semestre europeo

di m.muscetta

1) L'immagine dell'Italia : un'ossessione che era dell'era fascista , e che noi abbiamo ereditato, dimenticando che se l'immagine non é espressione della   sostanza, resta un affiche o uno spot pubblicitario , precisamente quella che ama tanto il Presidente del Consiglio, e che non ha rispon denza con la realtà.Quindi non condivido l'opinione di Fassino e Rutelli  che bisogna calmarsi con le critiche a Berlusconi, e proteggere l'immagine del paese, peraltro già sufficientemente compromessa.  Basta pensare a quanto avviene in Sicilia,  con la mafia e le sue relazioni con  Miceli e ""Toto' vasa vasa"".  Ci dica Fassino: Anche li sono i media stranieri che esagerano?
Secondo me é invece il momento di fare un'energica prevenzione, non di ricalcare orme  che l'opinione pubblica ha condannato, inseguendo il mito dell'immagine del paese.
 E '  invece  il momento  di  distinguerci , in quanto opposizione,  per esempio raccogliendo le firme per il referendum abrogativo del Lodo -dolo ,  poiché  la prossima vittima annunciata  di B. sarà Prodi e la sua immagine pubblica, cioé il futuro capo dell'Ulivo.    
( I Britannici sono già pronti,  pragmaticamente,  a dargli una mano, perché per loro ,  l'armonizzazione fiscale e la lotta al riciclaggio del denaro sporco costituirebbero  un danno all'economia del libero mercato e  quindi a quella del  loro  paese.)


2)
 L'Europeismo dell'Italia: con il debito megagalattico delle nostre finanze pubbliche se non ci fossimo aggrappati all'Europa, non avremmo avuto  alcuna via d'uscita.Ciampi lo sapeva bene.  
Tale non era la situazione della Francia , che per accettare  le  regole draconiane  di Mastricht, e della parziale perdita di sovranità nazionale , ha avuto preventivamente  bisogno del consenso .
Resta però un problema  grave per tutte le democrazie europee: la necessità di lottare contro la grande corruzione  , e l'abitudine delle tangenti e l'opacità nei transfert di capitali.
In occasione del processo Elf, in Francia tutto questo é emerso ed é sfociato nell'appello d Parigi, il 25 giugno alla Sorbona,  sottoscritto da Eva Joly e da Antonio di Pietro, e da numerose personalità del terzo mondo.
E il secondo problema,
é l'indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo.
Non é un caso che  Chirac abbia  bloccato la riforma giudiziaria proposta da Ellisabeth Guigou , che avrebbe assicurato alla magistratura la totale  autonoma responsabilità di lavoro , rispetto  all'autorità del guardasigilli.
 Il  fatto poi  che  uomini  politici  francesi , soit-disant di sinistra , come Dumas,   siano  stati   implicati in affari di tangenti   e che una  grande impresa  nazionale , come  Elf, si sia data    àlla  corruzione  delle élites di paesi  come il  Congo, le Gabon, la Nigeria,  le Cameroun ,  a danno  delle  popolazioni ,  malate, misérabili, analfabète ,
prova  que la démocrazia  in  Europa deve  ancora fare molta strada ...Mancano i controlli necessari sia sull' operato della destra che sulla sinistra .  
 Ci si domanda:
 Berlusconi,  Presidente temporaneo dell'Unione, quali brillanti  iniziative potrebbe prendere per consolidare,  a livello europeo ,   la sua impunità ?

 

Secondo me la campagna elettorale europea é già cominciata: la GIUSTIZIA é il tema di introéduzion e.
 
Mi pare  esemplare l'editoriale Spinelli. Altro  che difendere l'"immagine dell'Italia, con la paccotiglia di Ber lusconi ed alleati. Il nostro avvenire passa per Strasburgo e le regole europee



6 luglio 2003

di Barbara Spinelli

C¹E¹ chi chiama una tragedia per il semestre europeo dell¹Italia quello che è accaduto mercoledì scorso al Parlamento di Strasburgo: le domande poste dal deputato socialdemocratico Martin Schulz sulla politica interna e giudiziaria italiana, la collera di Berlusconi che non ha gradito di esser così interpellato, la perdita d¹autocontrollo in cui è precipitato. E l¹accusa pesante infine, che il presidente del Consiglio ha lanciato all¹interlocutore con la violenza che possiede l¹istinto senza briglie politiche: «Lei, signor Schulz, sarebbe perfetto come kapò in un film sui campi di concentramento». Il Parlamento europeo è piombato nello stupore, e non solo il Parlamento: sono nello stesso stato d¹animo governi e partiti, Germania e Italia, Commissione di Bruxelles e Consiglio dei ministri europei, giornali italiani e del continente. E¹ successo qualcosa cui non riescono a dare il nome, che non sanno spiegarsi, e che comunque crea malessere, sbigottimento. Per questo si parla di tragedia, e alcuni un po¹ tristemente constatano quello che par loro irreparabile: la discesa dell¹Italia in una sorta d¹inferno, quasi una brutale bufera ci avesse trascinati in un luogo sventurato, dove il nostro paese verrà d¹ora in poi controllato da cerberi maligni. L¹Italia doveva rappresentare per sei mesi l¹Europa intera: ora si teme che sarà invece isolata, screditata, disprezzata.

