Secondo me la campagna elettorale europea é già
cominciata: la GIUSTIZIA é il tema
di introéduzion e.
Mi pare esemplare l'editoriale
Spinelli. Altro che difendere l'"immagine
dell'Italia, con la paccotiglia di Ber lusconi ed
alleati. Il nostro avvenire passa per Strasburgo e le
regole europee
6 luglio 2003
di Barbara Spinelli
C¹E¹ chi chiama una
tragedia per il semestre europeo dell¹Italia quello che
è accaduto mercoledì scorso al Parlamento di
Strasburgo: le domande poste dal deputato
socialdemocratico Martin Schulz sulla politica interna e
giudiziaria italiana, la collera di Berlusconi che non ha
gradito di esser così interpellato, la perdita
d¹autocontrollo in cui è precipitato. E l¹accusa
pesante infine, che il presidente del Consiglio ha
lanciato all¹interlocutore con la violenza che possiede
l¹istinto senza briglie politiche: «Lei, signor Schulz,
sarebbe perfetto come kapò in un film sui campi di
concentramento». Il Parlamento europeo è piombato nello
stupore, e non solo il Parlamento: sono nello stesso
stato d¹animo governi e partiti, Germania e Italia,
Commissione di Bruxelles e Consiglio dei ministri
europei, giornali italiani e del continente. E¹ successo
qualcosa cui non riescono a dare il nome, che non sanno
spiegarsi, e che comunque crea malessere, sbigottimento.
Per questo si parla di tragedia, e alcuni un po¹
tristemente constatano quello che par loro irreparabile:
la discesa dell¹Italia in una sorta d¹inferno, quasi
una brutale bufera ci avesse trascinati in un luogo
sventurato, dove il nostro paese verrà d¹ora in poi
controllato da cerberi maligni. L¹Italia doveva
rappresentare per sei mesi l¹Europa intera: ora si teme
che sarà invece isolata, screditata, disprezzata.
Non siamo soli invece, e per questo l¹accadimento di
Strasburgo non è una tragedia ma s¹apparenta piuttosto
a una divina sorpresa: a una cosa nuova cui non siamo
preparati. Non ci sono in giro corpi feriti, non ci sono
massacri d¹amor proprio o d¹onore patrio, come lasciano
supporre tante reazioni di lettori di giornali. Siamo
semplicemente sotto lo sguardo d¹Europa, stiamo
diventando più visibili di quanto lo fossimo prima -
più visibili agli occhi degli europei e per loro tramite
ai nostri stessi occhi - e questo significa che l¹Unione
esiste, come personalità giuridica e anche come démos,
come popolo. Significa che il nostro amor proprio e il
nostro amor patrio traggono ormai alimento da più fonti:
da quello comunale, da quello nazionale, e da quello
europeo. In altre parole: non possiamo fare tutto quel
che vogliamo, dire tutto quel che crediamo, senza badare
al mondo circostante. Siamo dentro un reticolato di
leggi, di comportamenti, di contiguità geografiche.
Siamo dentro un¹Unione in parte già sovrannazionale.
Finora sapevamo di non poter più essere autarchici in
economia. Adesso veniamo a sapere che non siamo più
autarchici neppure in politica, nel pensiero, nel
linguaggio. Lo spirito pubblico può perdersi in patria,
ma poi riformarsi al superiore livello europeo. Chi non
ha senso della cosa pubblica nel proprio paese finirà
col doverlo avere nell¹Unione. Il conflitto d¹interessi
e la legge sull¹immunità lasciano forse indifferenti
gli italiani ma non i politici d¹Europa, e anche a
questo Berlusconi era completamente impreparato: a tal
punto si sentiva esonerato dalla ginnastica delle
critiche e delle spiegazioni, che alla prima flessione si
è strappato i muscoli. Il deputato Schulz non è
all¹opposizione in Italia, non è un rivale del premier,
non è manipolabile con strumenti di controllo nazionali.
Inutile dire del suo partito socialdemocratico, senza
ridicolizzarsi: «In Europa ci sono comunisti peggiori
che in Italia». Schulz parla con l¹autonomia che hanno
le istituzioni europee, alla controparte naturale che è
la presidenza di turno del Consiglio europeo.
Questo è l¹evento non calcolato, questa è
letteralmente la divina sorpresa: l¹Europa che non ci
attendevamo già comincia a esistere, a sfuggire i
controlli degli Stati nazione. L¹Europa non possiede
ancora una costituzione perfetta, che le consenta di
pesare nel mondo. Ma in politica interna e nella
giustizia già agisce come un¹unità vera, dotata di un
suo Parlamento, di sue comuni leggi, di un comune obbligo
per gli Stati a render conto di quel che fanno. Il
contenzioso scatenato da Schulz e Berlusconi non è
bilaterale, non è tra Germania e Italia. E¹ un
contenzioso di politica interna europea, molto più
palesemente di quanto sia accaduto per le sanzioni contro
l¹Austria di Haider, che furono decise dai singoli Stati
e non dall¹Unione in quanto tale. Come ha detto il
Presidente dell¹assemblea di Strasburgo, l¹irlandese
Pat Cox, è al Parlamento europeo e non a Schroeder che
Berlusconi, semmai, dovrà presentare le scuse. Non
l¹ambasciatore presso Berlino avrebbe dovuto muoversi,
ma l¹ambasciatore presso l¹Unione europea.
