Fiat, 3.500
fuori dall'auto
E diecimila in cassa integrazione. Per cominciare, due
ore di sciopero
LORIS CAMPETTI
Il titolo Fiat è risalito in Borsa, all'annuncio delle
iniziative dell'azienda per ridurre l'occupazione e di
conseguenza la produzione di quelle automobili che non
riesce a vendere sul mercato. Non potendo ancora vendere
l'intero comparto auto agli americani della Gm, essendo
l'avvocato Gianni Agnelli malato ma vivo, è pur sempre
una consolazione per gli speculatori di Piazzaffari.
Mentre scriviamo, è ancora incerto il numero degli
esuberi e la loro distribuzione nei vari stabilimenti. Di
sicuro i più colpiti sono i lavoratori di Mirafiori: si
parla di 1.800 da mettere fuori attraverso la mobilità
lunga (i prepensionamenti) e di 500 dipendenti delle
meccaniche a cui questo strumento non può essere
applicato. Altri 1.200 lavoratori potrebbero essere messi
in prepensionamento negli altri stabilimenti italiani. I
sindacati, però, non ci stanno: non si può pensare di
far pagare una crisi figlia degli errori industriali
della Fiat ai suoi lavoratori. O si concorda un piano
industriale che abbia una prospettiva di rilancio, oppure
non ci sarà nessun avvallo sulla riduzione degli
organici, con o senza ammortizzatori sociali. Questo ha
dichiarato il segretario generale della Cgil, Sergio
Cofferati e parole simili hanno usato i leader delle
altre organizzazioni. A tarda sera si è concluso
l'incontro a Roma tra la direzione Fiat e i gruppi
dirigenti di Fim, Fiom e Uilm: due ore di sciopero e
assemblee nei prossimi giorni. L'incontro di Cantarella
con il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e con il
presidente della regione Enzo Ghigo, invece, si è tenuto
nella mattinata di ieri e si è conclusa con una
incomprensibile dichiarazione di soddisfazione.
Comprensibilissima, invece, l'insoddisfazione e la rabbia
della Fiom di Torino e Mirafiori. Ma il caso Fiat è
approdato alla politica e oggi la patata bollente passa
nelle mani del governo.
La mazzata della Fiat auto:
3.500 esuberi
I colpi più duri inferti a Mirafiori: 1.800 in mobilità
e 500 da eliminare. I sindacati non ci stanno e indicono
due ore di sciopero e assemblee. Per cominciare
LORIS CAMPETTI
ROMA
E'contenta Piazzaffari di come vanno le cose alla Fiat.
Anche se l'avvocato Gianni Agnelli è ancora vivo e
dunque non si può vendere subito l'intero comparto
dell'automobile agli americani della General motors, una
notizia ha allietato la Borsa di Milano restituendo
fiducia al mercato: è l'annuncio degli «esuberi»,
cioè dei lavoratori da buttare fuori come conseguenza di
una crisi provocata da una politica industriale
dissennata e non certo dagli operai che «avanzano» alla
Fiat. Come anticipavamo sul giornale di ieri, la mazzata
più pesante rischia di abbattersi sulle tute blu di
Mirafiori, lo stabilimento più vecchio con i dipendenti
più «viziati» in fatto di diritti, orari e salari.
Secondo la direzione del Lingotto - che ieri mattina
nella persona dell'amministratore delegato Paolo
Cantarella ha incontrato a Torino il sindaco diessino
Sergio Chiamparino e il presidente berlusconiano del
Piemonte Enzo Ghigo, mentre nel pomeriggio a Roma il
responsabile delle relazioni industriali Paolo Rebaudengo
ha riferito il programmino di riduzione dell'organico ai
gruppi dirigenti di Fim, Fiom, Uilm e Fismic (ex Sida) -
i lavoratori eccedenti di cui liberarsi sarebbero
tremila, di cui 1.800 a Torino e i restanti negli altri
stabilimenti italiani. Per carità, nessun licenziamento,
solo «l'uso delle forme previste di flessibilità», in
particolare la mobilità lunga cioè i prepensionamenti.
