«Un anno
straordinario»
La platea del Palasport di Firenze
incorona Cofferati. Moretti: «Un leader, e non di una
minoranza». L'ex segretario della Cgil: «Grazie di
essere qui. Il mio è uno spirito unitario». Ed elogia
tutti i movimenti del 2002
COSIMO ROSSI
INVIATO A FIRENZE
Se da Firenze si aspettava di sapere cosa vuol fare da
grande Sergio Cofferati, l'impiegato della Pirelli svela
il mistero senza troppi giri di parole. Chiamato a
parlare del dialogo tra politica e movimenti, Cofferati
spiega: «In questa discussione sta la novità potenziale
di un periodo lungo». Una novità che agli occhi e
all'esperinza del cinese si era «già vista il 23
marzo», si era «già vistra al girotondo di San
Giovanni», si era «già manifestata a Genova nonostante
il tentativo violento di delegittimarla». E infine di
nuovo a Firenze, alla manifestazione per la pace del
Social forum Europeo, a conclusione di «un anno di cose
straordinarie», in cui milioni di persone si sono mosse
per i propri ideali. La pace prima di tutto, fa battere i
piedi in platea e sugli spalti. La pace «senza se e
senza ma», come invoca il presidente della regione
Toscana Claudio Martini. La pace che è l'unico modo di
rispondere al terrorismo che uccide persone inermi come
la guerra, incalza Cofferati. Eccolo qui il partito del cinese
che gremisce le tribune del palasport fiorentino tra
bandiere della pace e Bella ciao. E' il partito
che «nessuno dei presenti vuole fare». E' il partito
con il chiodo fisso della «partecipazione». Perciò
Cofferati esordisce con un cruccio che è anche una
metafora: «Mi dispiace per quelli che sono rimasti
fuori», dice anche a chi non è voluto esserci.
Ricordando che «ci saranno altre occasioni». Perché se
Nanni Moretti aveva detto a San Giovanni «non perdiamoci
di vista», oggi «è così». E lo sarà di nuovo
«tutte le volte che sarà necessario». Non per dividere
ma «per unire», ripete come una ossessione Cofferati.
Non per delegittimare, ma per «dividere una passione» e
dei «valori». Per «costruire un progetto che sia fatto
di contenuti». Senza «abbandonare nessuno». Ma
piuttosto «coinvolgendo i movimenti così come i
rappresentanti delle tradizionali formazioni politica».
Questa è «la sfida» di un «riformista» che si sente
in grado di discutere con le istanze radicali «anche
quando non le condivide».
Una «sfida» per affrontarela quale Nanni Moretti, in
chiusura del suo intervento introduttivo, rivolge un
consiglio a Cofferati: «Non farsi costringere da noi al
ruolo riduttivo di leader solo nostro». Cioè di quella
che agli occhi degli stati maggiori ulivisti ed diessini
è la «sinistra radicale». E nemmeno alla
«caricatura» che ne fanno «i giornali della destra e
anche qualche leader della sinistra». Cofferati, dice
Moretti, «deve poter parlare anche agli altri».
Quanto il palasport fiorentino ne sia persuaso lo
registrano gli scrosci che accompagnano le critiche
morettiane (eppur diverse dal Moretti cinematografico)
all'Ulivo. Il modo in cui si la platea accompagna il
registra dei girotondi quanto manda a dire ai detrattori
della sinistra che «il centrodestra è il nostro nemico
principale» e quando ricorda che «siamo noi i datori di
lavoro del centrosinistra». L'acclamazione per Martini
quando, precedendo Cofferati, rileva che nel terzo
millenio - e ieri a Firenze - il tema è quello della
democrazia partecipata.
Perciò, dice Moretti, «credo che dobbiamo essere
ascoltati». Ad esempio quando il regista ricorda che
«inseguendo il fantomatico centro non si vince». Oppure
quando respinge quelli che definisce «i luoghi comuni»
con cui si etichettano i movimenti, i girotondi e lo
stesso Cofferati. Primo: «Mai pensato che con le
manifestazioni si vincono le elezioni, ma su alcuni temi
era colpevolere stare a casa», incalza Moretti. Secondo:
«Mai pensato di dare una spallata a Berlusconi». Anche
perché il cavaliere ha una maggioranza parlamentare
«regalata anche dal centrosinistra», sottolinea
un'ovazione. Terzo: «Mai amato essere all'opposizione».
