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In diecimila fino a notte. Cofferati: «Ripeto,: non si discute con chi è inaffidabile»
di Vincenzo Vasile

All'una di notte, erano ancora tutta lì. Ad intonare «Bella Ciao», nella versione dei Modena City Ramblers. S'è conclusa così la lunghissima serata al palasport di Firenze, la serata di Sergio Cofferati. Che proprio nell'ultimo intervento, in una sorta di replica a tutte le obiezioni, le sollecitazioni venute dal dibattito ha affrontato il tema delle riforme istituzionali. E anche qui, davanti a questa platea, l'ex segretario della Cgil è tornato a a ribadire la sua contrarietà ad un confronto con il centro destra sulle riforme. «Non sono interlocutori affidabili», ha quasi scandito. «Voglio confessarvi una cosa - ha aggiunto - Ho avuto brividi nella schiena quando ho sentito parole di apprezzamento da parte di alcuni esponenti del centro sinistra verso le proposte di Fini. E invece io ritengo quelle del vice presidente del Consiglio proposte peggiori di quelle di Berlusconi perchè diminuiscono le prerogative del Parlamento e fa cadere le prerogative del presidente della Repubblica».

L' ex segretario generale della Cgil, insomma, ha messo tutti in guardia: non si può dar vita ad una «riedizione della Bicamerale». E ha aggiunto: «Sono contrario a tutto ciò che semplifica, a tutto ciò che riduce in pochi luoghi il punto della decisione. A ciò che consegna in poche mani il potere per scegliere». «Sono da sempre convinto invece che la partecipazione, il coinvolgimento plurale siano per noi un valore. Noi non abbiamo bisogna di ricreare nel nostro campo le forme, i modi con i quali loro fanno politica. Dobbiamo fare esattamente l' opposto. Dobbiamo cercare nell' antico, antichissimo rapporto con le persone - il nostro modo di fare politica, capillare,
quotidiano usando tutto: rapporto umano, il dialogo, la tecnologia. Senza questa capillarità - ha sottolineato - non ci sarebbero stati nè i girotondi, non ci sarebbe stata la manifestazione di marzo della Cgil, non ci sarebbe stata questa manifestazione che ci porta ad essere insieme fino a questa ora della notte».

Sono state le parole conclusive di questa quattro ore di discussione. Cominciate con altre parole, dirette magari non a questa platea. Ma a Roma, ad altri dirigenti dei diesse. «Per voi la premessa è scontata, ma altri ci osservano da lontano. E dunque voglio dire che non voglio delegittimare nessuno. So quanto è faticosa la vita di chi si occupa di politica, hanno bisogno della mia e della vostra disponibilità, insieme possiamo fare cose molto importanti come dimostrate voi qui stasera. Partecipo solo a manifestazioni unitarie. Non sono interessato a manifestazioni che dividono e alla scissione di nessun movimento, di nessun partito». Sono queste le parole pronunciate con tono sofferto, scandendo le sillabe nel giorno, anzi nella sera, dell'investitura: alle ventuno e dieci, dopo una prima lunghissima ovazione, proprio in apertura alla lunga notte del Palasport fiorentino, era stato il regista dei girotondi a incoronarlo - con quello che ha definito un «affettuoso consiglio».

L'aveva invitato, alle primissime battute della manifestazione: «Non farti costringere dentro al ruolo riduttivo di leader soltanto della nostra galassia di movimenti, solo della sinistra radicale. Assomiglia tropp o alla caricatura che di lui fanno giornali e tv di centrodestra, ma anche qualche esponente del centrosinistra. Sergio ha la capacità e l'autorevolezza per parlare anche agli altri, di essere leader anche degli altri», Nanni Moretti suscitava un altro lungo applauso.

Cofferati, che si trovava per la prima volta sullo stesso palco con Moretti, s'era appartato con lui per qualche minuto prima di mostrarsi alla folla. All'invito a prendere in mano una leadership più larga di quella dei movimenti ha esitato un attimo, poi si è unito al battimani e ha sorriso. «Parlare agli altri». Si è lasciato (forse volutamente) un po' nel vago se quegli «altri» di cui parla Moretti siano il popolo di sinistra, o l'intero schieramento dell'Ulivo-più movimenti-più Rifondazione (che att raverso Niki Vendola ha polemizzato con l'impostazione ulivista), più Di Pietro che ha mandato un messaggio di entusiastica adesione.

