12
settembre 2000
La Prefettura: sono 11
i morti accertati - Soverato
CATANZARO -
Undici e non dodici sarebbero i morti della tragedia di
Soverato. Continua l'incertezza, dopo tre giorni dai
fatti, sul numero delle vittime e dei dispersi. Ma
l'ultimo bilancio reso noto poco fa dalla Prefettura di
Catanzaro parla di dieci cadaveri recuperati ed
identificati ed uno avvistato in mare ma non ancora
recuperato. Dei dieci cadaveri recuperati cinque sono di
disabili, quattro di volontari dell'Unitalsi e uno di un
ospite del camping Le Giare. I dispersi, secondo la
Prefettura del capoluogo calabrese, sono tre ed i feriti
ancora ricoverati negli ospedali sette.
Le operazioni di recupero e di scavo avvengono anche con
l'ausilio di un mezzo speciale dell'esercito, le cui
dimensioni sono tali che per farlo arrivare nell'area del
disastro è stato necessario smontarne le parti
meccaniche che sono state trasportate singolarmente per
poi essere nuovamente assemblate sul posto.
Non si placano, intanto, le polemiche in merito
all'ubicazione del campeggio. Il sindaco di Petrizzi,
Domenico Mazza, giudica "falsa e infondata" la
dichiarazione del sindaco di Soverato in merito
all'esistenza di una discarica abusiva nel territorio di
Petrizzi in prossimità del torrente Beltrame, come
possibile causa dell'alluvione di domenica scorsa. La
tragedia troverebbe la sua origine invece "nella
sciagurata coincidenza di vari fenomeni, quali la
localizzazione del campeggio in un'area fatalmente a
rischio e la mancata manutenzione dell'alveo del
torrente". Il comune di Petrizzi - dice il sindaco -
è l'unico del comprensorio che per la raccolta e lo
smaltimento dei rifiuti ha utilizzato, sino alla fine del
'99, una discarica consortile controllata e autorizzata
dalla Regione Calabria, in località Parrera, e ora,
esaurita la disponibilità, utilizza dall'inizio di
quest'anno una discarica controllata nel comune di
Cardinale.
Nessuno sbarramento si sarebbe verificato quindi nel
torrente a causa di fantomatiche discariche abusive. Da
alcuni rilevamenti il torrente aveva già raggiunto nel
punto di straripamento un'altezza di piena di cinque
metri per un fronte di cinquanta metri circa. "Ciò
fa presumere - prosegue il sindaco - che la piena abbia
raggiunto il modesto ponte, ubicato a valle in una gola
più stretta, con un fronte d'impatto d'acqua tale da
superare in altezza quella del ponte medesimo,
presumibilmente già ostruito con detriti e alberi
trascinati dalla piena".
12
settembre 2000
Malasanità milanese
Poggi Longostrevi suicida
MILANO - Giuseppe Poggi
Longostrevi si è ucciso. L'ex "Re Mida" della
sanità milanese, rinviato a giudizio per corruzione
perché coinvolto due anni fa nel più grande caso di
corruzione ai danni delle Asl, è stato trovato morto
nella sua casa a Milano, in via Soresina. Longostrevi
aveva già tentato di uccidersi ingerendo una massiccia
dose dei farmaci che adottava abitualmente nel giugno
scorso. Aveva 64 anni. In seguito all'inchiesta, il
professor Longostrevi era rimasto in carcere tre mesi, e
altri tre agli arresti domiciliari. Nel corso degli
interrogatori avrebbe fatto ammissioni. Gli erano stati
sequestrati beni in Italia e all'estero.
Lo scandalo della sanità milanese risale al maggio 1997
quando esplose con arresti a raffica. L'inchiesta era
però partita nel luglio 1996, dopo le verifiche fatte da
un viglie urbano, su disposizione della Pretura di
Milano, nell'edificio di via Paolo Giovio dove aveva sede
il Centro di medicina nucleare di Longostrevi.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Longostrevi e
Alberto Zanca, amministratore della società, avevano
tentato, con una bustarella di 300 milioni, di corrompere
il vigile perché non segnalasse le irregolarità. Da qui
scattarono le indagini e venne scoperto un complesso giro
di corruzione.
