Cossiga, il Colle deve intervenire
sulla Corte
prima delle decisioni sui dibattimenti di Milano
"Consulta,
la politica
prevalga sul diritto"
di
GIUSEPPE D'AVANZO
ROMA - Francesco Cossiga ha sul
tavolo la lettera di dieci cartelle che ha inviato al
Capo dello Stato. E' un missiva severa e aspra: a tratti
ingiuriosa.
Che cosa rimprovera al presidente della Repubblica?
"Di non aver ritenuto di deplorare le intimidazioni
rivoltemi dal procuratore di Potenza. Sarebbe stata
sufficiente una telefonata. Anche per dire: non sono
d'accordo con te e non ti risponderò pubblicamente, come
mi inviti a fare. Non è una questione personale. Ho
preso la parola per difendere le prerogative dei membri
del Parlamento contro le intercettazioni
illegittime".
Non è una questione personale, ma tre degli indagati
sono suoi amici...
"Guardi, io volevo andare a trovare in carcere il
mio amico Aldo Calza, che io chiamo con affetto Calzino.
I miei collaboratori mi hanno convinto a desistere da
quella che sarebbe apparsa un provocazione non consona ai
ruoli istituzionali che mi è capitato di ricoprire.
Calzino, da quel carcere, saprà comprendermi. No, io non
intendo difendere, seppure nella comprensione umana e
cristiana, né Claudio Calza né Angelo Sanza. Mi auguro
che siano innocenti e che riescano a provare la loro
estraneità ai fatti loro contestati, ma se invece sono
colpevoli non li difenderò ingiustificatamente. Difendo
invece incondizionatamente un grande servitore dello
Stato, il generale dell'Arma dei Carabinieri, Stefano
Orlando. Difendo il principio della presunzione di
innocenza".
In una "curva" impegnativa per le nostre
Istituzioni - presidente del Consiglio imputato, un
conflitto che divide il governo e il parlamento dalla
magistratura - non crede che aprire un nuovo fronte che
impegna il Capo dello Stato possa danneggiare le
Istituzioni che lei rappresenta e ha rappresentato?
"E, infatti, sono molto angustiato
anche se, per non indebolire le istituzioni, siamo
precipitati in Mani Pulite e in una "transizione
infinita". Mi è già accaduto di affrontare questo
dilemma e so benissimo che non si può demolire se non si
costruisce. Un singolo però può picconare, ma non può
da solo ricostruire".
Qual è la ragione del colpo piccone contro il
Quirinale?
"Ho un gran risentimento nei confronti di Ciampi. La
sua non è una mediazione attiva. Non può dar ragione
ogni giorno ai magistrati perché così non li
aiuta".
Non li aiuta?
"No, li danneggia. Quando fa finta di nulla di
fronte al Csm che vota un ordine del giorno in cui si
deplorano dichiarazioni rese in Parlamento o quando non
reagisce alle sortite di una parte dell'Anm contro le
Camere, si aizza il Parlamento a far leggi che
indeboliscono l'autonomia e l'indipendenza della
magistratura. Ma forse il problema non è
Ciampi...".
Dov'è allora il problema?
"Conosco il dottor Ciampi. E' un buonuomo a digiuno
di diritto e di politica. Un uomo, come lui, avrebbe
dovuto chiamare accanto a sé più robusti consiglieri.
Salvatore Sechi, che mi è stato accanto per lunghi anni,
è un fine giurista tecnico mentre Ciampi avrebbe avuto
bisogno di un giurista politico come Manzella o un
giurista parlamentarista come Maccanico".
Il presidente della Repubblica ha accanto a sé il
più sapiente tra i commessi dello Stato, Gaetano Gifuni.
"Gifuni è un mio amico personale. Ne ho grande
stima morale. Non né un giurista né un parlamentarista,
è un uomo di relazioni politiche le cui capacità sono
penalizzate dal valore indiscusso che egli attribuisce
alla prudenza, al silenzio, al trascorrere del
tempo".
Il presidente della Corte di Cassazione ha
sottolineato, alla vigilia dell'esame della questione dei
processi milanesi, il "ruolo istituzionale assunto
da uno degli imputati". Lei non trova che con queste
premesse il diritto si pieghi all'opportunità politica?
"Perché se ne meraviglia: più si sale la scala
della giurisdizione, meno troverà il diritto e più
invasivo diventerà l'arbitrato della politica".
Rintraccia l'"arbitrato della politica"
anche nella decisione di ieri delle Sezioni Unite?
"Non ho letto la sentenza. L'ho chiesta a Previti.
Volevo chiederla a Berlusconi, ma si sarebbe offeso.
Previti conosce soltanto il dispositivo e da quel che
capisco si vuole afferrare un vuoto legislativo per
attribuire alla Consulta non una funzione
giurisdizionale, ma un potere legislativo. La sentenza mi
sembra il frutto di una prudenza politica protetta dal
rigore giuridico-formale. Se avessero respinto il ricorso
di Berlusconi sarebbe stato uno schiaffo a mano aperta al
presidente del Consiglio. Al contrario il trasferimento
del processo da Milano sarebbe stato uno schiaffo alla
magistratura, al Csm, all'Anm. Hanno scelto per un break
in linea con la prudente linea seguita dalla maggioranza
nell'affrontare in Parlamento la questione
giustizia".
Ipotizza un accordo sotterraneo sulla giustizia per
liberare Berlusconi dalle grane di Milano e la
magistratura dai grattacapi riformistici?
"Non ipotizzo niente. Dico che, a fronte dei
progetti di Forza Italia, la riforma del ministro
Castelli è acqua fresca e non potabile".
Insisto, sarà la politica a risolvere i processi che
vedono Berlusconi e Previti imputati?
"Ma guardi che i giudici nell'Antica Roma come in
Inghilterra sono chiamati a risolvere soltanto conflitti
privati e affari ordinari, al punto che è stata
inventata la giustizia politica. E' il Parlamento, non
per nulla chiamato Alta Corte, a giudicare e condannare
Tommaso Moro alla decapitazione".
Ma l'arbitrato della politica non deforma il principio
dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge?
"No, finché non diventa illegale, finché si muove
nel rispetto delle forme e abbia una coerenza giuridica e
linguistica, finché ci sia il prevalere del sommo giusto
sul giusto legale realizzando il giusto legittimo".
Ora la parola sui processi di Milano spetta alla Corte
costituzionale. Quando pesa il Quirinale sulle decisioni
della Consulta? E il suo intervento, se c'è, è
opportuno?
"L'intervento del Capo dello Stato sulla Consulta è
assolutamente non inopportuno. Il presidente della
Repubblica, che è il Capo dello Stato e in quanto tale
partecipa in senso mistico e misterioso di tutti i suoi
poteri, non deve pesare sulle decisioni della Corte
costituzionale, ma ha il diritto-dovere di richiamare la
Consulta sulle conseguenze politiche e istituzionali
della decisione e sul valore delle domande che vengono a
essa poste".
Ciampi interverrà?
"Ciampi non interverrà. Farà
intervenire il "Flauto magico"".
Chi è?
"Gaetano Gifuni. Lo chiamo "Flauto magico"
in senso mozartiano e non massonico".
E che farà Gifuni?
"Si appellerà alla prudenza, si
autolimiterà".
Ha una previsione sulla decisione della Consulta?
"Scommetto che la Corte Costituzionale darà ragione
ai giudici di Milano e torto a Berlusconi e
Previti".
(1 giugno 2002)
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