Call
Center, la vita della generazione usa e getta
di
Roberto Loddo Chi lavora in un call center rappresenta limmagine disperata di una generazione, che, diversamente dalle precedenti, è segnata dalla completa incertezza del presente e dalla certezza della precarietà nel futuro. Chi lavora nei call center vive in mezzo a continui controlli di produttività, accompagnati da occasioni di lavoro poco qualificate, poco retribuite, poco stabili e poco tutelate, con ricorrenti e prolungati periodi di totale assenza di lavoro. Immagina il futuro appeso ad una cornetta telefonica e un paio di cuffie. Fa parte di una generazione sfigata, che ha visto perdere i diritti e le conquiste sociali combattute dalle battaglie dei genitori, ed è cosciente che le uniche cose che vanno al di là dei pochi soldi che riceverà, sono le incertezze, e in alcuni casi anche il mobbing. Questo lavoro nella sua immagine più infame è usurante, con rischi psicologici e fisici ancora non definiti per la salute. Usando una
metafora un po abusata, si può dire che anche il
mondo dei call center è fatto a scale; sui singoli
gradini stanno diverse tipologie di lavoratori: qualcuno
un po più in alto, qualcun altro un po più
in basso. Operatori, Team Leaders, SuperVisors, Back
Office e CallCenter-Managers, indicano un vertice di
situazioni lavorative differenti. Nei call center è
definito inbound quelloperatore che
lavora in ricezione telefonate: è il cliente a chiamare
il call center, e il lavoratore si limita a rispondere
alle domande o a fornire lassistenza richiesta.
Viceversa si definisce outbound
quelloperatore che lavora sulle telefonate in
uscita. E il call center, attraverso questo
operatore, che contatta i clienti chiamandoli al telefono
(soprattutto a quello di casa) per proporre offerte,
prodotti o fare sondaggi e inchieste di mercato. Un azienda outbound, può scegliere come far lavorare i propri operatori in 3 differenti modalità: con un telefono e una lista cartacea di nominativi, con un telefono e un pc in cui scorrono i nominativi da contattare, oppure con un pc già programmato su una lista di chiamate da fare che partono in automatico: sarà poi loperatore, una volta che il cliente avrà risposto, a condurre la conversazione con griglia di domande precostituita fornita dallazienda. In genere anche le forme di saluto, i convenevoli, le risposte da fornire al cliente sono codificate e vengono fornite attraverso appositi manuali o corsi precedenti allassunzione. Tra i call center inbound di Telecom, Tiscali o Sky, che applicano il contratto collettivo nazionale sulle telecomunicazioni e la minuscola azienda outbound Cagliaritana che lavora su appalti pagando lavoratori occasionali a provvigioni con un contratto a progetto, la distanza è notevole. Dai dati della Assocontact lassociazione di imprese aderente alla Confindustria, nei call center italiani lavorano circa 250 mila addetti. Di questi,170 mila, sono stati contrattualizzati. Resterebbero fuori almeno 42 mila operatori, in gran parte outbound, cui le aziende non riconoscono il diritto automatico al contratto da dipendenti in forza della Circolare Damiano che permette il contratto a progetto per questo tipo di lavoratori. La precarietà nasce da un viaggio di crudeltà che ci travolge dai primi anni 90. Dal varo delle politiche di concertazione, dallabolizione della scala mobile, dallatteggiamento di tregua sociale tra governo e sindacati confederali, dai cosiddetti governi tecnici del 92 e del 93 fino ad arrivare al famigerato pacchetto Treu. Lapprovazione del maxidecreto del governo Berlusconi per la legge delega sul lavoro: La legge 30, una mostruosità legislativa che ha come fine ultimo quello di rendere sempre più solo il lavoratore, mentre lazienda è sempre meno responsabile, ed il padrone ha di fronte a se nuovi affari e fiumi di denaro. Reagire alla precarietà significa costruire e
sviluppare un forte movimento dei precari telematici,
ascoltando i bisogni di chi si trova nelle nostre stesse
condizioni di vita lavorativa, senza dare risposte
preconfezionate, dobbiamo identificarci collettivamente e
indagare la composizione del mondo del lavoro precario. Non
potremmo mai andare avanti nel percorso di lotta alla
precarietà, se prima non arriviamo a capire chi siamo. Reagire alla precarietà significa anche lottare
per il riconoscimento dei diritti del lavoratore a
progetto, inteso come persona, portatrice di diritti, e
non solo come risorsa da sfruttare. Riconquistiamo il
diritto ad avere una casa fare una famiglia, lottando per
la rimodulazione dei compensi che preveda buste paga non
al di sotto del limite di povertà. Una settimana fa, è nato il Blog per la rete dei precari dei call center di Cagliari, http://precarinlinea.blogspot.com/ uno spazio di dialogo, confronto e fantasia. Chiunque faccia parte di questo mondo, chiunque si senta sfruttato, o felice di lavorare a progetto, può scrivere e raccontare la sua storia. Anche chi dirige o possiede un call center,può raccontare le proprie esperienze dirigenziali, poiché il blog non è nato per contrastarli, ma per creare dialogo e confronto, alla pari, anche con loro. |