Secondo l'accusa, il professore avrebbe corrotto molti
medici di base milanesi, affinché inviassero i pazienti
al suo centro. A ciascuno, per prescrivere le
scintigrafie, venivano dati compensi (50-100 mila lire),
vari regali e, in più, il 15 per cento del valore degli
esami di laboratorio. Secondo i magistrati, parecchie
prestazioni non vennero mai eseguite mentre, in molti
casi, sulle prescrizioni venivano aggiunti a mano altri
esami per far lievitare i rimborsi Usl.
Nell'inchiesta finirono oltre 300 persone. Per oltre 250,
fra cui lo stesso Poggi, il processo è fissato per il 2
aprile 2001. La Corte dei Conti stimò i danni causati
all'erario in 60 miliardi.
(15 settembre
2000)
Rocco Derek Barnabei
è stato giustiziato
WASHINGTON - Rocco Derek
Barnabei è stato giustiziato con un'iniezione formata da
tre diversi veleni che bloccano l'attività cerebrale,
quella respiratoria e quella cardiaca. Aveva 33 anni. Su
di lui è stata eseguita la condanna a morte decisa da un
tribunale della Virginia che lo ha ritenuto colpevole di
aver ucciso la sua fidanzata, Sarah Wisnovsky in un
giorno di settembre del 1993.
Lo ha annunciato, alle 21 e 10, ora della Virginia (le
3,10 di notte in Italia) il portavoce del carcere di
Jarrat, Larry Traylor. Ha detto che l'esecuzione è
avvenuta alle 21,05. Lo stesso Traylor, qualche ora
prima, aveva fatto sapere che non c'era più nulla da
fare. La Corte Suprema degli Stati Uniti aveva respinto i
due ricorsi della difesa di Rocco. Di un'eventuale grazia
da parte del governatore James Gilmore, nemmeno a
parlarne.
La procedura è stata precisa. Rocco Derek Barnabei è
stato portato nella stanzetta dove c'è il lettino della
morte. Era emozionato, forse un po' spaventato ma, tutto
sommato, calmo. Indossava pantaloni e camicia blu, fino a
qualche minuto prima era stato al telefono con sua madre,
Jane. Aveva trovato persino la forza di qualche battuta
scherzosa.
Ha parlato per l'ultima volta. Ha detto parole d'amore:
"Ti amo, mamma; ti amo Craig". Craig è il
fratello... "Amo tutti voi: Fabrizo, Patrizia,
Tony... Continuate questa lotta. Io muoio davvero
innocente, ma la verità verrà fuori". Fabrizio è
il deputato toscano Vigni, Patrizia è la giornalista
Minz che, per prima ha fatto conoscere il suo caso, Tony
è Di Piazza, l'attivista italo-americano che si è
battuto per lui.
E' stato recitato anche un salmo: il 55-18 che dice:
"Egli ha portato via la mia anima in pace nella
battaglia che c'era contro di me: perchè c'erano molti
con me"... Poi l'hanno legato al letto e il boia ha
acceso il meccanismo che fa scattare le iniezioni e
mischia il "cocktail" micidiale nelle vene del
condannato. Il tutto davanti a un gruppo di orripilati
testimoni tra i quali quattro giornalisti. I genitori
della sua presunta vititma non erano presenti.
Una volta constatato il decesso, il corpo, chiuso in un
sacco e, poi, in una cassa, è stato fatto uscire dal
carcere. Rocco Derek Barnabei sarà sepolto in un
cimitero di Bromall, vicino a Philadelphia, dove riposano
i suoi nonni materni.
Fuori dal carcere, giornalisti, troupe televisive (quasi
tutti italiani, ma anche qualche americano), il fotografo
Oliviero Toscani e un trentina di dimostranti.
