Ciao Luana, finalmente sono riuscito a scrivere qualcosa riguardante, più o meno, la libertà di stampa. Ti allego il file in formato .doc o .rtf, ora vedo un po' io. Dàgli una letta e, se ti sembra ne valga la pena, mettilo sul sito. Mi dispiace molto per il ritardo ma sono impegnato a preparare i progetti che seguirò quando andrò in Chiapas. Anzi, se siete interessati, vi inserisco nella lista di distribuzione mail, lista alla quale spedirò, se potrò, impressioni dalla terra chiapaneca. Ci sono anche molti miei amici e amiche nella lista, quindi potrebbe anche essere che le mail siano più sul privato che sulle iniziative che porteremo avanti, cmq cercherò di farci star dentro un po' di tutto. In ogni caso non saranno molte perché potrò scrivere solo quando sarò a San Cristobal e, per di più, non disponendo di un sintetizzatore vocale (non so se ti avevo detto di essere nonvedente), non sarò in grado di scrivere pagine e pagine di roba. Cmq se vuoi che inserisco il sito del giornale o qualche altro indirizzo e-mail nella lista dimmelo.

Libertà di stampa

di maurizio molinari

Lasciatemi iniziare questo personale contributo riguardante, almeno in parte, la libertà di stampa, partendo un po' da lontano. Lasciatemi inoltre aggiungere che, ovviamente, parlerò per generalizzazioni, poiché, per questioni di spazio,  di tempo e di limitate capacità e conoscenze personali sull'argomento, non pretendo di dare risposte o sentenze definitive ma solo di portare alla luce un'opinione soggettiva; vorrei, per l'appunto, solamente esercitare la mia libertà di stampa.

Come ho scritto sopra, intendo cominciare parlando di qualcosa che, apparentemente, potrebbe non aver nulla a che fare con il soggetto in questione. Riflettendo sulla libertà di stampa o meglio sulla mancanza di tale libertà mi sono chiesto: "In che mondo viviamo?" Rimuginando un po', fra me e me, sono arrivato a una schematizzazione che, seppur riduttiva, mi appariva atta a dare un'idea, per lo meno intuitiva, delle problematiche che ci troviamo quotidianamente ad affrontare. A mio parere, il mondo in cui ci troviamo a operare o meglio, le persone che si trovano a operare in questo mondo, possono essere divise approssimativamente in tre gruppi: del primo fanno parte le hélites dominanti che, pur essendo numericamente poco rilevanti, lo diventano in maniera enorme dato il grande (per non dire assoluto) potere che si trovano a gestire. Purtroppo, secondo me, anche nei paesi occidentali, presi a simbolo di società in cui regna la democrazia rappresentativa, questa democrazia non è che una chimera: le hélites, infatti, costituiscono una casta a se stante, un po' come i filosofi/governanti della Repubblica di Platone e difficilmente possono essere scalzate dalla loro posizione di predominio. C'è da chiarire un problema terminologico: quando parlo di hélites, non mi riferisco solo alle persone che, attraverso le istituzioni e contro ogni principio democratico, detengono il potere politico e svolgono, per l'appunto, la professione di governanti (cosa questa inconcepibile in una vera democrazia, dove non dovrebbero esserci "detentori del potere politico per professione"). Mi riferisco anche, se non soprattutto, alle istituzioni e agli individui che hanno il monopolio sul potere economico, i grandi capitali e i lavoratori rientranti sotto la macabra etichettatura di "risorse umane". All'interno di questo primo gruppo va infine fatta rientrare la seconda classe identificata da Platone nella "Repubblica", cioè quella dei guerrieri. Gli eserciti e in particolare i loro quadri dirigenti con tanto di generali, colonnelli e ufficiali (insieme ai servizi di informazione che gestiscono e controllano) sono parte fondamentale del gruppo delle hélites poiché permettono agli stati di avere l'esclusiva sull'utilizzo della violenza fisica a scopo coercitivo sia nelle controversie internazionali sia per quel che concerne i problemi interni. Fanno forse eccezione i soldati mandati a uccidere e farsi uccidere come carne da macello, di cui restano solo insensati monumenti, giacché non godono dei vantaggi dell'appartenenza alla casta dei privilegiati e, anzi, possono rientrare, in un certo senso, nel secondo raggruppamento che andrò a descrivere.