Non siamo soli invece, e per questo l¹accadimento di Strasburgo non è una tragedia ma s¹apparenta piuttosto a una divina sorpresa: a una cosa nuova cui non siamo preparati. Non ci sono in giro corpi feriti, non ci sono massacri d¹amor proprio o d¹onore patrio, come lasciano supporre tante reazioni di lettori di giornali. Siamo semplicemente sotto lo sguardo d¹Europa, stiamo diventando più visibili di quanto lo fossimo prima - più visibili agli occhi degli europei e per loro tramite ai nostri stessi occhi - e questo significa che l¹Unione esiste, come personalità giuridica e anche come démos, come popolo. Significa che il nostro amor proprio e il nostro amor patrio traggono ormai alimento da più fonti: da quello comunale, da quello nazionale, e da quello europeo. In altre parole: non possiamo fare tutto quel che vogliamo, dire tutto quel che crediamo, senza badare al mondo circostante. Siamo dentro un reticolato di leggi, di comportamenti, di contiguità geografiche. Siamo dentro un¹Unione in parte già sovrannazionale.

Finora sapevamo di non poter più essere autarchici in economia. Adesso veniamo a sapere che non siamo più autarchici neppure in politica, nel pensiero, nel linguaggio. Lo spirito pubblico può perdersi in patria, ma poi riformarsi al superiore livello europeo. Chi non ha senso della cosa pubblica nel proprio paese finirà col doverlo avere nell¹Unione. Il conflitto d¹interessi e la legge sull¹immunità lasciano forse indifferenti gli italiani ma non i politici d¹Europa, e anche a questo Berlusconi era completamente impreparato: a tal punto si sentiva esonerato dalla ginnastica delle critiche e delle spiegazioni, che alla prima flessione si è strappato i muscoli. Il deputato Schulz non è all¹opposizione in Italia, non è un rivale del premier, non è manipolabile con strumenti di controllo nazionali. Inutile dire del suo partito socialdemocratico, senza ridicolizzarsi: «In Europa ci sono comunisti peggiori che in Italia». Schulz parla con l¹autonomia che hanno le istituzioni europee, alla controparte naturale che è la presidenza di turno del Consiglio europeo.

Questo è l¹evento non calcolato, questa è letteralmente la divina sorpresa: l¹Europa che non ci attendevamo già comincia a esistere, a sfuggire i controlli degli Stati nazione. L¹Europa non possiede ancora una costituzione perfetta, che le consenta di pesare nel mondo. Ma in politica interna e nella giustizia già agisce come un¹unità vera, dotata di un suo Parlamento, di sue comuni leggi, di un comune obbligo per gli Stati a render conto di quel che fanno. Il contenzioso scatenato da Schulz e Berlusconi non è bilaterale, non è tra Germania e Italia. E¹ un contenzioso di politica interna europea, molto più palesemente di quanto sia accaduto per le sanzioni contro l¹Austria di Haider, che furono decise dai singoli Stati e non dall¹Unione in quanto tale. Come ha detto il Presidente dell¹assemblea di Strasburgo, l¹irlandese Pat Cox, è al Parlamento europeo e non a Schroeder che Berlusconi, semmai, dovrà presentare le scuse. Non l¹ambasciatore presso Berlino avrebbe dovuto muoversi, ma l¹ambasciatore presso l¹Unione europea.
La nascita di un¹opinione pubblica europea, di un¹agorà dell¹Unione, è un evento naturale nella storia d¹Europa: naturale perché da lungo tempo invocato, e naturale perché da un anno ormai i parlamentari europei e nazionali discutono di quella che dovrà essere l¹identità costituzionale del continente. Questo ha dato loro orgoglio e nuovo ardimento. Fin qui eravamo abituati a due forme di controllo della politica: quello degli elettorati nazionali e quello che nella mondializzazione è esercitato dei mercati. L¹ex presidente della Banca centrale tedesca Hans Tietmeyer parlò a suo tempo di un doppio elettorato (una doppia constituency) rispetto alla quale i politici erano ormai responsabili, e attribuì ai mercati un ruolo di disciplina supplementare, cui diede il nome di plebiscito permanente. Ma ora a queste due constituencies se ne aggiunge un¹altra: la circoscrizione-Europa, nuova base elettorale dei leader politici, ed è questo che crea sgomento nel nostro presidente del Consiglio. L¹esistenza di questo terzo livello di controllo egli non ha voluto riconoscerla, e di conseguenza non ha saputo superarne l¹esame.

