RELIGIONE

Religione, il complesso delle credenze e delle azioni di culto che saldano la vita di un singolo individuo o dell'intera comunità con ciò che si ritiene superiore e divino, cioè quel sentimento che collega l'uomo o la collettività ad una divinità considerata l'origine e il fine supremo del mondo. Discussa l'origine del termine: Cicerone lo fa derivare dal verbo "relegere" cioè rileggere, sottolineando il momento essenziale della religione che consiste nel rispetto di tutto ciò che è antico e prescritto. Anche per Sant'Agostino, così come per Lattanzio, la religione è costituita dal particolare legame che unisce il fedele alla divinità. Però si è notato che il carattere del "legame", dominante nelle religioni occidentali, è totalmente assente in quelle orientali, come il buddhismo e il confucianesimo. Le principali religioni diffuse nel mondo sono, oltre al cristianesimo, l'ebraismo, l'islamismo, lo shintoismo, il taoismo, il confucianesimo, il buddhismo e l'induismo, ciascuna divisa poi in numerose sette minori; *(dir. can.) per religioni s'intende la società di fedeli sorte con l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, con lo scopo di santificarsi personalmente nelle perfezione della vita cristiana. L'organo competente per l'erigersi delle religioni è il vescovo locale che deve però avere il consenso della Santa Sede. In genere i componenti le religioni pronunciano i voti pubblici di castità, povertà ed obbedienza; se vengono emessi in forma semplice, le religioni prendono il nome di congregazioni, se invece assumono la forma solenne, si chiamano ordini. Si distinguono in esenti, che non sono soggette alla giurisdizione dell'ordinario del luogo, e non esenti che invece lo sono; possono essere clericali, dove una parte dei membri è insignita del sacerdozio, e laiche, che comprendono tutte quelle femminili con l'abito secolare; infine possono consacrarsi alla preghiera e alla meditazione, prendendo il nome di contemplativa, oppure possono dedicarsi principalmente ad opere esteriori, chiamandosi attive.

MISTICA

Mistica, pratica religiosa che prevede la comunicazione da parte dell'individuo con Dio, nel raggiungimento della perfezione dell'anima, attraverso la purificazione. È una pratica riscontrabile in tutte le religioni con manifestazioni diverse come lo stato estatico nelle religioni orientali. Nella cristianità è subordinata ai fondamenti della religione ufficiale; nella religione cattolica viene divisa in due stati a loro volta suddivisi in diversi gradi: stati mistici incompleti; raccoglimento sovrannaturale, orazione di quiete; stati mistici completi; sonno delle potenze, unione piena o semiestatica, unione trasformatrice o deificante o matrimonio mistico.

LIBERTINISMO

Libertinismo, atteggiamento intellettuale proprio della cultura illuministica che sostiene la libertà di pensiero in fatto di morale e di religione, in contrapposizione alle concezioni filosofico-religiose dominanti.

LIBERTINO

Libertino, detto di persona dagli atteggiamenti licenziosi e spregiudicati, portata al disordine morale; anticamente, sostenitore della libertà politica; detto di persona che vive non seguendo le regole sociali comunemente accettate; nella Roma antica, i discendenti dei liberti. Al tempo della Riforma, setta ginevrina che si opponeva al rigido moralismo e all'intransigenza religiosa di Calvino. Altra setta con lo stesso nome si formò nelle Fiandre intorno al 1525, negando l'ispirazione della Bibbia, la Rivelazione e tutto il soprannaturale nella religione. In Francia, nei secc. XVI e XVIII, si dissero l. i propugnatori dell'indipendenza del pensiero e del diritto all'incredulità, in nome dell'esperienza o della ragione filosofica, che avversavano ogni tipo di religione, specialmente quella cristiana.

BIGOTTO

Bigotto, che o chi ostenta una religiosità eccessiva e fanatica, dedicandosi prevalentemente alle pratiche esteriori della propria religione. Per estensione, chi è fedele a una teoria in maniera eccessivamente rigida.

CRISTIANESIMO

Cristianesimo, dottrina religiosa e morale predicata da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, tramandata nel Nuovo Testamento. Gesù ha presentato il suo messaggio come il coronamento della religione ebraica, lo sviluppo della religione giudaica. Egli diceva di essere il Messia annunciato dai Profeti, inviato da Dio non per abolire, ma per completare la parola di Mosè. Il c. presentò novità tali che soppiantò molte delle dottrine precedenti. Punto di partenza sono i due misteri della Trinità e dell'Incarnazione: Dio è unico nella natura, ma trino nelle persone (Padre, Figlio e Spirito Santo); la seconda persona, cioè il Figlio, si è incarnato e fatto uomo per la salvezza del mondo. Il frutto dell'incarnazione è Gesù Cristo, che è venuto al mondo per rivelare la nostra salvezza. L'atto solenne del culto è la celebrazione della Messa, ripetizione delle consacrazione del pane e del vino che Gesù stesso effettuò nell'ultima cena. La virtù per eccellenza è la carità, atto d'amore verso le creature che è atto d'amore verso Dio, e deve esercitarsi verso ogni uomo, senza distinzioni di sorta. Nato in un ambito ristretto, da un piccolo popolo sconosciuto (gli ebrei), nonostante l'ostilità del giudaismo di Gerusalemme e del paganesimo della Roma imperiale, il c. ebbe rapida diffusione e si rivelò subito come religione universale. I seguaci dell'insegnamento di Gesù, perseguitati per tre secoli e costretti a praticare segretamente il loro culto, ottennero nel IV secolo il riconoscimento della loro libertà religiosa dall'imperatore Costantino (313), e, con l'Editto di Teodosio (380), il c. divenne religione di Stato. Dall'idea dell'uguaglianza degli uomini davanti al Padre che è nei Cieli, derivarono lentamente mutamenti radicali: l'ingresso del c. nella storia del mondo comportò non solo una rivoluzione religiosa, ma anche una rivoluzione sociale che impose una nuova era al corso della storia. Al cristianesimo si convertì non solo il mondo greco-romano, ma anche quello dei barbari; nei secoli XV e XVI, epoca delle grandi scoperte geografiche, i missionari portarono la parola del Messia anche in Africa, Asia, America ed Australia. L'azione sociale del c. si è accompagnata a un'azione intellettuale e culturale. I misteri dell'insegnamento di Cristo hanno modificato le prospettive delle scienze fisiche ed umane; poesia, teatro, romanzo hanno preso come tema lo spirito dell'uomo; l'architettura acquistò nuove forme religiose e sociali; la pittura cercò di dare nuove immagini ai valori spirituali, anche la musica divenne un'espressione dello spirito. Non esiste un'interpretazione unica del c.: nel corso dei secoli ci sono state numerose eresie e scismi. Oggi si distinguono quattro gruppi fondamentali: il cattolicesimo, che si distingue per la sua unità giuridica e carismatica; la Chiesa ortodossa d'Oriente, che si è separata dalla comunione con la Chiesa universale con lo scisma di Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, che ruppe con il papato nel 1504; le Chiese evangeliche (protestantesimo, luteranesimo, chiese riformate) e l'anglicanesimo. Ai nostri giorni si delinea comunque un movimento di riunificazione tra le confessioni separate. Il cattolicesimo, pur sostenendo di essere il solo autentico cristianesimo, rispondente al pensiero di Gesù che vuole che tutte le chiese si ritrovino e riuniscano, ha dato un carattere ufficiale a questo nuovo orientamento nell'ambito del Concilio Vaticano II. Fuori del cattolicesimo, l'ecumenismo raccoglie tutte le Chiese unite nella fede di Cristo, Figlio di Dio Salvatore.

BRUNO

Bruno Giordano, filosofo e scrittore (Nola 1548-Roma 1600). Entrò giovanissimo nell'ordine dei domenicani ma, essendo elaboratore di dottrine personalissime che aspirava a diffondere, fu accusato di eresia e processato, abbandonò, quindi, la tonaca ed espatriò (1576). A Ginevra s'accostò al Calvinismo, indi lo ripudiò; a Parigi avversò i sistemi aristotelici. Peregrinò poi in Inghilterra e Germania, continuando la guerra che aveva iniziato contro gli scolastici ed opponendo alla religione cattolica una religione della natura. A Roma, dopo sette anni di carcere fu processato dal Santo Uffizio e poichè non rinnegò le sue idee fu scomunicato e quindi arso vivo in Campo dei Fiori (1600). Si hanno di lui opere varie didattiche e filosofiche, in latino e in italiano, e una commedia. Citiamo: "La cena de le Ceneri", descritta in 5 dialoghi, "De la causa, principio et uno", "De l'infinito, universo et mundi". Difese con calore il sistema di Copernico opponendolo a quello di Tolomeo, e in filosofia fu un precursore di Spinoza e un propugnatore della scienza e della verità.