Anzi: «Da elettore del centrosinistra ero soddisfatfto
nel `96». prosegue Moretti. Che precisa tra gli
applausi: «Parlo del governo Prodi». E ogni riferimento
a quelli successivi (D'Alema e Amato) pare del tutto
intenzionale. Anzi, per Cofferati sono stati «un passo
indietro».
E se infine si contesta ai girotondi, ai movimenti, alla
Cgil, a chi ieri assiepava il palasport di andare in
cerca del salvatore dell'identità, del leader che
«scalda il cuore» ma non fa vincere, «il punto è che
ci sono svariati leader che non scaldano il cuore e che
in compenso fanno anche perdere». Perciò sembra il
momento di cambiare. E il palasport di Firenze -
osservava nientemeno che un consigliere regionale della
Margherita - «non è che l'inizio».
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Tutto esaurito
al Palasport
Una folla enorme, e tantissimi restano
fuori. In platea anche i fassiniani tifano Sergio
GIOVANNA PAJETTA
INVIATA A FIRENZE
Alle 20 e 20 gli organizzatori si arrendono, transennano
stampa, relatori e ceto politico, e fanno entrare il
pubblico nel parterre del Palasport. Cinque minuti e
ancora non basta, bisogna aprire gli spalti laterali,
quelli dietro il palco fino a quando i pompieri
intervengono e chiudono fuori chi ancora preme ai
cancelli. Alla fine saranno più di mille, in piedi al
freddo, consolati solo dagli improvvisati interventi di
Pancho Pardi e Giovanna Melandri. Ma ancor più che nei
numeri, il successo è nelle facce e nelle storie di chi
è venuto. Se solo un anno fa infatti, quando Massimo
D'Alema era venuto a Firenze per discutere con i
"professori" dopo l'urlo di Nanni Moretti a
piazza Navona, il cuore della platea del Palacongressi
erano gli intellettuali, i nascenti girotondini e il
corpo vivo del partito, oggi tutto pare già mutato.
Certo, come dice Giorgio Malavolti, giovane dell'Arci
fiorentina, «tanti credo che siano venuti solo per
curiosare». Ma è lui il primo a elencare chi non si
aspettava proprio di vedere qui. «All'entrata dove sono
andato a vendere le coccarde è passato un gruppo dei
Focolarini, la responsabile degli scout dell'Agesci,
quelli dell'Isolotto di Don Mazzi. Poi ho visto qualcuno
di Terra Terra, i ciclisti di Critical Mass... - elenca
tra lo stupito e il soddisfatto Malavolti -, tutta gente
che conosco, che avevo visto nei giorni del Social Forum,
ma che sinceramente non mi aspettavo di vedere qui. In
fondo questa è un'iniziativa più politica, più
tradizionale». Difficile dire se anche fuori da Firenze,
che ieri sera è parsa capace di far germogliare
l'esperienza della grande kermesse di inizio novembre,
stia crescendo qualcosa di simile. Al Palasport in
realtà di "non toscani" ci sono giusto i
Disobbedienti milanesi, i girotondini napoletani del
Comitato per la democrazia e la giustizia e poco più.
Oltre, s'intende, ai dirigenti romani e non delle
associazioni promotrici, l'Arci, il Laboratorio per la
democrazia di Firenze e Aprile. Ma anche per loro la
serata è una novità. «In piazza ci siamo visti tante
volte, ci conosciamo bene - sottolinea Marina Astrologo,
girotondina romana - Ma mai come questa volta,
programmandolo prima». Senza che qualcuno insomma sia
l'ospite, gentilmente accolto, dell'iniziativa
organizzata dall'altro.