Ma l'idea è lanciata, il messaggio parte, e il risalto mediatico di un evento che fino a qualche giorno fa doveva essere pressappoco un seminario dei professori di Firenze aperto all'ex-segretario della Cgil, in qualità di ospite d'onore, farà prevedibilmente il resto. La risposta di Cofferati a Moretti è stata: «Sono un riformista , credo di poter dialogare con la cultura antagonista, anche quando non la condivido. Occorre ricreare lo spirito del primo governo dell'Ulivo, ma fare di più, una giusta attenzione al centro, senza dimenticare le radici di sinistra, parlare a tutti, coinvolgere i ragazzi no global come i rappresentanti dei tradizionalissimi partiti, che facendosi contaminare dai movimenti possono solo trovare nuova linfa».

Prima volta, quella di Firenze, per molti altri aspetti. Finora in una manifestazione dei «movimenti» non s'era parlato così esplicitamente di leadership. E quanta polemica covi sotto questo tema lo mostra ancora un'altra battuta d'esordio di Moretti: «Ci dicono che non bastano i leader che scaldano i cuori, ma servono leader che ci facciano vincere: il punto è che ci sono svariati leader che non scaldano il cuore e in compenso ci fanno pure perdere, la generosità non basta, ma l'aridità non è un valore a sinistra, con l'aridità non si vince».

I toni di Moretti, insomma, sono apparsi un po' più vicini a quelli dell'urlo di piazza Navona, che alle accentuazioni unitarie di piazza san Giovanni. La polemica retrospettiva: «A chi ci dice: perché volete dare una spallata al Governo Berlusconi? Noi diciamo che nessuno di noi lo vuol fare, è stato eletto da una maggioranza, ma riflettiamo anche su come questa maggioranza sia stata un po' regalata dalla sinistra e dal centrosinistra». La ricetta politica: tornare allo spirito del '96. «Ero felice che le persone che avevo votato avessero vinto. Come cittadino ero contento del Governo Prodi. È stato il 2002 un anno esaltante, di ritrovata voglia di far politica, con tanti elettori ed elettrici dell'Ulivo che hanno dato energia ai politici di profession e. I nostri desideri, le nostre idee, le nostre passioni devono essere ascoltati da chi fa politica di professione. Inseguendo il centro non si vince, si perdono tanti voti a sinistra e non se ne guadagnano al centro».

Rete. Investitura. Le parole-chiave sono queste due. O meglio: i più fanno spallucce quando il plotone armato di taccuini e telecamere «spara» la seconda (intendendo questo bagno di folla al Palasport di Firenze come la consacrazione della leadership di Sergio Cofferati). Danno, diciamo, la cosa per scontata. Negano la volontà di altrui delegittimazioni. Esorcizzano l'idea di nuovi partiti ed eventuali scissioni. E preferiscono diffondersi, invece, sul primo concetto. Rete. Idea di Cofferati, appunto.
Semplice a dirla. Mettere in comunicazione i nuovi movimenti con il mondo della sinistra ufficiale, ma comunicazione nei due sensi, un rimescolio profondo di carte. Complicata, anzi impervia ad attuarla, se già ha destato diffidenze e attacchi. Questa è suppergiù la sintesi di quella ventina di voci che «contano» che hanno preso la parola in una nottata assolutamente inedita quanto a partecipazione, passione, dibattito: diecimila hanno trovato posto dentro al grande catino, ad altri duemila i vigili del fuoco già alle ventuno hanno chiuso i cancelli in faccia per problemi di agibilità e questa serata di cui certamente si parlerà a lungo, si sono rassegnati a farsela raccontare, dopo il pressing . All'indomani del direttivo ds, «Aprile», tra gli organizzatori mette a punto, con Mussi: «Qui non nasce un nuovo partito, ma si tenta di dare un contributo per una nuova politica... Cofferatismo? Inutile maneggiare queste categorie sterili, Cofferati s'è guadagnato sul campo autorevolezza, prestigio, dovremmo fare tutti salti di gioia, perché tanta tristezza?».