Pochi, in assoluto, non
tanto pochi per gli standard americani. E veglie funebri
si sono tenute in 27 centri della Virginia.
E fuori dal carcere, quando lo Stato della Virginia aveva
ormai finito di uccidere in modo preciso e relativamente
pulito, il povero Rocco Derek Barnabei e mentre un
venticello fresco si alzava a scacciare una cappa di
calore che durava da ore, i suoi avvocati hanno cercato
di rispettare le sue ultime volontà. Seth Tucker e
Andrew Protogyrou sono usciti incontro ai giornalisti
annunciando che la battaglia non è finita:
"Chiederemo a James Gilmore di conservare i reperti
di questo caso. Perché vogliamo andare avanti e vederci
chiaro. Se il governatore non accoglierà, la nostra
richiesta, ci saranno dei sospetti". E Protgyrou ha
detto parole anche più pesanti: "Questa sera c'è
stato un omicidio. Rocco è stato davvero coraggioso. Non
ha pianto: è stato lui a fare coraggio a noi". Poi,
il legale di origine greca si è rifiutato, in nome di
"un briciolo di privacy" di rivelare il menù
dell'ultimo pasto di Rocco. Ma sembra che l'avesse già
fatto il fratello Craig che avrebbe parlato di una pizza
con molto formaggio.
Tutto finito, dunque, per Rocco Barnabei. Ma c'è da
giurare che, questa volta, qualcosa andrà avanti. In
America, la vicenda è stata seguita con il solito
disinteresse, ma, forse, con un minimo di partecipazione
in più. In Italia e in Europa, però, il movimento
contro la pena capitale, magari ritardatario e
velleitario, questa volta si è fatto sentire. E, a fare
arrabbiare ancora di più europei e italiani, c'è stato
l'appello del Dipartimento di Stato Usa agli americani in
Italia: "State attenti, qualcuno potrebbe cercare di
vendicare la morte di Barnabei su di voi".
Minacce che suonano improbabili, anche se non si può
escludere che qualche squilibrato le abbia fatte. Ma in
Italia, questa notte, più che alla vendetta, si è
pensato alla totale inciviltà di quanto è successo in
Virginia. In molte città si sono svolte silenziose e
dignitosissime veglie di muta e accorata protesta contro
lo Stato che si vendica e uccide.
15
settembre 2000
L'ultimo grido di Derek
"La morte non mi fa paura"
WASHINGTON - "Non ho
paura. A questo punto non ho più paura". Quando
anche l'estrema speranza era svanita, quando ormai quasi
sentiva la presenza del boia, Derek Rocco Barnabei ha
urlato al mondo le sue ultime parole. Poco prima la Corte
suprema degli Stati Uniti aveva respinto l'ultima istanza
dei suoi avvocati, basata sulla possibile manomissione
dei reperti trovati sul corpo della vittima, contenuti in
una busta sparita per diverso tempo dall'archivio di
tribunale dove era conservata. Non c'era, allora,
nient'altro da fare se non aspettare.
Niente ha potuto fare la legge, niente ha voluto fare
l'uomo che avrebbe potuto fermare l'esecuzione. A poco
più di un'ora dalla orario fissato, le 21 in America, le
3 in Italia, il governatore della Virginia James Gilmore
ha infatti fatto sapere che non si sarebbe avvalso della
facoltà di sospendere la pena.
E proprio mentre le ultime drammatiche notizie si
rincorrevano, Rocco ha confidato per telefono a sua madre
- che piangeva nella stanza di un motel di Emporia - di
non avere più paura. "Affronto la mia morte con
grande coraggio", ha detto. "Sarò presto in
Paradiso. Ma sono veramente innocente voglio che si
sappia che muoio da innocente".
È stata la stessa Jane
Barnabei, in compagnia dell'altro figlio Craig, a
riferire ai giornalisti le parole di Derek. Che nei
confronti dei congiunti sono state particolarmente
tenere: "Ci ha chiesto - ha detto Jane - ancora una
volta di andare avanti e ci ha detto di non lasciare che
la sua morte distrugga la nostra famiglia".
