Libertà di
critica e non violenza FERMARE LA CATENA DI VIOLENZA E RIFLETTERE SU COSA FACCIAMO" Terzani torna dall'Himalaya per "annusare quei dettagli che poi diventano storia" Dopo una vita trascorsa a inseguire le guerre, è stata l'ultima - quella in Afghanistan - ad indurlo a tornare dal suo ritiro himalayano per gridare il suo "no" a tutte le guerre. E' Tiziano Terzani, giornalista e scrittore, che ha spiegato così la sua scelta nel corso del dibattito su "libertà di critica e non violenza" organizzato dalla Regione Toscana. "Pur venendo da percorsi completamente diversi - ha detto Terzani - mi ritrovo adesso sulla stessa strada di molti altri. Con la guerra in Afghanistan abbiamo reagito con un'altra violenza ad una terribile violenza, con una guerra di bugie che non ci hanno fatto vedere e che serve ad eliminare il diverso e a spaventare la Cina". E lui è di nuovo in Italia per continuare a fare "l'unica cosa che so fare" cioè "annusare quei piccoli dettagli che poi diventano storia". E allora Terzani ha lanciato un invito a riscoprire l'etica nella nostra vita quotidiana e si è detto fiducioso perché incontrando gli studenti nelle scuole ha trovato "un'altra bella Italia, diversa da Berlusconi". Il giornalista ha detto di essere passato, lui uomo di sinistra, attraverso molte delusioni, sul modello cinese, su quello russo, sulla scommessa vietnamita e di essersi convinto che il motto machiavellico del fine che giustifica i mezzi sia sbagliato. "Interrompiamo - ha precisato - questa catena di violenza e fermiamoci a riflettere. Anche se diventare un parà della pace è molto più difficile che diventare un soldato, dobbiamo riuscire a vincere la violenza che è dentro ciascuno di noi". A chi gli chiedeva cosa sia il terrorismo, Terzani ha risposto che è sia il gesto di chi mette una valigia piena di esplosivo in un ristorante, sia quello di chi impone un progetto di sviluppo che fa violenza. Ha citato l'esempio della Union Carbide che alcuni anni fa provocò a Bophal in India 20.000 morti per aver costruito una fabbrica chimica che poi esplose contaminando l'ambiente. "La casa che abbiamo costruito - ha concluso Terzani lanciando un appello ai molti giovani presenti in sala - sta bruciando, ma c'è tanta gente in cammino lungo la strada di chi vuole cambiare. Cercatela e facciamo tutti insieme un piccolo passo". (tc) Fiat, la rabbia operaia |
Firenze oggi
è capitale di pace Oggi la grande manifestazione contro la guerra all'Iraq e contro tutte le guerre. Previste 200.000 persone. Con il movimento, in piazza tutta la sinistra e la Cgil. E già ci si dà appuntamento al 10 dicembre, con Emergency COSIMO ROSSI INVIATO A FIRENZE
|
Retorica
vergognosa di EUGENIO SCALFARI LA RETORICA
di Oriana Fallaci è spontanea, autocreativa. Il suo caso
non è certo unico ma è raro: fino a un secolo fa la
retorica si studiava ancora in certe scuole e fino al
Settecento era materia d'obbligo in tutta Europa per chi
volesse addottorarsi in diritto, filosofia, teologia.
Oriana però non ha avuto bisogno di nessun retroterra
accademico, la sua retorica promana dai flussi di
adrenalina che debbono essere miracolosamente efficaci se
producono i frutti che conosciamo dai suoi articoli,
dalle sue interviste e da almeno qualcuno dei suoi libri. Un altro elemento della sua
retorica che bisogna tenere in conto: la Nostra non
sopporta alleati, la guerra è la sua e lei deve esser la
sola a combatterla; perciò mentre attacca il nemico
mondiale non manca mai di riservare qualche trafelato
periodo anche ai suoi potenziali amici, soggettivi o
oggettivi che siano, affinché si guardino bene
dall'intervenire accanto a lei. Lei è l'Unica, riassume
in sé tutto il Bene del mondo in lotta contro il Male. |
La leggenda
del santo tornitore di Sergio Cofferati Ignacio era un tornitore, militava nella formazione giovanile del Partito des Trabajadores, insieme ad un altro giovane: Enrique Cardoso. Poi le loro strade si divisero, Ignacio restò il radicale rappresentante dei lavoratori metalmeccanici della Cut e poi divenne il (radicale) leader del P.T. Cardoso invece si moderò, spostò la sua collocazione verso il centro politico, divenne riferimento della borghesia e degli imprenditori brasiliani ed ancor di più delle multinazionali americane ed europee. Le loro strade tornarono ad incrociarsi quando si contesero il consenso popolare per lelezione a Presidente del Brasile. Vinse Cardoso, la prima volta, con il sostegno delle forze economiche brasiliane (e con