Serge Latouche

PARIGI «Non andrò a Firenze perché avevo già preso altri impegni. Ma il mio cuore sarà lì». A parlare così è Serge Latouche, professore emerito di economia all'Università Parigi Sud. Attento osservatore delle forme di autorganizzazione della vita di diverse popolazioni africane e critico severo dei connotati e dei demeriti della civiltà occidentale, lo studioso è molto noto anche in Italia dove i suoi libri sono stati tradotti e pubblicati da Bollati Boringhieri.


Professor Latouche rispetto a "Il pianeta dei naufraghi", arrivato anni fa nel nostro paese, come si è arricchita la sua ricerca sui processi di emarginazione che affliggono il pianeta? Nei decenni passati, le analisi, le polemiche e le decisioni politiche erano dominate dalla contrapposizione Nord-Sud. Oggi questo binomio è ancora una chiave di lettura efficace?


«Basta consultare i rapporti preparati dalle Nazioni Unite per dare alla sua domanda una risposta positiva. Lo scarto dei redditi tra i paesi del Nord e quelli del Sud si è allargato. È vero, assistiamo a una mondializzazione culturale nel senso che tutti dobbiamo parlare inglese, mangiare hamburger, indossare jeans, vedere film e telefilm americani. Lingue e culture locali spariscono e quel che resta diventa merce, oggetto di folclore. Ma sul fronte dell'economia le diseguaglianze tra paesi e poi all'interno dei singoli paesi si sono accresciute. Direi di più: assistiamo a forme di impoverimento relativo e non mi sento di escludere anche forme di impoverimento assoluto. Faccio un esempio: si parla del miracolo cinese e non c'è dubbio che oggi i contadini di quel paese non siano più devastati dalle inondazioni o dalla fame. Ma chi calcola il costo dello sradicamento dalle campagne, della perdita di valori e di culture, del deperimento delle antiche forme di solidarismo? Mi preme però sottolineare questo dato: la mondializzazione crea disoccupati e sradicati, emigrati e rifugiati. Ma dietro la logica della mondializzazione c'è, nello stesso tempo, un accrescimento di quelle che io chiamo le "situazioni diverse". Penso alla mia esperienza africana dove ho visto popolazioni capaci di organizzarsi in maniera del tutto autonoma, dando prova di una creatività culturale e tecnico-economica veramente ingegnosa».


Lei è uno studioso e anche un ammiratore di quella che definisce la "società del cavarsela", un fenomeno che appunto sembra essenzialmente africano. Ma è difficile pensare che un modello del genere possa funzionare per fare fronte ai problemi che affliggono l'Occidente.


«L'Occidente, l'imperialismo occidentale, porta la responsabilità gravissima delle differenze, degli squilibri. Ha distrutto i modi di vivere tradizionali dei popoli del Sud, ne ha destabilizzato anche i meccanismi di controllo demografico con il risultato che i flussi emigratori non si fermeranno.Ha inventato e imposto gli stati nazionali laddove la vita era organizzata su basi di appartenenza etnica creando così il fenomeno dei rifugiati, anche esso destinato a non fermarsi».


Non sarà solo responsabilità del mondo ricco. Ci saranno pure state delle responsabilità locali...


«Sì, quelle delle élites che sono diventate complici dell'imperialismo. Per sopravvivere».


La sua analisi del Nord del mondo è molto severa. Non ci sono speranze di salvezza?


«L'Occidente vive una crisi profondissima, è simile a un bolide che corre all'impazzata senza autista e senza freni. Siamo sull'orlo della catastrofe. Evitarla sarà molto difficile. Ma dobbiamo riuscirci. Per noi occidentali e per il resto del mondo».


Ci sono iniziative possibili?


«Io vedo tre percorsi possibili. Innanzitutto mi pare che per noi che viviamo in Occidente ci sia una necessità di sopravvivenza, il che significa accettare compromessi, senza per questo venir meno alle nostre più radicate convinzioni. Credo poi profondamente nella efficacia dei movimenti di resistenza come questo Forum di Firenze. Avendone però ben chiari i limiti. La contestazione antimondializzazione è tutta e solamente occidentale. Non vi prende parte la Cina, non vi prendono parte l'India o il mondo islamico. E gli africani che vi vengono coinvolti sono nostri amici occidentalizzati ai quali di solito paghiamo il biglietto. Infine la mia piena fiducia va a tutte le iniziative che chiamo di dissidenza e che spingono a sperimentare modi di vita diversi, alternativi. Penso alla Banca etica, al commercio solidale, alla crescita del Terzo settore, alla protesta ecologica. Credo molto alla possibilità che da queste iniziative diffuse, dal "basso", possano scaturire un modo di vivere diverso, un'altra civiltà».