Il secondo gruppo della schematizzazione che qui propongo è quello numericamente più rilevante, quello delle masse. Si faccia però attenzione: in questo gruppo convivono, seppur con le loro immense differenze, la classe media e lavoratrice dei paesi "industrializzati" e le classi sfruttate sia di queste nazioni che dei cosiddetti "paesi in via di sviluppo" (nei quali includo anche quelli totalmente sottosviluppati). In questo contributo, mi limiterò comunque ad analizzare soltanto la situazione dei paesi industrializzati, poiché non sarei in grado di produrre qualcosa di significativo riguardo gli altri.

Il terzo gruppo, infine, comprende quelle persone, quelle libere associazioni di individui che, in maniera più o meno radicale, pur appartenendo alla massa, credono e si battono concretamente (e sottolineo concretamente, avverbio che esclude da questo gruppo, come vedremo, senza voler fare dell'avanguardismo, i più o meno finti rivoluzionari)per cambiare la situazione, per abolire o ridurre questa rigida divisione in gruppi, in caste, nonostante l'incoerenza nella quale, volenti o nolenti, sono costretti a cadere dal sistema in cui vivono.

Ed è qui che entra in gioco il discorso dell'informazione e della libertà di stampa: perché dobbiamo considerare della massima importanza disporre di questa libertà? Perché, molto spesso, questa viene sistematicamente violata dalle hélites che hanno il potere di farlo? Andiamo con ordine: l'informazione è essenziale per far sì che un sempre maggior numero di persone passi dal secondo al terzo gruppo, cioè dal gruppo che chiameremo "delle masse" al gruppo che chiameremo "dei rinnovatori". Ma, se la situazione viene analizzata dal punto di vista dei potenti, può essere per loro di gran pericolo il potenziale passaggio di un gran numero di persone dalla parte dei rinnovatori: la creatività di ognuno, la grandezza quantitativa del gruppo, la forza derivante dall'essere sempre di più potrebbero, secondo chi è sulla punta della piramide, far crollare questa punta e, in luogo della piramide, far nascere una sfera senza inizio né fine, senza potenti e sottomessi e, a ben pensarci, le hélites dominanti non hanno poi tutti i torti a preoccuparsi. Se, infatti, le masse restano calme, quiete, accondiscendenti, saranno uno strumento nelle loro mani per poter ridurre al silenzio, o al sommesso borbottio se preferite, i membri del terzo gruppo. Qualora, al contrario, si rendessero pian piano conto delle ingiustizie a cui individui, gruppi di persone, intere popolazioni sono sottoposte, le masse stesse acquisterebbero un potenziale rivoluzionario enorme, capace di dare una spallata che potrebbe rompere qualsiasi porta, qualsiasi barriera. Per questo il controllo dell'informazione è fondamentale per il mantenimento dello status quo e per la creazione di un ampio consenso.

Ma cerchiamo di fornire alcuni esempi di controllo dell'informazione che, ovviamente, sono solo delle gocce nel mare della manipolazione: proprio oggi, ho letto sul settimanale "Umanità Nova" (n. 34) che alcuni sistemi di controllo e filtraggio delle informazioni su Internet, come CyberPatrol, creati da società americane per permettere alle famiglie e alle scuole di star tranquille sull'utilizzo della rete da parte dei bambini, negavano l'accesso a siti quali Amnesty International, Kurdish Network, Watch Algeria e molti altri classificandoli sotto l'etichetta di "pornografia". Provate un po' a chiedervi il perché di tutto questo? Dài, non è difficile… Provate a immaginare l'importanza che ha, per la classe dominante, cautelarsi dalla possibilità che i bambini, rappresentanti il futuro di tale classe ma soprattutto il futuro delle masse da dominare, non sappiano, ad esempio, che l'Italia è sotto inchiesta da parte di Amnesty International per i lager chiamati Centri di Permanenza Temporanea o che gli Stati Uniti hanno contribuito in maniera attiva (fornendo il materiale) all'uso di armi chimiche contro i Curdi operato da "udite udite!" Saddam Hussein nel 1988, durante la guerra con l'Iran… Sì, proprio lo stesso Saddam, ora così temuto e duramente combattuto dal regime Bush II, proprio lui è stato armato da Reagan, maestro di Bush I. E queste sono cose che, più o meno, sono venute allo scoperto… Figuratevi quante altre cose non ci vogliono far sapere!

