Adriano Sofri,
Gino Strada ed il pacifismo Di Mao Valpiana * Non vorrei che un serio dibattito sul pacifismo venisse trasformato nella solita lite da pollaio. Aldilà della polemica, e delle etichettature sbrigative (Strada pacifista-puro, Sofri pseudo-pacifista), bisogna saper leggere bene quello che è stato scritto. Gino Strada, nel suo appello, dice che "non ci può essere guerra in nome dei diritti umani"; Adriano Sofri, nel suo articolo, dice che "l'uso della forza serve ad impedire ulteriori massacri". Non mi sento in contraddizione nell'essere d'accordo con l'uno e con l'altro. Il centro di questa discussione credo stia proprio nei due termini "guerra" e "forza". Essere contro la guerra non significa escludere la forza. Ma per fare questa distinzione bisogna aver chiara anche la diversità fra il generico pacifismo e la nonviolenza specifica. Infatti, la nonviolenza gandhiana si basa proprio sull'uso della forza per combattere la violenza. La verità contro la menzogna; la legge dell'amore contro la legge della giungla. La nonviolenza, diceva Gandhi, è per i forti, non per i deboli. E nella ricerca esigente di una purezza nonviolenta, si spingeva anche più in là: se la nonviolenza assoluta non è ancora possibile, cerchiamo almeno di raggiungere il minor grado possibile di violenza. Spesso faceva l'esempio (purtroppo attualissimo) di un cecchino che spara sulla folla. Per fermarlo (se necessario, abbatterlo) bisogna usare una forza che serve ad evitare una violenza maggiore. Questo, naturalmente, vale anche su scala mondiale. Bisogna fermare i dittatori (o i terroristi) e soccorrere le vittime. Chissà quante volte in gioventù Sofri si è sentito dire che l'estremismo è la malattia infantile del comunismo. Oggi, parafrasando, si potrebbe dire che il pacifismo è la malattia infantile della nonviolenza. Per uscire dall'apparente contraddizione fra chi è sempre, e comunque, contro la guerra e chi è favorevole, a volte, ad azioni di forza, bisogna saper vedere la differenza che c'è tra la guerra e un intervento armato; tra un esercito e una polizia internazionale. I nonviolenti sono sempre stati favorevoli alla Legge e alla Polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E' per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander Langer, sia sul fronte del Diritto e dei Tribunali Internazionali, sia per l'istituzione di Corpi Civili di Pace. Da sempre i nonviolenti chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a tutela della parti lese, per disarmare l'aggressore e ristabilire il Diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, i nonviolenti sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva), contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i bilanci militari e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di coscienza. La proposta politica dei nonviolenti non è l'utopia del disarmo mondiale, bensì il realismo del disarmo unilaterale. Vogliono uno stato che rinunci al proprio esercito militare, e si impegni a fornire mezzi, soldi e personale per la polizia internazionale sotto egida delle Nazioni Unite. Insomma, dire no alla guerra quando questa è scoppiata, non serve a nulla; bisogna lavorare prima per prevenire il conflitto armato. Innanzitutto abolendo gli eserciti e dotandosi invece degli strumenti efficaci per fermare chi la guerra la vuole fare comunque. La storia è piena di esempi. Auspico che nel movimento si sviluppi un'approfondita discussione sul tema "dal pacifismo alla nonviolenza"; ringrazio Sofri e Strada per averla avviata. A chi voglia affrontarla seriamente consiglio la lettura del testo "Sui conflitti e sulle guerre" di Simone Weil (disponibile presso la Redazione di Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona; mail: azionenonviolenta@sis.it
|