Non che siano tutti fiori in platea. Soprattutto se si
guarda in casa dei Ds. Le «tasche piene» di Piero
Fassino hanno infastidito molti. «Nervosismo eccessivo»
è il commento ufficiale, da Paolo Beni, presidente
dell'Arci di Firenze, a di Guido Sacconi, referente di
Aprile in Toscana. Le battute raccolte al volo sono un
po' più esplicite. C'è chi ha già coniato lo slogan
«Un sogno nei nostri cuori, D'Alema alla Mondadori»,
mentre i giovani della sinistra giovanile scrivono
polemici sul retro del loro cartellino del servizio
d'ordine «Filippeschi non è il mio segretario»
(sbeffeggiando il segretario regionale dei Ds che ancora
ieri è tornato a tuonare contro la serata del
Palasport). In platea però di "fassiniani" ce
ne è più d'uno e, a sorpresa, si scopre che l'eroe di
tutti è sempre lo stesso: Sergio Cofferati.
«Io al congresso ho votato Fassino, e penso che lui si
sia mosso bene in un anno così difficile per il partito,
ma parlo da riformista, come del resto Cofferati è
sempre stato. Prima o poi dalla Pirelli dovrà ben uscire
- dice ad esempio Marco Semplici, tecnico del Nuovo
Pignone e segretario dei Ds del Mugello - Per fare cosa
non c'è bisogno di dirlo, deve diventare un dirigente,
un grande dirigente dell'Ulivo». «Se Cofferati fa sul
serio, può venir del buono - si associa volentieri chi,
come Andrea Montagni, dirigente della sinistra sindacale
fiorentina, ha tanto polemizzato con l'allora segretario
della Cgil - Perché qui secondo me ci sono davvero le
condizioni perché la sinistra si riorganizzi. Certo che
in passato non andavamo così d'accordo, ma che c'entra,
adesso dobbiamo guardare in avanti». Ma il fascino del
cinese va ben oltre chi lo conosce così bene. «Avere
uno come lui, capace di dire delle cose chiare e
semplici, un bel sì e un bel no, ti fa dire che magari
è possibile - si lascia andare entusiasta Antonio
Pescetti, agriturista milanese sbarcato in Toscana nei
lontani anni `70, e ora nel Chianti Social Forum - Ti fa
pensare che allora è vero, la coerenza è un elemento
importante».
I più cauti però, soprattutto sul futuro, sono proprio
gli organizzatori. Dopo aver derubricato a «nervosismo»
le accuse di Piero Fassino, tutti si sbracciano a dire
che il Palasport serve a unire e non a dividere. «Noi
come Arci non vogliano prestarci a alla battaglia
politica interna ai Ds - dice formale e impostato Paolo
Beni - Anzi diciamo: vietato dividere. Anche se
aggiungerei che è soprattutto vietato escludere». E ,
da diessino, giura sull'«unità del partito che è un
bene prezioso». Ma su come mai la si possa mantenere,
così come sul che fare da domani in realtà nessuno
vuole dire fino in fondo la sua. Alle domande su cosa sia
mai la «rete» di cui si sente tanto parlare, Guido
Sacconi prima si sbilancia volentieri e spiega: «Noi
pensiamo a una struttura leggera, un coordinamento
flessibile, quantomeno per la piazza fiorentina e
toscana. Perché dobbiamo connettere soggetti che, certo,
poi rimangono se stessi, non si fondono tra loro, ma
trovano una modalità politica comune». Poi però si
guarda attorno e subito frena «Beh, certo, bisogna
vedere...se ne discuterà».
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Quercia, il
giallo delle iscrizioni
I Ds: «Nessun calo di iscritti». Ma
sarebbero decine di migliaia le tessere-dono
ANDREA COLOMBO
ROMA
E`quasi un giallo lo stato di salute della Quercia
misurata sul termometro del tesseramento. Da via
Nazionale continuano a filtrare voci su una secca
diminuzione delle iscrizioni. Sin da prima di natale
rimbalzano da una testata all'altra cifre da brivido,
emoraggie misurate in centinaia di migliaia di voti:
150mila secondo le ultime stime (200mila e passa stando
alle prime). Il botteghino smentisce indignato: «Sono
cifre assurde, e non si sa da quali fonti arrivino. La
realtà è opposta, come dimostra anche quel 30% di feste
dell'Unità in più nel 2002 rispetto all'anno
precedente, per non parlare dei sondaggi che vedono la
Quercia in netta ascesa». I responsabili del
tesseramento impugnano le cifre. La situazione sarebbe
assai meno cupa, e non è affatto detto che non migliori
ulteriormente nelle prossime settimane.
