Costanzo
a Santoro «Ti ospito a Canale 5» E lui: rischio ma
verrò
- DA
UNO DEI NOSTRI INVIATI
ORVIETO - Lo aveva detto forte e chiaro, pure
troppo. E dalle telecamere della concorrenza ( Sciuscià
, ultima puntata, 24 maggio
2002): «A Mediaset siamo più liberi che alla
Rai». Ora Maurizio Costanzo vuole dimostrare che
è vero.
E invita in trasmissione ( Costanzo
Show , prima puntata di
stagione, lunedì 23 settembre 2002) il
«disoccupato» Michele Santoro. Che nella tv di
Stato non trova collocazione. Ed è anche sotto
procedimento disciplinare. Proprio per quella
serata condotta in duo con il collega di Canale
5, seguita da lettera di contestazione del
direttore generale Agostino Saccà per «uso
personale e privato della Rai».
La chiamata (temporanea) in Mediaset non è
segreta. Costanzo lha fatta in pubblico, ed
era in tema, durante il convegno su
«Informazione televisiva tra pluralismo e
monopolio» ieri mattina ad Orvieto alla Festa
nazionale della Margherita (con Giovanni Sartori,
Luigi Zanda, Antonio Maccanico, Paolo Gentiloni).
«Michele, vieni al Parioli che ci facciamo metà
trasmissione». Linteressato accetta con
riserva. «La questione è delicata, devo stare
attento», spiega Santoro. «Si tratta sempre
della tv rivale, e prima di andarci a parlare di
Rai, visto che sono sotto inchiesta interna e
rischio pure il licenziamento, devo valutare.
Comunque sì, ci vado».
Il suo futuro nellazienda di Baldassarre è
ancora nullo. Lo spazio di informazione di
Raidue, il giovedì sera, è preso (da Stalker
di Antonio Socci).
«Vediamoli poi come sono questi altri
programmi», provoca Santoro. «Che poi la
questione della mancanza di spazio è la più
falsa di tutte. Ormai la stagione dura sei mesi.
Potrei andare in onda gli altri sei che Vespa non
cè. Raiuno non è la mia rete? Faccio
parte di quella divisione, perché no?».
Quanto a Costanzo, lospite scomodo (che
anche ieri ha ribadito: «Berlusconi impedisce
ogni concorrenza, almeno il fascismo creò
Cinecittà e la radio») non lo preoccupa.
«Venga che da me non succede niente. Ne ho fatte
di peggio, prima o poi mi cacciano, ma intanto.
Lui ha cantato Bella Ciao ,
io canterò Contessa .
Non lo faccio per Michele, ma per la libertà di
informazione di tutti. Però è ingiusto che non
lo facciano lavorare, in tv è straordinario.
Perché prendersela con lui per quella mia frase?
Lo pensavo, lho detto. Che doveva fare,
Michele, schiaffeggiarmi in diretta?».
Intanto il conduttore in sospeso di Sciuscià
ci riprova. Dopo Telesogno
(progetto del 1993 con Costanzo), rilancia con
Tele-impossibile. «Inutile aspettarsi una
riforma da Silvio Berlusconi. Se i diritti in Rai
non verranno ripristinati, creiamo una voce
diversa, non un terzo polo, anche una piccola tv,
chiamando a raccolta le energie migliori del
Paese, sfruttando gli spazi che ci restano. Noi
siamo pronti».
corriere
della sera 15 settembre 2002.
14.09.2002 La sinistra si
ritrova unita in platea.
Tutti insieme
ad applaudire la «società civile»
di Antonio Iovane
Stavolta i politici stanno alla
finestra, e la finestra è la platea sotto il palco. Sono
lì Fassino, Bertinotti, Rutelli, Pecorario Scanio e
tutto il centrosinistra. Per ascoltare Moretti e i
girotondisti che si alternano sul palco. Alcuni sono un
po spaesati tra la folla. Altri, invece, si
rilassano: per una volta parlare non è compito loro.
Tutti, comunque, daccordo: i girotondi hanno una
funzione importante per la crescita del centrosinistra. E
coloro che con la piazza dei girotondi non hanno troppa
familiarietà, magari, mandano a dire che quella di San
Giovanni è «una grande manifestazione, molto bella e
colorata» e il discorso di Moretti è sembrato «bello
ed efficace nella comunicazione, sereno, pacato ed
equilibrato nellimpostazione politica». Così
Massimo DAlema. Ma la maggior parte dei politici è
lì, con il popolo dei girotondi. C'è Pecoraro Scanio
che si sente a casa e si definisce un «movimentista» e
«parte di questo movimento». «I movimenti - spiega il
leader dei Verdi - sono
la politica. I partiti devono stare nei movimenti. La
piazza, è chiaro, non basta, perché noi siamo sempre
quelli che riempiono le piazze ma non riempiono le urne.
