Il dio delle donne e le donne di dio


di Silvio Cinque

Non ho letto "Il Dio delle donne*" di Luisa Muraro e me ne rammarico perché conosco della sua autrice l'attività di filosofa e di ricercatrice rigorosa. Se il libro riprende le tematiche espresse ne "Le amiche di Dio*" ed il suo rigore filologico, allora è una lacuna da colmare quanto prima.
Il 16 novembre del 2002 mi sono regalato, per l'ennesimo compleanno, un incontro alla facoltà di filosofia di via Ostiense. Mi sono ritrovato insieme a tante donne, studentesse e non, che dibattevano su vari temi e figure di studiose come Maria Zambrano, Etty Hillesum e Crisitna Campo davanti ad una "commissione" composta da Luisa Muraro e da AnnaRosa Buttarelli. A presiedere e fare da ospite la professoressa Francesca Brezzi dell'omonima facoltà che avevo gia conosciuto in occasione della bellissima iniziativa su Etty Hillesum nelle nostre biblioteche.

Le sensazioni e le riflessioni non potranno perciò riguardare il libro ed il suo contenuto, dei quali provvederò quanto prima a colmare la mancanza, ma del dibattito che, in modo molto colto e raffinato, ricco di citazioni e spazioso di riferimenti, Giampaolo Rossi ha ricondotto.

Mi piace l'idea suggestiva della "circolarità del pensiero" che è anche più semplicemente presente in una canzone di Zucchero quando si chiede: "Tutti mi chiedono se credo in dio, ma lui crede in me?"
Mi piace quando coglie la caratteristica del pensiero femminista in questa pratica della accoglienza e non della negazione, dell'empatia e non dello schieramento settario, per cui credere o non credere non determina una serie di avvenimenti di pensiero ed atti di fede.
Mi piace questo riconoscere un percorso di autoconsapevolezza e di autoconoscenza, punto essenziale per incominciare un viaggio del quale l'importante non è la meta, ma il percorso, non è l'arrivo, ma l'incontro nell'itinerario.
Mi piace anche questo suo modo intimistico e "tenero" di disporsi alla lettura e lasciar scorrere i pensieri, le suggestioni ed i suggerimenti nella difficile pratica dell'ascolto, senza "prendersi la briga di rispondere" e porsi quindi in un atteggiamento conflittuale.

Questa essenzialità del pensiero femminista ha prodotto una cultura nuova, una visione nuova dei rapporti tra il sé e l'alterità da sé.

Ma non è possibile omologare, ed infatti Rossi li distingue perfettamente contestualizzandoli, gli atteggiamenti del maschio di sinistra con quelli del maschio di destra solo in nome di una solidarietà di genere. Lo slogan "compagno in piazza, fascista in casa" oppure "compagno sei come il ravanello: rosso di fuori, bianco nel cervello" indicavano l'itinerario e le problematiche che non potevano che avere quelle caratteristiche e quelle tendenze di pensiero. La misoginia della sinistra, anche se il distinguo è assolutamente accademico e non consola le coscienze maschili in continua attività, ha caratteristiche diverse e forse più pericolose di quelle della destra. La destra spesso si è abbandonata ad una rozzezza di stile che ne indicavano la limitatezza dei contenuti. Per questo, ma soprattutto per i contenuti, la ricerca femminista si è diretta verso ben altre strade. Durante questo viaggio tuttavia femministe e "compagni" non si sono sempre e serenamente ritrovati e spesso né le une né gli altri hanno vissuto l'accoglienza dell'altro nella propria essenziale differenza. Ma è sui grandi temi dell'aborto, del divorzio, dei diritti sul lavoro, della difesa di spazi sociali e medico-psicologici che le battaglie hanno in qualche modo, talvolta confortante, avuto un presupposto comune. Non sono tuttavia di quelli che credono che la soluzione dei problemi di classe risolverebbe "a
utomaticamente" anche quelli "sovrastrutturali" delle differenze di genere. Certo il femminismo, ed inevitabilmente il femminismo in una scelta pacifista, ha ridato valore ed importanza alla vita, alle persone. È partendo proprio dai presupposti della assoluta libertà e responsabilità individuale delle scelte, proprio dalle problematiche che l'aborto evidenziava, proprio da quello che la destra aveva semplicisticamente condannato come omicidio, che il movimento femminista ha dato una visione altra della vita e dei rapporti tra i viventi indicando le strade del pacifismo, dell'ascolto e dell'empatia. Da qui la battaglia per la smilitarizzazione della vita "civile" da un autoritarismo tuttora presente e lo slogan della Fallaci "un soldato è un aborto rinviato a vent'anni". La  citazione della Fallaci, che di sinistra non lo è più,  riporterebbe il discorso relativo e riduttivo del femminismo
 "sinistrofilo" a tematiche meno anguste?