Certo, a tutt'oggi gli iscritti sono 500mila, dunque
90mila in meno del 2001. Ma il tesseramento, segnalano i
diessini, è ancora in corso. Alcune regioni, come
l'Emilia, hanno già chiuso la campagna, ma non hanno
ancora fatto pervenire il conto finale. Altre, come il
Lazio, raggiungeranno il traguardo solo a fine gennaio.
Inoltre lo sanno tutti che i cedolini tardano ad
arrivare: un'idea chiara di quanti siano i loro iscritti
i diessini ce l'avrano solo a fine febbraio, ma non
disperano di raggiungere le 550mila tessere.
Il calo ci sarà, ma contenuto. E facilmente spiegabile,
specificano, anzi fisiologico. Il 2001, infatti, era
l'anno del congresso di Pesaro, un congresso giocato
tutto nelle sezioni, con i voti degli iscritti. Ovvio che
qualche migliaio di persone in più del solito abbia
deciso di giocare un ruolo attivo nelle assise
iscrivendosi. E se qualcuno subodora aria di truppe
cammellate, poco male: honny soit qui mal y pense.
Il paragone vero andrebbe casomai fatto con il 2000, anno
franco di congressi, e lì le stime della Quercia parlano
appunto di 550mila iscrizioni, giusto il traguardo che
dovrebbe essere raggiunto quest'anno. Anche allora, del
resto, se si fossero fatte le stime in dicembre non si
sarebbe andati oltre le 460mila iscrizioni. Nulla di cui
preoccuparsi, quindi. Anzi, sarebbero opportune le
congratulazioni.
Si tratta, è vero, di calcoli tutt'altro che precisi. Da
anni i Democratici di sinistra hanno un'idea
approssimativa di quanti siano i loro iscritti, essendo
la faccenda gestita dalle federazioni regionali e le
comunicazioni tra centro e periferia non sempre di
precisione millimetrica. Forse per questo nel pur ricco
sito della Quercia non c'è una cifra sui dati del
tesseramento degli anni scorsi.
Ma il punto dolente è un altro. E' la difficoltà di
mettere insieme le cifre tutto sommato gratificanti
sbandierate da via Nazionale, con le indiscrezioni e le
voci che parlano di un calo palpabile della
partecipazione, e che spesso, sia pure informa
comprensibilmente anonima, arrivano sempre da via
Nazionale.
La soluzione del giallo sarebbe a modo suo semplice. Le
tessere del 2002 sarebbero effetivamente già mezzo
milione. Solo in 350mila casi, però, sarebbe stata
accompagnata dal pagamento della quota minima. Le altre
sarebbero un gentile dono.
Come considerare quelle tessere esorbitanti, se
pienamente valide, o per nulla, o solo a metà, è
problema complesso. Quasi come il definire se
quell'impennata nei sondaggi di cui la Quercia va fiera
in questi giorni sia davvero dovuta alle fantasie
dialoganti della leadership o non piuttosto alla ferma
opposizione della minoranza.
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«Giù le mani
da Fassino»
D'Alema: «Piero ha ragione e Cofferai
venga a tirare la carretta». La maggioranza della
Quercia scende in campo. E il segretario corregge il tiro
sul conflitto d'interessi
MICAELA BONGI
ROMA
All'indomani del burrascoso direttivo diessino, il
segretario della Quercia schiera le truppe in suo
sostegno e, dai microfoni di Radio 24, riapre la porta al
dialogo sulle riforme insieme a un entusiasta Carlo
Giovardi, ministro Udc. La mancata soluzione del
conflitto d'interessi potrà creare intoppi? Non è
«pregiudiziale» al confronto, si premura di
puntualizzare Piero Fassino. Certo, «se non c'è intesa
sul conflitto d'interessi e sull'informazione il
confronto diventa più difficile», ma «non dico
impossibile». Complimenti da Rocco Buttiglione,
preoccupazione del cossuttiano Marco Rizzo, e strali
della Casa delle libertà contro Rutelli che sul
conflitto d'interessi leva invece gli scudi. Dopo il
passaggio radiofonico di Fassino, e la tappa al convegno
dell'Ulivo in cui Rutelli chiamerà in causa Ciampi,
parte la raffica di dichiarazioni dei segretari regionali
della Quercia. Dal Friuli al Lazio, dal Piemonte alla
Calabria, dal Veneto all'Emilia Romagna, è un coro in
sostegno del segretario all'indomani del suo sfogo nel
direttivo, con quel suo «ne ho piene le tasche» del
«cofferatismo». Anzi no, non uno sfogo, puntualizza il
segretario. E nessun attacco a Sergio Cofferati.
