Il senatore a vita parla al Gr2 Rai: "Fiducia nella giustizia,
ma dopo la sentenza di ieri sono sconcertato"
Lo sconcerto di Andreotti
"E' uno strano omicido"
"Non si trova chi lo ha commesso, restiamo solo io e Badalamenti"

ROMA - Ieri aveva detto di avere ancora fiducia nella giustizia. Anche se aveva ammesso di fare molta fatica ad accettare quella che ha definito una "tale assurdità". E oggi il sette volte presidente del Consiglio e senatore a vita Giulio Andreotti ripete il concetto ai microfoni del Gr2 della Rai. "E' il mio costume avere fede nella giustizia - dice Andreotti -, ho sempre fatto così, ma dinanzi a una decisione come quella di ieri sono sconcertato".

Dagli stessi microfoni Andreotti sostiene che l'omicidio Pecorelli (per il quale è stato condannato ieri in appello a 24 anni), "E' uno strano omicidio, per il quale non si trova più chi lo ha compiuto". Quindi il senatore a vita si sofferma sul cambiamento di rotta preso dalle indagini, e segnala che con la sentenza di ieri "scompare l'associazione che si era ipotizzata tra mafia e malavita romana, banda della Magliana, rimango io e questo signore che sta nel New Jersey". Vale a dire Tano Badalamenti, il boss mafioso detenuto negli Stati Uniti, che secondo i giudici d'appello di Perugia è il mandante assieme ad Andreotti del delitto compiuto il 20 marzo del 1979.

Come aveva già detto ieri sera dopo aver appreso la notizia della condanna, che ribalta completamente quanto deciso dal processo di primo grado, il senatore a vita si dice "lietissimo che abbiano assolto altre persone, in particolare Vitalone che conosco, e gli altri non li conosco". Che in questo caso sono i boss Giuseppe Calò e Michelangelo La Barbera e l'estremista nero Massimo Carminati, considerato ai tempi del delitto in stretto contatto con la banda della Magliana.

(18 novembre 2002)

Decisione
a sorpresa
di GIORGIO BOCCA

LA CORTE d'appello di Perugia ha condannato a 24 anni per l'assassinio del giornalista Mino Pecorelli l'onorevole Giulio Andreotti e il boss mafioso Gaetano Badalamenti assolvendo gli altri imputati: l'avvocato Claudio Vitalone, il boss mafioso Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. Alla lettura della sentenza, dicono le agenzie, l'avvocato Giulia Bongiorno legale di Andreotti "è crollata sulla sedia". L'avvocato Bongiorno è la stessa che a Palermo, quando Andreotti fu assolto dall'accusa di concorso in associazione mafiosa, si alzò in piedi e gridò "e vai". Ma non sempre va. Mino Pecorelli fu ucciso il 20 marzo del 1979 a Roma. Dirigeva l'Osservatorio politico, un'agenzia di notizie. Stava in automobile, lo finirono a rivoltellate in stile mafioso. Al processo di Perugia dell'aprile '96 l'accusa chiese l'ergastolo per tutti gli imputati ma la Corte li assolse per non aver commesso il fatto. Al processo d'appello del novembre 2002 il procuratore generale Sergio Matteini Chiari ha chiesto la condanna di tutti gli imputati sostenendo che Pecorelli era stato ucciso per ordine di Giulio Andreotti e di Claudio Vitalone perché aveva intenzione di pubblicare parti inedite del memoriale di Aldo Moro. Ora la condanna.

L'onorevole Andreotti ha dichiarato: "Ho sempre creduto nella giustizia e continuo a crederci anche se questa sera faccio fatica ad accettare una tale assurdità". Increduli e indignati gli ex democristiani da Buttiglione, a Castagnetti a Vitalone. Incredulo e indignato anche il cardinale Achille Silvestrini: "Nessuno poteva prevedere una cosa simile, che non si sa come commentare. Fa molto dispiacere specialmente quando si conosce la persona e si sa cosa ha fatto in tanti anni di altissima responsabilità al servizio del paese". A noi sembra che le interpretazioni politiche dei processi rappresentino sempre dei grossi rischi.