CANONICI (LIBRI)

Canonici (Libri), in quasi tutte le religioni, erano i libri fondamentali (ritenuti sacri perché autenticamente ispirati) contenenti i dogmi, i precetti e le regole a cui devono attenersi i fedeli. Per la religione cristiana sono libri c. l'Antico e il Nuovo Testamento; per la religione ebraica l'Antico Testamento; per i Maomettani il Corano; per i Parsi (zoroastriani) l'Avesta; per gli Indi i 4 Veda; per i Buddisti il Tipitaka (3 canestri) in India (detto Sants'ang in Cina) e il Kangjur e Tangjur nel Tibet; per i Giaino il Sidclhanta; per i Confuciani i 5 libri canonici (Wu king) e i 4 libri classici (Sse-shu); per i Taoisti il Tao-te-king; per gli Scintoisti del Giappone il Kogichi; il Nihongi e altri libri.

INDUISMO

Induismo, religione dell'India. In realtà più che di religione si dovrebbe parlare di un complesso di confessioni religiose sorte in seno al Brahmanesimo e differenziate o nei riti o nell'importanza maggiore attribuita a questa o a quella divinità. É caratterizzato dal culto delle somme divinità della Trimuri (Trinità), Brahma, Vishnu e Shiva. Vishnu, molto popolare per le sue imprese e incarnazioni, è il Dio della vita, della costruzione; pure diffuso è il culto di Siva (v.) il distruttore. Accanto a questi un gran numero di divinità minori, come Ganesa il dio-elefante dei commercianti, Kalì, la dea della morte, Kamadeva, il dio dell'amore; spiriti e altre figure fantastiche sono pure venerate. Diffusa è la credenza nella metempsicosi (o trasmigrazione delle anime), con il relativo concetto di Karman, per cui ogni colpa viene scontata in questa vita o nella successiva e le sofferenze di questa vita sono conseguenze di peccati commessi in vite precedenti. Da ciò l'opinione diffusa che l'induismo abbia un carattere statico e fatalista. Pure dell'I. è il rispetto per l'animale, considerato sede di anima, e la rigida divisione della società in classi (4 principalmente, con innumerevoli sottoclassi e un ceto di esclusi, i paria, considerati non uomini): proprio l'abolizione e la penalizzazione delle classi è stata uno dei provvedimenti presi dal primo governo dell'India indipendente.

GIUDAISMO

Giudaismo, per alcuni sinonimo di ebraismo, per altri, specificamente, la religione e la legge quali furono fissate dopo il trionfo del farisaismo e la dichiarazione di ereticità del sadduceismo, nell'insegnamento ufficiale rabbinico. In questo senso, giudaismo indicherebbe il «kenesheth» (letteralmente=sinagoga) in quanto comunità d'Israele.

MISSIONARIO

Missionario, religioso secolare o regolare inviato dalla Santa Sede ad evangelizzare lontani paesi; dipende dalla Congregazione De Propaganda Fide. Sacerdote, prete che si dedica a missioni interne. Chi dedica la vita all'affermazione di una nobile idea. Istituti m., istituti religiosi i cui appartenenti oltre a svolgere i loro compiti istituzionali, si dedicano alla propaganda della religione cristiana.

RELIGIOSO

Religioso, relativo alla religione o detto di qualcuno che agisce in conformità ai precetti delle religione e che ha un sentimento religioso. Riferito anche alla società riconosciuta dall'autorità ecclesiastica. Il codice di diritto canonico dispone che tutti i religiosi prendano come suprema regola, l'obbedienza agli insegnamenti di Cristo: i religiosi così emettono i voti di castità, povertà, obbedienza e carità. Nella storia delle forme relative allo stato religioso si distinguono quattro periodi: i primi secoli, che videro nell'ascetismo cristiano una fase iniziale di vita religiosa; l'epoca benedettina, con un riordinamento radicale del monachesimo, ad opera soprattutto di San Benedetto da Norcia, che redasse la famosa "regola di San Benedetto", il codice di vita monastica destinato in principio al monastero di Montecassino che soppiantò in seguito tutte le altre regole. I principi basilari della regola erano la stabile permanenza nel convento, la condotta morale e l'obbedienza all'abate. Il terzo periodo, detto degli ordini mendicanti, si sviluppò all'inizio del XIII secolo, allorchè si notò una notevole fioritura della vita religiosa. L'aspirazione dei religiosi era quella di attuare una vera riforma della Chiesa e rispondere così ai problemi che derivavano dalla diffusione di eresie. I nuovi ordini vennero chiamati "mendicanti" in quanto i loro membri rinunciavano ai mezzi di sussistenza. Gli ordini che ebbero notevole importanza in questo periodo furono quello francescano e quello domenicano. L'ultimo periodo, l'epoca moderna, si aprì con la Riforma in seguito al Concilio di Trento che diede un particolare impulso a tutti gli ordini e alle congregazioni che si erano formati allo scopo di rispondere alle nuove esigenze della Chiesa per quanto riguardava l'insegnamento, la vita sacerdotale e la carità.

VOTO

Voto, nella religione, con questo termine, viene indicata un'offerta fatta a Dio e, più precisamente, la promessa di dare o fare qualcosa, fatta a Dio deliberatamente, con la contrazione di un'obbligo di adempienza. Nel diritto, manifestazione di volontà politica con la quale ciascun cittadino in grado di far parte dell'elettorato attivo di un paese sceglie gli organi rappresentativi della vita politica: esso deve essere personale, uguale (nel senso che non può darsi valore diverso ai v. pervenuti all'uno o all'altro candidato o gruppo politico), libero e segreto.

EBRAISMO

Ebraismo, in generale l'insieme della civiltà (religione, cultura, tradizione) ebraica. In senso più specifico la tradizione religiosa e giuridica degli Ebrei detta anche Giudaismo (v.). E., religione del popolo ebraico basata sul rapporto privilegiato che essi stabilirono con Dio e sulle norme comportamentali che Dio stesso impose agli Ebrei. L'iniziatore dell'e., è Abramo, che per primo stipulò un patto di alleanza con Dio, ottenendo in cambio della propria obbedienza, la protezione divina su di sé e sulla propria stirpe. Tale patto venne rinnovato, includendovi l'intero popolo ebraico, tramite la consegna a Mosè delle Tavole della legge. La dottrina e., rigidamente monoteista, si fonda su un duplice atteggiamento: da una parte la celebrazione dei momenti più importanti della storia ebraica, attraverso feste liturgiche che commemorano avvenimenti quali l'uscita dall'Egitto (Pasqua), il patto di alleanza stretto da Dio e Mosè sul monte Sinai (Pentecoste), la traversata del deserto (Tabernacoli), la consacrazione del Tempio (Hanukkah) e attraverso giorni dedicati al digiuno e alla preghiera, che ricordano invece gli eventi tragici, come la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme (tisha be-ab); dall'altra si fonda sull'attesa messianica di un salvatore, discendente di Davide, che porterà pace e giustizia tra i credenti. Il culto prevede tre doveri quotidiani durante i giorni feriali, mentre il sabato, giorno dedicato a Dio e in cui bisogna astenersi da qualsiasi lavoro, sono previste quattro preghiere. La dottrina e. prescrive, oltre all'osservanza della legge mosaica e dei dieci comandamenti, una serie di norme comportamentali riguardanti la vita quotidiana, che furono tramandati dal Talmud: è solo attraverso il rispetto delle leggi che il credente può guadagnarsi la salvezza eterna. L'e. deve essere considerato come la matrice di tutte le religioni bibliche (cristianesimo, maomettanesimo, ecc.) e delle dottrine messianiche.

CONFUCIANESIMO

Confucianesimo, termine europeo per indicare la dottrina filosofica tradizionale cinese, elaborata da Confucio (v.) e dai suoi seguaci. Gli autori cinesi, invece, usano l'espressione "scuola Yu", ossia scuola dei maestri di vita, vale a dire: scuola di vita. Il C. è un complesso organico di insegnamenti, sebbene non ordinati in sistema, riguardanti l'universo, l'etica, la religione, la politica, il cerimoniale e la musica. In particolare il C. considera la vita umana come l'armonioso complesso risultante dalle singole attività degli uomini, per le quali detta le norme, affinché corrispondano al bene e alla giustizia.

