Parla Vatciagaiev, ex
portavoce del leader separatista ceceno
"Una
nuova categoria di ribelli pronta a decine di nuovi
sequestri"
"Russia, stai attenta:
in arrivo altri agguati"
Il presidente Mashkadov: "Il sangue si poteva
evitare"
Condoglianze alle vittime "dell'infame attacco
russo"
PARIGI - Non
finisce qui. Quello al teatro Dubrovka non è che il
primo di una serie di agguati. E' emersa in Cecenia una
nuova categoria di combattenti, e ci saranno decine di
altri sequestri. La Russia deve fare attenzione.
A lanciare l'allarme è lo storico Maierbek Vatciagaiev,
ex portavoce del presidente indipendentista ceceno Aslan
Mashkadov. Il sequestro di ostaggi "è uno schiaffo
per Putin - dichiara lo storico - che continua ad
affermare che la guerra in Cecenia è finita".
"Nella repubblica separatista - spiega Vatciagaiev
dall'esilio parigino - si è fatta strada una nuova
cateoria di guerriglieri, che contesta il modo in cui il
presidente Mashkadov conduce la lotta contro i russi.
Questi ribelli - continua - intendono comportarsi
esattamente con i russi come costoro fanno in
Cecenia".
Infine, sulla possibilità che
il sequestro del teatro di Mosca possa influire
negativamente sul sostegno dall'estero alla causa cecena,
Vatciagaiev non ha dubbi: "i ceceni non hanno mai
ricevuto l'appoggio dell'Onu o del Consiglio di
sicurezza, dunque non hano più nulla da perdere".
Intanto arriva anche il commento dello stesso leader
separatista ceceno Mashkadov, che dichiara di aver
tentato "tutto il possibile" perché la
soluzione del dramma non lasciasse vittime sul terreno.
"Il bagno di sangue poteva essere evitato", per
questo ieri aveva rivolto un appello ai ribelli
attraverso il suo portavoce Ahmed Zakayev.
Zakayev aveva chiesto al comandante dei guerriglieri,
Movsar Barayev, di non giustiziare gli ostaggi e di
trovare una via di uscita pacifica al sequestro.
"Una soluzione senza sangue era possibile - ha
dichiarato oggi Mashkadov - ma evidentemente non era nei
piani di coloro che sono responsabili della morte di
decine di migliaia di innocenti in Cecenia".
Il presidente separatista ha espresso le sue
"profonde condoglianze a tutti coloro che sono morti
durante l'infame attacco delle forze speciali
russe".
Accusato, due giorni fa, dai russi, di essere il mandante
dell'assalto al teatro, dopo aver smentito
categoricamente qualsiasi proprio coinvolgimento, il
leader ceceno aveva messo in guardia i suoi connazionali,
autori dell'incursione, dal compiere mosse avventate.
(26 ottobre 2002)
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DALL'UNITA' 26.10.2002
Quattro
domande e un giudizio da sospendere
di Piero Sansonetti
Lincubo è finito.
Centinaia di ostaggi sono stati liberati e molti di loro
sono in condizioni discrete. Bene. Nei giorni scorsi
tutto il mondo ha temuto di dover piangere mille morti,
di trovarsi di nuovo beffato e sconfitto dalla potenza
immane del terrorismo. Non è stato così, sembra che non
sia stato così. Lazione delle «teste di cuoio
russe» ha salvato la vita a molte persone, ha fatto
fallire il piano dei terroristi. Meno male. Anche se non
cè proprio da gioire davanti a centocinquanta
morti, dei quali due terzi erano ostaggi. In ogni caso il
bilancio è pesantissimo: è stata una delle azioni più
sanguinose degli ultimi decenni.
Va considerato un successo il blitz degli specialisti
russi? Bisogna congratularsi con Putin, che ha avuto il
polso fermo e il coraggio di rischiare?
Prima di congratularsi bisognerebbe conoscere un po
meglio lo svolgimento dei fatti. Ancora sappiamo poco,
troppo poco. Sono da chiarire molte anomalie, non è
così?
Per esempio non abbiamo capito bene chi fossero questi
terroristi. Fanatici religiosi o combattenti ceceni?
Cioè, era prevalente l'aspetto del fondamentalismo
islamico di questo gruppo dassalto - e dunque è
ragionevole pensare a un collegamento con Al Qaeda o
altre organizzazioni antioccidentali - o invece era
prevalente laspetto irredentista e anti-russo? Nei
giorni scorsi il presidente Putin ha parlato di
collegamenti internazionali: cosa intendeva dire, e sulla
base di quali informazioni?
