Se l'Europa guarda indietro
di Siegmund Ginzberg


Soffia prepotente un vento di destra in Europa, si dice. Ma di quale destra si tratta? In che cosa si differenzia dagli altri «ritorni del pendolo» elettorali verso destra nella storia del nostro continente? Su cosa si fonda? Perché le sinistre (i centrosinistra) vengono puniti anche (verrebbe quasi da dire soprattutto) dove hanno governato bene, hanno avuto anche in economia risultati apparentemente migliori delle destre (o dei centrodestra) che l'avevano preceduta?
Ad attirare l'attenzione sono i successi elettorali delle destre più «impresentabili». Le Pen in Francia, gli eredi di Pym Fortuyn in Olanda, preceduti dal partito della signora Pia Kjaersgaard in Danimarca lo scorso novembre e da quello di Jörg Haider in Austria nel 1999. Molti commentatori internazionali mettono nel mucchio anche Umberto Bossi e Gianfranco Fini, da noi al governo con Silvio Berlusconi. Ma una prima cosa che colpisce è che siano «impresentabili» anche gli uni agli altri. Fortuyn aveva sempre insistito di non avere assolutamente nulla a che fare con Le Pen. Haider, che pure aveva avuto lodi per Hitler, ne ha denunciato come «indifendibili» le radici dalla Francia di Vichy che collaborava coi nazisti e le «posizioni razziste nel programma». La Kjagersgaard ci tiene a dire che hanno rapporti solo con «il gruppo di euroscettici del partito conservatore inglese». Fini, il cui partito si richiamava qualche tempo fa a Mussolini, si sbraccia a sostenere di non avere nulla a che spartire né con Haider né con Le Pen, «ultra-nazionalista e fascista anti-europeo»). A differenza di esponenti della Lega di Bossi che si mostrano invece più vicini a chi, come l'ultrà fiammingo Filip Dewinter, ritiene Haider «troppo moderato» e chiama Le Pen «camerata».
Un commentatore americano le ha definite «liti in famiglia tra fascisti». Ma non tutti sono «fascisti» o anche antidemocratici. Forse si tratta effettivamente di molte «famiglie» diverse. Che a loro volta si distinguono dalle famiglie della destra tradizionale di governo. La destra del gollista Chirac ha meno compatibilità con Le Pen di quanto quelle dei Tory britannici abbia con il British National Party del neo-nazista Nick Griffin. Così come, nel panorama europeo, fa caso a sé la destra «aziendale» italiana. Queste «nuove destre» europee non hanno, a ben vedere, molto a che fare con la destra delle «rivoluzioni» di Ronald Reagan e di Margaret Tatcher negli anni Ottanta. Non sono portatrici di sia pur brutali progetti di liberazione delle forze di mercato. Non si iscrivono nella tradizione del «liberalismo economico». Spesso sono guardate con sospetto, sia dagli imprenditori che dai sindacati, e ce l'hanno con entrambi.
Quali sono allora gli elementi comuni? Il più vistoso è certamente l'avversione agli immigrati. Tutte queste formazioni si distinguono per livelli diversi di xenofobia e intolleranza (talvolta, ma non sempre addirittura di razzismo), nei confronti dei «diversi», degli «stranieri» e dell'immigrazione, in particolare quella islamica, più difficile da «integrare». Alcuni li vorrebbero cacciare, altri, come faceva Fortuny, gli dicono, più gentilmente: «Siete già troppi». Giovanni Sartori ha osservato che «xenofobia» (che significa «paura dello straniero» sarebbe un termine da svelenire, senza caricarlo di significati ideologici, di destra o di sinistra, alla stregua di claustrofobia o agorafobia. Gli è stato risposto che comunque si tratta di patologie psicologiche, da curare.
Sta di fatto che una parte crescente dell'opinione pubblica popolare mostra insofferenza verso gli immigrati, quando non li considera alla stregua di delinquenti, finti rifugiati, divoratori a ufo di assistenza sociale. Su questo si innesta una discussione sui limiti del «multiculuralismo», mantenimento delle identità d'origine rispetto all'integrazione. La questione si pone in modo diverso nei diversi paesi: la Francia ha sempre teso ad esempio all'integrazione, in Germania è escluso che un turco e un curdo possano diventare tedeschi. L'America deve al suo melting pot il proprio successo. Ma Francia e Germania hanno in comune l'aver incoraggiato l'immigrazione perché degli immigrati avevano bisogno. È opinione comune tra gli esperti che l'Europa ha bisogno di altri immigrati, pena una catastrofe economica a brevissimo termine e una demografica tra 10-15 anni. Si è osservato che sarebbe gravissimo se i governi d'Europa evitassero di discutere pubblicamente queste questioni per timore delle reazioni. La cosa vale ovviamente per la sinistra.
Ma l'altro tratto comune delle «nuove destre» è il populismo, la predilezione a fare su temi come questi un'agitazione smodata, non una discussione nel merito. È questo, non solo il merito delle proposte a delegittimizzarle a governare. Si tratta di una pericolosa tentazione che riemerge periodicamente anche nelle democrazie più avanzate e consolidate. C'è chi ha invitato a non confondere populismi diversi, ad esempio quello di Le Pen e quello di Fortuyn. Ci sono molti tipi di populismo, anche populismi «di sinistra». Anche l'America ha le sue destre e i suoi populisti, come l'habituée delle campagne presidenziali Pat Buchanan, che non si limita a chiedere che venga chiusa la porta in faccia agli immigrati ma sostiene che hanno «corrotto» l'anima degli Stati uniti. Ma ha un sistema politico che si è rivelato capace di filtrare questi estremi.
Resta da spiegare perché l'elettorato punisca chi ha governato relativamente bene (l'Olanda, e anche la Francia venivano indicati come modelli di successo). Aveva cominciato anche stavolta l'America, eleggendo due anni fa Bush anziché il rivale Gore che poteva vantare nove anni ininterrotti di boom economico.
Non era mai successo, un economista, Ray Fair aveva persino elaborato, in base a tutte le esperienze precedenti, un equazione matematica secondo cui avrebbe dovuto avvenire il contrario. Si sono avanzate diverse ipotesi. L'economista francese Jean-Paul Fitoussi ha attirato l'attenzione sul fatto che una stessa crescita economica viene vissuta in modo diverso da strati diversi della popolazione.
Un'altra ipotesi è che il voto verso la destra estrema abbia espresso la protesta del «popolo» nei confronti delle elites politiche, di sinistra o destra che fossero che governando (bene o male che sia) hanno perso il contatto con gli strati popolari. Non è forse un caso che il terzo elemento comune alle nuove destre sia il ripiegamento dall'Europa, considerata creazione e dominio riservato della elite delle elites.