Per citare un altro esempio di non-informazione, pensate a come viene trattato, in questi giorni, l'argomento Social Forum di Firenze: pressoché tutti i politici e i giornalisti italiani, non importa se di governo o di opposizione, stanno cercando di creare tensioni nella gente comune, agitando lo spettro anarchico, lo spettro dei black block, lo spettro di una nuova Genova. Ora, glissando sull'argomento black block perché non è qui la sede per discutere sulle loro strategie di lotta che, a mio parere, seppur inefficaci restano comunque coerenti e legittime, mi piacerebbe ricordare a tutti coloro i quali leggono i giornali, a tutti coloro i quali guardano i TG di Berlusconi-primo-ministro-e-Ministro-degli-Esteri (quelli Rai, per intenderci) e/o quelli di Berlusconi-Presidente-di-Mediaset, che io, così come tante altre persone che conosco, seppure anarchico, non ho mai ucciso nessuno, non ho mai neanche sequestrato nessuno o fatto finire qualcuno all'ospedale per le manganellate in testa (a differenza di qualcun altro, vedasi Gianfranco Fini, Vicepresidente del Consiglio, ex Presidente del Fronte della Gioventù, o gli eroici poliziotti protagonisti dei pestagi alla Diaz, per non parlare dell'assassino di Carlo Giuliani). Ma non limitiamoci a riflettere sul perché si attuino certe generalizzazioni sugli anarchici; andiamo oltre: perché, nelle scuole, non viene trattata (o viene trattata in due minuti e in tre pagine di libro) la storia dell'anarchismo? Perché, parlando con una mia amica molto interessata ai cambiamenti sociali, molto informata su vari aspetti della nostra società (e non solo con lei), ho dovuto realizzare che associava sistematicamente la parola anarchia alla parola caos? Perché non sapeva assolutamente niente sul movimento anarchico? Perché, guardando il TG1 e il TG2 del 5 novembre mi sono dovuto sorbire lo stesso servizio in cui un giornalista che, a dargliela buona, definirei ignorante dire: "A far paura sono i black block e gli anarchici?" E, soprattutto, perché anche tutta la stampa "alternativa" che gira, anche questo mio seppur piccolo contributo, verrà letto solo da pochi "addetti ai lavori", solo da quelli che già fanno parte del terzo gruppo, del gruppo dei rinnovatori?

C'è da rimarcare che, comunque, anche all'hélites fa comodo che ci sia un minimo di dissenso, che ci sia l'apparenza di un'opposizione radicale e potenzialmente innovatrice. Sempre parlando del Social Forum di Firenze, che mi sta qui, sullo stomaco, senza poterlo digerire, all'interno degli organizzatori ci sono molti membri di quelle hélites, travestiti da rivoluzionari o da critici radicali. E il regime da molto spazio ai vari Bové, Agnolotto, Casarini che, per contraccambiare il favore, si offrono volontari per sputar merda su tutti quelli che non la pensano come loro, per fornire una spettacolarizzazione dello scontro di piazza  o per decidere autoritariamente chi abbia il diritto di far parte del cosiddetto "movimento no global" e chi no. Chiediamoci anche il perché di tutto questo, soprattutto alla luce del fatto che, a Genova, furono proprio alcuni fra i disobbedienti, facenti parte delle schiere capeggiate dalla Tuta Bianca trevigiana che, insieme ai provocatori infiltrati (la cui presenza è stata riconosciuta anche dai servizi segreti) crearono i casini più grossi. Altro che i black block! Quelli al massimo sfondavano qualche vetrina, rovesciavano qualche cassonetto e scappavano…

Un ultimo e brevissimo esempio di manipolazione mi è stato suggerito dallo sciopero generale del 18 ottobre: andatevi a leggere i quotidiani del 19 e quelli dei giorni precedenti lo sciopero; andatevi a riguardare i telegiornali e poi spiegatemi perché, quasi nessun mass-media (e rieccoci alle masse) abbia dato spazio ai vari cortei del sindacalismo di base, dando invece un enorme risalto a quelli organizzati dalla CGIL. Eppure a Roma e a Milano erano in decine di migliaia dietro i camion dell'USI, dei COBAS, della FAI…

Ma, in fin dei conti, vi sembra giusta una società in cui un settimanale o mensile autoprodotto, per mancanza di disponibilità economica, non possa raggiungere una tiratura non dico uguale, ma almeno paragonabile ai grandi giornali e alle grandi riviste di cui i dominanti, i vari Berlusconi, Fassino, Rutelli, Bertinotti sono, più o meno nascostamente,  proprietari? E vi sembra giusto che questi settimanali debbano sempre fare i conti con i debiti o, comunque, con situazioni economiche difficili? Mi chiedo se il diritto alla visibilità non sia alla base di ogni democrazia degna di questo nome. Provate a immaginare se un Pinco Pallino qualunque avesse voglia di portare avanti un progetto editoriale alternativo in grande; pensate se questo Pinco Pallino non avesse i soldi per farlo e, però, avesse miliardi di idee nuove e alcuni collaboratori disposti ad aiutarlo. Cosa farebbe il nostro amico? Non potrebbe portare avanti il suo progetto. Allora sarebbe costretto a cercare lavoro in una testata già esistente ma, lì, per le sue idee, non ci sarebbe spazio poiché troppo sovversive, troppo pericolose. E che libertà di stampa è mai questa?