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Cinque segretari Cgil a Fassino: «Ne abbiamo piene le tasche anche noi. Ma di questi ds»
di red

Cinque segretari su cinque. Compreso il segretario generale. E' insomma tutto il gruppo dirigente della Federazione lavoratori dell'agroindustria-Cgil, quello che ha scritto al segretario della Quercia, Piero Fassino. Una lettera scritta, ovviamente, non «come» dirigenti sindacali ma come militanti e/o elettori della sinistra. Una lettera fortemente polemica. Eccola:
Caro Segretario,
siamo iscritti al partito e abbiamo "le tasche piene" del modo di far politica dei DS.
La CGIL ieri è stata lasciata sola nella difesa dell’art 18, oggi resterà di nuovo sola nel difendere il sacrosanto diritto dei lavoratori ad andare in pensione.
La perspicace volontà che giornalmente si manifesta da parte del gruppo di compagni che dirige il partito, di sedersi con questa destra al tavolo delle riforme istituzionali, delle pensioni, del mercato del lavoro è inqualificabile e in netta opposizione agli interessi di quei lavoratori - e nostri individuali - che guardano al partito come riferimento certo a sinistra.

La vostra autoreferenzialità sta azzerando le iscrizioni e le sezioni sono vuote per mancanza di dibattito; e dato che definisci "immorale e stalinista" - e il Presidente D’Alema "qualunquista" – chi, dentro e non fuori il partito, chiede un programma serio per battere e non assecondare questa destra reazionaria e xenofoba, ti preghiamo con orgoglio di annoverarci in questa ampia maggioranza di "immorali, stalinisti e qualunquisti" iscritti e simpatizzanti dei DS.
Fraterni saluti.
Francesco Chiriaco, segretario generale
Giancarlo Battistelli, segretario nazionale
Patrizia Consiglio, segretaria nazionale
Vincenzo Lacorte, segretario nazionale
Giorgio Scirpa, segretario

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D'Alema esprime solidarietà a Fassino: «Sono solo intimidazioni, ha parlato con tutti»
di Carlo Brambilla

Difesa perentoria di Piero Fassino, «un segretario dotato di infinita pazienza fatto oggetto ogni giorno di calcagnate, aggressioni e intimidazioni», attacco deciso al fronte del «no su tutto» e nuova chiamata diretta a Cofferati: «Venga con noi a tirare la carretta, anche perché la strada è in salita».

Insomma, la giornata di Massimo D'Alema in Piemonte, «dove recentemente è cresciuto un forte movimento d'opposizione parallelamente a molte e fondate proccupazioni», con tappe a Ivrea e a Torino, si è trasformata in un'iniziativa politica simmetrica e contraria alle ragioni, altrettanto politiche, che hanno portato Sergio Cofferati a Firenze.

Il presidente dei Ds ha colto l'occasione di due incontri pubblici per mettere a fuoco il suo pensiero sullo stato dei rapporti fra le due anime principali della sinistra in vistosa rotta di collisione. E a Ivrea, davanti a una platea che ha strariempito il centro congressi La Serra, incalzato dalle domande del direttore della Stampa, Marcello Sorgi, D'Alema non ha fatto ricorso al linguaggio soft della diplomazia.

Il fuoco di fila della requisitoria è cominciato con la questione delle riforme costituzionali: dialogare o non dialogare con la maggioranza berlusconiana? D'Alema non ha dubbi: «Pur essendo scettico sulle reali intenzioni di Berlusconi, non incline a strategie di lungo respiro per il Paese, ritengo indispensabile il compimento della riforma della democrazia italiana. È nostro preciso dovere fare una nostra proposta. Sottrarsi al confronto è un gravissimo errore politico».