Non basta: bisognerà trovare il modo per far fuori altri
500 esuberanti alle meccaniche di Mirafiori (ora
Powertrein, la joint venture tra Fiat e Gm) ai quali
però non sono applicabili gli strumenti della
flessibilità). E siamo a 3.500 solo nell'auto. A questi
andranno aggiunti altri lavoratori che operano a
Mirafiori ma indossano la casacca di Comau e Tnt, un
numero che si avvicina alle 500 unità. Per non parlare
delle ricadute sull'indotto auto, non ancora
quantificabili ma decisamente più che non qualche
centinaia.
E questo è solo l'aperitivo, perché al Lingotto già
mettono le mani avanti: il futuro non dipende da noi ma
dal mercato. Se il mercato continuerà a scendere e se la
Fiat perderà ulteriori quote vendendo sempre meno
automobili, nessuno è più garantito, a Mirafiori come
in tutte le altre fabbriche. Nell'attesa di sapere cosa
farà il mercato e come si orienteranno i consumatori
nelle loro scelte, bisogna abbattere la produzione ben
oltre l'effetto dell'eventuale espulsione di 3.500
dipendenti diretti. Intanto, già a giugno saranno
diecimila i lavoratori lasciati a casa, con una cassa
integrazione che peserà soprattutto - ancora una volta -
sugli operai di Mirafiori (per fare un esempio, a fine
giugno si fermeranno per una settimana tutti gli addetti
torinesi alla produzione della Punto, della Lybra e della
Marea, praticamente l'intera produzione dello
stabilimento sarà bloccata). Con la cassa integrazione
del solo mese di giugno le automobili in meno prodotte
saranno quasi 15 mila.
Il sindaco di Torino e il presidente della Regione
Piemonte, beati loro, si sono dichiarati fiduciosi,
soddisfatti dalle rassicurazioni fornite dalla Fiat e
aggiungono di non prevedere gravi conseguenze sociali
dalle cannonate su Mirafiori. Chi non è né soddisfatto
né tranquillo è il sindacato in tutte le sue sigle.
Sicuramente i sindacalisti di Mirafiori, che ricordano
come lo strumento della mobilità sia applicato da tempo
dalla Fiat e da aziende del gruppo, Comau e Tnt. Migliaia
di lavoratori sono già stati mandati a casa ma il
salasso non ha certo rilanciato i prodotti Fiat sui
mercati, né ridotto l'indebitamento. Prima che iniziasse
l'incontro romano tra direzione Fiat e sindacati
nazionali - che è ancora in corso mentre scriviamo -
sono scesi in campo i numeri uno delle confederazioni. Il
segretario della Cgil ha rovesciato la logica della
multinazionale torinese: «Per parlare del futuro della
Fiat bisogna partire da un progetto industriale e non
dall'occupazione come vuole l'azienda. I dati diffusi
dimostrano che vi sono grandi difficoltà e che c'è uno
stato di crisi a cui bisogna rispondere con provvedimenti
che servano a rimettere il più grande gruppo italiano in
condizioni di competere. Bisogna ripartire dal progetto
industriale - aggiunge Cofferati - perché dentro la
crisi dell'auto i problemi della Fiat sono più
accentuati. Questo a causa di una caduta capacità
competitiva legata ai prodotti e alla loro capacità di
penetrazione nei mercati. Per parlare di futuro della
Fiat, non si può partire dunque dall'occupazione,
perché l'occupazione si difende risanando l'azienda,
puntando sulla qualità».
Anche il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti,
si è espresso contro i licenziamenti comunque camuffati.
Per uscire dalla crisi, dice, bisogna costruire e saper
vendere macchine. Per la segreteria nazionale della Fim,
Cosmano Caprioli, che ha parlato prima dell'inzio
dell'incontro con l'azienda, non è accettabile un
confronto sull'occupazione se prima non si è parlato di
strategia. Caprioli critica anche la logica delle
dismissioni (Comau e Teksid) annunciate dalla Fiat
durante l'assemblea degli azionisti di Torino.
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