Le tematiche femministe arrivano a dio in un percorso evolutivo dentro il quale all'inizio era necessario sgombrare il campo dai ristretti spazi dei valori maschili e patriarcali dentro i quali per le donne era  ed è solo INFERNO. E si arriva a dio non scappando dall'inferno, né tanto meno negandolo, ma certamente trasformandolo in un mondo possibile. Etty che all'inferno ci è voluta andare, certamente preferirebbe questo digrignar di denti a tutte le estasi cherubine e serafine.

E nell'inferno nazista, ahinoi uno dei tanti possibili inferni, lei ha trovato la forza anche di inginocchiarsi, di prestare ascolto e cuore pensante. Trasformare l'inferno in un mondo possibile significa trasformare anche dio in un mondo possibile e ciò può essere conseguente all'incontro ed alla riformulazione della Donna nella sua diversità, nella sua entità. Solo così, guardandola con occhi diversi e riconoscendola in un contesto reciproco è possibile riformulare anche l'idea di dio. Un dio altrettanto alieno ed estraneo in una visione nuova del mondo, quanto le donne stesse nella visione patriarcale della realtà. Così le mistiche  del Trecento e le donne citate dal libro e da Rossi sono state comunque donne, magari massaie, come si diceva fino a qualche decennio fa, o . casalinghe e le enormi difficoltà che questo ha comportato.

Non riesco però a caratterizzare l'idea della ricerca di dio come esperienza femminile e simbolica della maternità. Non sono sicuro che la maternità esprima tutta la gratuità della cura. Non ne sono sicuro perché la trappola dell'idealizzazione di un materno incorrotto, innocente e incontaminato è troppo evidente. Credo anzi che l'inizio del percorso femminista da "Donne come madri" a "Nato di donna*" ponga in maniera categorica la necessità di rivisitare il rapporto madre-figlia come presupposto indispensabile per partire da sé in una ricerca, qui ammissibile, di solidarietà di genere.

Il recente Madri e figlie:Legami e conflitti tra due generazioni della psicoanalista Salvo Anna restituisce una certa "serenità" al difficile argomento, pur partendo da esperienze
"affettivamente particolari"..

Ma è a questo punto che mi allontano, anche se a malincuore, dal l'ultima suggestiva citazioni di Rossi. Il paragone con il potere riferito al Frodo di Tolkien mi riconduce ad una necessaria perplessità. Il mondo "asessuato" e fiabesco della terra di mezzo è un mondo abitato, tuttavia, da maschi; siano orchetti o Lo_hobby, nani o elfi o umani sapienti e ..bibliotecari,  hanno tutti le connotazioni di genere. C'è solo una diafana figura femminile che è Galadriel, Signora della Luce, con il suo specchio della conoscenza, ma è un personaggio quasi
"madonnesco" idealizzato in un Eden improbabile anche se affascinante. E Lei sì che ha uno degli  anelli del potere!

La lotta per il potere è quindi maschile e non pone perciò che soluzioni di negazione. Così Frodo, novello Prometeo, si fa portatore di una nuova speranza di riscatto e di libertà, ma tutta .maschile, non potendo che rappresentare un unico mondo che appartiene al suo genere. Come Prometeo anche Frodo si avvale di uno strumento
"antropologicamente"  femminile, se è vero che è il vaso che contiene e conserva il fuoco così come  è l'anello che rappresenta lo stato simbolico del demiurgo, del guaritore. Gandalf  più saggiamente  e simbolicamente si avvale del "bastone del comando".