Il governo della Virginia ha, nel frattempo, reso noti i
nomi dei testimoni dell'esecuzione. Si tratta di David
Work, macchinista, Joseph Scerra, specialista di impronte
digitali, Michele Major, esperto legale, Stephen Kerr,
docente di criminologia, Melanie Doud, psicologa e
Gregory Williams, ingegnere elettronico. Tra i
rappresentanti dei mass media ci saranno Bill Baskervill
(Ap), Andy Fox (Wavy-Tv10), Matt Dolan (The
Virginian-Pilot), Frank Green (Richmond Times-Dispatch).
I familiari del condannato non sono ammessi, in Virginia,
alla esecuzione, a differenza di quelli della vittima,
che ne hanno diritto. Si ignora al momento se i parenti
di Sarah Wisnovsky, la ragazza per la cui uccisione è
stato condannato a morte Barnabei, intendano assistere
all'esecuzione.
15
settembre 2000
Catturato il leader
dei terroristi baschi
MADRID - Si chiama Ignacio
Gracia Arregui (più noto come Inaki de Renteria), ha 45
anni, è considerato il numero uno dell'Eta,
l'organizzazione terroristica basca, ed è stato
arrestato questa sera intorno alle 19.45, in territorio
francese. Una "trappola" contro uno degli
uomini più ricercati d'Europa, scattata mentre si
incontrava con la compagna, Fabianne Tapia, nella
località di Bidart vicino a Bayonne.
Comprensibile, dunque, la soddisfazione con cui il
ministero dell'Interno spagnolo ha confermato la notizia.
Specie dopo che a dicembre dell'anno scorso, il braccio
armato dei separatisti baschi (l'Eta, appunto) ha rotto
la tregua proclamata in precedenza, con una serie di
attentati a catena che, soprattutto in luglio e agosto,
hanno insanguinato la Spagna.
E proprio lui, Inaki de Renteira, è ritenuto dagli
inquirenti il leader indiscusso dei terroristi. Cresciuto
in un ambiente radicale e nazionalista, già a vent'anni
l'uomo entra nei ranghi del terrorismo basco. Nel '77 fu
amnistiato dal governo, ma non abbandonò le armi. Nel
corso degli anni '80, entrò definitivamente in
clandestinità. Tra gli attentati che la polizia gli
attribuisce, il progettato omicidio del re, che risale al
'95.
15 settembre 2000
Olimpiadi
Quattro ore di festa, 110 mila
spettatori, 4 miliardi in tv
più di dodicimila attori per la cerimonia d'apertura
Cathy Freeman,
l'aborigena
della riconciliazione
SIDNEY -
Un'aborigena che accende il tripode olimpico. Il passato
che accende il futuro, nel segno della riconciliazione.
Cathy Freeman, atleta di origine aborigena, ha chiuso il
cerchio della solenne cerimonia di apertura dei Giochi
Olimpici del 2000. Giochi che si annunciano grandiosi,
sin dalle prime battute.
Prima del via ufficiale alla XXVII Olimpiade, pronunciato
dal governatore generale dell'Australia, sir William
Deane, il mondo ha seguito stamattina una delle più
"alte" cerimonie d'apertura che si ricordino.
In termini di ore - quattro - di fasto e di contenuti.
E' stata la riconciliazione il tema di questa lunga,
quasi epica festa inaugurale. Riconciliazione storica tra
civiltà aborigena e colonizzatori bianchi.
Riconciliazione in vista del moderno, e anzi del futuro:
culla delle culture più diverse, miscuglio multietnico
tra i più avanzati, il messaggio che viene fuori da
questa festa che inaugura le Olimpiadi del nuovo secolo,
è quello di una volontà di convivenza pacifica e
costruttiva tra tutti i popoli. Nonostante le diversità.
Anzi, proprio grazie a queste.
Non a caso è stata un'aborigena il tedoforo di questi
Giochi. Non a caso le due Coree hanno sfilato per
l'occasione sotto bandiera unica, mentre nelle gare
ognuno correrà per sé.