Secondo interrogativo: qual era lobiettivo dei
terroristi? Quando si organizza una azione così
clamorosa, e si impegnano decine di uomini (votati alla
morte) è improbabile che non si curi nei dettagli la
gestione politica dellattacco. Si valutano varie
ipotesi di svolgimento, si prepara con precisione un
ventaglio di richieste, concrete, comprensibili, si
decide se e come trattare, si organizzano gruppi che non
partecipano direttamente allattentato ma che
possano gestirlo e possano governare i rapporti con
lopinione pubblica. Come mai stavolta non è stato
così? Perché le richieste dei terroristi erano
generiche, e perché non è scattata una macchina di
propaganda - in Cecenia, o altrove - che puntasse a dare
risultati politici alliniziativa militare?
Terza domanda: come è avvenuto il blitz? Cone sono
entrate le "teste di cuoio"nel teatro? Cosa
hanno fatto nei 45 minuti durante i quali hanno sconfitto
i terroristi? Per quale motivo, per quale necessità,
hanno ucciso praticamente tutti i ceceni? E in che modo
hanno evitato che i terroristi-suicidi si facessero
esplodere e facessero esplodere il palazzo? Il palazzo
davvero era minato? Le cinture di dinamite che i
terroristi avevano alla vita erano davvero di dinamite?
In Israele non si è mai riusciti a prevenire gli
attentati suicidi, neanche con azioni-lampo, come mai a
Mosca lo si è impedito con un blitz che è durato quasi
unora?
Poi cè una quarta
domanda: i militari russi hanno usato gas? Era gas
nervino? Perché erano in possesso di gas nervino?
Luso militare dei gas è stato proibito una prima
volta nel 1925, a Ginevra. Poi, siccome era risaputo che
in alcuni paesi (tra i quali l'Unione sovietica e gli
Stati Uniti) il gas veniva ancora prodotto, illegalmente,
ci fu un'ulteriore convenzione (la Bwc, che vuol dire
Biological and Toxin Weapons, cioè armi biologiche e
tossiche), firmata nel 1972 e che proibiva esplicitamente
la produzione, lacquisizione, il possesso e lo
stoccaggio di armi chimiche. Nel 1993 si è deciso di
rafforzare la Convenzione del 72 istituendo un
complesso sistema di controlli. Gli Stati Uniti
sospettano che Saddam Hussein non rispetti questa
convenzione, e per questo minacciano una guerra. Neppure
la Russia rispetta questa convenzione?
Il blitz si è concluso da
poche ore, ed è del tutto ragionevole che a Mosca ci sia
un po di confusione e che anche le notizie arrivino
frammentarie e contraddittorie. Possiamo senzaltro
sperare che nelle prossime ore arrivino dei chiarimenti,
e sia possibile rispondere in modo esauriente e positivo
a queste domande. Nel frattempo, per prudenza, è giusto
sospendere le congratulazione a Putin e al governo russo.
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DALL'UNITA' Teatro dell'assurdo
di Furio Colombo
Il dramma di Mosca continua e continuando si aggrava il
rischio. Eppure la sua natura resta inspiegata.
Primo. I terroristi appaiono decisi e spietati, tanto che
uccidono una giovane donna (forse una esecuzione
esemplare, forse un tentativo di fuga) nei primi minuti.
Circolano immagini diffuse dalla televisione araba Al
Jazira: passamontagna per gli uomini del commando, volto
velato per le donne. E cintura di esplosivo. Circola fin
dallinizio la voce che il teatro di Mosca è stato
minato, in modo che potrà esplodere subito, al primo
tentativo di salvare gli ostaggi. Le molte decine di
terroristi, le molte centinaia di prigionieri formano uno
spettacolo che non ha precedenti.
Un grande spettacolo, nella logica del terrorismo,
suggerisce sempre un finale di morte.
Secondo. I terroristi accettano mediazioni, comunicano,
dialogano, liberano bambini.
Non si sa quanti su quanti, perché la liberazione dei
bambini avviene in gruppi diversi. Liberano o lasciano
uscire una donna medico, che farà da portavoce. Trattano
- ed è una novità assoluta nel mondo del terrore - per
la separazione degli stranieri dai russi.
Cè qualche fuga. E cè lepisodio,
anchesso senza precedenti e senza spiegazioni, dei
due italiani dellagenzia Ansa che entrano ed
escono, violando i cordoni della polizia russa. I
terroristi desideravano il contatto?
Terzo. Il dubbio si allarga. Ceceni che intendono segnare
drammaticamente il loro tremendo caso dimenticato? Nuova
strategia di guerriglia interna alla Russia? Attacco di
terrorismo internazionale che questa volta, dopo New York
e Bali, colpisce Mosca?
Ciascuna di queste ipotesi coincide con alcuni dei
segnali del gruppo terroristico apparso nel teatro di
Mosca. E contrasta con altri.