quello più decisivo degli Stati Uniti). Il tornitore li spaventava. Nei primi anni della Presidenza Cardoso incominciò (e proseguirà nel secondo mandato) il più rilevante spostamento di ricchezza immaginabile tra le classi sociali brasiliane. I due ex compagni di partito si scontrarono di nuovo, per la seconda volta, alla scadenza del primo mandato presidenziale di Cardoso. Rivinse lui, il blocco di interessi che aveva cementato era granitico. E il tornitore faceva paura, così radicale e sanguigno. Uscito di scena Cardoso, dopo otto anni, il tornitore Ignacio ci ha riprovato e ha convinto una precentuale altissima di suoi connazionali che lo hanno votato. Perché Ignacio non fa più paura? Chissà. O forse la paura non è sufficiente a condizionare la volontà di tanti brasiliani? Difficile dirlo, ma non si può escludere che il bisogno di rilanciare leconomia brasiliana per evitare un disastro immane dopo quello argentino valga il «sacrificio» di accettare Ignacio il tornitore da parte della finanza internazionale (e di conserva, di quella brasiliana). È lecito anche pensare che il popolo brasiliano si sia stancato (o forse di più) delle politiche economiche e sociali dei moderati. Che le disuguaglianze abbiano spinto molti a reagire, a non accettare più il condizionamento della propaganda dei centri di potere finanziario. E ritenere che forse è meglio tentare di cambiare con lesperienza e lentusiasmo dellex sindacalista piuttosto che sottostare a condizioni sempre meno vivibili con la pallida ombra del candidato di Cardoso (e del Fmi). Ignacio ora deve tranquillizzare tutti, ma lo farà con saggezza, come già si vede. Spiegherà con fermezza agli uomini di finanza e agli imprenditori che conviene a tutti risanare e contemporaneamente far crescere leconomia. Produrre, consumare (tre pasti al giorno) per poter anche esportare. Il tutto riconoscendo priorità e diritti ai più poveri. Ignacio è di sinistra e non se lo è mai scordato, in nessuno dei suoi quattro tentativi. La sinistra italiana lo ha calorosamente salutato (dopo la vittoria). Prima aveva preferito accreditare Cardoso come «riformista» (ricordate Firenze tre anni fa?). Ora, forse, forse, forse spira un altro timido venticello. |
08.11.2002
Cristiani e pacifisti: che c'entra Pol Pot? di Piero Sansonetti Padre Tonio Dell'Olio è il direttore di Pax Christi. Cioè è al vertice di un'organizzazione cristiana molto seria, impegnata, alla quale - in Italia - aderiscono diverse di migliaia di persone, e che ha associazioni in tutto il mondo. Il presidente è il vescovo di Gerusalemme. Ieri, a un certo punto, padre Dell'Olio si è messo a gridare nel microfono con tutto il fiato che aveva in corpo. Chiedeva: «Che cazzarola c'entro io con Pol Pot?». Ce l'aveva con una trasmissione tv del giorno prima - seconda rete, Tv pubblica - nella quale si erano paragonati i no-global di Firenze ai massacri del dittatore cambogiano. Padre Dell'Olio dice che dopo la trasmissione gli ha telefonato la madre, che è una signora anziana, era preoccupata. Gli detto: «Figlio mio, ma cosa state facendo a Firenze? Ci sono dei massacri?». Padre Dell'Olio è pugliese e ha un'oratoria trascinante. Molto ironica, tagliente. È stato travolto dagli applausi. Anche quando ha attaccato la polizia per Genova, i giornali per le menzogne e l'incapacità di capire il movimento (ha proposto il boicottaggio dei giornali di destra e del "Riformista"), e i capitalisti - anzi l'«impero - che ci teme non perché sfasciamo le vetrine ma perché siamo tanti e siamo seri». Questo per spiegare bene che chi cerca le voragini che dividono il movimento tra buoni e cattivi, anarchici e cattolici, preti e comunisti, ghibellini e guelfi, cerca voragini che non ci sono. Giovedì, ad ascoltare l'assemblea sulla pace che si è svolta nel primo pomeriggio al Palacongressi gremito fino all'inverosimile (almeno duemila persone stipate, più altrettante che non sono riuscite ad entrare), si capiva bene che il "radicalismo", per usare una parola semplice, che caratterizza questo movimento, è molto vasto, e il mondo cattolico ci sta dentro fino al collo. L'assemblea sulla pace è stata una delle più importanti. È durata tre ore, ci sono stati 32 interventi. Hanno parlato laici, cattolici, scout, preti, medici ed economisti. Ha parlato anche una signora americana che ha perso il fratello, Bill, che lavorava al centoseiesimo piano della Torre nord di New York. L'assemblea si è svolta in un clima di grande entusiasmo ma la discussione