SCINTOISMO

Scintoismo o Shintoismo, religione autoctona del Giappone, a base naturistica: ha numerose divinità, tra cui parecchie connesse al culto degli antenati; riconosce l'immortalità dell'anima e ammette l'esistenza d'una potenza suprema. Gli dei superiori dello S. (kami) sono personificazioni di tutti i poteri della natura, benefici o avversi agli uomini. Divinità suprema è Amaterasu, personificazione femminile del sole. I testi sacri più importanti sono il "Kojiki" e il "Nihongi", che parlano diffusamente della coppia divina di Izanagi e Izanami, creatori delle isole giapponesi e progenitori della dinastia imperiale.

APOSTOLICO

Apostolico (Concílio), il primo Concilio ecumenico tenuto a Gerusalemme nel 50 d.C., circa tre lustri dopo la morte del Cristo, cosí chiamato perché vi parteciparono alcuni degli Apostoli. Furono veri e propri protagonisti: Pietro, Giacomo, Paolo e Barnaba, oltre che discepoli i quali avevano ascoltato la viva voce di Gesú. Vi prevalse la tendenza paolina che svincolava la nascente religione dalla liturgia e dalla legge ebraica, cosicché i pagani convertiti passarono direttamente a far parte della comunità cristiana, senza prima essere entrati in quella ebraica, vennero cioè ammessi a ricevere il battesimo e gli altri sacramenti, senza essersi prima fatti circoncidere.

VATICANO

Vaticano II (Concilio), ventunesimo concilio ecumenico aperto l'11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII interrotto per la sua morte (1963), ma subito ripreso dal successore Paolo VI fino all'8 dicembre 1965. Nel Concilio v. II furono votate 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni che affrontarono questioni relative all'ecumenismo, ai rapporti con la religione ebraica, alla libertà religiosa. Di importanza notevole è la costituzione sulla Sacra Liturgia in cui l'uso del latino nelle messe venne sostituito con le lingue locali e la costituzione "Gaudium et spes" in cui si auspicava un atteggiamento rinnovato nei confronti del mondo contemporaneo e dei problemi dell'uomo

OSTIA

Ostia, (dal latino hostia=la vittima), presso i popoli antichi, il sacrificio di una vittima alla divinità; anche la vittima stessa; (per est.) sacrificio, vittima in senso generale; *(relig.) nella religione cattolica, sottilissima cialda rotonda di pane azimo, consacrata dal sacerdote nella Messa. É di dimensioni piuttosto grandi per l'esposizione nell'ostensorio e per la comunione del celebrante, o piccola (detta particola) per la Comunione dei fedeli. Secondo la dottrina cattolica, l'o. consacrata è realmente e sostanzialmente il corpo di N. S. Gesù Cristo.

AGNOSTICISMO

Agnosticismo, dottrina che ritiene l'intelligenza umana incapace di svelare i misteri della metafisica e della religione, e perciò rifiuta la ricerca conoscitiva. Genericamente, atteggiamento di totale disinteresse verso una determinata problematica. *(filos.) Il termine fu coniato nel 1869 da T. H. Huxley, per indicare l'impossibilità di trovare soluzione a problemi che non siano di pertinenza del metodo scientifico. L'a. si riscontra particolarmente nel criticismo di Kant e nel positivismo. *(teol.) L'a. teologico appartiene alle dottrine che professano l'inaccessibilità del trascendente per la ragione umana, e pertanto l'inconoscibilità di Dio se non attraverso i testi sacri. Tali dottrine furono condannate dalla Chiesa sulla scorta del pensiero di S. Tommaso.

BIBBIA

Bibbia, (dal greco, i libri) nome cumulativo dei libri sacri della tradizione ebraico cristiana. L'insieme dei libri considerati d'ispirazione divina fu chiamato «canone». I testi canonici sono differenti per numero fra cattolici, ebrei, protestanti e chiese d'oriente. La maggiore differenza a questo proposito sussiste fra religione ebraica e cristiana. La B. ebraica comprende solo l'Antico Testamento, mentre quella cristiana include anche il Nuovo Testamento, costituito dai testi sacri posteriori alla nascita di Gesù Cristo. La parola testamento significa «patto» o alleanza tra Dio e gli uomini, patto che fu stretto la prima volta con la legge di Mosè (Antico Testamento) e la seconda con quella di Gesú Cristo (Nuovo Testamento). L'Antico Testamento è un complesso di libri distinti in cui si trovano genealogie, codici, precetti, leggende, racconti storici, racconti allegorici, inni religiosi e guerreschi. Per la sua forma e la sua concezione, questa prima parte della B. si collega coi suoi libri letterariamente più validi agli antichi focolai di cultura orientale. Fino al II sec. la B. ebraica fu totalmente ignorata dai popoli estranei alla religione degli Ebrei. Una prima traduzione in greco venne fatta da settantadue dottori giudei per volere del re d'Egitto Tolomeo Filadelfo, che la destinò alla famosa Biblioteca d'Alessandria. Questa traduzione, di cui si servì principalmente la numerosa colonia ebraica stabilitasi già da tempo in quella città, fu detta appunto B. dei Settanta. Più tardi l'Antico Testamento fu tradotto anche in latino (specialmente nel IV sec. per opera di San Gerolamo). Esso costituisce uno dei libri sacri della religione cristiana, con qualche differenza, per alcune parti, dalla B. degli Ebrei. Le narrazioni bibliche dividono coi poemi omerici la gloria di aver presentato personaggi che sono divenuti altrettanti «tipi» di umanità. Nel corso dei secoli, tutte le arti ne hanno tratto innumerevoli soggetti di opere insigni. La B. ha in tal modo una grande importanza anche dal punto di vista artistico, oltre a quello morale e religioso. Nell'Antico Testamento si distinguono tre parti: "La Legge", "I Profeti", "Le Scritture". La Legge, attribuita dagli Ebrei a Mosè, si compone di 5 libri: "Genesi", "Esodo", "Numeri", "Levitico" e "Deuteronomio". La "Genesi" narra la storia della creazione del mondo, la creazione dell'uomo, il peccato di Adamo ed Eva, seguito dalla loro espulsione dal Paradiso terrestre. Narra inoltre la prosperità della discendenza d'Abramo fino al soggiorno di Giuseppe in Egitto. L'"Esodo" racconta le sventure degli Ebrei in Egitto, la loro uscita di là, sotto la guida di Mosè, e la rivelazione ad essi dei «Dieci Comandamenti». Il "Libro dei Numeri" comprende due enumerazioni degli Ebrei ed ha per argomento la loro odissea nel deserto, prima dell'arrivo alla Terra Promessa. Il "Levitico" contiene la legislazione relativa al sacerdozio (il corpo sacerdotale veniva reclutato nella tribú di Levi ed era perciò detto dei Leviti) e la maggior parte delle prescrizioni religiose di carattere rituale. Il "Deuteronomio" (o "seconda Legge") è una specie di ricapitolazione della Legge e contiene anche prescrizioni religiose di carattere rituale e morale. In realtà questi 5 libri ("Pentateuco"), attribuiti a Mosè dal canone ebraico e da quello cristiano, furono redatti in epoche diverse e contengono leggende caldaiche e prescrizioni religiose, morali di epoca molto posteriore a quella descritta nei due primi libri. Si può infatti affermare che in massima parte i libri del "Pentateuco" appartengono all'epoca dei re d'Israele. Il "Deuteronomio" invece è senza dubbio più recente. I "Profeti" sono divisi nei libri di Giosuè, di Samuele, dei Re, che formano, dopo i "Numeri", il seguito della storia d'Israele, e in quelli dei quattro profeti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele), uniti a quelli dei dodici profeti minori. Il resto delle Scritture è composto di opere di carattere letterario come i "Salmi", i "Proverbi" ed il "Cantico dei Cantici" attribuiti a Davide e a Salomone. Il Nuovo Testamento, scritto originariamente parte in aramaico (ma il testo aramaico è perduto) e parte in greco, narra gli avvenimenti della vita terrena del Cristo durante i tre anni della sua predicazione, quelli precedenti la morte e la resurrezione, ne espone gli insegnamenti, e ne racconta la diffusione nel mondo ebraico e pagano mentre sorgeva la Chiesa. Comprende: i quattro Vangeli (di Matteo, Marco, Luca e Giovanni), gli Atti degli Apostoli, le Epistole di san Paolo e quelle dei santi Giacomo, Pietro, Giovanni, Giuda, Taddeo, e infine l'Apocalisse. La traduzione in latino dovuta a San Gerolamo e detta "Vulgata" è il solo testo riconosciuto dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento.

