilare del socialismo, perché
"il socialismo è una visione integrale
della vita", e in quanto tale esso esige
chiarezza preliminare sui problemi filosofici
morali, che sono i presupposti dellazione
politica ed economica. Ciò significa che per
Gramsci la concezione della cultura deve essere
intesa "come esercizio del pensiero, come
abitudine a connettere cause ed effetti,
conquista, insomma di una concezione
superiore".
Le
osservazioni fatte mettono in luce che la
"cultura" ridotta a brandelli di
informazione, non solo azzera il pensiero
analitico ma provoca anche analfabetismo e fughe
verso il vuoto. Pertanto, il recupero della
realtà sommersa dalloblio può avvenire
solo a condizione di una scrupolosa indagine
sulla patologia sociale e su quella che
Castoriadis definisce "allucinazione
collettiva". Solo partendo da una razionale
analisi critica, si potranno decodificare
lanomia e la maggior parte delle passioni
che muovono luomo, come ambizione, invidia,
gelosia, vendetta, che poi derivano e sono
nutrite da precise costellazioni sociali.
Se,
dunque, si penetra nei mille travestimenti della
realtà e si indaga sulla mistificazione storica
borghese, emerge un dato, ossia che la peggiore
di tutte le passioni umane, limpulso a
servirsi di un proprio simile per fini egoistici
"in nome della superiorità", ben poco
si differenzia da una forma raffinata di
cannibalismo.
Pertanto,
avviare unetica della liberazione significa
rimuovere i codici globali, che riducono il mondo
ad alveare e luomo a replicante, privo di
amore, di ragione, di volontà. Daltronde,
a parte condizioni geneticamente patologiche,
luomo nasce psichicamente sano, ma viene
deformato da coloro che perseguono il dominio
totale. Ne consegue che se lindividuo viene
inteso come pura appendice, si dissolve la
compassione, indissolubilmente legata
allamore e simpone l
indifferenza. Ciò consente che lindividuo
si appaghi di sensazioni-sesso, di
sensazioni-sciagura, di sensazioni-crimine. Al di
là delle analisi tortuose e pregne di
psicologismo, che riducono linconscio ad
una sorta di scena teatrale, si evince che le
società occidentali sono attraversate da una
sorda inquietudine e ciò è suffragato dai
ricorrenti episodi di violenza, basti pensare al
massacro di Novi Ligure.
Come da
"copione" gli esperti del regime
scatenano puntualmente un tormentone psicologico,
che inficia ogni onesta indagine sul principio di
decadenza della personalità e sulla
"seconda natura", cioè la natura
psico-sociale. Non si tratta di percorrere
"il sentiero dellorco assassino",
nè di sbattere "i mostri" in prima
pagina, perché limpulso distruttivo è un
punto di partenza e non una conseguenza. È,
infatti, la reificazione totale razionalizzata
della paranoia capitalista, che inscrive nel suo
codice "laggressività
strumentale", ossia quel tipo di
distruttività per cui lannientamento di
altri non è lo scopo, bensì il mezzo, che non
è nemmeno accompagnato da gioia, piacere o
dolore. Per laggressore strumentale la vita
umana, come la sofferenza delluomo, è
"indifferente". Laggressività,
dunque, è collegata alle categorie storiche e
alla tecnologia del potere.
La
cultura dominante si insinua così nei soggetti e
vale come norma interiorizzata. In altri termini
esiste una razionalizzazione ideologica della
violenza di massa, che vede
nellaggressività unidea teorica
regolativa. Ciò significa che il soggetto è un
derivato che svanisce in un mormorio anonimo,
peraltro funzionale alla celebrazione di un
modello di identità. Se la violenza fa scandalo
è altresì vero che è inscritta nella struttura
sociale, anche se viene banalizzata dai managers
duna grigia proletarizzazione
dellanima. La verità è che al fondo della
legittimità formale cè
unilleggittimità sostanziale, basti
pensare alle "guerre umanitarie", agli
stupri dellambiente, alle procedure
sistematiche dellesclusione, alla
tolleranza zero, alle politiche repressive, al
razzismo di stato, ai miasmi dellimpero.
Giustamente il cronista brasiliano, Luis
Verissimo, ha affermato: " il liberalismo
sarebbe una buona soluzione, se non esistesse la
gente". Questa inquietante amnesia comporta
che gli uomini siano diventati solo dei granelli
che danzano, proprio perché lapparato
rende vano ogni proposito di creare
unesistenza umana sulle basi di una natura
umanizzata. Daltronde la natura umana non
è astratta, fissa e immutabile, ma è la
totalità delle relazioni sociali, e quindi sono
i presupposti inumani e patologici del
capitalismo che diffondono una cultura cinica.
Da qui
lavvento del regno dei mezzi e il dilagare
di unidentità umana autoreferenziale, che
escludono linvestimento affettivo e ogni
rapporto empatico. In un contesto così
concepito, la cosiddetta normalità si traduce in
patologia sociale, sicchè la linea di
demarcazione tra normalità e devianza diviene
sempre più fragile. Bene e male non sono entità
astratte, ma presuppongono una scelta delle
nozioni morali, nonché un rapporto cosciente con
esse. Non esistono, infatti, giustizia, onestà,
senza i corrispondenti concetti di valore.