Prima di tutto perché i giudici non sono infallibili, e il loro umano giudizio può sempre essere discusso. Quando Andreotti fu assolto a Palermo tutta la stampa governativa e moderata gridò "a Palermo ci sono ancora dei giudici", per dire che era stato smascherato il complotto della magistratura di sinistra e che la sentenza assolutoria smentiva tutte le condanne di Mani pulite. Ora che diranno? Il capo del governo ha già detto la sua "è la vittima di una giustizia impazzita". Anche la giustizia di Perugia che pochi giorni fa l'avvocato Previti, per via del legittimo sospetto, aveva dichiarato preferibile a quella di Milano e di Brescia. A prova che chi sottopone la giustizia ai suoi interessi personali o di gruppo, la rende incredibile.

Il delitto Pecorelli fu certamente un delitto politico: fu ucciso perché non parlasse o perché la smettesse di parlare. E l'esecuzione fu certamente compiuta da sicari della delinquenza organizzata. E come tutti i delitti politici resterà parzialmente misterioso almeno nella esecuzione come lo furono quelli famosi nella storia: Napoleone e il duca di Enghien. Stalin e Kirov, Nerone e Seneca, Mussolini e Matteotti. Chiarissima la responsabilità oggettiva, incerta quella formale. Bastò un'allusione, un cenno raccolto dai cortigiani? Gli esecutori andarono al di là del desiderio del principe? Qualcosa non funzionò nell'esecuzione? La condanna di Perugia è certamente sorprendente almeno nei suoi possibili significati.

Che cosa significa mentre è in corso nel legislativo, in Parlamento, nell'informazione una offensiva generale della destra per ridurre al minimo l'autonomia della giustizia, per impedire la giudice naturale di processare e condannare secondo le sue convinzioni? Un tentativo dei giudici con un esempio clamoroso di difendere la loro autonomia, di rifiutare sospetti o condanne globali come quello di Berlusconi che liquida il caso appellandosi alla follia, non di una persona, ma di un ordine, di un'istituzione. Classica definizione patologica degli autoritari. O questa sentenza significa che la partita della giustizia, primaria per questo governo, non è ancora decisa, che il triplice resistere di Borrelli non era una esortazione solo retorica, che come usa dire la destra quando le sentenze sono favorevoli ci sono ancora dei giudici. Dovrebbe comunque risultare chiaro a tutti, a destra come a sinistra, che la campagna incessante e irresponsabile per denigrare e delegittimare la giustizia sta raggiungendo i suoi funesti risultati: la sua distruzione.

(18 novembre 2002)

LA SCHEDA
Il testo della sentenza

Questo il testo della sentenza della Corte d'assise d'appello di Perugia, con la quale sono stati condannati a 24 anni di reclusione Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti per l'omicidio di Mino Pecorelli.

"In nome del popolo italiano, la Corte di assise di appello di Perugia alla pubblica udienza del 17/11/2002 ha pronunciato la seguente sentenza: visti gli art. 591 e 592 c.p.p. dichiara inammissibile l'impugnazione proposta dall'imputato Claudio Vitalone e lo condanna al pagamento delle spese cui ha dato causa.

Visti gli art. 539, 542, 592, 605 c.p.p., 28 c.p. in parziale riforma della sentenza in data 24/9/1999 della Corte d'assise di Perugia nei confronti di Calò Giuseppe, Andreotti Giulio, Vitalone Claudio, Carminati Massimo, Badalamenti Gaetano e La Barbera Michelangelo, appellata dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia, delle parti civili Pecorelli Andrea, Pecorelli Rosina e in via incidentale, da Pecorelli Stefano dichiara Badalamenti Gaetano e Andreotti Giulio colpevoli del delitto di cui agli art. 110, 575, 573, n.3 c.p. e, concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla circostanza aggravante della premeditazione, esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 112, n.1 c.p., condanna ciascuno dei predetti imputati alla pena di anni 24 di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché al pagamento in solido delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio e di quelle sostenute dalle parti civili che liquida, quanto a Pecorelli Stefano, in euro 24.200, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio civile assegnando al predetto a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, euro 100.000, quando a Pecorelli Rosina, per entrambi i gradi di giudizio in euro 42.900, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, euro 50.000 e, quanto a Pecorelli Andrea in euro 24.200, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva euro 100.000.

