Cifre chiare, aspettative deluse.
Intervista a Giada Giani, economista del Centro studi Intesa-Comit
BRUNO PERINI


L'economia italiana è quasi ferma. E le previsioni di crescita del governo Berlusconi si rivelano sempre più infondate. Utilizzando con disinvoltura lo schermo televisivo, il presidente del consiglio continua nella sua propaganda post elettorale, chiedendo agli italiani di non credere a una parola di ciò che va dicendo l'opposizione. Ma i dati dell'economia ci dicono invece che pinocchio abita a Palazzo Chigi. Un esempio? L'Istat ha diffuso ieri i dati del prodotto interno lordo del primo trimestre, smentendo clamorosamente il ministro Giulio Tremonti, le sue previsioni e quelle del suo capo di governo: nei primio tre mesi dell'anno il Pil è cresciuto dello 0,1 per cento. Calcolando la crescita sul primo trimestre del 2002 si può arrivare allo 0,2 per cento ma mai all'1,1 per cento a trimestre, necessario per raggiungere la illusoria quota del 2,3 per cento annuo propagandata dal venditore Silvio Berlusconi. Sulle cifre diffuse dall'Istat abbiamo sentito il parere di Giada Giani, economista del Centro studi IntesaComit

Cosa è accaduto? Come mai i dati di crescita sono così deludenti?

Premetto che io mi limito ad un'analisi dei dati. E da questo punto di vista devo constatare che in effetti le aspettative di una crescita come quella annunciata da fonti istituzionali è stata delusa. L'idea di avere una crescita sostenuta si basava sui dati trimestrali del Pil Usa. Ora dobbiamo dire che le cose stanno diversamente.

Eppure il governo Berlusconi aveva scommesso una parte della sua credibilità sulla crescita.

E' vero che l'Europa tende a reagire in ritardo sui dati americani, ma è altrettanto vero che allo stato è improponibile immaginare una crescita del 2,3 per cento. Tra l'altro il dato sulla produzione industriale diffuso oggi conferma questa tendenza a una crescita molto più lenta di quanto si voleva far credere: le aspettative parlavano di un incremento tra lo 0,5 per cento e l'1 per cento, mentre il dato di marzo è una crescita dello 0,7 per cento. Si dirà che il trend, rispetto al primo trimestre del 2001 è attorno allo 0,3 per cento ma non bisogna dementicare che il 2001 è uno degli anni più brutti. Se si analizzano la domanda si scopre che l'estero è andato male e che non è avvenuto un recupero della domanda interna.

Dunque è vero che che le aspettative sono andate fortemente deluse. E' vero che gli economisti non si vogliono mai sbilanciare ma in questo caso le cifre parlano da sole.

Diciamo che gli indicatori dicono chiaramente che le aspetattive sono andate deluse. E questo potrebbe avere un peso sui conti pubblici. Sicuramente il rapporto deficit/Pil viene alterato. Si può dire quello che si vuole ma a questo punto per ottenere una crescita come quella annunciata dovrebbe accadere l'impossibile: i prossimi trimestri dovrebbero registrare una crescita dell'1,1 per cento.

Questo significa che non si raggiungerà neanche la cifra dell'1,7 per cento ventilata dai più pessimisti?

Con i dati odierni è difficile pensare a una crescita dell'1,7 per cento.

L'agenzia Moody's proprio ieri ha alzato il rating del debito italiano. Ma su questo dato, come al solito si scatenano le polemiche politiche: l'attuale governo si appropria di questi dati mentre, gli ex esponenti del governo di centro sinistra sostengono che il merito di qyestoi innalzamento andrebbe a loro. Chi ha ragione?

Anche in questo caso il mio compito è di dare una valutazione dei dati. Non mi pronuncio dunque sulla disputa politica ma è evidente che il risanamento dei conti pubblici è attribuibile ai governi precedenti. Il Moody's infatti fonda le sue valutazioni fino al 2001. Comunque aggiungerei, al di là delle valutazioni del Moody's, che i dati del Pil non consentono a nessuno di fare salti di gioia. L'ottimismo era dovuto al fatto che i primi dati erano straordinariamente positivi. Ora siamo costretti a prendere atto che la situazione è diversa.