è stata molto seria. Don Ciotti, Gino Strada e padre Zanotelli sono i tre che hanno suscitato le ovazioni più grandi. Però quello che colpiva di più è che tutti i discorsi, anche quelli di oratori poco conosciuti, sono stati ascoltati in silenzio perfetto: coi taccuini degli appunti in mano e senza che neanche una persona lasciasse la sala prima della fine. La seconda giornata dei dibattiti e dei seminari è stata caratterizzata dall'aumento della partecipazione. Che alla fine ha portato vicino al collasso l'organizzazione, che pure è fortissima. Nessuno però si aspettava un'affluenza così grande. Ci saranno cinquantamila persone. Alle sei di sera le cinque aule dei dibattiti principali erano tutte strapiene, e la gente restava fuori, non poteva entrare. Sono sale-capannone, lunghe settanta-ottanta metri e larghe quaranta , contengono migliaia di persone. Poi ci sono le aule più piccole, circa una ventina. Anche quelle piene zeppe. La mattina c'era stato l'arrivo di Epifani, che è stato accolto con molto calore e si è fermato a parlare coi giornalisti pronunciando parole di affetto verso i no-global. Ci sono anche molti dirigenti dei Ds, alcuni impegnati nei dibattiti (come il sindaco dei Ds Domenici), altri - per esempio Gianni Cuperlo, uno degli uomini più vicini a D'Alema e a Fassino - che ascoltano e seguono con grande attenzione i vari seminari e le assemblee plenarie. Oggi al corteo dovrebbe essere presente gran parte del gruppo dirigente della sinistra Ds, ma ci sarà anche una delegazione della segreteria e probabilmente ci sarà Cofferati. Sarà interessante vedere che accoglienza riceverà. Per il momento l'uomo politico più popolare è sicuramente Bertinotti. Giovedì ha parlato al dibattito su partiti e movimenti, ma prima ancora che parlasse, appena è entrato nella sala, ha ricevuto una standing ovation di diversi minuti. La gente applaudiva e cantava "Bella Ciao". Il suo discorso è stato interrotto decine di volte da applausi scroscianti. Bertinotti ha parlato della necessità di fare politica, «politica come azione durevole» (citazione di Che Guevara) e ha detto che la grandiosità di questo movimento è proprio quella di avere rimesso in moto la politica che era scomparsa dalla scena. Poco prima, all'interno della Fortezza, alla conclusione di uno dei seminari del primo pomeriggio, al quale tra gli altri c'era Luca Casarini, si è formato un corteo di inglesi, quelli di "Globalize resistence", che il governo aveva segnalato tra i "cattivi". Invece sono stati buonissimi, anche se ritmavano uno slogan un po' eversivo: «A- Anti- Anti-capi-talism». Il seminario sulla pace è stato particolarmente importante perché è avvenuto mentre l'Onu deliberava l'ultimatum a Saddam, e dopo le elezioni in Usa i tamburi di guerra rullano forte. Luigi Bobba, presidente delle Acli - non sospettabile di far parte del blocco nero - ha detto che le notizie che vengono dall'America sono pessime notizie e che lui non ha paura di essere considerato anti-americano, e che l'Italia deve rispettare l'articolo 11 della costituzione, quello che ripudia la guerra. Anche Strada, Ciotti, Zanotelli, Flavio Lotti (che presiedeva il dibattito) e quasi tutti gli altri hanno insistito sull'articolo 11. Zanotelli ha criticato D'Alema per averlo messo in discussione. Zanotelli ha attaccato in modo durissimo Bossi e Fini per la legge anti-immigrati. Ha detto che Bossi vorrebbe rendere obbligatorio a scuola il «crocifisso morto» e poi sparare ai «crocifissi vivi», cioè agli extracomunitari. Ha dato delle cifre. 50 miliardi di dollari all'anno che i paesi poveri danno ai ricchi come interessi sul debito («non solo noi non li aiutiamo, sono loro che aiutano noi...»); 750 miliardi di dollari all'anno che Europa e Usa spendono per armarsi; 13 miliardi all'anno (venti volte meno delle spese militari) che basterebbero per debellare la fame nel mondo. Zanotelli è stato applaudito per tre minuti. Si è commosso e imbarazzato. Ha messo la testa tra le mani, l'ha piegata sul tavolo ed è rimasto immobile. Gino Strada ha parlato quasi per ultimo. Ha attaccato i giornali (i «giornali spazzatura» i «giornalisti penne vedute») ce l'aveva particolarmente col "Corriere della Sera". Ha detto che nella classifica della libertà di stampa l'Italia risulta quarantesima, subito dopo il Mali. Ha preso in giro i giornalisti che dicono che lui vuol fare un partito. Ha detto: «in politica lo scontro non è tra i partiti, è tra chi ha i principi e chi ha i soldi». 06.11.2002 |