È il momento di cambiare questa tendenza, certo. Ma dai
girotondi deve partire limpulso per avviare lo
strumento che può davvero cambiare le cose: il
referendum». C'è anche Fausto Bertinotti che ascolta
Moretti proprio sotto il palco. Anche il leader di
Rifondazione sembra a proprio agio, e invece del
«movimento» preferisce parlare dei
movimenti «che, insieme, devono elaborare una
piattaforma comune sui temi centrali, innanzitutto la
guerra». Ma per Bertinotti «la politica senza i
movimenti non esiste». E poi cè Giovanni
Berlinguer, leader del "correntone" Ds, secondo
il quale i girotondi sono la «dimostrazione che l'Ulivo
deve aprirsi ai movimenti e alla società civile» e
definisce la manifestazione di San Giovanni «un
incoraggiamento ad andare avanti». Ci sono poi i
"battitori liberi" alla Sergio Cofferati, il
più applaudito, secondo il quale i girotondi «devono
essere considerati come uno stimolo e non devono
rappresentarsi in politica. Nessuno di questi movimenti
vuole diventare partito» dice Sergio Cofferati. Ed è
meglio così, aggiunge, perchè non è quella la loro
funzione. Infine ci sono i girotondisti più cauti, come
il segretario dei Ds, Piero Fassino, forse il più
richiesto dai giornalisti. «I movimenti sono importanti
- chiarisce subito il leader dei democratici di sinistra
- ma devono essere saldati dai partiti. Il valore dei
movimenti è importante ma importante deve essere anche
quello dei partiti». E la manifestazione di San Giovanni
è «una sollecitazione al centrosinistra a tradurre la
nostra opposizione in una proposta politica che sia
vivibile come alternativa al centrodestra, ed è quello
che stiamo facendo». Quando Moretti pronuncia poi il
nome di Francesco Rutelli, non tutti i girotondini
sembrano entusiasti. Ma il leader dellUlivo è lì,
anche lui per ascoltare. «Il nostro popolo oggi ha
raccolto qui un invito saggio da parte di associazioni ed
esponenti della società civile che si sono impegnati, e
mi auguro continuino a farlo, per una vera e propria
rifondazione dell'Ulivo» dice Rutelli. «Una
rifondazione che deve partire dal basso e coinvolgere non
solo i girotondi ma anche altri settori della società
civile». Sempre per l'Ulivo cè Pierluigi
Castagnetti, leader della Margherita, secondo il quale i
girotondi non diventeranno un movimento. «Sarebbe un
errore, di partiti in Italia ce ne sono già tanti e
molti di quelli che sono in questa piazza un partito già
ce l'hanno. Questa è un' altra Italia, non la
ingabbiamo». Questaltra Italia senza politici
applaude insomma la società civile che sale sul palco.
Un palco per una volta senza i discorsi dei
«professionisti», presenti solo nell'appello che fa
Moretti, ma comunque applauditi.
LE IDEE
Difendo
il diritto
di scendere in piazza
di UMBERTO ECO
HA SUSCITATO qualche
preoccupazione sui giornali di ieri la dichiarazione del
ministro Pisanu a proposito dell'annunciata
manifestazione del 14 settembre, che è stata sentita
come un allarme, discutibile, per una manifestazione di
piazza che si vuole pacifica. Vorrei spezzare una lancia
in favore di Pisanu, il quale ha detto sicuramente
qualcosa di leggero (nel senso di commettere una
leggerezza) ma anche qualcosa di pesante (nel senso che
ha peso, e deve essere preso nella dovuta
considerazione). Il ministro ha dichiarato di voler
difendere, contro ogni movimento della piazza, il libero
accesso alle sedi del Parlamento e il diritto degli
eletti dal popolo di accedere alle loro sedi deputate.
Giusto, e direi che è il suo mestiere. Qualcuno ha
osservato che il 14 settembre non sono previsti lavori
parlamentari, e che quindi il ministro poteva esimersi
dall'esprimere questa preoccupazione. Però, nel dirlo, e
nel sostenere "il diritto di essere rappresentati in
Parlamento" (diritto certamente sacrosanto), ha
citato di converso il "diritto di piazza"
ovvero "il diritto di manifestare liberamente e
pacificamente le proprie opinioni".