Sotto gli occhi di 110 mila spettatori dal vivo e circa 4
miliardi attraverso lo schermo tv, la festa inaugurale,
iniziata alle 19 locali (le 10 di stamattina in Italia),
è stata una grandiosa giostra di persone, costumi, luci.
Lo stadio olimpico, illuminato da 99 tonnellate di
"cyberlights", è stato teatro della mitica
epopea australiana interpratata da più di dodicimila
attori.
Tra i quali, attore principale, una bambina di 13 anni,
Niki Wabster, che attraverso un sogno
"acquatico" ha rivissuto la storia dell'isola:
l'incontro con l'aborigeno, la dura colonizzazione
inglese, l'operosa costruzione della civiltà. La
bambina, fuor di cerimonia, è già una star. Recita già
da ben sei anni in popolarissime trasmissioni televisive
e nel suo curriculum vanta una canzone,
"History", interpretata con Michael Jackson al
Sydney Football Stadium.
Coprotagonista, Djakapurra, un danzatore altrettanto
famoso in Australia. Nato in Arnhem Land, ha passato la
vita nello studio delle antiche cerimonie. E' lui che
incontra la bimba al risveglio dal sogno epico: nelle
intenzioni degli scenografi è questa una celebrazione
della città di Sydney.
E della civiltà moderna: i commerci si espandono,
arrivano gli immigrati del mondo, la nuova società
cosmopolita è pronta ad ospitare le Olimpiadi. Lo
spettacolo ha riservato, dietro la celebrazione dei temi
"alti", qualche nota ironica e autoironica.
Camicie a quadri e tip tap: un repertorio tutto
australiano di costumi popolari, di tono volutamente
"basso".
Dopo due ore abbondanti di spettacolo, la sfilata delle
nazioni. E' stato il momento in cui il messaggio
dell'intera cerimonia è apparso andare a segno:
l'applauso più sonoro è stato per le due Coree,
riconciliate per la festa sotto unica bandiera. E anche
l'Italia, tra le note dell'Aida di Verdi e capitanata da
Carlton Mayers, alfiere del tricolore, ha dato il suo
contributo multirazziale allo spettacolo. L'insolita
presenza del giocatore "negro", come Mayers
stesso ama definirsi, tra le fila azzurre, è stata
confermata dalla regia televisiva internazionale che ha
"bucato" l'inquadratura del campione.
Iscrivendolo, evidentemente, a un'anagrafe non certo
mediterranea. Ha rimediato più tardi la Rai, mandando in
onda immagini del portabandiera azzurro riprese da un suo
cameraman all'interno dello stadio.
Mentre sulla pista continuavano a sfilare le delegazioni
delle squadre olimpioniche, fuori dallo stadio le
telecamere seguivano la corsa della fiaccola verso lo
stadio. Una fiaccola che è rimasta nell'anonimato fino
all'ultimo momento: segreto il nome della persona
chiamata ad accendere il fuoco olimpico. Un giovane
sconosciuto, forse un aborigeno? I sospetti erano ben
indirizzati: Cathy Freeman, medaglia d'argento nei 400 ad
Atlanta, atleta di colore e speranza della nazionale
australiana di atletica, ha interpretato a pieno l'idea
che era alla base di questa festa: riconciliare l'antico
e il moderno, il diverso con il diverso.
28
settembre 2000
Pedofilia, si dimettono
i direttori di Tg1 e Tg3
ROMA - Il governo scende in
campo, partono le lettere di censura e i direttori del
Tg1 e del Tg3 - Gad Lerner e Nino Rizzo Nervo - si
dimettono, così come i caporedattori dei due
telegiornali che ieri sera hanno mandato in onda le crude
immagini sul dramma dei bambini violati. Una vera bufera
quella che ha travolto i vertici delle due testate della
Rai. E mentre stamattina il ministro delle Comunicazioni
Salvatore Cardinale alla Camera prendeva le distanze dei
vertici della Rai, da Saxa Rubra arrivavano le lettere di
dimissioni. A lasciare, oltre ai due direttori, sono
stati David Sassoli, autore del servizio andato in onda
nel Tg1 di ieri sera, Sergio Criscuoli, redattore capo
della redazione cronaca del Tg3, e Piero Damosso, il vice
capo redattore del Tg1 di turno ieri sera.