Paradossalmente il trascorrere delle ore aggrava la
condizione degli ostaggi ma sembra diminuire il pericolo
di terrorismo suicida e senza ritorno. Con il cibo e con
lacqua è entrato nel teatro assediato un filo,
appena un filo di speranza.
Poi si sono diffuse le voci. Gli uomini e le donne che
hanno preso il teatro dichiarano di essere portatori
della loro disperazione, la Cecenia oppressa e distrutta,
non del terrore del mondo. Le loro richieste non sono
chiare ma dicono che cominceranno a uccidere gli ostaggi
entro poche ore se tali richieste non saranno accolte.
Lintera storia, grave comè, carica
comè di minaccia di morte su larga scala, non può
essere afferrata da mani guerriere. È una vicenda
terribile, carica di rischio. Ma resta politica, e chiede
la forza, lintelligenza, la capacità di una
soluzione politica.
Putin è stato colui che, di fronte alla ribellione
cecena, ha creduto che tutto si potesse schiacciare col
peso di una potenza sproporzionata e con la estrema
violenza. La Russia ha infatti schiacciato la pretenziosa
Cecenia. Ed ecco che torna, la Cecenia, in un mondo che
non può più essere tenuto in ordine a cannonate. Ci
sarà una intelligenza politica che guiderà ad una via
duscita che non sia di azione, reazione, vendetta e
morte, ripetendo allinfinito la stessa tragedia,
rendendola più grave ogni volta?
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Tocca a Putin
GIULIETTO CHIESA
Vladimir Putin è in mezzo al guado più difficile della
sua presidenza, e probabilmente della sua vita. E' lui
l'ostaggio principale del teatro di una periferia di
Mosca. Noi non sappiamo - nessuno lo sa, ma lui lo sa
sicuramente, o, come minimo, ha dei sospetti fondati -
chi lo ha chiuso in quell'angolo. E quindi non possiamo
prevedere quali mosse farà per uscirne, supposto che
possa. Ha detto, piuttosto sibillinamente, che è una
centrale del terrorismo internazionale quella che manovra
l'operazione. Non l'ha nominata - ed è molto
significativo che abbia deciso di non nominarla - ma gli
si può credere. E' quello che alcuni osservatori più
avvertiti ritengono. Ma è qui uno snodo delicatissimo.
E' al Qaeda?
Se fosse stata, semplicemente, al Qaeda, perché non
dirlo? Forse ce lo dirà lui stesso nei prossimi giorni,
nelle prossime ore, ma non l'ha detto subito. Segno che
sta riflettendo su alcune ipotesi, non su una sola.
Ipotesi complesse.
Quello che balza agli occhi, però, immediatamente, è
che tutte le forze belliciste, italiane e statunitensi,
si sono affrettate a individuare Osama bin Laden come il
regista. Ma è banale propaganda, non analisi.
Io penso che Putin ne sappia più di loro, e invito a
seguire le sue mosse, le sue dichiarazioni, con la
massima attenzione, nelle prossime ore. E non solo a
Mosca, dov'è il teatro più terribile e drammatico, ma
anche a New York, nel palazzo delle Nazioni unite.
Infatti sono gli stessi propagandisti di guerra che hanno
subito stabilito un legame tra le due cose: se è stato
ad architettare l'assalto di Mosca, allora Putin non
potrà negare l'autorizzazione all'attacco su Baghdad.
Naturalmente anche questa è propaganda di guerra,
perché oscura il dato che non ci sono prove di legami
tra Iraq e Osama. Ma è rivelatore di una logica. E se
una logica cosi miserabile alberga in animi servili, non
si vede perché non dovrebbe albergare anche negli animi
dei loro padroni.
In realtà Vladimir Putin cammina sui carboni ardenti, ed
è per questo che non dice sciocchezze. Affermare -
com'egli ha fatto - che il problema ceceno è divenuto un
problema internazionale non è cosa di poco conto per un
presidente russo che fu eletto in base a un programma di
vittoria militare e definitiva sugli indipendentisti e
sulla proclamazione secca e inequivocabile che il
problema ceceno era un problema «interno».
Affermare che era un problema interno significava
trascurare imperdonabilmente il dato che la Cecenia
rappresentava un'area di «interesse petrolifero» di
primaria importanza per gli interessi statunitensi e
turchi sul bacino del Mar Caspio. E che, quindi,
mantenere in guerra la Cecenia era la classica fava che
consentiva di prendere due piccioni: indebolire la Russia
fino a farle perdere il Caucaso intero; costringere tutti
i paesi che si affacciano sul Mar Caspio a scartare
l'ipotesi di far confluire le loro quote di petrolio
verso gli utilizzatori occidentali attraverso una Russia
lacerata dalla guerra intestina.