TRINITÀ

Trinità, mistero della religione cristiana: si fonda sul principio che Dio è uno nella natura, essenza e sostanza, e trino nelle persone (essere relativo, relazioni sussistenti, proprietà ipostatiche). Dal Padre generante deriva il Figlio o Verbo generato, e dal Padre e dal Figlio insieme, per loro reciproco amore, procede lo Spirito Santo. Tale processo non è accidentale ma è indissociabile dall'"essere" divino: in ciò consiste appunto l'inintelligibilità del mistero trinitario. Questo fu rivelato da Gesú dopo la sua Resurrezione quando esortò: "ammaestrate tutte le genti, battezzandole in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo" (Matteo, 28, 19). Tra il III e V secolo il problema della T. diede origine a gravi controversie teologiche. Ne derivarono alcune dottrine che si staccarono in parte dall'interpretazione ortodossa (assoluta unità delle tre persone): l'adozionismo, il monofisismo, il modalismo, ecc.

FEDE

Fede, *(mit.) antica divinità romana, personificazione della veracità e della lealtà alla parola data; era raffigurata come una donna anziana cui si offrivano sacrifici con la mano destra avvolta in un panno bianco. Le era dedicato un tempio sul Campidoglio, e fu spesso raffigurata su monete dell'epoca imperiale, come simbolo della fides romana (nel senso di lealta e giustizia).

Fede, conoscenza basata sull'evidenza estrinseca proveniente da un'autorità altrui che asserisce l'esistenza di un rapporto oggettivo attualmente incontrollabile. Nella religione cristiana, virtú soprannaturale mediante la quale (con l'aiuto della grazia divina) il fedele crede alla rivelazione di Dio e dei misteri a motivo della stessa divina autorità rivelante. Secondo la teologia cattolica è la prima delle virtú teologali; secondo s. Paolo (Ebrei II, I) è "sostanza delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono": ciò è parafrasato da Dante nei versi del Paradiso XXIV, 64-66: "Fede e sostanza di cose sperate/ed argomento delle non parventi;/E questa pare a me sua quidditate".

MANICHEISMO

Manicheismo, religione fondata da Mani (vedi), in risposta al problema della redenzione dell'uomo e del mondo dal male; il M. ammette che vi siano due principi costitutivi dell'universo, rigidamente contrapposti ma ugualmente divini, ossia il Bene e il Male, definiti anche come Luce e Tenebra, oppure Dio e materia; poiché i due principi sono compresenti nell'uomo, questi potrà redimersi solo con la conoscenza (gnosi) del mistero, l'ascetismo e il sacrificio, meritando in tal modo il paradiso della Luce; diversamente, egli si reincarnarnerà in un nuovo corpo di tenebra oppure, in caso di colpe di particolare gravità, sarà destinato all'inferno di Tenebra. Il M. si diffuse rapidamente e da Antiochia, suo centro di diffusione, si espanse nel mondo romano, dove diede vita a una chiesa simile a quella cristiana; trovò notevole consenso anche in India e in Cina. Le persecuzioni dei Manichei cominciarono sotto Diocleziano (296), per proseguire con Costantino, Valentiniano I, Teodosio. Sopravvisse solo in Cina, da cui si diffuse di nuovo in Europa (XI sec.), influendo su numerose sette ereticali a carattere dualistico. Nel VI sec. era in forte declino, fino a scomparire del tutto dopo qualche decennio.

LITURGÍA

Liturgía, presso gli antichi Greci obbligo che i ricchi avevano di contribuire alle spese per opere di interesse pubblico. *(relig.) L'insieme delle cerimonie e delle norme ufficiali che regolano il culto religioso. Nella religione cattolica, secondo quanto indicato dal concilio Vaticano II, la l. è il culto pubblico e ufficiale della Chiesa. Comprende: la Messa, i Sacramenti, l'Uffizio divino, i Sacramentali. Base della l. è il cosiddetto anno liturgico. Storicamente i tentativi di trovare un'organizzazione ufficiale dei diversi riti e testi liturgici nell'ambito del cristianesimo risalgono già al III sec. La l. romana cominciò a definirsi nel IV sec., con una certa sistemazione delle procedure cerimoniali, l'istituzione del breviario e delle più importanti festività dell'anno liturgico. Forti istanze di riforma della l. romana furono introdotte con la nascita del protestantesimo, che adottò una propria l.. Il Concilio di Trento iniziò una risistemazione dei testi e dei rituali della l. romana, e numerose spinte al rinnovamento portarono nei secoli successivi ad una progressiva semplificazione, attuata definitivamente solo dal concilio Vaticano II, che ha radicalmente rinnovato testi e rituali, con l'intento di renderli più vicini alla massa dei fedeli.

PARADISO

Paradiso, termine di origine orientale usato poi anche dai Greci nel significato di «parco», «giardino». Già la mitologia classica concepì un luogo di delizie-i Campi Elisi-ove ai personaggi illustri e agli eroi era riservato il privilegio di godere, al di là della morte, le più raffinate dolcezze tra distese incantevoli di fiori, tra soavi armonie e giochi atletici, in modo che l'individuo realizzasse, libero da ogni impedimento del fato, la sua piena completezza. Tale dottrina rispondeva infatti nella concezione classica, all'idea di perfezione di quell'epoca, così come accade in ogni altra religione, più o meno complessa, dato che la massima aspirazione di ogni individuo consiste nella felicità immaginata come il massimo bene e il fine ultimo da conseguire. Anche il Cristianesimo introdusse nella sua escatologia l'idea di un luogo di premio per i beati, i quali godranno l'immensa gioia della visione eterna di Dio, senz'alcun richiamo di natura sensibile, anche dopo la resurrezione dei corpi i quali, una volta risuscitati, diventeranno incorruttibili ed impassibili. Pur sempre luogo ultraterreno e posteriore alla morte, la teologia attuale lo descrive come una rinascita di tutto l'universo in cui ogni aspetto della vita terrena tornerebbe amplificato e pienamente realizzato, senza più l'ombra del peccato, in uno stato di beatitudine eterna, libera da ogni limite umano.

SACERDOTE

Sacerdote, (lat. sacerdos) colui che fa le cose sacre, cioè che mette in contatto una comunità umana con la divinità, come rappresentante della comunità presso le potenze divine e anche come rappresentante delle potenze divine presso gli uomini: cioè si rivolge e parla al dio in nome del suo gruppo e parla al suo gruppo in nome del dio che per mezzo suo si rivela. Nei tempi più antichi il padre di famiglia è il s. della famiglia, e il capotribù, il re, il s. della tribù, del popolo. Più tardi le funzioni del s. si divisero da quelle del capo giuridico della cerchia sociale (famiglia, tribù, Stato), e nacque anzi conflitto fra il potere sacerdotale e quello politico-giuridico. Nella religione ebraica il Sommo s. era il capo a vita dei leviti e dei sacerdoti ebraici, dirigeva il culto e la celebrazione del sacrificio mattutino e serale e, nell'annuale giorno dell'espiazione, aspergeva col sangue del giovenco e del capro espiatorio l'Arca dell'Alleanza. Nella teologia e dottrina cattolica il s. è propriamente il vescovo, questo può creare sacerdoti "di secondo grado", rendendoli partecipi del proprio potere i presbiteri. Il s. deve condurre vita santa, ha l'obbligo del celibato, dal quale può essere dispensato se rinuncia alle funzioni sacerdatoli: predicazione ed insegnamento dei principi cristiani, unzione degli infermi, impartizione del battesimo, celebrazione della liturgia.

MITO

Mito, racconto fantastico delle gesta degli esseri divini e di personaggi eroici, soprattutto in relazione col creato e con gli uomini, dovuto probabilmente ad un desiderio esplicativo nei riguardi dei fenomeni naturali ed ha costituito il patrimonio sociale di una determinata cultura e della religione di un popolo. Tramandati oralmente o scritti, i temi del mito sono essenzialmente la nascita e la vita degli dei, il mondo e i suoi abitanti, di cui danno una visione sociale e politica (per esempio il mito greco). Il m. si distingue dalla favola e dal romanzo non per i contenuti, ma per come a questi si avvicina l'uomo: il mito ha sostanzialmente un carattere sacro, è una verità, mentre la favola è pura immaginazione. Il mito può essere anche storico (es. Enea che fugge e approda nel Lazio), sebbene in questo caso è difficile a volte distinguere tra mito e leggenda. La sua interpretazione non trova concordi i vari studiosi che hanno tratto teorie diverse in proposito; si passa dalla concezione che lo considera caratteristica di una fase biologica della vita dell'uomo (K. Kerenyi), ad un suo fondamento nella psiche umana (C. G. Jung), o come risultato di certe condizioni sociali ed economiche; oppure secondo la teoria funzionalista, il mito costituirebbe il punto d'incontro delle contraddizioni tra natura e cultura, e del vivere sociale. (estens.) Evento o personaggio idealizzato a cui si attribuisce un carattere di straordinarietà. Credenza utopistica. Idea che crea il movimento dei popoli.