Diviene
conseguente che sono la struttura socio-economica
e il regime di dominazione, che plasmano il
carattere sociale e il nucleo caratteriale
dellindividuo. Daltronde, quando
lessere vivente diventa una merce esibita
sul "mercato della personalità", si
affermano solo caratteri mercantili: aspetti
questi che determinano latrofia della vita
emozionale e la mancanza di patria delle passioni
morali. Vero è che, pur essendo la nostra epoca
dissacrata e dissacrante, non mancano i
sentimentalismi a buon mercato, che poi sono in
perfetta sintonia con le strutture mentali del
pubblico. Varrebbe la pena riflettere sul
moralismo dei professionisti della televisione:
spesso cinici, fanno discorsi in un conformismo
"morale" assolutamente prodigioso.
Lucidamente sosteneva Gide, "con i buoni
sentimenti si fa cattiva letteratura", oggi,
potremmo affermare "si fa audience". È
evidente che i mass media si muovono in uno
spazio sociale strutturato e consacrano i
prodotti di cultura media, partendo da
presupposti condivisi e sollevando problemi senza
storia. Si costruisce così loggetto
conformemente alle categorie percettive del
recettore. Il gioco della drammatizzazione per
quanto concerne i giovani, si esplicita su
problemi inerenti la scuola, la famiglia, intese
come monadi avulse dal contesto. Intanto,
rimuovendo la psicanalisi da salotto e lo
psicologismo dilagante, sarebbe opportuno
riflettere sul fatto che sono nati siti internet
in omaggio a Erika e che il massacro di Novi
Ligure sta scatenando i fans. Ciò che sfugge ai
pensatori "progrediti" è che il
contesto sociale, nei suoi presupposti, espelle
"leconomia del dono". Nella
convinzione che "lidolatria" la
si sconfigge solo riconoscendola, giova
focalizzare lattenzione sulla soppressione
odierna del "senso della tragedia",
ossia della coscienza della morte. La nostra
epoca nega la morte, la esorcizza, e così
facendo nega un aspetto fondamentale della vita.
Ciò comporta che vengano meno i forti incentivi
alla vita e le basi stesse della solidarietà
umana. Ma, come sempre succede nella repressione,
gli elementi repressi non cessano di esistere,
sicché la morte vive tra noi unesistenza
illegittima, sul piano morale ed umano. Le
osservazioni fatte intendono mettere in luce che
estrapolare alcuni elementi dal contesto,
significa voler ignorare aspetti che concernono
lanomia sociale. Pertanto, quando "gli
esperti" del disordine istituito incentrano
lattenzione sulla famiglia, dimenticano il
dettaglio non trascurabile che la famiglia è
lagente psicologico della società.
Rievocare
Romolo e Remo, Caino e Abele, è riduttivo,
infatti, come ha dimostrato Durkheim,
"lanomia" prescinde dai casi
individuali e dalle malattie mentali, perché è
radicata nel tessuto sociale. Occorre, quindi,
guardarsi dal sottovalutare la pressione o
loppressione, continue e spesso
inavvertite, dellordine-ordinario delle
cose, i condizionamenti imposti dalle condizioni
materiali di esistenza, attraverso le sorde
ingiunzioni e la "violenza inerte"
delle strutture economiche e sociali e dei
meccanismi attraverso i quali esse si
riproducono. Ciò significa che esiste una
ragione non pura ma sociale. Pertanto, le
semplificazioni a buon mercato di uno
psicologismo di maniera, inficiano ogni indagine
sul processo di anomizzazione
dellindividuo.
La
famiglia, quindi, non è neutrale, perché si
colloca in un contesto sociale determinato, non
generico, ma specifico, sicché proprio la
famiglia diviene specchio e tramite dei rapporti
di potere e del mantenimento dellordine
simbolico. Daltra parte oggi le funzioni
socializzatrici della famiglia sono assorbite da
gruppi esterni e dai mass-media.
Occorre,
pertanto, rilevare che alla radice delle
variegate forme di violenza, vi è una società
oppressiva, distruttiva della libertà e
dellautonomia dellindividuo. Da qui
il "falso io", che diviene un oggetto
fra i tanti oggetti del mondo, sicché
lattività dellindividuo finisce con
lessere, in modo coatto, alienata, fino a
diventare solo un insieme di scimmiottamenti,
caricature e frammenti estranei e passeggeri. Ne
consegue che, come sosteneva Platone, "siamo
tutti marionette della divinità", e ciò è
da imputare al fatto che si è rotta
lunità perfetta, spontaneamente vissuta,
primitiva, arcaica, fra luomo e il mondo.
Si è
instaurata, invece, ununità fittizia e
dolorosa, determinata dal sistema capitalistico,
che genera sfigurazione della realtà, rimozione
del sentimento, violenza del potere, atrofia
degli organi mentali e genitali. Daltro
canto, luomo non è un angelo disincarnato,
sicché gli individui non possono mutare se non
muta la società, e questultima non può
mutare se non mutano gli individui.
Rimuovendo
la credenza che il reale è razionale e mutuando
Cioran, sostengo che, "sono in attesa di
altri dei", pur constatando che la tirannide
odierna si avvale delle leggi che regolano la
formazione degli imperi. È, dunque,
lapproccio deformante con la realtà,
creato dagli effetti simbolici del capitale, che
provoca non solo impulsi elementari, ma che
genera anche forme sempre più razionalizzate di
dominio. Preso atto che si è dissolto il
carattere sacro delluomo, simpone
lesigenza di negare il turbinio accecante
dei riflessi e optare per la "prassi del
vero", per "levento", nella
consapevolezza che, come voleva Pasolini:
"luomo si esprime con la sua azione,
perché il nostro linguaggio primo e puro è la
nostra presenza, realtà nella realtà".