Conferma nel resto l'appellata sentenza nei confronti di Calò Giuseppe, Vitalone Claudio, Carminati Massimo e La Barbera Michelangelo. Visto l'art. 544, comma 3/o, c.p.p., considerata la particolare complessità del caso e, conseguentemente della motivazione, assegna il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della sentenza".

(17 novembre 2002)

La corte d'appello di Perugia ribalta l'assoluzione: 24 anni
Stessa sentenza per il boss Tano Badalamenti. Assolti gli altri
Omicidio Pecorelli
Andreotti condannato
Il senatore a vita non era presente in aula
"Continuo a credere nella giustizia"

PERUGIA - Giulio Andreotti è stato condannato a 24 anni per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. La corte d'assise d'appello di Perugia ha accolto la richiesta dell'accusa e ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva assolto il senatore a vita "per non aver commesso il fatto. Con Andreotti è stato condannato alla stessa pena Tano Badalamenti. Confermate invece le assoluzioni per tutti gli altri imputati, compreso l'ex magistrato Claudio Vitalone.

Il primo commento di Andreotti è stato: "Ho sempre creduto nella giustizia e continuo a crederci, anche se questa sera faccio fatica ad accettare una tale assurdità".

Il senatore a vita, come gli altri imputati, non era presente in aula durante la lettura della sentenza. C'erano i suoi tre legali, Giulia Bongiorno, Franco Coppi e Gioacchino Sbacchi. L'ex presidente del Consiglio è rimasto a casa sua a Roma. Non erano in molti a pensare che ci sarebbe stata una sentenza di colpevolezza: l'aula, rispetto a quando ci fu la conclusione del processo di primo grado, era praticamente deserta. Pochi giornalisti, i fotografi e teleoperatori presenti.

Mentre il presidente della Corte stava leggendo la sentenza l'avvocato Giulia Bongiorno, è crollata sulla sedia. Poi è corsa poi fuori dall'aula per telefonare. Rovente la prima dichiarazione dell'avvocato Sbacchi: "E' una follia non ci sono altre parole per commentare questa sentenza". "Una sentenza sconcertante - dice Franco Coppi - Fanno piacere le assoluzioni degli altri imputati ed ora aspettiamo di conoscere le motivazioni della sentenza che riguarda Andreotti". La sentenza - secondo Coppi - sembra delineare "un delitto con i mandanti, ma senza esecutori. In questo modo la sensazione è che siano stati ritenuti attendibili i pentiti".

Sergio Matteini Chiari, procuratore generale di Perugia dice: "Una parte di quella che ho sempre ritenuto essere la verità è stata statuita. Certo se fosse stato esteso l'ambito dei condannati, credo non sarebbe stato niente di inesatto". Tace invece il pm Alessandro Cannevale, il magistrato che ha seguito fin dall'inizio l'inchiesta. "Non ho commentato la sentenza di primo grado, non commento questa - ha detto - Mi sentirò autorizzato a parlare pubblicamente del caso solo quando la sentenza sarà definitiva e passata in giudicato".

E non si sbilancia neanche la procura di Palermo, dove Andreotti è imputato nel processo per associazione mafiosa. "Dobbiamo ancora metabolizzare la notizia che arriva da Perugia", dice il procuratore aggiunto Guido Lo Forte.

"La parte civile ha rispettato la sentenza di primo grado e pretende che sia rispettata anche la sentenza di appello" afferma l'avvocato difensore di parte civile della famiglia Pecorelli, Alfredo Galasso. "L'omicidio di Mino Pecorelli è un omicidio di mafia nel senso pieno della espressione, un omicidio, cioè, che rientra in un sistema di potere che coinvolge interessi concreti di Cosa nostra e interessi politici - aggiunge Galasso - Pecorelli è stato ucciso perchè era un giornalista di inchiesta ed era sul punto di individuare un filo rosso che intercorreva tra gli interessi mafiosi e interessi politici. Filo rosso che la corte di assise di appello di Perugia ha ritenuto provato".

Carmine "Mino" Pecorelli fu ucciso a Roma il 20 marzo del 1979 con quattro colpi di pistola dopo avere lasciato la redazione del suo giornale, "Op". Una prima indagine coinvolse Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti. Nel 1991 furono tutti prosciolti. Nel 1993 il pentito Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, accusò Giulio Andreotti. In base alle dichiarazioni di Buscetta il pm Giovanni Salvi indaga anche Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò. Nell' agosto '93 le dichiarazioni dei pentiti della banda della Magliana, in particolare quelle di Vittorio Carnovale, coinvolgono l'allora pm romano Claudio Vitalone.