Il riferimento al diritto di piazza sembra così ovvio
che non sarebbe il caso di congratularsi col ministro per
averlo evocato, ma viviamo in tempi oscuri, e non
dobbiamo dimenticare che meno di due settimane fa questo
diritto era stato messo in dubbio dal presidente del
Senato. Infatti, al Meeting di Rimini, Marcello Pera
aveva ammonito che la politica non si fa "in
piazza", bensì nelle sedi deputate, vale a dire
nelle due Camere. Così ammonendo aveva ridato voce a
opinioni già espresse negli ultimi tempi nell'ambito
della maggioranza, dove più volte si era manifestata
irritazione nei confronti delle manifestazioni di piazza.
Ora siccome le opinioni di persone così illustri possono
essere ascoltate alla radio o alla televisione anche da
giovanissimi, forse ancora all'oscuro di una nozione di
democrazia, bisogna riflettere un momento sulla funzione
politica della "piazza".
Le manifestazioni di piazza possono essere di vario tipo.
Alcune, ancorché spiegabili storicamente, sono passate
in giudicato come manifestazioni di disordine che avevano
forse valore sintomatico ma che non hanno prodotto
risultati apprezzabili. Si pensi allo storico tumulto dei
Ciompi, o ai torbidi di cui tanto bene ci racconta
Manzoni, e in cui si era trovato coinvolto il povero
Renzo. Talora manifestazioni di insofferenza popolare
hanno dato origine a repressioni spaventose, come ai
tempi di Bava Beccaris, talora ancora la piazza si è
dimostrata feroce e incontrollabile, talora è stata
manovrata dal potere per i propri fini, e metto dentro lo
stesso paniere, dal punto di vista della loro dinamica,
sia il rogo dei libri promosso da facinorosi nazisti che
tante manifestazioni della rivoluzione culturale cinese,
manovrate accortamente dallo stesso Mao.
Non solo, la storia ha
pronunciato diversi giudizi su insurrezioni popolari, si
vedano le cinque giornate di Milano, che noi devotamente
rievochiamo con pubbliche cerimonie e che i nostri
ragazzi studiano a scuola come splendido esempio di
eroismo, e che tuttavia sotto diversa luce apparivano al
buon maresciallo Radetsky e al suo regio e imperial
governo. Ma la piazza non si manifesta solo nella
violenza, e le democrazie occidentali l'hanno
riconosciuta e istituzionalizzata come luogo della libera
espressione, non dico romanticamente della volontà
popolare, ma almeno di settori non trascurabili della
pubblica opinione.
Nelle democrazie esistono, è vero, tre poteri, il
legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, tutti e tre
sovrani nel proprio ambito (e mi permetto di ricordarlo
anche al presidente del Consiglio, nell'ambito di un
progetto di educazione permanente degli adulti), e la
sede per condurre dibattiti politici che poi sfocino in
leggi è il Parlamento. Ma le democrazie riconoscono
anche al "popolo", che poi è la pubblica
opinione nelle sue varie sfaccettature, il diritto di
controllare i vari poteri dello Stato, giudicarne
l'azione e stimolarla, manifestare eventuali
insoddisfazioni circa la conduzione della cosa pubblica.
In tal senso la voce dell'elettorato, che non può
manifestarsi solo il giorno del voto, è utile anche al
Parlamento e al governo stesso, al secondo perché gli
trasmette un segnale, una sollecitazione, al primo
perché dall'insoddisfazione popolare si possono trarre
utili indicazioni sulle elezioni successive (che è poi
quello che si tenta di appurare anche mediante sondaggi,
un ricorso alla piazza "virtuale" che nessuno
considera una forma di pressione illecita).
Come si manifestano le opinioni degli elettori?
Attraverso l'azione di vari leader di opinione, giornali,
associazioni, partiti, e persino gruppi di interesse
particolare, tanto che negli Usa è praticamente
istituzionalizzata la funzione delle lobbies, che aprono
uffici a Washington per cercare di favorire gli interessi
di ogni singolo gruppo, sia quello dei fabbricanti di
armi che quelli che difendono qualche minoranza etnica o
religiosa. Ma queste opinioni si manifestano anche a
opera della piazza.
Le democrazie conoscono infinite dimostrazioni di piazza,
che non sono tali in virtù delle persone che vi
partecipano, perché può essere manifestazione di piazza
anche quella di una ristretta minoranza, persino di due o
tre persone, che riunendosi vogliono comunicare in
pubblico quello che pensano o vogliono. In tal senso
basta andare davanti al Parlamento inglese, o in ogni
città americana, per vedere schiere di cittadini che
inalberano cartelli e scandiscono slogan, cercando di
coinvolgere i passanti. Basta andare sul celebre Hyde
Park Corner, per vedere signori che su un podio
improvvisato arringano gli astanti - ma non è necessario
andare a Londra, anche nelle città italiane si trovano
luoghi in cui la gente si riunisce spontaneamente a
discutere dei fatti politici del giorno. Talora queste
manifestazioni di piazza possono essere imponenti, come
il Moratorium di Washington del 1969, contro la guerra in
Vietnam, che ha scosso il paese.