Ma il terremoto sulla Rai è destinato a non finire.
Mentre, insieme a Lerner e Rizzo Nervo veniva ascoltato
dala commissione di Vigilanza Rai, il direttore generale
Pier Luigi Celli ha chiesto la convocazione urgente del
consiglio di amministrazione dell'azienda e l'apertura di
"un'indagine sull'esatta dinamica dei fatti per
poter procedere all'individuazione dei diversi livelli di
responsabilità e avviare le procedure previste per i
necessari provvedimenti disciplinari".
Il presidente della Rai, Roberto Zaccaria ha già
annunciato che non intende lasciare l'incarico. "Non
credo che sarebbe giusto dare le dimissioni; io non le
darò", ha detto Zaccaria all'assemblea generale dei
giornalisti della tv pubblica convocata questo pomeriggio
a Saxa Rubra dall'Usigrai. Zaccaria conferma
l'autocritica ("Con questa vicenda abbiamo perso un
punto di credibilità"), aggiungendo tuttavia che
"è stato un incidente. Non è certo questo il
nostro modo di intendere l'informazione".
A un'assemblea gremita, davanti a più di 150 giornalisti
di tutte le testate, Zaccaria ha detto che
"l'informazione è libera anche perché a volte
commette degli errori. Guai se per evitare degli errori
si avesse un grammo in meno di libertà". Il
presidente, che si è detto "colpito per le
dimissioni dei giornalisti, ha precisato: "Se ci
saranno delle sanzioni, io farò il possibile perché
siano graduate rispetto al livello di responsabilità per
l'omesso controllo e per il contenuto dei servizi".
Il giorno più lungo della Rai è incominciato
stamattina, quando Lerner e Rizzo Nervo hanno ricevuto
una lettera di censura da parte dell'azienda e sono stati
sentiti - separatamente - da Celli. E per oggi pomeriggio
erano sono stati convocati in commissione di Vigilanza.
Ma evidentemente hanno pensato che la situazione
richiedesse decisioni estreme.
"Credo che il provvedimento di censura possa non
essere sufficiente per contrastare le critiche e le
polemiche in atto nei confronti del servizio pubblico.
Sono sempre stato un aziendalista, credo nel servizio
pubblico e sono pronto a farmi da parte pur di salvarne
l'immagine", ha scritto Rizzo Nervo nella sua
lettera di dimissioni. Aggiungendo: "Ho sempre
raccomandato ai colleghi, nell'ambito delle loro
responsabilità, un supplemento di consapevolezza
professionale quando vengono affrontati temi riguardanti
i minori. Del resto i servizi messi in onda nel Tg delle
14 erano ineccepibili, né mandare quelle immagini è
stata una scelta editoriale della direzione. Riconosco
che vi è comunque una responsabilità generale del
direttore su tutto ciò che viene messo in onda,
responsabilità alle quali non mi sottraggo".
Sulla vicenda è intervenuto in mattinata anche il
Comitato di redazione del Tg1. "Siamo tutti
dolorosamente consapevoli che trasmettere immagini come
quelle è inammissibile. Che argomenti scabrosi e
impressionanti come la pedofilia andrebbero affrontati
con ben altra discrezione e ben altra prudenza", ha
detto in una nota l'organismo sindacale del Tg di Gad
Lerner. Aggiungendo però: "Senza cercare attenuanti
e senza entrare nel merito non possiamo non ricordare le
carenze di organici e di strutture, i sovraccarichi di
impegni, i ritmi frenetici con i quali ci troviamo a fare
i conti costantemente. Problemi spesso segnalati e mai
affrontati adeguatamente".
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