Autrici come  Wonda McIntyre*,  Marion Zimmer Bradley* e soprattutto Ursula Kroeber Leguin* hanno dato soluzioni ben diverse.

È sulla problematica del potere che il movimento femminista esprime una vasta gamma di atteggiamenti diversi e talvolta antitetici.

Inevitabilmente il pensiero femminista indica almeno due strade riprodotte indicativamente nel dibattito tuttora in corso. Segnalo pertanto all'interno del sito di Via Dogana dove è possibile trovare anche l'intervento di Giampaolo Rossi,  la polemica intercorsa tra Rossana Rossanda e Luisa Muraro relativa all'atteggiamento nei riguardi della politica e della partecipazione alla cosa pubblica, combattuta tra il vincere ed il partecipare, in una avvincente riflessione di entrambe.

 

Quanto alla ricerca di dio in me, questa si "riduce" alla faticosa e spesso improba armonizzazione tra femminile e maschile. Certo non il dio degli eserciti o quello dei giusti del quale già Fromm nel suo "Voi sarete come dei"  indicava  i limiti storici ed umani. Del resto non posso credere in un dio che lasci fuori della porta umanità non eletta, non rivelata. Quale che sia questa entità mi è difficile intuire se non nella vita di Gostanza o di Teresa, che sia d'Avila o di Lisieux. Tuttavia non riesco ad inginocchiarmi nello stesso pavimento dove negli anni della pubertà, mani pietose, amorevoli e curative di preti salesiani, ponevano piccoli crudeli sassolini per correggere e punire gli slanci della giovane età... Non so quale sia questa entità, ma so in parte, per pratica politica, quale sia l'Umanità e quale rappresentazione di essa certo Dio oggi ne abbia in visione. Nella ricerca di dio voglio stare fuori dall'Arca (e non so nuotare!), ma non da tutte le sue creature; dalla via di Damasco e della Conciliazione, ma non dai suoi viaggiatori, pellegrini, samaritani, fuggiaschi, nomadi e migranti; dalle moschee, ma non dalle loro spianate; dai muri e muraglie, ma non dal pianto e dal riso ( anche di risaia); dal Monsterio dos Jeronimos con il suo impressionante crocefisso, ma non dalla meravigliosa gente di Belem. Preferisco la via di Betania, talvolta quella necessaria del
l'Egitto e le strade che portano a selve lacandone e d'amazzoni e campi sosta dove ancora rinchiudono persone e pensieri (che è un modo pulito e silenzioso di prendere a cannonate entrambi). E in queste strade, in queste selve, piazze e campi troverei certo un dio di cui parla la ricerca e lo studio di Luisa, di Adriana di Annarosa, di  Maria Zambrano e di quella splendida e terribile creatura che è stata Etty. In una cosa sono d'accordo con Rossi quando afferma che il dio delle donne non ha formule né magiche né demiurgiche. È un dio di piccole grandi cose con segreti in-svelabili, ma solo comunicabili da quella reciprocità rischiosa che si chiama ascolto.

 

Di Luisa

*Luisa Muraro, Il Dio delle donne, Milano, Mondadori, 2003

http://www.url.it/donnestoria/bibliografia/stofil.htm

http://www.bnnonline.it/attpro/teca/amiche.htm

*Luisa Muraro, Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile, a cura di Clara Jourdan, Napoli, D'Auria, 2001

*Salvo Anna,  Madri e figlie. Legami e conflitti tra due generazioni, Milano,  Mondadori, 2003

*Adrienne Rich, Nato di donna, Milano, Garzanti, 1996.


Sulla recensione di Giampaolo Rossi:
http://www.libreriadelledonne.it/news/news.htm#

e poi:

*E. Fromm, Voi sarete come dei,  Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1970

*Vonda N. McIntyre,  Il serpente dell'oblio, Milano, ed. Nord, 1980

*Ursula K. Leguin, La mano sinistra delle tenebre, Milano, ed. Nord

*Marion Zimmer Bradley, Le nebbie di Avalon, Milano, Longanesi, 1986

 

 

 

 

 

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