La nascita di un¹opinione pubblica europea, di
un¹agorà dell¹Unione, è un evento naturale nella
storia d¹Europa: naturale perché da lungo tempo
invocato, e naturale perché da un anno ormai i
parlamentari europei e nazionali discutono di quella che
dovrà essere l¹identità costituzionale del continente.
Questo ha dato loro orgoglio e nuovo ardimento. Fin qui
eravamo abituati a due forme di controllo della politica:
quello degli elettorati nazionali e quello che nella
mondializzazione è esercitato dei mercati. L¹ex
presidente della Banca centrale tedesca Hans Tietmeyer
parlò a suo tempo di un doppio elettorato (una doppia
constituency) rispetto alla quale i politici erano ormai
responsabili, e attribuì ai mercati un ruolo di
disciplina supplementare, cui diede il nome di plebiscito
permanente. Ma ora a queste due constituencies se ne
aggiunge un¹altra: la circoscrizione-Europa, nuova base
elettorale dei leader politici, ed è questo che crea
sgomento nel nostro presidente del Consiglio.
L¹esistenza di questo terzo livello di controllo egli
non ha voluto riconoscerla, e di conseguenza non ha
saputo superarne l¹esame.
La Costituzione europea di cui i governi discuteranno nel
semestre italiano non è ancora compiuta, come abbiamo
visto. In alcuni campi esiste ancora il diritto di veto,
e questo rende l¹Europa incapace di decidere: è il caso
della politica estera, della difesa. Da questo punto di
vista non è ancora una Costituzione, ma poco più di un
trattato tra nazioni. Ma in molte materie è già
un¹autentica Costituzione, un ordinamento statuale con
proprie leggi e propri organi federali, con un proprio
preambolo sui diritti e chiare procedure che regolano i
rapporti non solo tra poteri nazionali e europei, ma tra
autorità pubbliche e privato cittadino. E¹ il caso
della politica giudiziaria e della politica interna: in
questo campo, i progressi della Convenzione sono stati
notevoli. Si sta discutendo di procura europea, di
mandato di cattura europeo, di comune lotta alla
malavita, alla xenofobia. Solo il governo italiano
ostacola simile unificazione politico-giudiziaria, e
questo spiega l¹ira di Berlusconi e la grande
soddisfazione di chi in Italia più esecra l¹Europa: la
Lega. Bossi è stato molto più esplicito di Berlusconi,
dopo l¹incidente di Strasburgo. Non solo l¹ha difeso,
ma ha messo in chiaro quale debba essere per lui
l¹obiettivo: «Finché c¹è Berlusconi presidente del
Consiglio, il Superstato europeo non verrà. E saremo
tutti un po¹ più liberi a casa nostra».
Questo è il sogno dell¹autarchico moderno, in Italia:
poter fare quel che meglio si crede, «a casa propria»,
e dare a questa casa il nome di patria nazionale. Ma
c¹è qualcosa di più, nella reazione di Berlusconi come
di Bossi. La nascita dell¹agorà europea promette di
resuscitare lo spirito pubblico lì dove esso minaccia di
sfinirsi, di chiamare a responsabilità chi nazionalmente
si è blindato, ed è proprio questo spirito pubblico che
il presidente del Consiglio sembra temere, o comunque
sottovalutare. Può darsi che egli sia un animale
politico capace, astuto. Ma la sua visione è angusta,
non supera il cerchio intimo degli amici e stretti
alleati. Eccezionalmente turbato dai propri interessi
privati, sembra aver perso l¹essenziale, e cioè il
rapporto con la realtà esterna. Il pubblico è una
categoria che non conosce, se non sotto forma di effimeri
sondaggi, e l¹agorà è un terreno per lui impervio. Il
suo scherzare sull¹olocausto è casalingo, la frontiera
per lui non esiste fra domicilio domestico e res publica.
Per molti è una frontiera che non esiste più, così
come non esiste l¹obbligo di consequenzialità. Lo
stesso Giuliano Ferrara che a suo tempo si indignò con
Benigni, accusandolo d'aver fatto un film «ridanciano»
sull¹olocausto (La Vita è Bella), difende ora lo
scherzetto su Auschwitz del premier: «Il Cavaliere ha
fatto benissimo a dare del kapò a Schulz. Non può
essere remissivo». Perché quello scherzetto no e questo
sì?
Dice Bossi che il popolo, da noi, parla così:
caoticamente, senza badare al principio di non
contraddizione, e ben venga un premier che usa lo stesso
linguaggio. Ma Fini e Follini, che non sono di questo
parere e tuttavia già son pronti a passare ad altro? Il
loro è un calcolo che si può capire, ma i dubbi
restano. Mercoledì scorso Follini aveva l¹aria
sgomenta: «Non condivido e faccio fatica a capire»,
commentò. Oggi ha l¹aria di dire, sulla falsariga del
comico romagnolo Maurizio Ferrini: «Non capisco ma mi
adeguo».
Forse è venuta invece l¹ora di capire e di dire: siamo
sotto lo sguardo d¹Europa, e non siamo affatto soli. Lì
è il nostro destino e magari anche la nostra
opportunità. Solo chi ha perso il rapporto con la
realtà esterna e con lo spirito pubblico può pensare
che questo costituisca per l¹Italia una tragedia, o una
discesa in Inferno.
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