E poi mi chiedo come faccia tanta gente a restare indifferente "quando tutti intorno fanno rumore".

[1] Ma è naturale che restino indifferenti: l'informazione che ci viene instillata è piena di valori quali il possesso di oggetti di lusso, il perseguimento della ricchezza, la spinta sfrenata ai consumi…

Solo che poi alcune persone si accorgono che, guadagnando quindici milioni al mese, non sono più felici di quando ne guadagnavano uno e mezzo e cosa fanno: cercano un'alternativa, una risposta alle loro istanze più profonde. Ed è lì che entra in gioco il controllo dell'informazione: esso si deve prendere cura, in maniera maniacale, di eliminare ogni possibile traccia di eterodossia radicale in modo che quelle persone insoddisfatte o ritornino indietro ai loro vecchi valori come il figliol prodigo narrato nel Vangelo, non avendo trovato nulla di meglio, o arrivino al nichilismo e al cinismo più assoluti, mostrando spregio per la vita propria e altrui (massimo rispetto per i suicidi, comunque). E, quando raggiungono questa condizione di cinismo/nichilismo, quando compiono atti estremi, antisociali, sono definiti psicopatici dalla stessa società che ha generato la loro psicopatìa.

Ma allora, quale può essere il compito di chi vuole realmente fornire alternative, di chi realmente vuol far sentire forte e chiaro che, aldilà dello slogan ormai diventato luogo comune, "un altro mondo è possibile"? Quante possono essere le sue, le nostre possibilità di far passare il messaggio? Anche in questo caso, la situazione appare molto complessa: se, da un lato, il diffondersi di Internet permette un sempre maggiore interscambio di informazioni, offrendo un potenziale di mobilitazione delle masse che non ha precedenti, dall'altro dobbiamo infrangere l'illusione della rete vista come medium non gerarchico, latore di possibili comunicazioni orizzontali, di possibili rapporti non autoritari, insomma di grande libertà. Infrangere l'illusione non equivale ad asserire che questo sia totalmente falso. Ci sono però da sottolineare alcuni fattori, molto rilevanti, che non rendono questa illusione neanche totalmente vera: primo fra tutti il fatto che le grandi dorsali telematiche, attraverso le quali i dati ch vogliamo far passare vengono trasmessi, sono di proprietà delle grandi multinazionali (americane e svizzere in particolare) che, ovviamente, non perseguono il fine di un cambiamento dello status quo. Inoltre, anche la maggior parte dei motori di ricerca che ci permettono di orientarci nell'infinità di materiale che abbiamo a disposizione su Internet, sono gestiti dalle grandi major e questo vuol dire che, attraverso complicatissimi sistemi di censura/selezione, sono queste major che controllano quali siano i siti più visitati, che scelgono quali siano i più visitabili… Ultimo in ordine di elenco ma primo in ordine di importanza, c'è il grande controllo a cui siamo soggetti quando navighiamo in Internet o quando vogliamo scambiarci materiale via e-mail. Non è più ormai un segreto che il sistema satellitare Echelon, fatto passare per anni dagli Anglo-Americani come una rete di spionaggio industriale, serva a controllare i nostri messaggi di posta elettronica, i siti a cui accediamo più spesso, le telefonate che facciamo. Insomma, la privacy su Internet non è che una chimera! E' vero, finché non diamo troppo fastidio ci lasciano fare, ma quanti compagni e non sono stati arrestati per possesso di riviste o materiale elettronico "illegale"? Quanti computer sono stati perquisiti?

Nella mia disamina sommaria sull'argomento ho volutamente tralasciato la disinformazione su quel che riguarda il terrorismo e le guerre (argomenti molto di moda al giorno d'oggi) perché, su queste tematiche, si dovrebbero scrivere pagine a parte. Probabilmente è proprio affrontando quei temi che il sistema ha dato miglior? prova di sé ma, come ho detto, non ritengo che questa sia la sede adatta per discuterne.