È quindi seguita una breve esposizione di quella che dovrebbe essere la proposta dell'Ulivo: senato federale, capo del governo scelto dai cittadini con maggiori poteri, statuto dei diritti dell'opposizione parlamentare, Presidente della Repubblica arbitro ed eletto da una platea di grandi elettori allargata a rappresentanti delle autonomie locali. «Ecco, io sono per mettere - ha sillabato D'Alema - in campo questo disegno riformatore. Dobbiamo farlo assolutamente anche perché se dicessimo di no, loro avrebbero campo libero. Capisco che dire no è più facile che sostenere la difesa di una proposta positiva. Ma solo così se il progetto riformatore fallisse e si dovesse andare a referendum saremmo in grado di parlare al Paese. Altro che inciuci e sospetti di chissà quali oscure trame». Applausi convinti.

E l'arringa a difesa delle posizioni di maggioranza dei Ds ha preso ulteriore slancio quando è venuto il momento di commentare gli accadimenti dell'ultimo direttivo della Quercia. D'Alema ha così definito il «ne ho piene le tasche» di Fassino , lo sfogo indirizzato a Cofferati: «Un ruvido appello all'unità». Quanto ai contenuti che hannno mosso quello sfogo, ecco l'analisi: «Certe argomentazioni qualunquiste che sono patrimonio della destra, certi richiami generici alla gente, certi scavalchi a sinistra di quel qualunquismo creano guai e guai grossi. Ha ragione Fassino! Così si fa la lotta al gruppo dirigente, si va a caccia della delegittimazione morale del gruppo dirigente».

In sala non si sente volare una mosca. E nel silenzio D'Alema scandisce le parole: «In quel direttivo non ho parlato, da tempo preferisco tenermi lontano dalle polemiche nonostante ne sia quasi sempre l'oggetto, ma oggi mi sento di dover esprimere una grande solidarietà a Fassino, morale prima ancora che politica». Applauso corale e prolungato. Il presidente può proseguire ora sul registro dell'ironia: «E pensare che Fassino ha avuto una pazienza che io non avrei mai avuto, per via del mio ben noto cattivo carattere. Lui si è incontrato con tutti: Moretti, la società civile, gli oppositori, i girotondi. In cambio di questo ogni giorno riceve calcagnate, aggressioni e intimidazioni . Si tratta di posizioni infantili.» E Cofferati: «Se ci sono obiezioni di merito sulla linea politica, si affronti il confronto con rigore e serietà. Non è possibile che non ci sia un'assunzione di responsabilità. Insomma Sergio Cofferati venga con noi a tirare la carretta. Fassino è per l'unità del partito. Chi ha qualcosa da dire venga a dirlo con franchezza e dia una mano. Anche perché francamente non vedo motivi profondi di divisione. Siamo d'accordo di non appoggiare mai una guerra illegittima come quella che si profila in Irak, siamo d'accordo nel voler battere Berlusconi. E allora»?

Ma Sorgi insinua: «E se qualcuno stesse pensando alle elezioni europee col proporzionale del 2004? E se qualcuno, diciamo Aprile, avesse in mente di usare la barba di Cofferati per presentarsi alle elezioni raccogliendo un discreto consenso, questa sarebbe una scissione di fatto». D'Alema respinge l'ipotesi: «Mi attengo a quanto dichiarato da Cofferati e che cioè lui esclude ogni possibilità di organizzare scissioni. Non ho dubbi. Non presterà la sua barba a cose del genere. A Cofferati riconosco una virtù assoluta: dice quello che pensa e fa quello che dice. Che poi ci sia qualcuno che abbia in mente di spaccare i Ds non posso escluderlo. Tuttavia mi sembra un'idea balzana, Cofferati è intelligente, non credo che seguirà un'idea balzana».

D'Alema, infine, ha affrontato altri temi: la guerra e le pensioni. Sulla guerra: «Diremo sempre no a una guerra illegittima come quella che si sta profilando in Iraq. Un intervento prepotente, unilaterale non farebbe altro che fornire 100 anni di motivazioni al terrorismo». La riforma delle pensioni: D'Alema è d’accordo, ricorda che questa fu la posizione della Cgil ai tempi del governo Dini. La Fiat, Colaninno? «Non giudico le persone, il fatto che un imprenditore come Colaninno voglia investire nell’auto non può che essere accettato».

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