La Costituzione europea di cui i governi discuteranno nel semestre italiano non è ancora compiuta, come abbiamo visto. In alcuni campi esiste ancora il diritto di veto, e questo rende l¹Europa incapace di decidere: è il caso della politica estera, della difesa. Da questo punto di vista non è ancora una Costituzione, ma poco più di un trattato tra nazioni. Ma in molte materie è già un¹autentica Costituzione, un ordinamento statuale con proprie leggi e propri organi federali, con un proprio preambolo sui diritti e chiare procedure che regolano i rapporti non solo tra poteri nazionali e europei, ma tra autorità pubbliche e privato cittadino. E¹ il caso della politica giudiziaria e della politica interna: in questo campo, i progressi della Convenzione sono stati notevoli. Si sta discutendo di procura europea, di mandato di cattura europeo, di comune lotta alla malavita, alla xenofobia. Solo il governo italiano ostacola simile unificazione politico-giudiziaria, e questo spiega l¹ira di Berlusconi e la grande soddisfazione di chi in Italia più esecra l¹Europa: la Lega. Bossi è stato molto più esplicito di Berlusconi, dopo l¹incidente di Strasburgo. Non solo l¹ha difeso, ma ha messo in chiaro quale debba essere per lui l¹obiettivo: «Finché c¹è Berlusconi presidente del Consiglio, il Superstato europeo non verrà. E saremo tutti un po¹ più liberi a casa nostra».

Questo è il sogno dell¹autarchico moderno, in Italia: poter fare quel che meglio si crede, «a casa propria», e dare a questa casa il nome di patria nazionale. Ma c¹è qualcosa di più, nella reazione di Berlusconi come di Bossi. La nascita dell¹agorà europea promette di resuscitare lo spirito pubblico lì dove esso minaccia di sfinirsi, di chiamare a responsabilità chi nazionalmente si è blindato, ed è proprio questo spirito pubblico che il presidente del Consiglio sembra temere, o comunque sottovalutare. Può darsi che egli sia un animale politico capace, astuto. Ma la sua visione è angusta, non supera il cerchio intimo degli amici e stretti alleati. Eccezionalmente turbato dai propri interessi privati, sembra aver perso l¹essenziale, e cioè il rapporto con la realtà esterna. Il pubblico è una categoria che non conosce, se non sotto forma di effimeri sondaggi, e l¹agorà è un terreno per lui impervio. Il suo scherzare sull¹olocausto è casalingo, la frontiera per lui non esiste fra domicilio domestico e res publica. Per molti è una frontiera che non esiste più, così come non esiste l¹obbligo di consequenzialità. Lo stesso Giuliano Ferrara che a suo tempo si indignò con Benigni, accusandolo d'aver fatto un film «ridanciano» sull¹olocausto (La Vita è Bella), difende ora lo scherzetto su Auschwitz del premier: «Il Cavaliere ha fatto benissimo a dare del kapò a Schulz. Non può essere remissivo». Perché quello scherzetto no e questo sì?
Dice Bossi che il popolo, da noi, parla così: caoticamente, senza badare al principio di non contraddizione, e ben venga un premier che usa lo stesso linguaggio. Ma Fini e Follini, che non sono di questo parere e tuttavia già son pronti a passare ad altro? Il loro è un calcolo che si può capire, ma i dubbi restano. Mercoledì scorso Follini aveva l¹aria sgomenta: «Non condivido e faccio fatica a capire», commentò. Oggi ha l¹aria di dire, sulla falsariga del comico romagnolo Maurizio Ferrini: «Non capisco ma mi adeguo».

Forse è venuta invece l¹ora di capire e di dire: siamo sotto lo sguardo d¹Europa, e non siamo affatto soli. Lì è il nostro destino e magari anche la nostra opportunità. Solo chi ha perso il rapporto con la realtà esterna e con lo spirito pubblico può pensare che questo costituisca per l¹Italia una tragedia, o una discesa in Inferno.

 

 

 

 

 

 

 

 

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