In conclusione, cosa può fare, praticamente, ognuno di noi o almeno cosa possono fare quelli che sono realmente intenzionati a portare uno spiraglio di luce nell'oscurantismo dell'informazione? Prima di tutto è fondamentale denunciare tutte le mistificazioni, dalle più palesi alle più subdole e nascoste. A proposito di mistificazioni nascoste, mi vengono in mente due esempi tratti dal palinsesto di Radio 1: dalla nomina del nuovo CDA Rai, due trasmissioni ("Golem" di Gianluca Nicoletti e "Con parole mie" di Umberto Broccoli) hanno subito dei tagli sostanziali, seppur poco visibili. E dire che, se Nicoletti può essere considerato dal regime un pericoloso estremista perché si permette di criticare l'aberrante lavaggio dei cervelli portato avanti dalla televisione in Italia, Broccoli non è certo il miglior cavallo di razza della rivoluzione. Eppure ho notato come l'ex archeologo, l'appassionato di classici, insomma l'Umberto nazionale (Bossi a parte) sia diventato molto accondiscendente da un po' di tempo a questa parte, facendo spesso richiami al più becero nazionalismo (riascoltate la puntata di "Con Parole Mie" del 4 novembre) o sottomettendosi servilmente a quello che dice il Presidente della Repubblica Ciampi e prendendo i suoi discorsi come oro colato. Beh, resta il fatto che due trasmissioni che cercavano (o cercano?) di dare qualcosa di innovativo ai "distratti" ascoltatori della radio, vengono sistematicamente tagliate per offrire musica leggera, nel vero senso del termine, cioè disimpegnata o programmi riguardanti il turismo di massa.

La seconda operazione concreta che possiamo fare, oltre alla denuncia, è il far circolare sempre più, attraverso Internet, i media di comunicazione alternativa, il passaparola tra amici e conoscenti e quant'altro, informazioni su possibili alternative di vita, su nuove proposte di cambiamento/sovversione del sistema. Mi chiedo, per esempio, perché si sia parlato tanto della crisi economica Argentina e si sia invece quasi sorvolato, almeno per quel che riguarda i grandi organi di comunicazione, sulle alternative proposte dal basso, dalla società civile di quel paese per uscir fuori dall'impasse causata dagli scellerati interventi del FMI e dal capitalismo sfrenato. Perché non si parla delle fabbriche autogestite e trasformate in cooperative, dove c'è un'equa ripartizione dei guadagni o dove, al massimo, c'è una differenza di quattro volte fra chi guadagna di più e chi di meno? Per spiegarmi meglio perché non si dice che questo equivarrebbe, se trasportato in Italia, a dire che Berlusconi, presidente di Mediaset, guadagnasse solo quattro volte di più dell'ultimo dei suoi dipendenti? E non venitemi a dire che è una cosa diversa perché Mediaset è una grande industria che tanto questo già lo so; resta però evidente che di tutto ciò non si parla perché rappresentano un pericolo, così come il fascino dell'anarchismo di cui ho parlato sopra. Come diceva Berckman "ogni persona dotata di sensibilità e umanità non può che provare simpatia per gli ideali anarchici". Ma questo è vero finché l'informazione è obiettiva, finché non si fa la caccia al mostro.

Un'ultima cosa che mi viene in mente, e che tutti noi possiamo fare (non perché le tre opportunità che ho elencato esauriscano la gamma delle azioni possibili, ma piuttosto perché non voglio dilungarmi oltre e anche poiché spero che ognuno elabori le sue strategie), è il cominciare a parlare sempre più di cose "serie", di cose veramente importanti. Bisognerebbe far capire alla maggioranza di noi che non è essenziale sapere se il matrimonio di Tom Cruice e Nicol Kidman si è rotto o quale abiti andranno di moda nell'autunno/inverno 2003 e neanche quali sono le ricette da cucinare per il pranzo di Natale e di Pasqua (tutti argomenti ampiamente trattati da giornali e rotocalchi sia cartacei che televisivi) ma piuttosto parlare, senza retorica ma anche senza falsi buonismi e assegnando chiaramente le responsabilità sia alle hélites che a noi masse compiacenti, dello sfruttamento, delle disuguaglianze non solo in paesi lontani, ma anche qui da noi. Rendere tutti più partecipi dei possibili cambiamenti, delle cose che non vanno, anche a costo di passare per estremisti, per persone noiose che prendono tutto "troppo sul serio", che agiscono perché troppo segnati dalle loro idee e convinzioni. Questo mi son sentito dire da una ragazza appena conosciuta ma non mi importa: io, in ogni cosa, in ogni piccola ingiustizia che vedo vicino a me, ci vedo riflesse le grandi ingiustizie a livello regionale, nazionale e mondiale e sento di doverle combattere, non tanto per gli altri, quanto per me, perché mi fanno star male. E la stampa in senso lato è uno dei mezzi per svegliarci, per combattere, per resistere.



[1] Frase liberamente tratta da una canzone di Battiato di cui ora non ricordo il titolo.