Semplicemente l'«illustrazione di un problema politico
posto con molta pacatezza e chiarezza», in nome
dell'unità tra il centrosinistra e i movimenti. Si
associa, pacato, il capogruppo al senato, Gavino Angius:
nessun attacco, ma «un affondo contro il tentativo di
dividere i Ds. Non è più tollerabile una dialettica
interna e una campagna di alcuni settori della sinistra
che dipingono il gruppo dirigente tentato dall'idea di
svendere il proprio patrimonio in nome del dialogo».
Dialogo che non è una svendita, ma «una posizione molto
più dura, rispetto all'idea di rifiutarlo», interviene
anche il presidente della Quercia, Massimo D'Alema:
«Berlusconi si muove per interessi propri, dire non al
dialogo sarebbe un grave errore».
Nel giorno di Cofferati e Moretti, la maggioranza della
Quercia fa insomma quadrato intorno al segretario, al
quale si associano anche esponenti della Cgil come
Antonio Panzeri, segretario della Camera del lavoro di
Milano, e Aldo Moretti, presidente dell'Inca Cgil. Dai
più, è diretto proprio a Cofferati, l'invito a fare
chiarezza, a confrontarsi nel partito. E a sera, proprio
mentre l'impiegato della Pierelli, al Palasport di
Firenze, sta per raccogliere l'ovazione della platea,
D'Alema sintetizza il concetto così: «Gli ho detto
mille volte di venire con noi alla guida del partito.
Più vengono a tirare la carretta meglio è». Accusa non
proprio velata di voler giocare in proprio e contro
l'attuale leadership, che D'Alema arricchisce con una
metafora calcistica: il centrosinistra «deve essere una
squadra, tutti si devono passare la palla con l'obiettivo
di fare gol agli altri e non di segnare nella propria
porta». Dal presidente, grande «solidarietà umana
prima che politica» a Piero Fassino. Perché «ha tutte
le ragioni» eppure ha ricevuto continue «calcagnate»
nonostante il suo sforzo encomiabile: «Ha lavorato con
grande serietà e spirito unitario, tenendo conto di
tutti, ha parlato anche con Moretti e Flores, cose che io
non avrei fatto». Messa così, forse è vero che questa
frase riportata dal Riformista va attribuita al
presidente diessino: «Nessuno tocchi Fassino, ma
qualcuno gli dia una mano». Ultima stoccata dalemiana
nel rilanciare l'appello all'unità: «Cofferati ha detto
che esclude la possibilità di organizzare scissioni e
siccome lo stimo come una persona seria non ho il minimo
dubbio che non presterà la sua barba per alimentare una
scissione».
La scoppiettante uscita dalemiana chiude una giornata in
cui la maggioranza diessina lancia una vera e propria
offensiva. In campo scende anche Gianni Cuperlo,
vicinissimo al presidente, e non è tenero: «Chi tenta
di delegittimare il gruppo dirigente fa harakiri, perché
colpire i Ds vuol dire colpire l'Ulivo». E ancora:
«Questi movimenti vogliono dialogare con i partiti o
no?». Perché «l'idea che i partiti sono un ostacolo e
che devono rinascere sotto la spinta della piazza
rappresenta una concezione elitaria e antidemocratica
della politica». Ma non è giornata perché il fuoco di
fila faccia breccia nel «correntone», che oggi si
riunisce nel coordinamento nazionale.
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