CONFUCIO

Confucio, (in cinese K'ung fu-tzû), filosofo, maestro di morale e uomo politico cinese (551-479 a.C.). Nacque quando suo padre aveva 70 anni. A 18 anni si sposò, poi ebbe un figlio: Pe-yu. Nel 532 diventò gentiluomo del duca Che e l'anno dopo soprintendente all'agricoltura. Nel'30 cominciò ad insegnare. Nel 518 si recò alla capitale imperiale dove incontrò il filosofo Lao-Tze. Abbandonato il suo paese nel 516, tornò in patria (il regno di Lu) sei anni dopo. Nel 505 fu fatto governatore della capitale di Lu e due anni dopo senatore del regno, divenendo poi supremo giudice nel 501 e cancelliere magno nel 500. L'anno seguente rinunciò ai suoi uffici e se ne andò di Corte in Corte a nord del Fiume Giallo. Nel 500 perse la moglie. Nel 488 ritornò in patria e dopo un anno perse anche il figlio. Insegnò fino alla morte, attraendo a sè molti fedeli e discepoli. Durante la dinastia Han i suoi discendenti eressero un tempio in suo onore. C. asseriva di essere ispirato da un demone familiare, il duca Chou, figlio del re Wen, vissuto verso il 1100 a.C. Il pensiero di C., ch'egli diceva di aver ricevuto dagli antichi e di limitarsi a trasmetterlo, venne raccolto dai suoi seguaci in alcuni libri, come i noti Dialoghi (Lun-Yü), tradotti anche in italiano. Sono 20 capitoli che trattano di morale, religione, politica, del fondamento del concetto di umanità (Jen). C. insegnava la morale tradizionale mirando a una armonica relazione tra perfezione individuale, vita familiare, e comunità civile e politica. La dottrina elaborata da C. costituisce l'elemento maggiore della millenaria civiltà dei Cinesi e nonostante il divieto di culto imposto in Cina dopo la rivoluzione del 1911 continua ad essere molto radicata nella società.

BUDDHA

Buddha, si tratta più propriamente di un aggettivo, un soprannome, in sanscrito, I'llluminato. Il vero nome del fondatore di quella grande religione asiatica che è il Buddhismo fu Siddharta Gautama (o Gotama), detto anche Sakyamuni «il solitario dei Sakya» perchè nato (ca 560 a.C.) nel clan indiano dei Sakya. Apparteneva alla casta guerriera della città di Kapilavastu, presso il confine del Nepal, alle falde dell'Himalaya. Il padre di Siddharta era un principe di nome Suddhodana, ricchissimo, della famiglia Gautama; la madre, Maya, era in viaggio per recarsi dai propri genitori, quando partorì il futuro B. in un boschetto presso il villaggio di Lumbini. Gli indiani credevano che, a intervalli regolari di tempo, comparisse nel mondo, a risuscitarvi la vera saggezza, un nuovo B., e che molti di questi illuminati fossero già venuti. Siddharta Gautama è considerato l'ultimo B. rivelatosi agli uomini, ma non risulta ch'egli abbia ammesso l'idea, nè accettato il titolo. Infatti nei suoi Discorsi, pervenuti fino a noi, egli non si dà mai tale nome o il titolo. Dopo un lungo periodo di meditazione e preparazione, iniziò un'attivissima predicazione, in tutta l'India, della dottrina maturatasi nella sua mente (vedi Buddhismo). Operò conversioni in gran numero anche fra i ricchi e i potenti, fondò un ordine di monaci predicatori (i cui segni distintivi erano la testa rasata, una tonaca gialla e la ciotola dei mendicanti), e continuò la serie dei suoi discorsi alle folle, che furono raccolti e tramandati dai suoi discepoli più colti. Morì ottantenne, tra le braccia del fido allievo Ananda, intorno al 480 a.C., e la leggenda circondò di prodigi la sua morte.

BUDDHISMO

Buddhismo, la filosofia e la religione fondate in India dal buddha Siddharta Gautama nel VI e V sec. a.C., a riforma del Bramanesimo. I concetti fondamentali della dottrina buddhistica sono contenuti in uno dei primi discorsi (il Sermone di Benares) del grande riformatore. Principio fondamentale è che la vita sia dolore e che si debbano tener presenti quattro grandi certezze, «le Quattro Verità» che sono: 1) l'esistenza del dolore (il nascere è dolore; la malattia, la vecchiaia, il morire sono dolore, come pure lo stare con ciò che non si ama, il separarsi da ciò che si ama, il non conseguire ciò che si desidera); 2) l'origine o la causa del dolore è il desiderio dei piaceri materiali, la sete di soddisfazione dei desideri; 3) la cessazione del dolore si ottiene dalla soppressione totale d'ogni desiderio; 4) la via che conduce alla cessazione del dolore è il seguire l'«Ottuplice sentiero» del credere, del volere, del parlare, dell'agire, del vivere con rettitudine, dell'avere soltanto intenzioni pure, pensiero puro e meditazione pura. Naturalmente, queste Verità hanno nella filosofia buddhistica ampi sviluppi, portando verso i più alti concetti morali formulati dalle religioni più pure e dalle piú austere scuole filosofiche del mondo. La morale buddhistica primitiva, ben diversamente da quella cristiana, tende alla estinzione di ogni sentimento e non dà all'uomo la nozione dei suoi rapporti col mondo, quanto piuttosto tende a alienarlo dal mondo, facendogli comprendere l'impossibilità di evitare il dolore che vi predomina e insegnandogli a cercare di essere puro in ogni azione, per trovare infine la pace nell'immobilità del nirvana.

CORANO

Corano, (in arabo Qur'an, lettura) è il libro sacro dei Musulmani, della cui religione costituisce la base. Il nome, che in arabo significa il recitare, il leggere ad alta voce, poi si restrinse a significare la lettura liturgica del libro sacro e quindi anche il libro sacro o anche soltanto il brano letto. Quest'opera contiene tutti i precetti che Maometto predicò come rivelazione avuta da Dio (Allah) tramite l'arcangelo Gabriele. Tali precetti, religiosi, morali, giuridici e di vita pratica, furono conservati per tradizione o scritti a frammenti su materie varie (pezzi di pergamena, di pelli, di scapole d'animali, ecc.) dai primi fedeli del Profeta, e vennero poi raccolti e presentati al califfo Abu Bekr (morto nel 634 d.C.). Il califfo Othman (morto nel 644) redasse definitivamente il libro sacro, quale pervenne a noi attraverso le varie edizioni arabe e le traduzioni in diverse lingue, compresa la nostra. Il C. è composto di 141 sure, o capitoli, divise in un migliaio di versetti; la molteplice e complessa materia che vi è riunita senza un ordine apparente forma il testo religioso e civile per mezzo del quale l'Islamismo si propagò in tutto l'Oriente, trasformandone la civiltà. La teologia islamica ufficiale considera il C. parola di Dio, non di Maometto, ed è perciò parola increata. Il libro a noi pervenuto sarebbe la copia dettata dall'arcangelo a Maometto di parti di un archetipo (la madre del libro) scolpito su pietra (la tavola ben custodita) che esisterebbe in cielo. La predicazione di Maometto però, come gli studi moderni hanno messo in luce, risente della tradizione ebraica e soprattutto dell'omiletica cristiana, specialmente di quella dei Cristiani di Siria. La recitazione del C. è regolata da norme fisse di pronuncia e di modulazione. Brani del C. fanno parte delle 5 preghiere canoniche che ciascun Musulmano praticamente deve recitare durante il giorno.