Possono essere di destra o di sinistra, e si ricorderà
la marcia dei quarantamila a Torino, che esprimeva nel
pieno della lotta sindacale la posizione dei quadri
aziendali, i cosiddetti colletti bianchi, o le
manifestazioni di piazza delle "maggioranze
silenziose", le sfilate dei sostenitori del Polo e
le celebrazioni celtiche della Lega. Con tutto il
rispetto, sono manifestazioni di piazza anche quelle che
vedono addensarsi folle multicolori in piazza San Pietro,
eventi così legittimi che la televisione li pubblicizza
ed esalta.
La piazza si manifesta in vari modi e la legge delle
democrazie è che possa farlo, se la manifestazione non
degenera in violenza e qualcuno non arriva a sfasciare le
vetrine o a incendiare le automobili. Ero presente al
Moratorium del 1969, e l'ho visto svolgersi in modo
pacifico dalla mattina alle 4 del pomeriggio, sino a che
un gruppo di attivisti, che all'epoca si chiamavano
Weathermen, non ha creato disordini, e allora la polizia
è intervenuta con i gas lacrimogeni. Ma, regolati i
conti coi Weathermen, nessuno in America ha giudicato il
Moratorium violento e illegittimo, visto che vi parlava
persino il dottor Spock, celebre autore di un manuale su
cui le mamme americane hanno educato almeno due
generazioni di bambini, il quale si è rivolto
all'immensa folla giovanile iniziando con "Voi,
tutti figli miei!" scatenando un irrefrenabile
applauso di complicità e riconoscenza.
Ho citato le manifestazioni delle maggioranze silenziose
e quelle della Lega. Non capisco perché le si debba
considerare (e giustamente) legittime, quando poi si
grida all'untore se la manifestazione è organizzata dai
sindacati, e solo per il fatto giuridicamente
trascurabile che raccoglie non migliaia bensì milioni di
persone, o se si esprime attraverso un girotondo. È
legittimo inneggiare alla Razza Piave e non alla Bella
Lavanderina?
Certo, nelle manifestazioni di piazza fa aggio la
quantità. Ma "quantità" non è una brutta
parola, poiché è sulla quantità (in mancanza di
criteri più sicuri) che si regge la democrazia, dove
alle elezioni vincono coloro che sono in maggior numero.
La piazza, quando si comporta in modo non violento, è
espressione di civile libertà, e consideriamo
dittatoriali quei paesi dove le manifestazioni di piazza
non sono consentite, oppure se ne costruiscono dei
simulacri organizzati dall'alto, come le adunate
oceaniche a Piazza Venezia. Ma queste erano discutibili
non perché fossero oceaniche, bensì perché non
presupponevano contro-adunate di segno opposto.
Chiediamoci ora che cosa fosse il Meeting di Rimini dove
Pera ha condannato la piazza. Non era una seduta
parlamentare, e nemmeno un seminario umbratile per
addetti ai lavori. Come le feste dell'Unità, e ancor
più, perché si svolgeva anche nel centro stesso della
città, era una manifestazione della "piazza",
e di sicuro impatto politico, dove gli organizzatori
erano fieri di sottintendere "vedete quanti
siamo?", con la stessa soddisfazione che in pari
occasioni manifestano sia il Papa che Cofferati.
E dove ha pronunciato il presidente del Senato la sua
arringa contro la piazza? In piazza, in una
manifestazione che si svolgeva al di fuori delle aule
parlamentari e intendeva esprimere le opinioni di una
parte dei cittadini. Per cui la condanna della piazza
avvenuta in piazza sembrava quasi l'azione di un severo
moralista che, volendo condannare le pratiche di
esibizionismo, si presenti sul sagrato del duomo, apra di
colpo l'impermeabile esibendo quello che non si deve
mostrare e gridi "Non fate mai così, intesi?"
Il ministro Pisanu è stato più accorto e ha ammesso che
si ha il diritto di mostrarsi in piazza, purché non si
mostri quello che non si deve mostrare. Pena, avrebbe
dovuto dire, l'intervento della Buoncostume. Ma, nel
clima in cui viviamo, si è avvertito, a torto o a
ragione, ancora una volta un clima di diffidenza verso la
piazza. Però verso la piazza degli altri, non verso la
propria. Ma in democrazia non deve esserci differenza tra
piazza del Popolo, piazza Risorgimento e piazza San
Pietro. Le piazze sono tutte uguali, sono di tutti,
aperte a tutti e quando rimangono vuote, presidiate dai
carri armati, allora si parla di Repubblica delle banane.
(29 agosto 2002)
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