Il 17 dicembre 1993 l'inchiesta arriva alla procura di Perugia, competente ad indagare sui magistrati romani. L'11 aprile del 1996 comincia formalmente il processo. Il 30 aprile i pm chiedono l'ergastolo per tutti gli imputati. Il 24 settembre '99 la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati. Il 13 maggio 2002 comincia il processo d'appello. Ora, la condanna per ANdreotti e Badalamenti. Assolti, oltre Vitalone, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati.

(17 novembre 2002)

Buttiglione: "Stupore e sdegno per questa sentenza"
I Ds: "Aspettiamo le motivazioni della condanna"
Berlusconi: "Ultimo stadio
di un teorema giudiziario"
Ciampi: "Nessun commento, ma provo turbamento"

ROMA - Immediate le reazioni del mondo politico alla richiesta di condanna a 24 anni di Giulio Andreotti per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Per il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che in serata ha telefonato al senatore a vita, "Andreotti è vittima di una giustizia impazzita che necessita di un progetto di ricostruzione". "La condanna è l'ultimo stadio di un teorema giudiziario attraverso il quale settori politicizzati della magistratura hanno cercato di cambiare il corso della politica democratica e cercano di riscrivere la storia d'Italia" afferma Berlusconi aggiungendo, tra l'altro, che "condanne e assoluzioni si inseguono impazzite al di fuori di ogni logica e in un contesto giudiziario funestato dalla partigianeria e dall'accanimento". Se sul piano istituzionale, il premier si augura nella decisione della Cassazione, "sul piano politico è decisivo unire tutte le forze democratiche e liberali in un progetto di ricostruzione di una vera legalità e di una vera giustizia emendata da ogni forma di pregiudizio politico".

Dal presidente Ciampi nessun giudizio sulla sentenza di
Perugia, ma "profondo turbamento" per la condanna del senatore Andreotti e "fiducia nella giustizia e nel suo corso". Il Quirinale, da quanto si apprende, "senza voler esprimere alcun giudizio sulla odierna sentenza di Perugia, manifesta profondo turbamento per la condanna del senatore a vita Giulio Andreotti, richiamando il principio sancito dal comma 2 dell' art.27 della Costituzione", cioè quello relativo alla presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva.

"Questa condanna è l'espressione di una giustizia capovolta che cammina a testa in giù e con i piedi per aria" commenta il segretario del Ccd Marco Follini. Critico anche Sergio D'Antoni, leader di Democrazia europea: "Sono senza parole: è un fatto che non si può commentare". Prudente la reazione del responsabile Giustizia dei Ds, Anna Finocchiaro: "Questa condanna rimette in movimento tutta una serie di ipotesi, per cui occorre attendere di conoscere le motivazioni della sentenza". Per il verde Paolo Cento "la sentenza non convince". Per Mario Landolfi di An è sorprendente". Nessun commento alla sentenza, da parte dell'ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi scalfaro: "Non posso nascondere il mio sconcerto perchè conosco Andreotti da oltre 50 anni e ritengo impensabile che sia responsabile di un tale reato. Confido nella prosecuzione del processo".


Più severo invece il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi: "A questo punto nessuno può più nascondersi dietro a formali ossequi all'autonomia della magistratura. Queste sentenze non solo ripugnano alla generalità dei cittadini, ma minano le fondamenta della nostra coscienza nazionale". Il ministro Rocco Buttiglione invece esprime "stupore e sdegno per il tentativo pervicace e reiterato di distruggere moralmente e fisicamente un uomo di Stato".

L'ex pm antonio Di Pietro invita tutti "a tenere i nervi saldi e a non lasciarsi andare a recrudescenze", per il commento di Pierluigi Castagnetti, capogruppo della Margherita alla Camera, la sentenza è "incredibile", mentre Bobo Craxi è lapidario: "Mi sembra una follia". I presidenti di Camera e Senato hanno telefonato ad Andreotti subito dopo aver appreso della condanna.

(17 novembre 2002)