MESSA

Messa, (da dimissio, congedo) rito liturgico fondamentale della religione cattolica, durante il quale viene rinnovato il sacrificio di Gesù Cristo per la redenzione degli uomini tutti, compiuto dal sacerdote davanti ai fedeli con l'offerta a Dio del corpo e del sangue del Redentore rappresentato dal pane e dal vino, in memoria delle parole e dei gesti di Gesù nell'ultima cena. La messa così come viene celebrata oggi, che è il frutto di cambiamenti e di riforme avvenute nei secoli, consta di quattro parti all'interno delle quali si hanno le preghiere che sottolineano i diversi momenti della celebrazione: l'introito, la liturgia della parola, la liturgia eucaristica e la conclusione Il momento culminante è la liturgia eucaristica durante la quale abbiamo l'offertorio e la comunione. Alcuni testi delle preghiere e dei canti che accompagnano il rito della messa cambiano in relazione al periodo dell'anno liturgico in cui la messa viene celebrata. Le preghiere fisse appartengono all'Ordinario (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei), quelle che cambiano al Proprio (Introito, Graduale, Tratto, Alleluia, Offertorio e Communio). Il rito della messa viene celebrato con maggiore o minore solennità a seconda delle chiese e delle circostanze. Dicesi messa pontificale quella celebrata solennemente da un Vescovo (il pontificale papale è quello celebrato dal Papa e comprende alcune cerimonie specialissime); la messa bassa o piana è quella celebrata senza canto e senza assistenza di diacono e di suddiacono. Il canto nella messa ha avuto un importanza fondamentale; usato agli inizi come supporto mnemonico delle preghiere (canto gregoriano), ha permesso lo sviluppo della notazione musicale, e acquisendo nel tempo una dignità propria, si è elevato a forma d'arte autonoma. Si ricordino le messe musicate dai più famosi compositori fra cui Bach, Mozart, Beethoven, ecc.

CHIESA

Chiesa, edificio adibito al culto cristiano. Dopo che l'imperatore Costantino ebbe dichiarato il Cristianesimo religione di Stato, le comunità cristiane consacrarono al culto alcune delle antiche basiliche romane e il tipo architettonico di queste continuò a essere adottato, nell'edilizia religiosa, fino ai nostri giorni. L'Oriente adottò invece, per le sue chiese, le piante circolari o poligonali o a croce greca dei templi preesistenti, e così l'architettura detta bizantina (da Bisanzio) si propagò in Italia, nella Francia meridionale, e, per le valli del Rodano e del Reno, giunse fino in Germania. La pianta a croce greca prevalse, sormontata dalla cupola, e molte chiese ebbero una cripta, destinata a contenere reliquie di santi, ma spesso era tanto amplificata da costituire una chiesa sotterranea delle stesse dimensioni di quella superiore. Dopo il Mille compaiono nell'architettura gli elementi dello stile detto romanico, che poi s'afferma in vari tipi con caratteristiche proprie, fra cui la volta, i pilastri, i muri di mattoni e pietra con robusti contrafforti, le sculture marmoree intorno alle porte e alle finestre. Nel XII sec. comincia a diffondersi lo stile gotico o più propriamente ogivale. Numerosissime le chiese gotiche in Francia, in Germania, in Inghilterra, nella Spagna. In Italia il maggiore e più completo esempio di cattedrale gotica è il Duomo di Milano. Le chiese romaniche e quelle gotiche hanno in prevalenza la pianta a croce latina, e vi ha molta importanza l'abside. Caratteristiche delle chiese gotiche,sono le guglie e i rosoni. Nel Rinascimento ritorna la pianta centrale e quella a croce greca, le colonne e la cupola rotonda, abbondano le decorazioni scultorie, e, nelle chiese del Rinascimento toscano, i marmi policromi. Il barocco diede poi alle chiese le sue ampollosità, la sua sovrabbondanza d'ornamentazione fastosa. Tipica in questo stile è la chiesa del Gesù, a Roma. Dopo il Seicento, l'edilizia religiosa non fece che riprendere e imitare, con poche modificazioni nelle decorazioni, a seconda del gusto dei tempi, i tipi precedenti, giungendo infine a qualche tentativo di stile novecento. *(rel.) Riguardo alla persona del rettore le chiese si distinguono in: pontificali, patriarcali, primaziali metropolitane, collegiate, cattedrali, parrocchiali, conventuali. Tutte devono avere almeno: altare, sagrestia, battistero e pulpito. Le chiese private si dicono oratori o cappelle. Chiese palatine (da palazzo) si dicono quelle annesse alle residenze dei sovrani.

CONFESSIONE

Confessione dei peccati, dichiarazione, pubblica o privata, di una colpa commessa in materia morale, e praticata, in forme e sensi diversi, in quasi tutte le religioni, da quelle dette primitive alle più elevate. Nella Chiesa cattolica fa parte del sacramento della penitenza e consiste nell'accusa vocale e integrale dei peccati, fatta con umiltà al sacerdote legittimamente approvato, per conseguire l'assoluzione sacramentale. Nei primi secoli del Cristianesimo fu pubblica, poi divenne auricolare, ossia fatta privatamente all'orecchio del sacerdote. Gli uomini possono confessarsi dovunque; le donne, salvo speciali circostanze, soltanto al confessionale (v.). Nel 1215, il papa Innocenzo III rese obbligatoria la c. almeno una volta l'anno, nella ricorrenza della Pasqua; per i fanciulli, l'obbligo comincia a 7 anni. Il confessore è tenuto al segreto su quanto ha appreso in c. (segreto confessionale, riconosciuto anche dalla legge civile). Nelle Chiese riformate, la c. non esiste; è soltanto raccomandato un periodico esame di coscienza, con la meditazione e il pentimento delle colpe commesse. Forme di confessione sono presenti presso numerosi popoli africani, asiatici (specialmente nord-siberiani e malesi), nord-americani (Eschimesi [presso i quali ha anche valore terapeutico], Algonchini, Ogibue, Dakota, Irochesi, ecc.), sud-americani: il peccato fondamentale, temuto e quindi confessato per liberarsene, è quello sessuale. Forme più evolute di c. dei peccati erano presenti nel Messico antico (confessione di peccati carnali o del peccato dell'ubriachezza alla dea Tlasoltedl: la penitenza consisteva in un'estrazione di sangue dalla lingua o dalle orecchie; presso i Mixtechi era presente anche la confessione come mezzo di cura), presso i Maya, nel Perù incaico (il penitente si confessava a una specie di sacerdote stregone e si immergeva poi nell'acqua di due ruscelli confluenti, per lavare le colpe), nei Giappone (ancor oggi si celebra la Grande Purificazione), in Cina (esami di coscienza, meditazione di testi filosolici e religiosi, preghiere, cerimonie particolari costituivano e costituiscono tuttora, specialmente presso i Taoisti, il complesso di c.-penitenza dei Cinesi), in India (alla c. segue la purificazione per mezzo del fuoco o dell'acqua). Nel Buddismo si dà molta importanza all'esame di coscienza e al pentimento; in alcuni monasteri si usavano confessioni reciproche fra monaci. La c. dei peccati era altresì sviluppata nell'antica religione persiana, in Egitto, a Babilonia (tipiche le preghiere e i canti di penitenza, necessari per riconquistare il favore degli dei buoni e la forza di cacciare i demoni) e in Palestina (prima di uccidere il capro espiatorio, il Gran Sacerdote evocava tutti i peccati commessi dal popolo).

TEMPIO

Tempio, in senso generico è il luogo dedicato al culto della divinità. Notevole è la differenza esistente tra il t. pagano e il t. cristiano e musulmano, mentre il primo infatti è considerato esclusivamente come l'abitazione della divinità e rimane spesso chiuso non essendo destinato alla riunione dei fedeli e all'offerta dei sacrifici, il t. cristiano o musulmano, chiamato rispettivamente chiesa e moschea, è destinato allo svolgimento dei riti in presenza dei fedeli. Il tempio compare nelle civiltà mesopotamiche a partire dal 3000 a.C.; solitamente era un'ampia costruzione fatta di mattoni, a pianta rettangolare o quadrata, priva di finestre e con porte laterali, contenente un altare. Gli ittiti costruirono templi rupestri e in pietra, a pianta rettangolare con un cortile circondato da numerose piccole stanze. Il santuario era posto in un edificio annesso, al quale si accedeva da un'entrata laterale, che conteneva la statua della divinità. In Egitto, dopo i primitivi dell'Antico e Medio Regno, si configurò una struttura costituita da un cortile porticato, da una sala a colonne per particolari cerimonie, e dal santuario dove era presente la divinità. Vi erano anche templi scavati nella roccia. Il tempio greco, elemento fondamentale dell'arte classica, nacque intorno alla metà del sec. VII a.C.; era destinato ad abitazione della divinità ed in origine era di forma rettangolare molto allungata, a due o a tre navate di colonne; sul fondo era posta la cella che custodiva la statua della divinità; secondo le tendenze stilistiche si avevano templi di stile dorico (Peloponneso e Magna Grecia), costruito su una piattaforma di tre gradini, e lo stile ionico (colonie dell'Asia Minore) che differivano per ciò che riguarda i fregi, le colonne e il capitello: nello stile dorico la colonna, massiccia, presenta delle scanalature e un rigonfiamento, è priva di base; il capitello è formato da echino e abaco e l'architrave sostiene un fregio a triglifi e metope. Lo stile ionico ha la colonna più slanciata che poggia su una base, capitello a volute e fregio continuo decorati con bassorilievi. Il tempio etrusco presentava caratteri originali rispetto a quello greco. Sorgeva su un podio rialzato ed aveva una pianta più larga; le colonne erano poste solo sulla fronte e sui lati lunghi. Il tempio romano conservò la forma etrusca fino al sec. II a.C., rimanendo influenzato, in seguito dalla tradizione ellenista. Nell'era cristiana, la basilica diventò il nuovo luogo di culto. Nella religione induista e buddista, il tempio rappresenta una costruzione simbolica dell'universo. Quelli più antichi erano costruiti nella roccia con pianta absidata e navata centrale sostenuta da pilastri; la facciata ha decorazioni scolpite nella roccia. Gli edifici all'aperto avevano sempre pianta absidata o erano costituiti da piccole celle quadrate contenenti la statua del culto e accessibili solo ai sacerdoti. Questi edifici raggiunsero la forma più complessa e articolata con i grandi santuari dell'XII sec. che avevano una copertura piramidale ed erano costituiti da recinzioni concentriche munite di portali; al centro di esse si trovava il santuario vero e proprio. Un altro tipo di santuario era quello a pianta quadrata con copertura piramidale a gradini, simboleggiante la montagna cosmica. In Cina i templi comprendevano in genere vari edifici con tetti arcuati e aggettanti, sviluppatisi in seguito nella pagoda.

