CORRIERE DELLA SERA 21
MAGGIO 2002.
«Si muore generalmente perché
si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo
grande». La frase di Giovanni Falcone, assassinato dieci
anni fa, nel pomeriggio del 23 maggio 1992, può essere
presa a modello ideale dell'importanza che questo
magistrato ha avuto nella storia della lotta alla mafia.
UN NUOVO METODO D'INDAGINE - Falcone «era entrato in un
gioco troppo grande» poiché non solo aveva portato alla
sbarra e ottenuto la condanna del vertice «militare» di
Cosa Nostra, ma aveva dato vita a un efficace metodo
d'indagine contro le organizzazioni criminali, oltre ad
aver ispirato un nuovo modello legislativo che è
all'origine dei successi ottenuti dallo Stato nei
confronti del fenomeno mafioso.
Recentemente Luca Tescaroli, ex pubblico ministero a
Caltanissetta che ha rappresentato la pubblica accusa nei
confronti degli assassini del magistrato siciliano, ha
affermato: «Falcone aveva disposto gli strumenti per
punire i propri assassini».
Il magistrato siciliano, tuttavia, negli ultimi tempi era
rimasto solo: la nomina alla direzione degli Affari
Penali al ministero di Grazia e Giustizia era vista dai
più come un ripiego dopo la mancata nomina a procuratore
capo di Palermo e le difficoltà che incontrava la sua
candidatura ai vertici della nascente procura antimafia.
DIECI ANNI DOPO - A dieci anni di distanza dalla morte
del magistrato siciliano, di sua moglie e dei tre uomini
della scorta restano molte cose da chiarire. Certo, sono
stati giudicati e condannati in primo grado e in appello
(manca ancora il verdetto della Cassazione) i presunti
assassini e mandanti della strage di Capaci. I vertici di
Cosa Nostra sono stati, di fatto, decapitati. Ma poco
ancora è stato accertato dei rapporti tra mafia e il
cosiddetto «terzo livello», che genericamente si è
sempre individuato nel mondo politico e finanziario di
cui ha parlato per la prima volta il capostipite dei
pentiti, Tommaso Buscetta.
E dubbi restano anche sulle vere ragioni dell'improvviso
cambiamento di rotta nella strategia di Cosa Nostra: da
potere connivente a potere conflittuale nei confronti
dello Stato. Un cambiamento che la stagione delle stragi
(oltre a Capaci, quelle di via D'Amelio, di via Palestro
a Milano, di via dei Georgofili a Firenze) ha delineato
con certezza.
Ciò non toglie che in questi dieci anni molto è stato
fatto, soprattutto sul piano giudiziario.
Il
Ministro della Giustizia: «Anche nell'ultimo anno
importanti successi»
Castelli pone un freno alle polemiche per il decennale
della morte di Falcone
21 maggio 2002
ROMA- «Lo Stato non ha
abbassato la guardia» nella lotta alla mafia. Lo afferma
il Guardasigilli, Roberto Castelli, nel suo intervento
alla cerimonia per il decennale della strage di Capaci.
Il ministro difende l'operato
del governo citando «elementi oggettivi», ovvero il
numero degli arresti e dei provvedimenti presi dalle
Forze dell'ordine contro gli esponenti delle cosche:
«Dal 15 giugno 2001 ad oggi - cita Castelli - sono stati
arrestati 182 latitanti di elevata pericolosità, di cui
quattro compresi nello speciale elenco dei 30 maggiori
ricercati. Ben 147 sono state le denunce all'autorità
giudiziaria per l'ipotesi di associazione per delinquere
di stampo mafioso, a carico complessivamente di 2.547
persone».
«Questi fatti - conclude
Castelli - più di mille parole onorano la memoria oggi
di Giovanni Falcone».
Intanto, il Presidente del
Consiglio ha dichiarato che «la riforma dell'ordinamento
giudiziario» del centro-destra «si rifà a molte di
quelle che furono le intuizioni di Giovanni Falcone».
«Falcone - ha detto Berlusconi - si sentiva un servitore
dello Stato e quindi di tutti. Utilizzava la giustizia
nella giusta direzione, quella di combattere il crimine e
soprattutto il crimine organizzato».
«Quello che è importante - ha
aggiunto il premier - è che molte delle sue proposte e
delle sue idee si ritrovino oggi. Anche noi ci rifacciamo
a lui con i nostri programmi».
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