La resistenza cecena non avrebbe potuto reggere contro
l'esercito russo, per tanti anni, se non fosse stata
alimentata, armata, finanziata da forze esterne. Tra
questi «amici» dei ribelli ceceni vi furono per
parecchio tempo anche emissari di Washington, o, per loro
conto e per conto proprio, quelli di Ankara e di Ryiad.
Adesso , quando gli Stati uniti hanno finalmente risolto
il problema (o credono di averlo risolto) con la
conquista del corridoio afghano, quando cioè la Cecenia
non è per loro così interessante come prima, ecco che
altri «amici» dei ceceni diventano dominanti.
Colpiscono quelle donne in nero, col volto velato. In
tanti anni di visite nel Caucaso e in Cecenia, non mi era
mai capitato di vedere donne a volto coperto e in nero.
Cosa significa? Può significare soltanto una cosa: che
il fondamentalismo e i suoi dollari hanno aperto brecce
grandi nella resistenza cecena.
Altrettanto ambiguo è il significato dell'«azione
suicida». Budionnovsk non aveva niente di «suicida».
Niente nelle guerre cecene fino ad ora era suicida. Ma
tutto ha l'aria - anche - di una macabra messa in scena,
dove inediti kamikaze fanatici, che credono di perseguire
i loro scopi, servono anche, contemporaneamente, ad altri
scopi. Senza saperlo, naturalmente.
Alla luce di queste considerazioni la posizione della
Russia alle Nazioni unite, ieri - dura,
inequivocabilmente ostile a un intervento armato contro
Saddam Hussein - sembra dire che Vladimir Putin ha
capito.
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LA STAMPA Chi era il capo dei
terroristi, ucciso con una bottiglia di cognac in mano
26 ottobre 2002
MOSCA. È l'unico dei ribelli
ceceni che si sia presentato a volto scoperto, ed è
morto nell'edificio nel quale aveva portato il suo
commando di 40 uomini e 10 donne a compiere una delle
più clamorose azioni terroristiche che si ricordino.
Movsar Barayev, per tutta la non lunga vita (era nato nel
1979) si è guadagnato fama più per i suoi brutali
exploit come mercenario, educato alla guerra dallo zio
Arbi Barayev, che per la devozione alla causa islamica.
Neto nella città cecena di Argun, aveva quindici anni
quando cominciò a combattere. Il suo vero addestramento
da guerrigliero terrorista cominciò tuttavia solo
quattro anni fa, quando lo zio Arbi lo portò ad Alkhan
Ala, dove gli aveva comprato una casa. Diventò
rapidamente uno dei più abili e feroci guerriglieri del
gruppo di addestramento, fino ad entrare nella guardia
del corpo dello zio. Le strategie di quest'ultimo
contemplavano come azione di base il sequestro di ostaggi
per riscatto, azioni che venivano condotte con ferocia
inaudita. Un esempio è la decapitazione di tre inglesi e
un neozelandese, tecnici di una compagnia telefonica,
uccisi nel 1998. In questo genere di azioni, il giovane
Movsar divenne abilissimo.
Arbi Barayev venne ucciso nel
giugno del 2001 nel corso di un'offensiva delle truppe
russe ad Alkhan Ala durata 17 giorni. Il corpo fu
mostrato alla televisione. Il giovane Movsar ereditò
allora il comando del gruppo di ribelli. Nel marzo di
quest'anno, fu impegnato in un feroce combattimento con
le truppe russe, nel corso del quale vennero uccisi 13
soldati di Mosca. Prima dell'azione al teatro moscovita,
si è fatto riprendere a volto scoperto in un video
inviato alla emittente televisiva araba Al-Jazeera.
«Ciascuno di noi è deciso a sacrificarsi per amore di
Dio e per l'indipendenza della Cecenia», ha detto nel
messaggio. «Giuro su Dio che siamo più desiderosi di
morire che di vivere». Malgrado questo sfoggio di ardore
per la guerra santa islamica, secondo un esponente
musulmano che lo ha conosciuto, più che per la gloria di
Allah, Movsar combatteva per denaro. «Non è mai stato
un fanatico religioso», ha detto Dzhafar Zufarov, muftì
della regione russa di Rostov. «Era un predone, un
bandito che strappava denaro con sequestri e atti
terroristici. Non ha mai letto una sola riga del Corano,
e non aveva la più lontana idea del vero significato
della guerra santa». Barayev è stato ucciso mentre
teneva in mano una bottiglia di cognac armeno, secondo le
immagini trasmesse dalle televisioni: lo si vede steso
per terra in mezzo ad un lago di sangue con la bottiglia
nella mano sinistra, ancora quasi piena.
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