EBRAICO

Ebraico, relativo agli Ebrei. (ling.) E., ramo cananeo delle lingue semitiche nordoccidentali, venne indicato fino al sec. II d.C. ca, con espressioni del tipo «lingua di Canaan», «lingua giudaica», ecc. La storia dell'e. può essere suddivisa in tre periodi successivi: l'e. biblico, l'e. mishnico o neoebraico e l'e. moderno. L'e. biblico è la lingua in cui fu scritta, tranne poche eccezioni, la Bibbia degli Ebrei; esso comprende ca 5.500 vocaboli e pochissimi termini mutuati da lingue straniere. L'alfabeto e. era in origine costituito da ventidue segni, tutti consonantici, e derivava dall'alfabeto fenicio del periodo arcaico di Biblo. Tale alfabeto fu in seguito sostituito dalla «scrittura quadrata» (derivante da un tipo di scrittura aramaica), mentre le vocali vennero inserite solo tra i secc. V e VI d.C. (in base al sistema di Tiberiade). Nel frattempo, l'e. biblico si era aperto a influenze aramaiche e persiane e dal IV sec. a.C., si andava già affermando l'e. mishnico, che fu adottato anche nella letteratura al tempo dell'esilio.*(lett.) Nel periodo più antico la produzione letteraria ebraica coincise essenzialmente con la Bibbia; dal IV sec. a.C. fiorì la letteratura apocrifa, una produzione abbondante di testi religiosi (preghiere, sermoni, profezie, ecc., scritti in ebraico o in greco) che non fu però compresa nei testi biblici canonici. A questi fecero seguito i cosiddetti scritti «pseudoepigrafi», redatti tra il 150 a.C. e il 150 d.C. ca. A questo periodo risalgono io manoscritti del Mar Morto, rinvenuti intorno al 1947. La necessità di far comprendere al popolo, che ormai parlava l'aramaico, i testi biblici e le leggi antiche, portò i rabbini a redigere il "Talmud", opera vastissima, la cui stesura richiese vari secoli, che mise per iscritto i precetti tradizionalmente tramandati oralmente e comprese inoltre un fondamentale commentario biblico. Durante il medioevo, la letteratura e. conobbe particolare fioritura in Spagna, dove videro la luce importanti opere di poesia, grammatica, filosofia, religione e ascetismo. Sempre in Spagna, nacque e operò Giuda ben Samuel Halevi (1080-1140), che può essere considerato il più grande poeta ebraico. Nel sec. XII si sviluppò il movimento esoterico cabalista, le cui radici risalgono al sec. II, e il cui testo fondamentale fu il "Sefet ha Zohar" ("Libro dello splendore" 1286 ca). Nel Rinascimento, la culla della letteratura ebraica divenne l'Italia, ma soltanto nel 1743, quando lo scrittore italiano Mosè Khaim Luzzatto (1707-1747) pubblicò il suo poema ebraico, si ebbe l'abbandono dei tradizionali temi religiosi e la nascita di una letteratura moderna, che venne rafforzata dagli ideali illuministici e romantici. Tra i principali scrittori ebrei del nostro secolo, ricordiamo S. Alechem (1859-1916), J. Roth (1894-39), H Roth (1906), I. B. Singer (1904-1991).*(arte) L'arte figurativa e. risulta decisamente povera, sia per il divieto biblico di rappresentare immagini di esseri viventi che potessero divenire oggetto di culto, sia per le perdite che essa ha subito in seguito alla dispersione degli ebrei dovuta alla diaspora. La produzione artistica si specializzò principalmente nella realizzazione di arredi sacri e di oggetti di culto. Per quanto riguarda l'architettura, essa ha sempre subito l'influenza degli stili dominanti nella regione e nel periodo in cui nacquero le singole testimonianze architettoniche. Di influsso siriano, ricordiamo il famoso Tempio di Gerusalemme, con il Palazzo Regio, costruiti ai tempi di re Salomone; in seguito, furono evidenti le influenze egizie, ellenistiche, bizantine e islamiche, a cui si fusero elementi decorativi autonomi, propri della tradizione ebraica, come il leone di Giuda, i melograni, i tralci di vite, i candelabri a sette braccia. Dopo la diaspora, i fenomeni artistici e. divennero ancora più strettamente dipendenti dalle caratteristiche culturali dei paesi che li ospitarono.

ISLAM

Islam o Islamismo, (in arabo=dedizione a Dio) la religione monoteistica (e tutto il sistema giuridico, sociale, politico, culturale che ne deriva) fondata da Maometto, oggi professata da oltre 200 milioni di uomini. Notevole è la tendenza alla conquista dell'indipendenza e della libertà da parte degli Islamici o Musulmani. La teologia islamica si fonda sulla seguente professione di fede: la ilaha illa Allah, Muhammad rasul Allah (=non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il messaggero di Allah). Allah ha novantanove epiteti che esprimono i 13 attributi (sifat) della divinità: esistenza, eternità nel passato e nel futuro, onnipotenza, onniscienza, libera volontà, dissomiglianza da ciò che è sorto nel tempo, unicità, indipendenza, vita, udito, vista, parola, capacità di far esistere mediante creazione dal nulla e trasformazione della materia. Altri punti fondamentali della dottrina sono: la credenza nella realtà e verità dei libri rivelati da Dio, la credenza nella missione divina dei profeti, veri inviati di Allah, fra i quali sono noverati molti patriarchi dell'Antico Testamento ebraico, Gesù Cristo, Giovanni Battista, Alessandro Magno, ecc., la credenza nella vita futura e nella resurrezione dei corpi; la credenza che tutto ciò che avviene di bene e di male proviene da Dio, ossia la credenza nella predestinazione assoluta. Premio per i buoni nella vita futura sarà il paradiso ove si godono infiniti piaceri materiali; punizione per i malvagi, l'inferno, anch'esso con pene materiali. La Provvidenza è perennemente presente nel creato. La concezione del mondo è atomistica e viene negato il principio di causalità (correlazione tra particolari cause ed effetti), tutto dipendendo immediatamente dalla volontà di Dio. Gli esseri più elevati della creazione sono gli angeli, alcuni dei quali decaduti (demoni). Vengono poi i ginn, creati dal fuoco, alcuni buoni, altri cattivi. La religione islamica impone ai fedeli cinque obblighi fondamentali: la preghiera da praticarsi canonicamente, previe abluzioni, 5 volte al giorno; il digiuno durante il Ramadan; il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta durante la vita; l'elemosina; la guerra santa contro gli infedeli. Fonti dell'Islam sono: 1) il Corano, raccolta delle rivelazioni testuali fatte da Dio a Maometto per mezzo dell'angelo Gabriele; 2) gli hadit ossia le tradizioni orali, delle quali esistono molte raccolte e il succo di esse è la sunnah ossia il modo consuetudinario di agire di Maometto proposto come modello al fedele e imposto dalla legge nelle controversie giudiziarie; 3) l'igma'-al-ummah o al-igma' che è l'opinione concorde della comunità dei fedeli. Vi è poi il fiqh che tratta il modo pratico di vita, aiutandosi anche nelle decisioni con l'analogia. L'Islam non ha una Chiesa gerarchicamente organizzata, né un sacerdozio in senso proprio. Le pratiche di culto vengono eseguite da singoli fedeli ed anche la preghiera pubblica è un rito che può essere presieduto da un qualunque fedele in esso esperto. Impropriamente si chiama clero musulmano l'insieme delle persone incaricate di certe funzioni nella moschea. Esse sono: lo sceicco (shaikh) sovrintendente amministrativo, l'imam, che guida alla preghiera pubblica in comune, il khatib, ossia colui che tiene la khutbah (predica del venerdì) il muezzin (mu'adhdhin) che dall'alto del minareto (torre della moschea) annuncia l'ora della preghiera 5 volte al giorno. Questi funzionari vengono o nominati dall'autorità o eletti dal popolo. Essi non hanno alcun carattere sacro. Interpreti della dogmatica e del diritto sono i dottori della legge ('úlama, al sing.'alim). Essi divengono tali non in seguito a un corso di studi regolari compiuti o a un diploma conseguito, ma per universale consenso, in base alle opere da loro scritte e alle lezioni tenute a titolo assolutamente privato, (solo dal 1896 in Egitto la rinnovata Università musulmana del Cairo conferisce titoli di studio in teologia e diritto). I dottori ('úlama) si distinguono in tre categorie: 1) gli esperti di teologia e di diritto riconosciuti capaci di dare responsi nell'una e nell'altra materia, che sono detti mufti; 2) esperti di solo diritto; 3) esperti di diritto incaricati di funzioni di giudici (qadi).

CROCE

Croce, strumento di estremo supplizio usato da popoli antichi, specialmente nell'Oriente semitico. Raro presso i Greci, fu adottato dai Romani dopo le guerre puniche dapprima soltanto per gli schiavi, gli assassini, i traditori. Era, solitamente, in forma di T, e il condannato doveva portare sulle proprie spalle, dal carcere al luogo del supplizio, il patibulum, ossia la trave che veniva poi fissata trasversalmente su di un palo piantato nel suolo. Il condannato veniva sollevato da terra, gli si legavano o inchiodavano le mani alla trave e i piedi al palo, e veniva lasciato a patire una lunga ed atroce agonia. La crocefissione era considerata pena infamante, e perciò i Cristiani tardarono a lungo ad adottare come simbolo sacro la c., sulla quale Gesù Cristo era morto per la redenzione del genere umano. La rappresentazione della c. divenne emblema della fede cristiana soltanto nel IV secolo, dopo che Costantino, convertitosi alla nuova religione, ebbe posto quel segno sul suo labaro. La devozione alla c. si diffuse da allora rapidamente e si perpetuò affermandosi più tardi anche con la venerazione delle rappresentazioni del Crocefisso, progredite dalle prime rozze forme del V secolo ai capolavori del XV secolo. Nella liturgia, fin dal IV e V secolo, la c. figura appesa sopra all'altare, e viene portata nelle processioni; nell'VIII secolo comincia l'usanza di grandi c. erette davanti alle chiese e nei crocicchi; dopo il X secolo, la c. viene posta sull'altare sopra un piedistallo; accompagna i trasporti funebri; precede il Papa o i suoi Legati o altri prelati nel territorio della loro giurisdizione, negli atti solenni del culto; in forme piccole, e di materie preziose, viene portata sul petto, appesa al collo, dal Pontefice, dai vescovi e da altri prelati e sacerdoti (c. pettorale). La c. figura sull'abito di parecchi Ordini religiosi. Oltre alla c. a bracci disuguali, si trovano nell'iconografia altre forme di croce: quella, detta greca, a braccia uguali, quella a tau che ricorda più da vicino la forma dell'antica crux col patibulum sovrapposto al palo. Più rara è la pergula a forma di ipsilon. Nella liturgia le c. di dignità dei Legati, dei Patriarchi e dei Metropoliti hanno due bracci trasversali (c. di Lorena), quella pontificia ne ha tre. Pure tre bracci ha la c. ortodossa. Si chiama c. monogrammatica il segno che deriva dal compendium del nome del Cristo in greco, con le prime due lettere intrecciate. Allo stesso modo l'emblema IHC o IHS è il compendium (prime tre lettere) del nome di Gesù in grafia greca. Si celebra la festa della C. due volte l'anno: il 3 maggio e il 14 settembre. La c. fu simbolo anche di altre religioni antiche. Presso gli Egizi fu venerata la c. ancorale, ad arco, considerata segno di buon augurio e probabilmente simbolo della fecondità della natura, dell'immortalità, rappresentazione sintetica di organi sessuali. Presso molti popoli anarî e ariani del bacino del Mediterraneo si venerò, come simbolo solare, la c. uncinata detta, dal sanscrito, svastica o sanvastica. La c. con un uomo alato o un'aquila crocefissa fu adorata dai popoli amerindi (Messico, Perù), ma l'interpretazione e l'origine di questo mito è assai oscura.

Croce, *(aral.) l'emblema della c. è assai diffuso in araldica e vi assume aspetti svariati. Comincia a comparire con frequenza negli scudi al tempo delle Crociate: i cavalieri italiani la rappresentarono di colore azzurro o rosso, i francesi argento, i tedeschi nero, gl'inglesi oro, i sassoni e i fiamminghi verde. Esistono oltre 200 tipi di c. araldiche. Anche molti Ordini cavallereschi hanno come emblema la c. di varia foggia e variamente smaltata. La c. biforcata (otto punte) smaltata di bianco è l'emblema dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme (Giovanniti), detto successivamente di Rodi e di Malta, smaltata di rosso dell'Ordine di S. Stefano, smaltata di verde dell'Ordine di S. Lazzaro; la c. del Calvario potenziata è bianca brissata di rosso, dell'Ordine del Cristo (pontificio e del Portogallo) è rossa e trifogliata, bianca quella dell'Ordine di S. Maurizio, ecc. La c. fu spesso impiegata come simbolo per distintivi al merito o al valor militare. Nel Regno d'Italia, ad esempio, durante la prima guerra mondiale fu istituita una c. di bronzo, detta c. di guerra, da conferirsi ai militari che avevano trascorso oltre 6 mesi in zona di operazioni, e la c. al merito di guerra (contraddistinta da un gladio romano di bronzo attraversante il nastro di azzurro) conferita al valore per azioni minori a quelle meritevoli della medaglia di bronzo al valor militare.

GANDHI

Gandhi Mohandas karamsciand, (1869-1948), detto Mahatma (grande anima), agitatore e capo del nazionalismo indiano, si recò nel 1888 in Inghilterra per studiare giurisprudenza. Conseguita la laurea, trascorse il periodo tra il 1893 e il 1914 nell'Africa meridionale; quivi fu a capo degli Indiani immigrati, e per la salvaguardia dei loro interessi si prodigò con entusiasmo e con spirito di sacrificio. Nel 1904 fondò a Phoenix, sull'esempio del Tolstoi, una colonia agricola; nel 1906 proclamò per la prima volta il satyagraha (resistenza passiva o non cooperazione). Fu questa l'unica arma, del resto efficacissima, cui G. fece ricorso, anche in seguito, nella lunga, estenuante e paziente battaglia da lui condotta per migliorare, dovunque, le misere condizioni dei lavoratori indiani. Ritornato in India nel 1915, si mostrò leale verso l'Inghilterra (che a causa della guerra, stava attraversando momenti difficili), assicurandole l'appoggio del suo movimento, in cambio della promessa di nuove libertà. Finita la guerra la promessa non fu mantenuta, perciò G. fu indotto a proclamare nuovamente il satyagraha. Nel 1920 fondò l'Università del Gujerat, centro di irradiazione dell'ideale nazionale indiano. Nel 1921 proclamò la disobbedienza civile. Condannato nel 1922 a sei anni di carcere sotto l'accusa di alto tradimento, liberato solo nel 1924 per malattia, riprese subito la sua attività proclamando il boicottaggio delle merci inglesi, nel 1930 rinnovò la disobbedienza civile, estesa a qualsiasi attività che fosse in rapporto con il Governo inglese, ma sempre fondata sulla non violenza; arrestato nel 1932, ottenne la liberazione dopo uno sciopero della fame durato 145 ore. La lunga lotta di G., intesa soprattutto al duplice scopo di elevare le condizioni di vita degli Indiani e di dirimere tra essi le differenze imposte da pregiudizi di casta, di razza e di religione, preparando così il terreno alla riconquista dell'autonomia indiana, fu coronata da un luminoso successo nel 1947, anno in cui l'India ottenne dall'Inghilterra lo statuto di Dominion. G. fu ucciso da un fanatico indú il 29 gennaio 1948.

 

 

 

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